Azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 maggio 2022| n. 15256.

Azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca

L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Nell’anzidetta ipotesi, infatti, ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens.

Ordinanza|12 maggio 2022| n. 15256. Azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca

Data udienza 5 aprile 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Banche ed istituti di credito – Controversia – Procedimento – Art. 2697 cc – Onere della prova – Violazione – Cass. 17474 del 04/07/2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 16962/2017 proposto da:
(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende in forza di procura a rogito Notaio (OMISSIS) del (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., quale incorporante di (OMISSIS) s.r.l. (OMISSIS);
– intimato –
nonche’ contro
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, quale incorporante di (OMISSIS) s.r.l. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), in forza di procura speciale su foglio separato allegato al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3628/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30.5.2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5.4.2022 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato l’8.9.2003 la (OMISSIS) s.p.a. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Velletri Sezione distaccata di Albano Laziale la (OMISSIS) ( (OMISSIS)) con la quale aveva intrattenuto presso l’agenzia di (OMISSIS) un rapporto di conto bancario, estinto il (OMISSIS), chiedendo la restituzione dell’importo illegittimamente addebitatole quale saldo finale per l’applicazione di interessi su piazza in forza di clausola nulla, di commissioni di massimo scoperto non pattuite, di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito e di altre poste calcolate secondo criteri non convenuti.
La Banca si costitui’, eccependo nullita’ della citazione e la prescrizione del diritto e chiedendo il rigetto della domanda e la condanna di controparte per lite temeraria.
All’udienza di prima comparizione delle parti, il Tribunale rilevo’ la nullita’ dell’atto di citazione della (OMISSIS), per mancanza degli elementi di cui all’articolo 163 c.p.c., nn. 3 e 4), e di conseguenza ordino’ l’integrazione dell’atto introduttivo ex articolo 164 c.p.c., comma 5, fissando contestualmente la successiva udienza per la trattazione della causa ed i termini per il deposito delle memorie difensive.
Il Tribunale, espletata consulenza tecnica, con sentenza del 7.8.2008 respinse la domanda dell’attrice, ritenendo non provati i fatti costitutivi della domanda ex articolo 2033 c.c., ovverosia l’assenza di un valido rapporto costitutivo del debito e il pagamento dell’indebito.
2. Avverso la predetta sentenza di primo grado propose appello la (OMISSIS), a cui resistette l’appellata (OMISSIS), chiedendo la condanna dell’appellante per lite temeraria.
(OMISSIS) sostenne che la mancata produzione del contratto, sorto nel (OMISSIS), era addebitabile alla Banca che non lo aveva depositato nonostante la richiesta del consulente, al proposito autorizzato dal Giudice; aggiunse che il corretto conteggio, depurato da capitalizzazione e commissioni indebite avrebbe generato un saldo a suo favore di Euro 496.017,78.

 

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La Corte di appello di Roma con sentenza del 30.5.2017 ha accolto il gravame e, rilevata la nullita’ degli accordi relativi l’applicazione di interessi al tasso ultralegale, alla commissione di massimo scoperto e alla capitalizzazione degli interessi passivi applicati alla correntista, ha condannato la (OMISSIS) a pagare alla (OMISSIS) la complessiva somma di Euro 496.017,78, oltre interessi e spese del doppio grado di giudizio.
3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 29.6.2017 ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), svolgendo dieci motivi.
Con atto notificato il 7.9.2017 ha proposto controricorso la (OMISSIS) s.r.l., societa’ incorporante la s.r.l. (OMISSIS), a sua volta incorporante l’attrice originaria (OMISSIS) s.r.l. chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.
La ricorrente ha presentato memoria illustrativa.
I difensori della controricorrente hanno rinunciato al mandato difensivo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione dell’articolo 276 c.p.c., comma 1, e articolo 352 c.p.c., comma 3.
4.1. Segnatamente, (OMISSIS) deduce che l’appellante aveva chiesto la discussione orale della causa in sede di precisazione delle conclusioni e che, in accoglimento della richiesta, il Presidente della Corte di appello aveva fissato l’udienza di discussione, componendo il collegio con i dottori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Tuttavia, il giorno della discussione il collegio si era costituito in diversa composizione, comprendendo la Dott.ssa (OMISSIS) al posto della Dott.ssa (OMISSIS). Peraltro, la composizione da ultimo ricostruita era quella che avrebbe assunto la decisione sulla causa.
In ragione di tali circostanze, la sentenza impugnata sarebbe illegittima per violazione del principio di corrispondenza fra il collegio della precisazione delle conclusioni e quello della decisione.
4.2. Il motivo e’ infondato sia nell’assunto di diritto, sia nel presupposto di fatto.
4.3. Quanto al primo profilo, e’ sufficiente a garantire il rispetto dell’articolo 276 c.p.c. che vi sia l’identita’ del collegio decidente con quello dinanzi al quale la causa e’ stata discussa oralmente e non necessariamente con quello dinanzi al quale in precedenza sono state precisate le conclusioni.
La composizione di questo collegio assume rilievo – nella necessaria rilettura dell’articolo 276 c.p.c. alla luce dell’eliminazione, solo di regola e salvo espressa richiesta, della discussione orale in seguito alle modifiche apportate all’articolo 352 c.p.c. – solo quando la discussione orale non si e’ svolta: e cio’ e’ necessario, fra l’altro, per permettere alle parti di conoscere le persone dei giudici chiamati a decidere e poter attivare l’eventuale ricusazione.

