Atto di revoca dell’assegnazione alla DIA

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 13 agosto 2019, n. 5697.

La massima estrapolata:

L’atto di revoca dell’assegnazione alla DIA ha natura di atto di alta amministrazione a forte valenza fiduciaria, non comporta l’esclusione dell’obbligo di motivazione, tuttavia, stante l’ampia discrezionalità che caratterizza tali atti, il sindacato giurisdizionale è limitato al riscontro dell’esistenza dei presupposti e alla congruità della motivazione nonché all’esistenza del nesso logico di consequenzialità fra presupposti e conclusioni.

Sentenza 13 agosto 2019, n. 5697

Data udienza 13 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 58 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Gu. Ba., An. Ma., con domicilio eletto presso lo studio An. Ma. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno – Direzione Investigativa Antimafia ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza n. -OMISSIS- resa dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sez. I, in data 13 marzo 2014 depositata il 28 aprile 2014, con la quale era respinto il ricorso N.R.G. -OMISSIS-, proposto per l’annullamento: – del messaggio NR. -OMISSIS-/PERS/1° sett./A di prot. n. -OMISSIS- del 24 ottobre 2012 della Direzione Investigativa Antimafia, a firma del Capo Ufficio del Personale, con il quale era comunicata al Centro Operativo di Padova la revoca dell’assegnazione alla D.I.A. del ricorrente a decorrere dal 29 ottobre 2012, disposta con decreto interministeriale e della messa a disposizione dell’amministrazione di appartenenza di questi per l’ulteriore impiego;
– della nota n. -OMISSIS-/PD/AA.GG./A3/19 di prot n. -OMISSIS- del 29 ottobre 2012 della Direzione Investigativa Antimafia, Centro operativo di Padova a firma del Capo Centro, con la quale era comunicato al Comando Legione Carabinieri “Veneto” che il giorno 24 ottobre 2012, con decreto interministeriale era adottata la revoca dell’assegnazione alla D.I.A. del medesimo;
– della nota di prot. n. -OMISSIS- del 29 ottobre 2012 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, a firma del Capo del Reparto, con il quale era determinato il trasferimento “d’autorità ” del ricorrente alla Legione Carabinieri Veneto, Comando Provinciale di Padova, Reparto Operativo – Nucleo Investigativo, quale “addetto” senza alloggio di servizio, a decorrere dal 29 ottobre 2012;
nonché per l’annullamento (di cui al primo atto di motivi aggiunti) della nota di prot. n. -OMISSIS-/PERS/1° SETT/-OMISSIS-/R del 4 ottobre 2012 della Direzione Investigativa Antimafia, con cui il Direttore dell’Ufficio del personale chiedeva alla Segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed al Comando Generale dell’arma dei Carabinieri di “rimettere il (omissis) nella disponibilità di impiego del Comando Generale dell’Arma con decorrenza 29 ottobre 2012”, a causa del venir meno del rapporto fiduciario tra l’odierno appellante ed i suoi superiori, funzionali e gerarchici;
ed, infine, per l’annullamento (di cui al secondo atto di motivi aggiunti) del decreto del Ministro dell’Interno di concerto con il Ministro della Difesa di prot. n. -OMISSIS-/PERS.DIA/-OMISSIS-/R del 9 ottobre 2012, reso noto in data 13 giugno 2013, con cui era revocata a decorrere dal 29 ottobre 2012 l’assegnazione alla Direzione Investigativa Antimafia del ricorrente nonché, per quanto d’interesse, dell’appunto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri del 25 ottobre 2012 che proponeva il trasferimento d’ufficio del ricorrente;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Direzione Investigativa Antimafia ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 giugno 2019 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti l’Avvocato Ga. St. su delega dell’Avvocato An. Ma. e l’Avvocato dello Stato Is. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’attuale appellante espone di essere in servizio permanente effettivo presso l’Arma dei Carabinieri dal 19 settembre 1984 e di essere stato assegnato nel 1992 alla Direzione Investigativa Antimafia, nonché di aver prestato servizio dal 1998 presso il Centro Operativo di Padova.
