Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 21 febbraio 2019, n. 5200.
La massima estrapolata:
L’avvocato che incassi l’assegno emesso dalla controparte soccombente in un giudizio civile a favore del proprio cliente, omettendo di informare il proprio assistito dell’esito favorevole del processo ed appropriandosi pertanto di somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza, sicché, ove tale comportamento persista fino alla decisione del Consiglio dell’ordine, non decorre la prescrizione di cui all’art. 51, R.d. n. 1578 del 1933 (ai sensi del quale l’azione disciplinare nei confronti dell’avvocato si prescrive nel termine di cinque anni, decorrenti dal giorno di realizzazione dell’illecito, ovvero, se questo consista in una condotta protratta, definibile in termini penalistici permanente o continuata, dalla data di cessazione della condotta stessa).
Sentenza 21 febbraio 2019, n. 5200
Data udienza 12 febbraio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Primo Presidente f.f.
Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez.
Dott. DI VIRGILIO Biagio – Consigliere
Dott. GRECO Antonio – Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 24728-2018 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS) in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI NAPOLI; PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI; PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI; PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense n. 64/2018, depositata il 16 giugno 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 febbraio 2019 dal Consigliere Alberto Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. Matera Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), per delega dell’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. – Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Napoli, con decisione in data 5 marzo 2013, ha inflitto all’avvocato (OMISSIS) la sanzione disciplinare della sospensione per mesi quattro dall’esercizio dell’attivita’ professionale, perche’, in violazione delle norme del codice deontologico, si era appropriato – apponendo o facendo apporre, sull’assegno emesso dalla (OMISSIS), la firma apocrifa del proprio assistito (OMISSIS) – della somma di Euro 3.200, e comunque perche’ non aveva informato il cliente circa la definizione del giudizio.
2. – Il procedimento disciplinare era stato avviato a seguito di un esposto presentato il 7 settembre 2010 dal (OMISSIS), il quale aveva riferito:
– di avere conferito mandato nell’anno 2001 all’avvocato (OMISSIS) affinche’ intraprendesse un’azione legale nei confronti del responsabile di un sinistro stradale in cui era stata danneggiata la propria autovettura;
che la richiesta avrebbe dovuto essere finalizzata al risarcimento dei danni subiti anche nei confronti della (OMISSIS), che copriva la responsabilita’ civile dell’autovettura dell’investitore;
– di avere richiesto notizie del procedimento civile intrapreso dall’avvocato (OMISSIS), il quale aveva sempre riferito che il giudizio era in corso per le note lungaggini processuali, e di essersi percio’ rivolto, insospettito per tale comportamento, all’avvocato (OMISSIS) perche’ effettuasse le opportune verifiche;
– che quest’ultima aveva effettuato accertamenti ed era venuta a conoscenza che il giudizio era stato definito dal Giudice di pace di Napoli, il quale, con sentenza in data 17 marzo 2003, aveva condannato i convenuti al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese di giudizio in favore del difensore antistatario.
3. – Con sentenza depositata in segreteria il 16 giugno 2018, il Consiglio nazionale forense ha respinto il ricorso dell’incolpato.
3.1. – Il giudice disciplinare ha innanzitutto disatteso l’eccezione di prescrizione, rilevando che la condotta addebitata non ha carattere istantaneo, ma si protrae nel tempo fino alla restituzione delle somme che l’avvocato avrebbe dovuto mettere immediatamente a disposizione del cliente.
Il Consiglio nazionale forense ha ribadito la fondatezza dell’addebito rilevando:
– che dalla dichiarazione della (OMISSIS) in data 25 gennaio 2011 emerge che l’assegno in questione, dell’importo di Euro 3.200, era stato “negoziato in circolarita’” in data 21 ottobre 2005 ed accreditato per l’intero sul conto corrente intestato all’avvocato (OMISSIS);
– che tale circostanza documentale, non smentita dalla prova testimoniale assunta il 21 settembre 2017, consente di ritenere fondata la prospettazione dell’esponente di non essere stato a conoscenza dell’avvenuto incasso della somma;
che lo stesso versamento dell’intero ammontare dell’assegno dimostra che all’epoca della negoziazione del titolo non vi sia stata alcuna ripartizione di somme tra avvocato e parte assistita, giacche’, altrimenti, avrebbe potuto essere accreditata la minor somma di Euro 2.451,31 (Euro 3.200 meno Euro 746,69) o l’avvocato (OMISSIS) avrebbe potuto dimostrare l’uscita dal conto corrente dell’importo da riversare al cliente.