 

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E’ pur vero che questa Corte ha affermato che la norma dell’articolo 276 c.p.c., comma 1, secondo il quale alla deliberazione della decisione “possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione”, va interpretata nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni.
Tuttavia tale principio vale solo allorche’ l’udienza di discussione orale non si sia svolta; e’ stato infatti precisato che in grado di appello, in base alla disciplina di cui al novellato articolo 352 c.p.c.(che ha eliminato, di regola, l’udienza di discussione orale, salvo duplice richiesta di parte all’atto della precisazione delle conclusioni e alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica), il collegio che delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali e’ stata compiuta l’ultima attivita’ processuale, cioe’ la discussione o la precisazione delle conclusioni, conseguendone la nullita’ della sentenza nel caso di mutamento della composizione del collegio medesimo.
In tal senso Sez. 1, n. 4255 del 19.2.2020, Rv. 657073 – 01, resa in un caso particolare in cui la Corte di appello aveva concesso i termini per trattazione di questione rilevata d’ufficio; Sez. 6 – 2, n. 15660 del 23.7.2020, Rv. 658777 – 01 e Sez. 2, n. 18268 del 12.8.2009, Rv. 609349 – 01, rese entrambi in casi in cui si era svolta solo l’udienza di precisazione delle conclusioni e non quella di discussione; Sez. 6 – 1, n. 4925 del 11.3.2015, Rv. 634690 – 01, resa in un caso perfettamente speculare alla fattispecie a giudizio, in cui il collegio era variato dall’udienza di precisazione delle conclusioni a quella di discussione e la composizione del collegio all’udienza di precisazione delle conclusioni e’ stata ritenuta irrilevante.
4.4. La censura e’ errata anche nel presupposto di fatto perche’ la lamentata discrasia non si e’ verificata nel caso di specie, giacche’, come dedotto dalla controricorrente in questa sede, proprio a causa della necessita’ di comporre diversamente il collegio, la Corte di appello aveva fissato un’altra udienza (il 28.6.2016), proprio per permettere preliminarmente una nuova precisazione delle conclusioni.
Tale ricostruzione e’ confermata dagli atti presenti nel fascicolo di parte e non viene smentita nemmeno dalla stessa ricorrente, che anzi allude implicitamente a questa circostanza laddove fa riferimento al verbale della predetta udienza (p. 9 del ricorso per cassazione).