A partire dal 2005 era impiegato al Settore I Investigazioni Giudiziarie; nell’anno 2011, il Centro operativo di Padova avviava delle attività tecnico-investigative – anche transfrontaliere – per conto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste – Direzione Distrettuale Antimafia, che prendeva le mosse da una precedente attività investigativa, iniziata nel 2007.
Riferisce, inoltre, che in data 27 febbraio 2012, in occasione di una riunione nell’Ufficio del caposettore dell’odierno appellante, alla presenza del gruppo di lavoro, lo stesso riceveva dal caposettore l’incarico di redigere una bozza di informativa da inoltrare all’Autorità Giudiziaria, in relazione all’opportunità di interrompere le indagini da lui seguite fin dall’inizio. A fronte delle perplessità espresse, il successivo 21 marzo 2012 l’appellante riceveva una nota qualificata “Riservata personale” a firma del Capo del Centro, con la quale gli veniva contestato, in sostanza, il mancato adempimento ad un ordine, affermando che egli avrebbe tenuto “…un comportamento formalmente non corretto…”, in quanto avrebbe manifestato incongrue perplessità sull’incarico ricevuto, tanto da indurre il superiore ad affidarlo ad altri. Di seguito, il successivo 7 maggio, il Capo del centro operativo di Padova della D.I.A. disponeva l’assegnazione dell’appellante dal primo settore al secondo settore del Centro.
Con successiva nota, era negato il colloquio con il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, precisandosi, altresì, che: “…Il capo del I reparto…interessato a riguardo, nel ribadire il carattere esortativo e non sanzionatorio della “riservata personale” ha evidenziato quanto segue: le condotte tenute dalla S. V. sono ben più gravi di quella a cui fa riferimento la “riservata personale”.
Solo a seguito di accesso alla documentazione – avvenuto a seguito di due istanze – l’appellante apprendeva di essere oggetto di un procedimento amministrativo finalizzato alla revoca della sua assegnazione alla D.I.A.
In particolare, l’odierno appellante veniva a conoscenza che, con nota n. -OMISSIS-/PD/AA.GG./R-27 di prot. -OMISSIS- del 29 maggio 2012 il Capo del Centro aveva proposto alla divisione Gabinetto e all’Ufficio personale la cessazione dall’impiego presso la D.I.A. e la sua restituzione alla Forza Armata di appartenenza, per “…la delicatezza della situazione determinatasi che ha fatto venir meno il rapporto fiduciario tra l’interessato e la scala gerarchica, e che può prevedibilmente turbare il sereno equilibrio ambientale del reparto…”. Evidenziava che in tale nota il Capo del centro faceva riferimento a varie ulteriori contestazioni all’operato dell’appellante medesimo, ivi compresa la violazione dell’art. -OMISSIS- del Regolamento di disciplina (rectius art. 735 del d.P.R. 15.3.2010, n. 90 Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare), perché l’odierno istante, nel presentare istanza di conferimento con il direttore della D.I.A. non avrebbe specificato tutte le questioni di servizio da rappresentare ed avrebbe altresì manifestato eccessiva animosità nei confronti della scala gerarchica.
Sul presupposto di tale nota, con relazione in data I giugno, l’Ufficio personale richiedeva al direttore dell’Ufficio stesso l’avvio del procedimento per la revoca dell’assegnazione.
In forza di tale nota, l’Ufficio del Personale della Direzione Investigativa Antimafia di Roma comunicava – con nota in data 21 giugno 2012 – l’avvio di un procedimento amministrativo finalizzato alla revoca dell’assegnazione sul presupposto del “…venir meno del rapporto fiduciario tra l’interessato e la scala gerarchica…”.
In data 30 luglio, poi, il Capo del I settore disponeva che l’appellante – già assegnato al II settore dall’8 maggio – incaricato di redigere gli atti conclusivi di un’operazione iniziata nel febbraio 2007, riferisse ogni lunedì al capo settore del lavoro prodotto nella settimana precedente e che il lunedì successivo informasse del lavoro svolto a decorrere dalla data di trasferimento.
