Il socio non può agire ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. per ottenere la restituzione della somma corrisposta all’amministratore a titolo di corrispettivo per l’ingresso nella compagine sociale a non versata nelle casse sociali

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 10 maggio 2018, n. 11264.

La massima estrapolata:

Il socio non può agire ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. per ottenere la restituzione della somma corrisposta all’amministratore a titolo di corrispettivo per l’ingresso nella compagine sociale a non versata nelle casse sociali, e ciò anche qualora non sussista alcun riscontro formale di tale versamento negli atti e registri sociali. Il versamento, infatti, trova la sua causa nell’acquisita qualità di socio, e per tale ragione non costituisce un pagamento indebito.
Il socio, per il solo fatto di non avere partecipato medio tempore (dalla data del versamento del corrispettivo alla data del suo effettivo ingresso nella compagine sociale), alle assemblee o esercitato i propri diritti di socio sovventore a causa del comportamento colpevolmente dilatorio e omissivo dell’amministratore, puo’ pretendere (al limite) un risarcimento del danno personalmente subito, ma non certamente prospettare che l’amministratore si sia appropriato illecitamente di somme di sua spettanza per non avere versato il conferimento ricevuto nelle casse sociali, essendo questo un danno subito dalla societa’ per mano dell’amministratore. La deduzione di un siffatto fatto illecito imputabile all’amministratore, per il socio che agisce in proprio, costituisce semplicemente il riflesso della perdita patrimoniale subita direttamente dalla societa’
La responsabilita’ prevista dall’articolo 2395 c.c., ha natura extracontrattuale, e costituisce un’applicazione dell’ipotesi generalmente disciplinata dall’articolo 2043 c.c.

Ordinanza 10 maggio 2018, n. 11264

Data udienza 22 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25748-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 286/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, depositata il 15/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

SVOLGIMENTO IN FATTO

1 Con atto di citazione notificato in data 24/12/2003, il sig. (OMISSIS) conveniva in giudizio il sig. (OMISSIS) innanzi al Tribunale di Taranto – sezione distaccata di Manduria per sentirlo condannare al risarcimento o alla restituzione della somma di Lire 25.000.000, versata in data 4/2/2000 quale la quota di partecipazione alla societa’ cooperativa (OMISSIS) a r.l., costituita da (OMISSIS) nel 1999, oltre interessi legali dal 4/2/2000. (OMISSIS) si costituiva in giudizio e affermava di aver ricevuto la somma non in proprio ma in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) soc. coop. r.l. e, pertanto, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva; chiedeva, altresi’, disporsi il mutamento del rito per incompetenza del giudice adito in materia societaria, in favore del Tribunale in composizione collegiale. Con sentenza n. 96/2011, depositata il 30/3/2011, il Tribunale di Taranto – sede distaccata di Manduria, accoglieva la domanda e condannava (OMISSIS) a pagare ad (OMISSIS) la somma di Lire 25.000.000 oltre interessi, a titolo di risarcimento del danno. Con atto di citazione in data 11/5/2012, (OMISSIS) proponeva appello avverso la sentenza n. 96/2011, innanzi alla Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto -, chiedendo la riforma integrale della pronuncia di primo grado. L’appellante deduceva la carenza di motivazione con riguardo all’affermata sussistenza di colpa grave e di danno dell’istante, nonche’ la falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. nell’accoglimento della domanda di risarcimento pur in assenza di effettivo danno per il socio. Si costituiva (OMISSIS) per resistere e proporre appello incidentale subordinato in relazione alla domanda di ripetizione dell’indebito rimasta assorbita, ove venisse esclusa la responsabilita’ dell’appellante. Con sentenza n. 286/2015, depositata in data 15/6/2015, la Corte d’Appello di Lecce accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale, riformando integralmente la sentenza di primo grado e rigettando, cosi’, la domanda di (OMISSIS) per entrambi i titoli dedotti. Avverso tale sentenza, notificata il 20/7/2015, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione con atto notificato in data 16/10/2015 a mezzo di Ufficiale Giudiziario, deducendo quattro motivi. Al giudizio non ha partecipava il resistente, nonostante la regolarita’ della notifica.