 

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5. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4 e n. 3, la ricorrente denuncia nullita’ della sentenza e del procedimento e violazione dell’articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 3 e 4, e articolo 164 c.p.c., per la ritenuta sanatoria della nullita’ della citazione di primo grado.
5.1. Piu’ specificamente, (OMISSIS) sostiene che l’integrazione della domanda effettuata dalla (OMISSIS) avrebbe leso il suo diritto di difesa. Cio’ perche’ il Tribunale, una volta ordinata l’integrazione dell’atto di citazione ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., comma 5, avrebbe illegittimamente fissato l’udienza di trattazione della causa anziche’ stabilire un’ulteriore udienza di prima comparizione.
5.2. La censura e’ infondata.
Resta quindi in disparte il fatto che la ricorrente lamenta essenzialmente una violazione delle regole di rito, ma non specifica in che modo questa violazione inciderebbe sul suo diritto di difesa.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullita’ della sentenza per un vizio dell’attivita’ del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, la impugnazione non tutela l’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria ma mira a eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicche’ l’annullamento della sentenza impugnata e’ necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e piu’ favorevole rispetto a quella cassata (Sez. 2, 2.8.2019, n. 20874; Sez. 1, 6.3.2019 n. 65119; Sez. 3, 13.2.2019 n. 4159; Sez. 1, n. 2626 del 2.2.2018, Rv. 646877 01; Sez. 2, 9.8.2017 n. 19759; Sez. 3, 27.1.2014 n. 1612; Sez. 3, 13.5.2014, n. 10327). Cio’, a meno che la violazione processuale non ingeneri una lesione del principio del contraddittorio (Sezioni Unite, sentenza n. 36596 del 25.11.2021) evidentemente non sussistente nella fattispecie.
5.3. La ricorrente si duole, in definitiva, che il Tribunale, disposta l’integrazione della domanda, non abbia fissato una nuova udienza di comparizione, bensi’ direttamente quella di trattazione.
Cosi’ facendo il Tribunale si e’ regolato come prevedevano le norme di rito, anche quelle vigenti all’epoca in cui non era entrata in vigore la novella processuale del 2005.
5.4. L’attuale articolo 164 c.p.c., comma 6 prevede che nel caso di integrazione della domanda, il giudice fissi l’udienza ai sensi dell’articolo 183, comma 2.
La parola ” secondo ” e’ stata sostituita, in sede di conversione, alla preesistente parola “ultimo” dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 2, comma 3, lettera b-bis), conv., con modif., in L. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1 marzo 2006.
L’articolo 183, u.c. nel testo precedente alla cita riforma e quindi richiamato dal previgente articolo 164 c.p.c., comma 6 in tema di “Prima udienza di trattazione”, recitava: “Se richiesto, il giudice fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie contenenti precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni gia’ proposte. Concede altresi’ alle parti un successivo termine perentorio non superiore a trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate dell’altra parte e per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime. Con la stessa ordinanza il giudice fissa l’udienza per i provvedimenti di cui all’articolo 184”.

 