In seguito, con nota del 3 settembre, il Capo centro disponeva ancora, per una ottimale e sollecita conclusione dell’indagine avviata nel febbraio del 2007, che l’appellante proseguisse la sua attività all’interno dell’ufficio contiguo a quello del capo settore.
A fronte di quanto descritto, l’appellante presentava all’Ufficio del Personale memoria partecipativa in data 12 settembre 2012, nella quale illustrava lo svolgimento dei fatti e le sue considerazioni a riguardo, senza riceve riscontro.
Con messaggio in data 24 ottobre 2012, l’Ufficio personale della Direzione Investigativa Antimafia comunicava al Centro operativo che con decreto interministeriale in corso di perfezionamento era stata disposta la revoca dell’assegnazione alla D.I.A. dell’appellante con decorrenza dal giorno 29 ottobre 2012.
Con nota in data 29 ottobre 2012 N. -OMISSIS-/PD/AA.GG./A3/19 di prot. -OMISSIS- indirizzata al Comando Legione CC “Veneto”, il Centro operativo di Padova comunicava che l’appellante era a disposizione del Comando per l’ulteriore impiego.
Sempre in data 29 ottobre 2012, l’appellante riceveva una comunicazione dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con la quale veniva informato del suo trasferimento d’autorità, da eseguirsi nella stessa giornata, alla Legione Carabinieri Veneto, Comando Provinciale di Padova, reparto operativo, nucleo investigativo.
Avverso tali provvedimenti di revoca dell’assegnazione alla D.I.A. e trasferimento d’autorità alla Legione Carabinieri Veneto, Comando Provinciale di Padova, l’odierno appellante proponeva ricorso, deducendo la violazione delle garanzie del procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare ed il difetto di motivazione.
In sede di giudizio di primo grado, l’Amministrazione produceva altresì la comunicazione (allegato n. -OMISSIS-) riservata della Direzione Investigativa Antimafia di prot. n. -OMISSIS-/PERS/1 SETT/-OMISSIS-/R del 4 ottobre 2012, fino ad allora sconosciuta all’interessato, con cui il Direttore dell’Ufficio Personale chiedeva alla Segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza ed al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri di “rimettere (omissis) nella disponibilità dell’impiego del Comando Generale dell’Arma con decorrenza 29 ottobre 2012”. La nota, tra l’altro, riportava quanto indicato dal Capo Centronella segnalazione del 29 maggio 2012 e aderiva alle conclusioni da questi rassegnate, indicando alle Amministrazioni competenti le misure da adottare nei confronti dell’appellante. Avverso tali atti, dunque, l’odierno appellante proponeva motivi aggiunti di data 18 aprile 2013.
Sul presupposto di tale provvedimento, il Ministero della Difesa, di concerto con il Ministro dell’interno, adottava in data 9 ottobre 2012 il decreto di revoca dell’assegnazione, che veniva reso noto all’odierno appellante in data 13 giugno 2013, a seguito di istanza di accesso formulata dallo stesso (doc. n. -OMISSIS-). L’odierno appellante chiedeva, pertanto, con un secondo atto per motivi aggiunti di data 16 settembre 2013, e previa sospensione dell’efficacia dei provvedimenti impugnati, l’annullamento del precitato decreto di revoca nonché dell’appunto del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri del 25 ottobre 2013 con cui veniva proposto il trasferimento d’ufficio dell’interessato.
L’odierno appellante ha successivamente appreso della comunicazione di una notizia di reato a suo carico alla Procura Militare di Verona che veniva archiviata dal G.I.P su richiesta del Pubblico Ministero per i medesimi fatti oggetto del presente giudizio. Il Comando Provinciale dei Carabinieri di Padova non riteneva di avviare un procedimento disciplinare.
Impugna, dunque, in appello la sentenza di prime cure che ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti, per i motivi di seguito indicati.