Il CNF ha ritenuto di assoluta non verosimiglianza, oltre che non dimostrata ed anzi contraddetta dai vari elementi acquisiti, la tesi difensiva dell’incolpato, secondo cui egli sarebbe stato vittima di un tentativo di estorsione da parte del (OMISSIS), il quale, prima della querela e dell’esposto al Consiglio dell’ordine territoriale, gli avrebbe contestato una presunta appropriazione indebita richiedendo una somma assolutamente sproporzionata ed ingiustificata, pari ad oltre il triplo della sorte capitale, pur gia’ riscossa, minacciando altrimenti la denuncia dei fatti all’Autorita’ giudiziaria.
Secondo il CNF, anche considerazioni di ordine logico inducono a ritenere credibile e veritiera la versione dell’esponente: innanzitutto il fatto che il (OMISSIS) “dovrebbe avere atteso, consapevolmente, ben cinque anni dalla negoziazione del titolo (21 ottobre 2005) per reclamare le somme di propria spettanza a seguito di un sinistro che era occorso nel 2001, e cioe’ nove anni prima”, e poi, “in attuazione di tale disegno luciferino”, “avrebbe dato corso nel medesimo anno ad un’azione civile contro l’istituto di credito millantando falsamente l’apocrifia (autoindotta) della firma esponendosi a tutti i rischi conseguenti al solo fine di locupletare ulteriori Euro 746,69, non avendo ottenuto risultato l’estorsione tentata (in tesi) nei confronti” dell’avvocato (OMISSIS).
D’altra parte, secondo il CNF, l’avvocato (OMISSIS) avrebbe potuto richiedere la prova liberatoria, e non lo ha fatto, dimostrando l’autenticita’ della firma e quindi il consenso del cliente presente alla negoziazione, ma in nessuna sede tale prova e’ stata richiesta, tant’e’ vero che il giudizio civile davanti al Giudice di pace si e’ concluso negativamente per l’avvocato (OMISSIS) (infatti con sentenza del 13 gennaio 2012 e’ stata accertata l’illegittima negoziazione in data 21 ottobre 2005 da parte della banca all’avvocato (OMISSIS), e l’istituto e’ stato condannato al pagamento della somma di Euro 3.200 in favore del (OMISSIS), con rivalsa a carico dell’avvocato).
4. – Per la cassazione della sentenza del CNF il (OMISSIS) ha proposto ricorso, con atto notificato il 28 agosto 2018, sulla base di due motivi.
Nessuno degli intimati ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo (violazione del R.Decreto Legge 27 novembre 1933, n. 1578, articolo 51, convertito nella L. 22 gennaio 1934, n. 36; violazione degli articoli 132, 156 e 161 cod. proc. civ. e articolo 118 disp. att. cod. proc. civ., nonche’ dell’articolo 125 cod. proc. pen.; vizio di motivazione ex articolo 111 Cost., articoli 132, 156 e 161 cod. proc. civ. e articolo 118 disp. att. cod. proc. civ.) il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non abbia riconosciuto l’intervenuta prescrizione quinquennale dell’azione disciplinare, nonostante – a fronte di un illecito consistente nell’incasso abusivo di un assegno bancario negoziato il 21 ottobre 2005 – l’azione disciplinare sia stata avviata dopo oltre cinque anni, essendo stato l’invito a rendere chiarimenti redatto in data 1 marzo 2011 ed essendo stata la citazione a comparire, con la formulazione dell’incolpazione, notificata il 5 novembre 2012. Ad avviso del ricorrente, la condotta contestata avrebbe natura appropriativa, consistendo nel trafugamento di somme destinate al proprio cliente mediante l’apposizione della firma apocrifa di costui e a sua insaputa, e avrebbe quindi natura istantanea, tanto piu’ che il danneggiato non ha mai richiesto la restituzione delle somme, avendo attivato la propria pretesa giudiziaria contro l’istituto bancario, con atto di citazione notificato in data 19 ottobre 2010. La sentenza impugnata sarebbe viziata non solo da violazione di legge, per l’erronea interpretazione del R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 51, ma anche da omessa motivazione rispetto al devoluto.