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L’udienza di prima comparizione serve appunto a verificare (oltre all’integrita’ del contraddittorio, per ottenere la quale, mediante l’integrazione, dovra’ effettivamente disporsi nuova udienza di comparizione a beneficio delle nuove parti intimate) la regolare instaurazione della lite; una volta espletato l’incombente, si puo’ appunto procedere finalmente alla trattazione, senza necessita’ di una nuova prima comparizione, che gia’ si e’ svolta e ha consentito di impostare la correzione degli errori.
Nel caso in cui gli errori – e in particolare le deficienze della domanda – siano stati corretti, non restera’ che procedere alla trattazione; e ugualmente nel caso in cui non siano corretti, perche’ in tal caso occorrera’ soltanto trarne le conseguenze appunto procedendo alla trattazione e quindi alla precisazione immediata delle conclusioni essendovi impedimento alla prosecuzione del giudizio.
In entrambe le ipotesi non si vede quale necessita’ vi sia di disporre una nuova udienza di comparizione, che del resto non e’ prevista espressamente dalla legge.
5.5. A cio’ si aggiunga che e’ la stessa ricorrente ad affermare che “la memoria autorizzata depositata dagli attori 11.3 non ha comportato alcuna integrazione della domanda, risolvendosi nella mera rimodulazione delle conclusioni dell’originario atto introduttivo” (pag. 11 del ricorso). E’ quindi per pacifica ammissione della stessa (OMISSIS) che l’attivita’ processuale non le ha arrecato alcun pregiudizio.
6. Con il terzo, quinto, sesto e nono motivo di ricorso, formulati ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’articolo 2697 c.c., il ricorrente lamenta la violazione delle norme che concernono il riparto dell’onere probatorio.
I motivi successivi sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
6.1. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione agli articoli 2697 c.c. (prova del contratto di conto corrente) in relazione all’azione di indebito oggettivo proposta ex articolo 2033 c.c. dal correntista e violazione dell’articolo 112 c.p.c. in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione all’estensione temporale del ricalcolo dedotto in giudizio.
6.2. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione agli articoli 2697 c.c. (prova della pattuizione di interesse in misura ultralegale) in riferimento alla L. n. 154 del 1992 e al Decreto Legislativo n. 385 del 1993.
6.3. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’articolo 2697 c.c. (prova della pattuizione della commissione di massimo scoperto).
6.4. Con il nono motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione degli articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 3 e 4, e articolo 164 c.p.c., per la mancata allegazione degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della domanda, non surrogabili attraverso consulenza tecnica di ufficio.
6.5. Segnatamente (OMISSIS) denuncia la circostanza che (OMISSIS) non avrebbe provato i fatti costitutivi della propria domanda. Mancherebbe in altri termini la prova:
(a) della mancanza di un rapporto di conto corrente o del pagamento in eccedenza rispetto ad esso;
(b) dei pagamenti al tasso di interesse ultra legale;
(c) dei pagamenti della commissione di massimo scoperto;
(d) dei pagamenti di ulteriori somme derivanti dalla capitalizzazione degli interessi.
Peraltro, secondo la prospettazione della ricorrente, tali fatti non avrebbero potuto essere provati nemmeno attraverso la consulenza tecnica contabile.
6.6. I quattro motivi di ricorso, esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.
(OMISSIS) invoca infatti a piu’ riprese la violazione dell’articolo 2697 c.c., ma non fornisce gli elementi necessari a questa Corte per giudicare il merito delle censure.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Sez. 2, 24.1.2020, n. 1634; Sez. lav., 19.8.2020, n. 17313; Sez. 6, 23.10.2018 n. 26769; Sez. 3, 29.5.2018, n. 13395; Sez. 2, 7.11.2017 n. 26366).
Inoltre, il ricorrente per cassazione che deduca la violazione dell’articolo 2697 c.c., per avere il giudice di merito ritenuto sussistente un fatto senza che la parte gravata dall’onere della relativa prova l’abbia assolto, deve necessariamente evidenziare che quel fatto era stato oggetto di contestazione ed indicare se e quando, nel corso dello svolgimento processuale, detta contestazione era stata sollevata (Sez. 2, n. 17474 del 4.7.2018, Rv. 649450 – 01).

 

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6.7. A ben vedere, peraltro, tale indicazione non sarebbe stata nemmeno percorribile da parte della (OMISSIS), atteso che la decisione della Corte d’appello di Roma si e’ basata proprio sul principio di non contestazione, sancito dall’articolo 115 c.p.c.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di non contestazione, tale da espungere il fatto dall’ambito del controverso e da escludere il bisogno di prova ex articolo 115 c.p.c., in virtu’ del principio di autosufficienza il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non puo’ prescindere dalla trascrizione degli atti processuali che ne integrerebbero i presupposti, perche’ l’onere di specifica contestazione, a opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (Sez. 3, 5.3.2019, n. 6303).
E cio’ tanto nel caso (a cui va ricondotta la presente fattispecie) in cui il ricorrente lamenti l’erronea qualificazione da parte del giudice del merito di un fatto come non contestato, sia perche’ effettivamente e specificamente contestato da parte sua, sia perche’ non allegato in modo specifico dalla controparte, quanto nel diverso caso in cui il ricorrente lamenti la mancata qualificazione del fatto come non contestato da parte del Giudice del merito, benche’ fosse stato specificamente allegato e la controparte non lo avesse specificamente contestato (Sez. 3, 5.3.2019, n. 6303; Sez. 6 – 3, n. 12840 del 22.5.2017, Rv. 644383 – 01; Sez. 3, n. 20637 del 13.10.2016, Rv. 642919 – 01; Sez. 1, n. 9843 del 7.5.2014, Rv. 631136 – 01; Sez. 1, n. 324 del 11.1.2007, Rv. 596093 – 01)).
Inoltre recentemente questa Corte ha affermato che con riguardo al novellato articolo 115 c.p.c. spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, la esistenza e il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte e tale accertamento e’ sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione, nei limiti in cui lo stesso sia tuttora denunciabile, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato (Sez. 3, n. 1154 del 17.1.2022).
6.8. Piu’ in particolare e con riferimento al terzo motivo, la ricorrente rimprovera alla sentenza l’errato ricorso alla regola dell’articolo 2697 c.c., mentre la Corte di appello, partendo dal principio che non risultava la stipulazione per iscritto del contratto di conto corrente (cosa che non comportava alcuna conseguenza negativa perche’ nel (OMISSIS) al proposito vigeva ancora il principio di liberta’ della forma), ha dato rilievo al fatto pacifico dell’esistenza del rapporto di conto corrente bancario e alla mancanza di prova da parte della Banca dell’esistenza di clausole contrattuali che giustificassero la pacifica e riscontrata applicazione di interessi in misura ultra-legale, della capitalizzazione e delle commissioni di massimo scoperto.