1) Erroneità ed ingiustizia della sentenza per errata interpretazione e travisamento dei fatti – erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1352, 1353, 1355, 1357, 1358, 1370, 1371, 1375-1401 del d.gls. 15 marzo 2010, n. 66 (“Codice dell’ordinamento militare”) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 10 della l. 7 agosto 1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 750 e 751 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (“Testo unico dell’ordinamento militare”) per non aver riconosciuto natura disciplinare ai provvedimenti impugnati e difetto di motivazione benché tale richiesta fosse stata formulata dall’odierno appellante; il primo giudice avrebbe non correttamente ricostruito i fatti, anche perché l’odierno appellante non avrebbe contestato l’ordine ma si sarebbe limitato a manifestare le proprie perplessità in merito all’opportunità che fosse proprio lui a darvi esecuzione in contrasto con la richiesta dapprima effettuata; inoltre, erroneamente il primo giudice avrebbe concluso nel senso di negare la natura disciplinare ai provvedimenti impugnati mentre la natura sanzionatoria degli stessi emergerebbe dal fatto che essi sono conseguenti e connessi all’asserita “grave condotta” tenuta dall’odierno appellante durante il precitato periodo. Sicché gli stessi provvedimenti – secondo la prospettazione di parte – avrebbero dovuto essere assunti con le garanzie proprie del procedimento previste dal Codice dell’ordinamento militare in violazione dell’art. 1370 del citato Codice, nonché in contrasto con gli artt. da 1375 a 1401 del Codice secondo i quali i procedimenti disciplinari di stato e di corpo devono seguire rigide scansioni procedimentali, mentre il trasferimento d’ufficio irrogato sarebbe una misura sanzionatoria non prevista né fra le sanzioni disciplinari “di stato” (di cui all’art. 1357), né fra le sanzioni disciplinari “di corpo” (di cui all’art. 1358), con ulteriore violazione dei principi di legalità e di tassatività della sanzione disciplinare (artt. 1352, 1353 e 1358 del Codice, art. 751 del Testo Unico e art. 1 della legge n. 241 del 1990); i principi di adeguatezza e di proporzionalità hanno imposto di considerare il comportamento dell’appellante nel contesto dell’operato complessivo della struttura; ciò ad ulteriore conferma della violazione degli artt. 1 e 3 della legge generale sul procedimento e dei principi di buon andamento e di trasparenza.
2) Erroneità della sentenza con riferimento al primo motivo di ricorso per violazione degli arti 1352, 1353, 1355, 1357, 1358, 1370, 1371, 1375-1401 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (“Codice dell’ordinamento militare”) – violazione e falsa applicazione degli arti 1, 3 e 10 della l. 7 agosto 1990, n. 241 – violazione e falsa applicazione degli arti 750 e 751 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (“Testo unico dell’ordinamento militare”) – eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà, difetto di motivazione, sviamento: con il primo motivo di ricorso si censurava la violazione delle norme poste dal Codice dell’ordinamento militare, poiché la revoca e il trasferimento sono da ricondursi all’esercizio di un potere sanzionatorio che, come tale, doveva essere assunto nel rispetto delle regole poste a garanzia del procedimento disciplinare.
3) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli arti 1, 3 e 10 della l. n. 241 del 1990 (principi di logicità, razionalità, proporzionalità, adeguatezza, buon andamento e trasparenza) – violazione e falsa applicazione dell’art. 715 del T. U. n. 90 del 15 marzo 2010 e degli artt. 1346 e 1347 del d.lgs. n. 66 del 15 marzo 2010 – eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, contraddittorietà, sviamento di potere, difetto di motivazione.
Si è costituita l’Amministrazione per resistere, ribadendo la compiutezza della motivazione del provvedimento di revoca, la natura non disciplinare dello stesso e la partecipazione da parte dell’interessato.
All’udienza del 13 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I – Osserva il Collegio che la prospettazione di parte appellante non può essere condivisa.
