Azioni e quote delle società di capitali quali beni di “secondo grado”

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 12 settembre 2019, n. 22790.

La massima estrapolata:

Le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività sociale; pertanto, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all’oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l’affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Ne consegue che la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società, quindi sul valore delle azioni o delle quote, può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contratto ex art. 1497, cod. civ., ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti, l’esperimento di un’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 cod. civ.

Ordinanza 12 settembre 2019, n. 22790

Data udienza 21 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 7491 – 2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) s.n.c. – c.f. (OMISSIS) – in persona dei legali rappresentanti pro tempore ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), (OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – (OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – rappresentati e difesi in virtu’ di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS).
RICORRENTI
contro
(OMISSIS) s.p.a. (quale incorporante la ” (OMISSIS)” s.r.l.) – p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato (OMISSIS) la rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale su foglio separato allegato in calce al controricorso.
CONTRORICORRENTE
e
(OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) –
INTIMATO
avverso la sentenza n. 3053 dei 19/28.12.2017 della corte d’appello di Bologna, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto del 18.2.2010 la ” (OMISSIS)” s.r.l. citava a comparire dinanzi al tribunale di Forli’ la ” (OMISSIS)” s.n.c. nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Premetteva che con preliminari in data 20.11.2008 ed in data 23.2.2009 la ” (OMISSIS)” s.n.c. e (OMISSIS) avevano, rispettivamente, promesso di venderle ed essa attrice aveva promesso di acquistare le quote di partecipazione ai promittenti alienanti spettanti, rispettivamente, in misura pari al 50% ed al 20% del capitale, nella ” (OMISSIS)” s.r.l.; che i promittenti venditori avevano garantito la conformita’ della situazione patrimoniale ed economica della ” (OMISSIS)” ai risultati del bilancio dell’esercizio chiuso al 31.12.2008; che con atti in data 26.2.2009 ed in data 4.6.2009 si era provveduto alla stipula dei definitivi.
Indi esponeva che a seguito di revisione contabile, per l’esercizio da chiudere al 31.12.2009, si era palesata una perdita, da sopravvenienze passive dei precedenti esercizi, di Euro 790.000,00; che dunque l’assemblea della ” (OMISSIS)” s.r.l. aveva deliberato lo scioglimento della societa’ ai sensi dell’articolo 2484 c.c., comma 1, n. 4, e la sua messa in liquidazione.
Chiedeva, tra l’altro, pronunciarsi la risoluzione dei contratti di compravendita del 26.2.2009 e del 4.6.2009 per inadempimento dei venditori ovvero pronunciarsi l’annullamento dei medesimi contratti per dolo o errore essenziale; condannarsi inoltre i convenuti alla restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo nonche’ al risarcimento dei danni tutti sofferti.
Si costituivano la ” (OMISSIS)” s.n.c., in persona dei legali rappresentanti, nonche’ (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Instavano per il rigetto dell’avversa domanda.
Si costituiva (OMISSIS).
Del pari instava per il rigetto della domanda avversa.
Assunto l’interrogatorio formale delle parti e le prove per testimoni, espletata consulenza tecnico – contabile, con sentenza n. 520/2014 l’adito tribunale pronunciava la risoluzione dei contratti in data 26.2.2009 ed in data 4.6.2009; condannava in solido i convenuti ” (OMISSIS)” s.n.c., (OMISSIS) e (OMISSIS) a restituire alla “(OMISSIS)” s.p.a. (incorporante la ” (OMISSIS)” s.r.l.) la somma di Euro 30.000,00, corrispettivo dell’alienazione del 26.2.2009, con gli interessi, nonche’ a risarcire il danno cagionato all’attrice in misura pari ad Euro 140.000,00, oltre accessori; condannava in solido i convenuti ” (OMISSIS)” s.n.c., (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a restituire alla “(OMISSIS)” s.p.a. (incorporante la ” (OMISSIS)” s.r.l.) la somma di Euro 15.000,00, corrispettivo dell’alienazione del 4.6.2009, con gli interessi.
Proponevano appello la ” (OMISSIS)” s.n.c., in persona dei legali rappresentanti, nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS).
Resisteva la “(OMISSIS)” s.p.a. (incorporante la ” (OMISSIS)”s.r.l.).
Non si costituiva e veniva dichiarato contumace (OMISSIS).