1.1. – Il motivo e’ infondato.
Ai sensi del R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 51, l’azione disciplinare nei confronti dell’avvocato si prescrive nel termine di cinque anni, che decorrono dal giorno di realizzazione dell’illecito, ovvero, se questo consista in una condotta protratta, definibile in termini penalistici permanente o continuata, dalla data di cessazione della condotta stessa (Cass., Sez. U., 1 ottobre 2003, n. 14620; Cass., Sez. U., 26 novembre 2008, n. 28159; Cass., Sez. U., 2 febbraio 2015, n. 1822).
Contrariamente all’assunto del ricorrente, la norma deontologica contestata all’incolpato non puo’ essere interpretata nel senso della irrilevanza del successivo indebito trattenimento del denaro incassato. La condotta del professionista, nel caso in esame, presenta i connotati tipici della continuita’ della violazione deontologica, per tale sua natura destinata a protrarsi fino alla restituzione delle somme che il medesimo avrebbe dovuto mettere a disposizione del cliente (cfr. Cass., Sez. U., 30 giugno 2016, n. 13379).
Invero, la condotta appropriativa posta in essere dall’avvocato non si e’ esaurita nell’incasso dell’assegno destinato al proprio cliente, ma si e’ accompagnata ad una mancata messa a disposizione delle somme riscosse, realizzata attraverso l’omessa informazione circa la definizione del processo civile in esito del quale l’assegno era stato emesso dalla controparte soccombente in quel giudizio.
Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha escluso il carattere istantaneo della condotta addebitata al professionista e rigettato l’eccezione di prescrizione.
Infatti, l’avvocato il quale si appropri dell’importo dell’assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell’esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuita’ della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza, sicche’, ove tale comportamento persista fino alla decisione del Consiglio dell’ordine, non decorre la prescrizione di cui al R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 51.
2. – Con il secondo mezzo (violazione di legge in relazione agli articoli 132, 156 e 161 cod. proc. civ., articolo 118 disp. att. cod. proc. civ. e articolo 125 cod. proc. pen.; violazione dell’articolo 533 cod. proc. pen.; nullita’ della sentenza per omessa motivazione, in relazione agli articoli 132, 156 e 161 cod. proc. civ., articolo 118 disp. att. cod. proc. civ. e articolo 125 cod. proc. pen.; vizio di motivazione ex articolo 111 Cost., articoli 132, 156 e 161 cod. proc. civ. e articolo 118 disp. att. cod. proc. civ.) il ricorrente censura che – nonostante la prova liberatoria fornita dal teste (OMISSIS) (all’epoca dei fatti funzionario della banca dove fu negoziato l’assegno in questione), il quale ha riferito che, secondo la prassi bancaria, l’incasso del titolo risultava impossibile da parte del (OMISSIS) senza la presenza del beneficiario – il CNF abbia ritenuto irrilevante la deposizione, sul rilievo che il teste non avrebbe saputo riferire in ordine alla presenza fisica del beneficiario all’atto dell’operazione bancaria. Ad avviso del ricorrente, poiche’ l’incasso del titolo risultava impossibile per l’avvocato senza la presenza del beneficiario, dalla sentenza impugnata non sarebbe dato evincere attraverso quali modalita’ la condotta appropriativa in contestazione si sarebbe realizzata. La ricostruzione del fatto storico nella sua materialita’ – modalita’ e circostanze della negoziazione dell’assegno – non sarebbe neppure ipotizzata nella sentenza del CNF, e cio’ ad onta della deposizione testimoniale. La motivazione della sentenza sarebbe del tutto omessa.