RILEVATO IN DIRITTO

2. Con il primo motivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 112 e 342 c.p.c. e degli articoli 2247 e 2591 (2519) c.c.. Il giudice sarebbe andato extra petita nel considerare il ricorrente come socio della cooperativa, anziche’ come terzo rispetto alla societa’ e allo stesso amministratore che ha trattenuto la somma consegnatagli senza versarla alla societa’; inoltre la qualita’ di terzo rispetto alla societa’ e all’amministratore, riconosciutagli dal tribunale, non sarebbe stata oggetto di specifico motivo di appello. La Corte d’appello ha preliminarmente rilevato che e’ incontestato che il ricorrente, divenuto socio nel 2003, ha agito nei confronti del legale rappresentante della societa’ cooperativa a responsabilita’ limitata per ottenere il risarcimento di un danno conseguente al mancato versamento della somma consegnata nel 2000 per diventare socio sovventore della cooperativa, ritenendo che la lite verte in materia societaria e che l’amministratore e’ passivamente legittimato a subire l’azione de qua, superando in tal modo la contestazione dell’amministratore impugnante. Sul punto si richiama quanto da questa Corte affermato sin dal 1960, da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2068 del 21/07/1960, nel senso che rientra nel potere-dovere e nei compiti del giudice dare all’azione, sulla base del materiale probatorio fornito dalle parti, l’appropriata qualificazione giuridica e trarne le conseguenze di giustizia, sempre che la pronunzia sia contenuta nell’ambito obiettivo del petitum e della causa petendi (v. da ultimo, Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 3539 del 10/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 9294 del 08/05/2015). L’azione esercitata dal ricorrente, divenuto socio della cooperativa, per come e’ stata promossa, si inquadra piu’ propriamente nella cornice dell’articolo 2395 c.c., che costituisce una specificazione dell’azione generale ed extracontrattuale esercitabile dal socio (o anche da un terzo) direttamente nei confronti del legale rappresentante della societa’ di capitale, in conformita’ a quanto sancito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la responsabilita’ prevista dall’articolo 2395 c.c., ha natura extracontrattuale, e costituisce un’applicazione dell’ipotesi generalmente disciplinata dall’articolo 2043 c.c. (v. Sez. 1, Sentenza n. 8359 del 03/04/2007). Il motivo dedotto e’ pertanto inammissibile per carenza di specificita’ ex articolo 366 c.p.p., n. 3, perche’ nel denunciare il vizio di extra petizione non tiene conto della diversa qualificazione dell’azione effettuata dalla Corte di merito con argomentazioni giuridicamente corrette e senza sconfinare dal perimetro della lite.
3. Con il secondo motivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 2697, 2043 e 2395 c.c., laddove la Corte d’appello non ha considerato la quietanza di pagamento rilasciata da (OMISSIS) all’atto del versamento della somma corrispondente alla quota sociale, pur essendo un documento non disconosciuto dalla parte. Con il terzo motivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c., laddove il giudice di secondo grado ha ritenuto che questi non ha subito alcun danno dall’azione dell’amministratore, arrecato alla societa’ e non al socio. Il secondo motivo e il terzo motivo vanno trattati congiuntamente essendo tra loro logicamente connessi. L’azione di risarcimento che vuole fare valere il ricorrente nei confronti dell’amministratore della societa’ postula che egli non abbia mai acquisito la qualita’ di socio per cui ha versato il conferimento, il che e’ da escludere. Il socio, per il solo fatto di non avere partecipato medio tempore (dalla data del versamento del corrispettivo alla data del suo effettivo ingresso nella compagine sociale), alle assemblee o esercitato i propri diritti di socio sovventore a causa del comportamento colpevolmente dilatorio e omissivo dell’amministratore, puo’ pretendere (al limite) un risarcimento del danno personalmente subito, ma non certamente prospettare che l’amministratore si sia appropriato illecitamente di somme di sua spettanza per non avere versato il conferimento ricevuto nelle casse sociali, essendo questo un danno subi’to dalla societa’ per mano dell’amministratore. La deduzione di un siffatto fatto illecito imputabile all’amministratore, per il socio che agisce in proprio, costituisce semplicemente il riflesso della perdita patrimoniale subita direttamente dalla societa’ (v. Cass. 10271/04; Cass. 8359/2007; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21130 del 05/08/2008). La ricevuta ottenuta dall’amministratore, pertanto, dimostra che il socio si e’ liberato dell’obbligo di versamento del conferimento e che l’ammanco, semmai, e’ stato subito dalla societa’. I motivi risultano pertanto inammissibili ex articolo 366 c.p.c., n. 3 per mancanza di specificita’ in ordine alle ragioni per le quali il Giudice di merito ha ritenuto che il ricorrente non ha prospettato in concreto di essere legittimato (o meglio ancora, di avere un concreto interesse) a fare valere nei confronti dell’amministratore della societa’ una pretesa risarcitoria derivante dalla lesione ricevuta nella sua sfera patrimoniale.
4. Con il quarto motivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce, sotto un altro profilo, la violazione o falsa applicazione degli articoli 2033 e 2035 c.c., laddove la Corte d’appello non ha riconosciuto come indebita la somma versata e mai pervenuta nelle casse della cooperativa. Secondo il ricorrente, la somma indebitamente trattenuta dall’amministratore della societa’ deve essergli restituita a titolo di indebito. Sul punto vale quanto sopra detto riguardo al secondo e al terzo motivo a proposito della carenza d’interesse del socio a far valere un diritto di risarcimento che spetta direttamente alla societa’. Per lo stesso motivo il socio non puo’ pretendere in restituzione la somma versata all’amministratore a titolo di corrispettivo per l’ingresso nella compagine sociale, e cio’ anche qualora non sussistesse alcun riscontro formale di tale versamento negli atti e registri sociali. Difatti il versamento trova la sua causa nell’acquisita qualita’ di socio, e per tale ragione non costituisce un pagamento indebito ex articolo 2033 c.c.. Pertanto il motivo e’ inammissibile per gli stessi motivi di carenza di specificita’ sopra rilevati.
5. Conclusivamente la Corte dichiara l’inammissibilita’ del ricorso; nulla si provvede in merito alle spese stante la mancata comparizione della parte contro-ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Nulla per le spese;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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