La giurisprudenza di questo Consiglio è ferma nell’annettere all’assegnazione presso la D.I.A. – visto l’interesse pubblico cui l’attività della stessa è finalizzata ed il delicatissimo equilibrio che deve essere mantenuto nello svolgimento della predetta attività – un particolare carattere fiduciario (n. 8258/2010).
L’appellante deduce in sede di appello come vizio della sentenza di prime cure ed in primo grado come vizio dei provvedimenti assunti, la violazione dell’iter procedimentale previsto per l’erogazione di una sanzione disciplinare. In tal modo mostra di confondere il provvedimento di revoca per cui è causa con una sanzione di carattere disciplinare, facendo derivare ciò dalla valutazione del comportamento tenuto in occasione delle decisioni in ordine ad un’indagine in corso, come sopra esposto. Si tratta, al contrario, di una decisione dell’Autorità competente circa l’inopportunità della permanenza di un dipendente presso la Direzione, per il venir meno del “rapporto di fiducia”.
Orbene, i fatti rappresentati e segnalati nella documentazione prodotta in atti e alla quale fa riferimento il provvedimento di revoca costituiscono, invece, sintomo di incrinatura del rapporto fiduciario che deve sempre sostenere il servizio presso la DIA. (cfr. dec. n. 3038/03 cit.).
Ritiene il Collegio che quanto sopra fosse sufficiente a giustificare l’iniziativa culminata nel provvedimento di revoca dell’assegnazione dell’appellante presso la DIA, in relazione alla finalità di evitare che presso quest’ultima prestino servizio persone che possano alterare l’equilibrio sopra richiamato, tenuto conto delle peculiarità dell’attività investigativa ivi svolta.
Quanto sopra porta ad escludere che nell’impugnata sentenza sia ravvisabile il dedotto vizio di motivazione, non essendo necessario, ai fini perseguiti, raggiungere la piena prova di un comportamento penalmente o disciplinarmente rilevante, ma solo il convincimento dell’inopportunità di una ulteriore permanenza di un soggetto in un particolare settore operativo (cfr. sent. n. 8258/2010 cit.).
II – Quanto sopra enunciato è sufficiente ad escludere la rilevanza dei vizi proposti dall’appellante, non potendosi configurare la violazione delle norme poste a garanzia del dipendente sottoposto ad un procedimento disciplinare.
L’Amministrazione ha avviato un procedimento finalizzato all’emissione del “provvedimento di revoca” e di ciò ha dato comunicazione all’interessato. Come evidenziato dall’Amministrazione, l’appellante, dunque, è stato messo in grado di prendere visione degli atti relativi e di produrre le memorie difensive che sono state valutate dall’Amministrazione, ancorché ritenute non idonee a modificare l’indirizzo assunto, risultando pertanto rispettate le garanzie procedimentali di cui alla l. n. 241/1990. Altresì, i motivi posti alla base della scelta sono rinvenibili dagli atti endoprocedimentali richiamati “per relationem” sia dalla proposta di revoca inoltrata agli organi centrali sia dal decreto interministeriale di revoca.
III – Appare piuttosto nella specie configurabile la natura di atto di alta amministrazione.
Tale natura, a forte valenza fiduciaria, non comporta l’esclusione dell’obbligo di motivazione, tuttavia, stante l’ampia discrezionalità che caratterizza tali atti, il sindacato giurisdizionale è limitato al riscontro dell’esistenza dei presupposti e alla congruità della motivazione nonché all’esistenza del nesso logico di consequenzialità fra presupposti e conclusioni, che nella specie appare pienamente soddisfatto, per quanto sopra esplicitato.
IV – Quanto allo spostamento dell’appellante esso non si è concretizzato in un trasferimento vero e proprio ma all’assegnazione nella disponibilità di impiego della amministrazione di provenienza.
V – Per tutto quanto sin qui ritenuto, l’appello deve essere respinto e per l’effetto, deve essere confermata la sentenza appellata. Tuttavia la particolarità della fattispecie esaminata comporta giusti motivi per compensare le spese del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza n. -OMISSIS- del 2014.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore
Ezio Fedullo – Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

 

 

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