2.1. – La censura e’ priva di fondamento.
Il Consiglio nazionale forense e’ pervenuto alla conferma del giudizio di responsabilita’ disciplinare del (OMISSIS) sulla base di un analitico e penetrante esame valutativo del compendio probatorio, rappresentato dalle risultanze documentali e dalla deposizione del teste (OMISSIS), escusso dallo stesso Consiglio nazionale all’udienza del 21 settembre 2017.
Il CNF ha a tal fine valorizzato la dichiarazione della (OMISSIS) circa l’avvenuto accredito per l’intero sul conto corrente intestato all’avvocato dell’importo dell’assegno di Euro 3.200 intestato al (OMISSIS), desumendo dal versamento dell’intero ammontare dell’assegno la conferma che, all’epoca della negoziazione del titolo, non vi e’ stata alcuna ripartizione di somme tra avvocato e parte assistita.
Il giudice disciplinare ha poi considerato l’esito del giudizio promosso dinanzi al Giudice di pace dal (OMISSIS) (conclusosi negativamente per l’avvocato (OMISSIS), essendo stata accertata l’illegittima negoziazione del titolo da parte della banca, con condanna dell’istituto di credito e rivalsa a carico del (OMISSIS)), giudizio nel quale l’incolpato “avrebbe potuto richiedere la prova liberatoria, e non lo ha fatto, dimostrando l’autenticita’ della firma e quindi il consenso del cliente presente alla negoziazione”.
Il CNF ha valutato la deposizione del teste (OMISSIS), sottolineando che lo stesso non ha confermato l’assunto dell’incolpato in ordine alla presenza del (OMISSIS) al momento della negoziazione dell’assegno (essendosi il teste limitato a ribadire l’impossibilita’ da parte dell’avvocato (OMISSIS) di incassare l’assegno secondo la prassi bancaria, ma nulla avendo aggiunto circa la presenza fisica della parte assistita).
Il Consiglio nazionale forense, infine, ha evidenziato le considerazioni di ordine logico che militano nel senso della veridicita’ dell’esposto del (OMISSIS) e l’assoluta non verosimiglianza” della tesi difensiva dell’incolpato.
La valutazione operata dal giudice disciplinare di ogni fatto rilevante e’ affidata ad una motivazione coerente e congrua, priva di mende logiche e giuridiche.
Il ricorrente critica l’esito al quale e’ pervenuta la sentenza impugnata, dolendosi, per un verso, che non sia stato dato rilievo alla deposizione del teste (OMISSIS), il quale avrebbe “escluso in via categorica che l’incolpato avesse potuto incassare il titolo senza la presenza fisica del beneficiario, cosi’ incrinando irrimediabilmente l’assunto accusatorio”, e sostenendo, per l’altro verso, che sarebbe mancata “la ricostruzione del fatto storico nella sua materialita’” in relazione alle “modalita’ e circostanze della negoziazione dell’assegno”.
In realta’, cosi’ come articolata, la doglianza del ricorrente, nel contestare la persuasivita’ del convincimento fondato dal giudice disciplinare sull’esame delle risultanze probatorie e nel contrapporvi la propria tesi difensiva, finisce per attingere il piano della sufficienza motivazionale, cio’ che non e’ piu’ ammesso nel regime di sindacato minimale ex articolo 360 cod. proc. civ., n. 5 novellato.
La giurisprudenza di questa Corte e’ infatti ormai consolidata (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679) nell’affermare che:
– il novellato testo dell’articolo 360 cod. proc. civ., n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo;
l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito da’ luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma;
nel giudizio di legittimita’ e’ denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.
3. – Il ricorso e’ rigettato.
4. – Non vi e’ luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato Consiglio dell’ordine territoriale svolto attivita’ difensiva in questa sede.
5. – Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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