 

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6.9. Piu’ in particolare e con riferimento al quinto motivo, la ricorrente lamenta una contraddittoria scissione concettuale operata nella sentenza impugnata tra la prova dell’esistenza del contratto e la prova delle sue singole clausole.
Affermazione questa che non appare conducente, visto che ben puo’ essere pacifico, come ritenuto nel caso di specie, che le parti avessero stipulato un contratto di conto corrente bancario e non avessero affatto concordato specifiche clausole inerenti al tasso degli interessi in misura ultra-legale, alla capitalizzazione degli interessi alle commissioni di massimo scoperto.
Neppure coglie il segno l’ulteriore osservazione della ricorrente secondo la quale non potrebbe farsi applicazione retroattiva a un contratto del (OMISSIS) delle norme della L. n. 154 del 1992 che hanno sancito la nullita’ dei patti che determinano la misura degli interessi con rinvio agli usi: il punto e’ che la necessita’ della forma scritta per la pattuizione del tasso di interessi superiori a quello legale discende ed e’ stata fatta discendere dal disposto dell’articolo 1284 c.c.
6.10. Con il sesto motivo e in ordine alla commissione di massimo scoperto la ricorrente contesta che possa discutersi della nullita’ di clausole (all’epoca a forma libera) della cui stessa pattuizione non viene fornita prova documentale da parte colui che le impugna.
L’equivoco che inficia la censura e’ evidente.
Esso risulta in parte alimentato – come nota acutamente la controricorrente – dall’uso nella sentenza impugnata del concetto di “clausole” per designare quel che piu’ propriamente sarebbero alcune “condizioni economiche” del rapporto: secondo la Corte di appello, se era pacifico che vi fosse un contratto di conto corrente a forma libera, non vi era alcuna prova della pattuizione di una clausola relativa all’applicazione della commissione di massimo scoperto; quindi non era stato affatto affermato che le parti avessero convenuto la clausola con pattuizione nulla.
6.11. Infine, con riferimento al nono motivo, la ricorrente lamenta che attraverso la consulenza tecnica si sia pervenuti all’accertamento degli elementi di fatto posti a base del rilievo della nullita’ degli addebiti in conto corrente, senza considerare che la consulenza tecnica richiamata dalla sentenza impugnata ha semplicemente proceduto ai conteggi delle poste addebitate sul conto corrente in forza di clausole di cui non era stata dimostrata la pattuizione fra le parti.
7. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’estensione temporale del ricalcolo dedotto in giudizio.
7.1. In particolare, la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto rilevante che sarebbe stato oggetto di discussione fra le parti, costituito dalla circostanza che la domanda attorea di restituzione in primo grado avrebbe riguardato soltanto il periodo compreso tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS).
Nonostante tale circostanza – secondo la ricorrente – il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, avrebbero illegittimamente preso cognizione di un periodo ben piu’ ampio, compreso tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), nonche’ tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS).
7.2. Il motivo e’ infondato.
Al di la’ del nomen iuris attribuito dalla ricorrente, con il motivo in esame si lamenta un error in procedendo, costituito dal vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello, in violazione dell’articolo 112 c.p.c.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, la Corte di legittimita’ diviene anche giudice del fatto (processuale) ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Sez. 3, n. 24258 del 3.11.2020, Rv. 659845 – 02).
7.3. Ora, come peraltro dedotto dalla stessa controricorrente (pag. 19 del controricorso), l’oggetto del giudizio di primo grado comprendeva i rapporti di dare e avere intercorrenti tra le parti sin dalla nascita del rapporto di conto corrente, prospettato dall’attrice a decorrere dal (OMISSIS), iniziato con (OMISSIS), proseguito senza soluzione di continuita’ con (OMISSIS) e poi (OMISSIS) per giungere infine a (OMISSIS) per via di operazioni straordinarie che hanno via via coinvolto le suddette banche. Cio’ emerge per tabulas dall’atto di citazione della (OMISSIS) in primo grado richiamato nel controricorso.
Il periodo (OMISSIS)-(OMISSIS) e’ solo quello di gestione del conto da parte di (OMISSIS), ma la domanda di parte attrice riguardava l’intero periodo di vita del conto a partire dal (OMISSIS).
Il denunciato vizio di ultrapetizione non si e’ dunque concretizzato nel caso di specie.
8. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’articolo 2648 c.c. con riferimento alla prescrizione dell’azione per decorrenza dei termini dai singoli versamenti e comunque dalla chiusura del conto corrente.