Con sentenza n. 3053 dei 19/28.12.2017 la corte d’appello di Bologna rigettava il gravame e condannava gli appellanti in solido alle spese del grado.
Evidenziava la corte che, siccome si desumeva dalla relazione di c.t.u., corretta ed attendibile, espletata in prime cure, la situazione patrimoniale della ” (OMISSIS)” s.r.l. era ben diversa da quella risultante dal bilancio dell’esercizio chiuso al 31.12.2008.
Evidenziava in particolare che ineccepibilmente il tribunale aveva ritenuto che al momento della stipula degli atti di cessione il capitale sociale della ” (OMISSIS)” era ben inferiore al minimo legale, sicche’ tal ultima societa’ era del tutto priva di qualsivoglia capacita’ funzionale.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la ” (OMISSIS)” s.n.c., in persona dei legali rappresentanti ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), nonche’ (OMISSIS) (quest’ultimo esclusivamente in proprio: vedi procura speciale in calce al ricorso) e (OMISSIS) (quest’ultimo anche in proprio: vedi procura speciale in calce al ricorso); ne hanno chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
La “(OMISSIS)” s.p.a. (incorporante la ” (OMISSIS)” s.r.l.) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.
(OMISSIS) non ha svolto difese.
La controricorrente ha depositato memoria.
Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 1453 c.c. e ss. e dell’articolo 116 c.p.c. e ss.; ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione.
Deducono che la corte di merito non ha valutato in forma comparativa i comportamenti complessivi tenuti da ciascuna parte contraente, ne’ ha motivato al riguardo.
Si premette che il ricorso – in verita’ – non risulta notificato a (OMISSIS), appellato (contumace) innanzi alla corte di Bologna, avente veste di litisconsorte necessario, quanto meno processuale.
Tuttavia in dipendenza dell’inevitabile rigetto – siccome si dira’ – del ricorso a questo Giudice del diritto ben puo’ prescindersi dalla necessita’ dell’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 331 c.p.c., ai fini dell’integrazione del contraddittorio (cfr. Cass. sez. un. 23.9.2013, n. 21670, secondo cui la fissazione del termine ex articolo 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, puo’ ritenersi anche superflua ove il gravame appaia “prima facie” infondato e l’integrazione del contraddittorio si riveli, percio’, attivita’ del tutto ininfluente sull’esito del procedimento).
Il ricorso va respinto.
Si premette che l’esperito motivo di ricorso si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Invero il formulato mezzo reca – sostanzialmente – censura del giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha atteso ai fini del riscontro degli addotti inadempimenti contrattuali (“la valutazione delle inadempienze giuridiche costituisce un accertamento di fatto demandato al giudice di merito”: cosi’ ricorso, pag. 6; i “ricorrenti ponevano l’attenzione sulla buona fede prestata negli atti presupposti”: cosi’ ricorso, pag. 7).
Del resto e’ propriamente il motivo di ricorso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499). In pari tempo questa Corte spiega che, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, il compito del giudice del merito non e’ limitato all’esame dell’inadempienza ascritta ad uno dei contraenti, ma deve necessariamente estendersi alla valutazione unitaria e comparativa della condotta di entrambe le parti. E soggiunge che siffatta valutazione, concretandosi in un apprezzamento di fatto, e’ insindacabile in sede di legittimita’, ove sorretta da motivazione sufficiente, logica ed immune da errori di diritto (cfr. Cass. 30.3.1989, n. 1554; Cass. 9.6.2010, n. 13840)
Su tale scorta si rappresenta quanto segue.
Innanzitutto il giudizio di appello ha avuto inizio nel corso del 2014.
Altresi’ la statuizione di seconde cure ha integralmente confermato la statuizione di prime cure.
Conseguentemente si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, , che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860, secondo cui l’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, non si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11.9.2012). Si tenga conto che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 22.12.2016, n. 26774).
In ogni caso si rappresenta ulteriormente quanto segue.
Per un verso e’ da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte – e tra le quali non e’ annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.
Segnatamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte di Bologna ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
