Il beneficio della sospensione condizionale della pena

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 13 maggio 2019, n. 20506.

La massima estrapolata:

Il beneficio della sospensione condizionale della pena, già concesso in primo grado, deve ritenersi implicitamente confermato dal giudice d’appello ove questi, su impugnazione del solo imputato, ridetermini la pena senza ulteriori specificazioni in dispositivo, determinandosi, altrimenti, una violazione del divieto di “reformatio in peius”. (Fattispecie nella quale il giudice d’appello aveva rideterminato la pena in applicazione della continuazione con il fatto accertato in altro procedimento su richiesta dell’imputato).

Sentenza 13 maggio 2019, n. 20506

Data udienza 14 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Presidente

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/05/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BRANCACCIO MATILDE;
udito il Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa LORI PERLA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, datato 11.5.2018, la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 21.4.2016, riqualificati i reati come due condotte di tentativo di falso ideologico per induzione, in procedimenti riuniti, e ritenuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 28.1.2015, rilevati piu’ gravi, ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) in anni uno e mesi tre di reclusione e per (OMISSIS) in mesi quattro di reclusione. I fatti riguardano il tentativo di far attestare falsamente a funzionari dell’ufficio immigrazione la sussistenza di rapporti di lavoro al fine di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno di (OMISSIS) e dello stesso (OMISSIS).
2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputato (OMISSIS), mediante il proprio difensore avv. (OMISSIS), deducendo due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo si argomenta vizio di motivazione manifestamente illogica e contraddittoria quanto alla affermazione di sussistenza del reato di falso per induzione di cui al procedimento n. 2869/2015 RGApp. (RGNR n. 6882/13). Non vi sarebbe stata idoneita’ della condotta di presentazione della falsa documentazione relativa al rapporto di lavoro di (OMISSIS) ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, ma solo disattenzione e negligenza da parte del pubblico ufficiale nello svolgimento degli opportuni accertamenti. Alle eccezioni proposte in sede di appello e aventi ad oggetto proprio tali aspetti, la Corte di merito non ha dato alcuna reale risposta, limitandosi ad una sola affermazione apodittica.
Anche rispetto al procedimento n. 238/2017 RGApp. (RGNR n. 26069/2013) vi sarebbe vizio di motivazione riguardo agli elementi di configurabilita’ del reato di tentato falso ideologico per induzione.
La condotta si sarebbe fermata alla fase degli atti preparatori, inidonei ad integrare gli estremi del tentativo punibile. Ed infatti, solo gli atti del pubblico ufficiale conseguenti all’induzione in errore possono assurgere ad elemento del tentativo di falso e non gia’ il mero inganno del privato, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimita’.
La motivazione della Corte d’Appello sarebbe insufficiente perche’ confonde la fase degli accertamenti del pubblico ufficiale, a seguito dei quali si e’ evidenziato il tentativo di reato e la falsita’ della documentazione prodotta, con la fase preliminare al rilascio del permesso di soggiorno.
Per entrambi i procedimenti, poi, vi sarebbe vizio di motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, fondata sulla sola considerazione dei precedenti penali a carico dell’imputato.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione, nonche’ violazione di legge in relazione al beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso nell’ambito del procedimento n. 2869/2015 RGApp. dal giudice di primo grado e di cui invece la sentenza d’appello, che ha riunito detto procedimento con quello n. 238/2017 RGApp. applicando la continuazione tra reati e rideterminando la pena, nulla piu’ dispone, con evidente violazione del divieto di reformatio in peius.
Tale omessa disposizione in punto di sospensione condizionale della pena e’ ancora piu’ grave se si considera che, anche a seguito della ritenuta continuazione, la pena finale inflitta avrebbe potuto rientrare nei parametri di riconoscimento del predetto beneficio, essendo stata rideterminata in anni uno e mesi tre di reclusione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato e, in parte, versato in fatto.
2. Quanto al primo motivo, deve anzitutto evidenziarsi che la doglianza e’ inammissibile perche’ si propongono deduzioni solo apparentemente riferite a questioni di violazione di legge o vizio motivazionale di manifesta illogicita’, carenza e contraddittorieta’ del provvedimento impugnato, ma in realta’ si chiedono al Collegio verifiche che implicano una rivalutazione nel merito della sentenza, non consentita in sede di legittimita’ (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Invero, la’ dove si argomentano vizi motivazionali, adducendo un difetto della struttura ricostruttiva in fatto e processuale della sentenza, si propongono da parte del ricorrente, invece, piuttosto, diversi approdi delle risultanze processuali e di prova e si chiede a questa Corte di legittimita’, in ultima analisi, non gia’ di pronunciarsi sulla bonta’ e correttezza del percorso motivazionale adottato dal provvedimento impugnato, bensi’ di valutarne l’esattezza degli snodi decisionali rispetto ad una alternativa ricostruzione della piattaforma fattuale utilizzata (cio’ in relazione alla ricostruzione delle condotte come inidonee ad integrare gli elementi del tentativo punibile di falso ideologico per induzione).