 

Azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca

8.1. Secondo (OMISSIS), vertendo la causa in materia di interessi e, in generale, di cio’ che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini piu’ brevi, il termine prescrizionale non sarebbe stato decennale bensi’ piu’ breve, ossia quinquennale.
8.2. Il motivo e’ infondato.
La domanda attorea non ha ad oggetto il pagamento di interessi, bensi’ la restituzione di somme indebitamente pagate ai sensi dell’articolo 2033 c.c.
8.3. Dunque, nel caso di specie, va ribadito quanto piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullita’ della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, e’ soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati; nell’anzidetta ipotesi, infatti, ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacche’ il pagamento che puo’ dar vita ad una pretesa restitutoria e’ esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens.
(Sez. 1, n. 24051 del 26.9.2019, Rv. 655345; Sez. U, n. 24418 del 2.12.2010, Rv. 615489 – 01)).
Infatti il diritto al rimborso non ha carattere periodico, atteso che l’accipens e’ tenuto a restituire le somme indebitamente percepite in un’unica soluzione, e non a rate. Ne consegue che tale diritto non e’ soggetto al termine di prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948 c.c., n. 4, ma all’ordinario termine decennale di prescrizione, che decorre dalle date dei singoli pagamenti. (Sez. 2, n. 1998 del 29.1.2020 Rv. 656853 – 01).
9. Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4 e n. 3, la ricorrente denuncia nullita’ della sentenza come conseguenza della nullita’ della consulenza tecnica con riferimento agli articoli 195 e 198 c.p.c.
9.1. La ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata avrebbe posto a fondamento della propria decisione le risultanze istruttorie acquisite da una consulenza tecnica “esplorativa” esperita in primo grado dal Tribunale.
Segnatamente, secondo la prospettazione di (OMISSIS), la consulenza contabile disposta in primo grado sarebbe stata nulla, poiche’ il perito avrebbe acquisito documenti in assenza di contraddittorio e senza il consenso della ricorrente.
9.2. Il tema che si viene ad introdurre in causa riguarda cosi’ il sistema delle nullita’ processuali e in particolare della consulenza d’ufficio, che aveva diviso la giurisprudenza di questa Corte in due contrapposti indirizzi: per il primo, l’esorbitanza dal mandato peritale come pure l’acquisizione indebita di documenti non prodotti in causa, doveva essere fatta valere tempestivamente dalla parte interessata e in difetto la nullita’ relativa cosi’ provocata si sanava; per il secondo non era possibile aggirare il sistema delle preclusioni e decadenze, comunque rilevabili ex officio, con la conseguente ininfluenza di una immediata reazione della parte pregiudicata.
9.3. Il contrasto cosi’ delineato e’ stato recentemente composto dalle Sezioni Unite di questa Corte che si e’ pronunciata ex articolo 363, comma 3, c.p.c., nell’interesse della legge, con la sentenza n. 3086 del 1.2.2022 (seguita poi dalla sentenza n. 6500 del 28.2.2022, depositata successivamente, ma deliberata all’esito della stessa udienza), che ha ratificato, all’esito di una complessa e approfondita ricostruzione sistematica, il primo indirizzo.