Ovvero ha esplicitato, da un canto, che parte venditrice era in colpa, siccome “ben a conoscenza, in quanto essa stessa artefice, della situazione di dissesto economico – finanziario in cui versava (OMISSIS) s.r.l.” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 6; ove si aggiunge che lo stato di dissesto ha rinvenuto conferma nella declaratoria di fallimento della ” (OMISSIS)”, sopravvenuta nel corso del giudizio di primo grado); ha esplicitato, d’altro canto, che nessuna conoscenza della condizione economico – finanziaria della ” (OMISSIS)” la ” (OMISSIS)” aveva avuto, giacche’ non era stata allegata prova alcuna dell’avvenuta consegna alla s.r.l. acquirente della documentazione necessaria ai fini della verifica delle reali condizioni economico – patrimoniali della ” (OMISSIS)” (cfr. sentenza d’appello, pag. 8).
Del tutto ingiustificato e’ percio’ l’assunto dei ricorrenti secondo cui la corte bolognese non ha correttamente motivato in sede di valutazione comparativa del comportamento complessivo di ciascuna parte contraente.
E parimenti del tutto ingiustificata e’ la prospettazione dei ricorrenti secondo cui la corte emiliana avrebbe omesso ogni valutazione in ordine all’asserita carenza di documentazione contabile, segnalata, per il tramite del proprio consulente, a seguito dell’espletamento della c.t.u..
Invero la corte d’appello ha posto in risalto che l’ausiliario officiato in prime cure aveva comunque dato atto dell’omessa indicazione di un “fondo svalutazione crediti”, della “violazione dei criteri di “trasparenza e chiarezza””, della “violazione del principio contabile di competenza” (cfr. sentenza d’appello, pagg. 7 – 8).
Si tenga conto che la consulenza di parte, ancorche’ confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non e’ tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con essa incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (cfr. Cass. 29.1.2010, n. 2063; Cass. 21.2.2001, n. 2486).
Per altro verso e’ da escludere che la corte di merito abbia omesso la disamina del fatto decisivo oggetto della controversia de qua.
D’altronde i ricorrenti censurano l’asserita, erronea valutazione delle risultanze di causa (na confermare la correttezza e la lealta’ insita negli odierni ricorrenti (…) e’ stata allegata una comunicazione via e-mail a firma dell'(OMISSIS) s.p.a. (…)”: cosi’ ricorso, pag. 7; “tale circostanza veniva ribadita, anche in sede di interpello testimoniale (…)”: cosi’ ricorso, pag. 7).
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).
Per altro verso ancora l’iter motivazionale che sorregge l’impugnato dictum risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica.
A tal ultimo riguardo alcune finali puntualizzazioni si impongono.
In primo luogo del tutto inconferenti sono i rilievi dei ricorrenti in tema di “errore” (vizio della volonta’) e di dolo (vizio della volonta’) (cfr. ricorso, pag. 8).
In secondo luogo, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’articolo 116 c.p.c. – norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale – e’ idonea ad integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).
In terzo luogo le azioni (e le quote) delle societa’ di capitali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attivita’ sociale; pertanto, i beni compresi nel patrimonio della societa’ non possono essere considerati del tutto estranei all’oggetto del contratto di cessione delle azioni o delle quote di una societa’ di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l’affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede; conseguentemente la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidita’ economica e sulla produttivita’ della societa’, quindi sul valore delle azioni o delle quote, puo’ integrare la mancanza delle qualita’ essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contratto ex articolo 1497, c.c., ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacita’ funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti, l’esperimento di un’ordinaria azione di risoluzione ex articolo 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’articolo 1495 c.c. (cfr. Cass. 9.9.2004, n. 18181).
In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimita’. La liquidazione segue come da dispositivo.
(OMISSIS) – in ogni caso – non ha svolto difese. Nessuna statuizione va percio’ assunta nei suoi confronti in ordine alle spese.
Si da’ atto della sussistenza dei presupposti perche’, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, i ricorrenti siano tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del Decreto del Presidente della Repubblica cit., articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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