Un’operazione siffatta non e’ consentita al giudice di legittimita’ che, come noto, vede l’orizzonte della sua verifica circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l’interpretazione delle norme applicate (Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099), restando esclusa la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
Inoltre, nel caso di specie, il motivo di ricorso e’ anche manifestamente infondato poiche’ emerge dal provvedimento impugnato che la Corte d’Appello ha assolto al suo obbligo motivazionale, argomentando plausibilmente e senza iati logici le ragioni di sussistenza dei due reati riuniti nel presente procedimento.
Appare pretestuoso il rilievo difensivo secondo cui la finalita’ dell’accertamento da parte del pubblico ufficiale sarebbe stata quella di smascherare l’inganno, non potendosi a priori sapere l’esito di detti accertamenti, che avrebbero, invece, anche potuto portare al rilascio dell’atto falso di permesso di soggiorno se il funzionario incaricato dell’iter procedurale non si fosse avveduto delle irregolarita’, come era ben possibile.
Il ricorso non evidenzia, altresi’, palesi e macroscopiche inidoneita’ delle condotte decettive, ne’, quindi, per quanto poc’anzi detto, e’ sostenibile che la procedura prodromica al rilascio dell’atto amministrativo posta in essere dal pubblico ufficiale abbia avuto solo una finalita’ di accertamento e non, invece, come appare piu’ plausibilmente posto in risalto dalle sentenze di merito (che sul punto hanno forza di doppia pronuncia conforme), una valenza preliminare al rilascio dell’atto amministrativo stesso.
Anche le ragioni di mancata concessione delle generiche sono state logicamente svolte dalla Corte d’Appello che ha fatto richiamo ai precedenti penali ed, implicitamente, come ben possibile, alla reiterazione delle condotte in uno stretto arco temporale, circostanze ritenute espressamente rilevanti e, pertanto, richiamate in sede di argomentazione attinente alla ritenuta continuazione tra i reati.
3. Il secondo motivo e’ egualmente inammissibile perche’ manifestamente infondato.
Ed infatti, costituisce orientamento condiviso dal Collegio quello secondo cui il beneficio della sospensione condizionale della pena gia’ concesso in primo grado deve ritenersi implicitamente confermato dal giudice d’appello ove questi, su impugnazione del solo imputato, ridetermini la pena senza ulteriori specificazioni in dispositivo, giacche’ diversamente si violerebbe il divieto di reformatio in peius (Sez. 3, n. 23444 del 1275/2011, Aprile, Rv. 250655; Sez. 3, n. 580 del 7/12/2007, dep. 2018, Gentile, Rv. 238583; Sez. 5, n. 1788 del 19/4/1999, Bove, Rv. 213772).
La conferma implicita del beneficio da parte del giudice d’appello permane anche qualora sia stata revocata una condizione apposta al riconoscimento della sospensione condizionale (Sez. 3, n. 16184 del 28/2/2013, Melcarne, Rv. 255292).
I principi sopradetti possono essere senza dubbio ribaditi anche nella fattispecie sottoposta al giudizio del Collegio, in cui – se e’ vero che vi sono due procedimenti riuniti e due condotte di reato contestate, pertanto, si potrebbe eventualmente porre una questione di applicabilita’ della disposizione di cui all’articolo 168 c.p., comma 1, n. 1, (cfr. Sez. 2, n. 4381 del 13/1/2015, Marino, Rv. 263725) – pur tuttavia possono invocarsi le istanze di unicita’ del reato continuato (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263717, in motivazione; nonche’ Sez. U, n. 40983 del 21/6/2018, Giglia, Rv. 273750-51, in motivazione).
Pertanto, e’ proponibile una soluzione interpretativa che, anche nelle ipotesi in relazione alle quali la pena sia stata rideterminata ai sensi dell’articolo 81 cpv. c.p., qualora il gravame sia proposto dal solo imputato ed il giudice di secondo grado, dopo aver rideterminato la pena, ritenga di confermare nel resto le sentenze impugnate senza ulteriormente esplicitare, nel dispositivo, quale decisione sia stata assunta con riferimento al beneficio ex articolo 163 c.p., opta per la implicita, inevitabile conferma della sospensione condizionale della pena in omaggio al favor rei.
A favore di un tale risultato ermeneutico, infatti, si pone il principio del divieto di reformatio in peius (cfr., in termini, la citata sentenza n. 1788 del 1999 seppur dettata in fattispecie relativa alla fase esecutiva in cui il giudice di appello aveva respinto l’incidente di esecuzione del condannato che non intendeva ottemperare all’ingiunzione a costituirsi in carcere, sostenendo che la sospensione condizionale, concessa in primo grado per una delle due condanne irrogate, doveva intendersi inerente anche alla sentenza di secondo grado, che, dopo aver rideterminato la pena, aveva usato la formula “conferma nel resto”, in relazione alla quale la Cassazione ha accolto l’eccezione difensiva ed ha annullato senza rinvio l’ordinanza della Corte di appello che, interpretando la sentenza con la quale essa stessa aveva applicato la continuazione, aveva ritenuto che al condannato non competesse il beneficio ex articolo 163 c.p.). Anche nel presente giudizio, pertanto, la sospensione condizionale deve ritenersi disposta implicitamente per l’intera pena complessivamente inflitta nel reato continuato, non potendosi procedere, in presenza di appello del solo imputato, a revoca del beneficio gia’ concesso, sia pur con riferimento ad una sola delle porzioni iniziali del reato poi unificato ex articolo 81 cpv. c.p., altrimenti incorrendosi nel divieto di reformatio in peius.
3. Alla declaratoria d’inammissibilita’ segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilita’ (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese dl procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.

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