 

Azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca

Le Sezioni Unite hanno premesso che in materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, puo’ accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che e’ onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d’ufficio; il consulente inoltre, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, puo’ acquisire, anche prescindendo dall’attivita’ di allegazione delle parti, non applicandosi alle attivita’ del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che e’ onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio.
Tuttavia in materia di esame contabile ai sensi dell’articolo 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, puo’ acquisire, anche prescindendo dall’attivita’ di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni.
Le Sezioni Unite hanno infine precisato che in materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti e’ fonte di nullita’ relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso.
Infine l’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed e’ fonte di nullita’ assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi a valere ai sensi dell’articolo 161 c.p.c..
9.4. Alla luce di questo recentissimo intervento chiarificatore del Supremo consesso nomofilattico, in difetto di argomenti prospettati dalle parti a sostegno di un diverso avviso, il motivo deve essere respinto.
Nella fattispecie, infatti, l’acquisizione documentale e’ avvenuta nell’ambito di un esame contabile, nel rispetto del principio del contraddittorio e comunque la ricorrente non ha denunciato alcuna nullita’ nella prima difesa utile successiva all’atto o alla sua notizia ex articolo 157 c.p.c., comma 2, e cioe’ all’atto dell’acquisizione o comunque dopo il deposito della relazione peritale.
Nel caso di specie, per pacifica ammissione della (OMISSIS), l’eccezione sulla validita’ della consulenza tecnica d’ufficio e’ stata sollevata soltanto in sede di precisazione delle conclusioni e, quindi, tardivamente.
Il motivo dedotto in questa sede non puo’ dunque essere accolto.
10. Con il decimo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4 e n. 3, la ricorrente denuncia violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. e del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 in punto liquidazione delle spese di lite.
10.1. Secondo (OMISSIS), la Corte distrettuale “non ha inteso specificare il criterio di calcolo delle spese liquidate in favore della (OMISSIS) s.r.l., senza riferimento ad alcuno dei parametri di valore e complessita’ della controversia secondo il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014” (pag. 23 del ricorso per cassazione).
10.2. Il motivo e’ inammissibile.
In primo luogo, va precisato che la Corte d’appello, nel capo relativo alle spese, ha liquidato separatamente le somme per il rimborso delle spese e degli onorari. Di conseguenza, il richiamo alla giurisprudenza citata da (OMISSIS) e’ inconferente.
Oltre a cio’, comunque, la censura articolata dalla ricorrente non supera il vaglio di ammissibilita’, essendo formulata in termini del tutto generici.
Come affermato a piu’ riprese da questa Corte, difatti, in tema di controllo della legittimita’ della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, poiche’ il sindacato di legittimita’ e’ limitato alla violazione del principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, e’ inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del giudice che abbia posto l’onere a carico della parte soccombente, limitandosi alla generica denuncia della violazione dell’articolo 91 c.p.c., atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore che si ritengono violate, sicche’ e’ generico il mero riferimento a prestazioni, che sarebbero state riconosciute in violazione della tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice, con derivante inammissibilita’ dell’inerente motivo. (Sez. 3, n. 10409 del 20.5.2016, Rv. 640034 01; Sez. 5, n. 4990 del 25.2.2020 Rv. 657355 – 01; Sez. L, n. 13098 del 8.9.2003, Rv. 566644 – 01).
In tema di spese processuali, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato e’ rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito (Sez. 1, n. 4782 del 24.2.2020, Rv. 657030 – 01).
Tale difetto di autosufficienza ricorre senz’altro nel caso di specie, dal momento che (OMISSIS) si e’ limitata a denunciare una generica violazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, senza specificare quali criteri siano stati violati nel caso concreto.
11. Il ricorso deve quindi essere complessivamente respinto e le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 13.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis ove dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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