Attività di vendita al minuto da parte di due lavoratrici associate

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Ordinanza 10 febbraio 2020, n. 3063.

La massima estrapolata:

L’attività di vendita al minuto da parte di due lavoratrici associate in partecipazione non consente di presumere la sussistenza della subordinazione, in mancanza di un accertamento in ordine alle modalità con le quali si è in concreto attuato il rapporto, e non potendo essere valorizzato il solo elemento della commisurazione (di parte) del compenso al prezzo complessivo delle vendite, anziché agli utili.

Ordinanza 10 febbraio 2020, n. 3063

Data udienza 7 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere

Dott. BOGHETICH Elisa – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 6572-2014 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS) S.P.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 923/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 19/11/2013 R.G.N. 205/2013.

RILEVATO

che:
1. (OMISSIS) spa ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con la quale la Corte d’appello di Ancona, accogliendo il gravame dell’Inps, in riforma della sentenza del Tribunale di Pesaro aveva respinto l’opposizione proposta da (OMISSIS) s.p.a. avverso l’iscrizione a ruolo del credito di cui a cartella esattoriale notificata per l’importo di 6.725,04, oltre accessori.
2. I contributi erano stati richiesti in relazione a due lavoratrici, ritenute dall’Inps fittiziamente associate in partecipazione, che secondo la valutazione della Corte d’appello erano legate al datore di lavoro da vincolo di subordinazione.
3. La Corte territoriale premetteva che la ripartizione dell’onere probatorio secondo il principio desumibile dall’articolo 2697 c.c. dev’essere temperato dall’applicazione dei principi del dovere di ciascuna parte di esporre compiutamente i rispettivi assunti. Argomentava che nel caso l’associazione non aveva dimostrato che la prestazione dei soggetti interessati fosse resa a titolo di associazione in partecipazione. Rilevava in primo luogo che e’ conforme alle esigenze economiche e organizzative dell’attivita’ di gestione di un negozio di vendita al minuto l’omologazione dei rapporto di lavoro al rapporto di lavoro subordinato dei lavoratori che provvedano concretamente alla stessa. Rilevava che i lavoratori erano compensati con un corrispettivo fisso, commisurato al tempo, cui se ne aggiungeva uno variabile, commisurato al prezzo complessivo delle vendite, elemento diverso dalla partecipazione agli utili prevista dall’articolo 2549 c.c., e che l’attivita’ prestata era quella di vendita al pubblico. Aggiungeva che non era credibile che i lavoratori non dovessero rispettare un orario di lavoro in considerazione della necessita’ di apertura al pubblico dell’esercizio.
4. Il ricorso e’ affidato a sei motivi.
5. L’INPS ha resistito con controricorso.
6. (OMISSIS) ha depositato anche memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c.

CONSIDERATO

che:
7. come primo motivo di ricorso (OMISSIS) spa deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, articolo 86 per aver ritenuto il giudice a quo che l’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa previdenziale nelle controversie di opposizione a cartella esattoriale gravi sull’opponente.
8. Come secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 25 e 49, 2552 e 2553 c.c. per avere il giudice dell’appello ritenuto non configurabile il contratto di associazione in partecipazione, pur in presenza dei presupposti richiesti dalla legge. Argomenta che la Corte d’appello ha ritenuto che non sia neppure astrattamente configurabile un contratto di associazione in partecipazione per un esercizio commerciale di vendita al minuto, mentre la legittimita’ dei contratti avrebbe dovuto essere valutata avendo esclusivamente riguardo alle effettivo e concreto svolgersi del rapporto e alle sue caratteristiche intrinseche cosi’ come accertate in corso di causa.
9. Come terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2549 e 2552 c.c. per aver ritenuto la Corte di appello di Ancona che la liberta’ di risoluzione del rapporto, tipica dell’associazione in partecipazione, sia indice della sussistenza del potere disciplinare e della sottomissione dell’associato.
10. Come quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2549 c.c. e ss. per avere la Corte d’appello ritenuto che la liberta’ di autodeterminazione degli associati sia assolutamente incompatibile con il contratto di associazione in partecipazione.
11. Come quinto motivo la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che la previsione di una quota fissa di compenso e la partecipazione dell’associato ai ricavi del singolo affare non sia compatibile con l’associazione in partecipazione, mentre l’articolo 2553 c.c. prevede solo che la partecipazione dell’associato alle perdite non possa superare il valore del suo apporto, sicche’ nel caso di specie le parti avevano fissato la partecipazione alle perdite in misura corrispondente a una parte di tale limite massimo, risultando cio’ perfettamente conforme al dettato legislativo.
12. Come sesto motivo la ricorrente deduce infine la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ed in particolare delle risultanze istruttorie del giudizio di primo grado, dalle quali sostiene che fosse emerso il potere di autodeterminazione dei singoli lavoratori e la possibilita’ di articolare la loro presenza nell’esercizio.
13. Occorre premettere che il ricorso e’ ammissibile perche’ i motivi consentono di evidenziare le doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 23/04/2013, n. 9793), si’ che ne rimane soddisfatto il requisito della chiarezza del ricorso per cassazione, imposto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4.
14. Il ricorso e’ altresi’ fondato in relazione a tutti i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi.
15. Deve in primo luogo rilevarsi che, nel caso in esame, poiche’ le cartelle opposte riguardavano un credito contributivo, era onere dell’Istituto che ne pretendeva il pagamento fornire la prova degli elementi posti a fondamento del suo assunto, ossia la natura subordinata dei rapporti di lavoro (cfr. Cass. 6/11/2009, n. 23600).
16. E’ dunque errata la premessa da cui muove il giudice di merito, osservando che era onere della appellata provare gli elementi costitutivi del contratto di associazione in partecipazione e che tale prova non era stata offerta e neppure dedotta.
17. In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato – come disciplinata ratione temporis – e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, occorre poi ribadire (richiamando da ultimo Cass. 28-04-2017, n. 10583, resa in relazione a fattispecie analoga), che la causa del primo e’ ravvisabile nello scambio tra l’apporto dell’associato all’impresa dell’associante ed il vantaggio economico che quest’ultimo si impegna a corrispondere all’associato medesimo. Non costituiscono elementi caratterizzanti del contratto, invece, sia la partecipazione alle perdite, atteso che l’associato che lavori in un’impresa con risultati negativi comunque e’ soggetto in senso lato ad un rischio economico, sia la mancanza dell’effettivita’ di controllo da parte dell’associato sulla gestione dell’impresa, posto che diversamente si desume dall’articolo 2552 c.c., comma 3, sia la circostanza (valorizzata al contrario nel caso dal giudice di merito) che la partecipazione possa essere commisurata al ricavo dell’impresa anziche’ agli utili netti, in quanto l’articolo 2553 c.c. consente alle parti di determinare la quantita’ della partecipazione dell’associato agli utili (Cass. 8/10/2008,n. 24871; Cass. 18/4/2007,n. 9264, seguite da Cass. 18/2/2009, n. 3894; Cass. 27/1/2011, n. 1954; Cass. del 29/01/2015, n. 1692).
18. Si e’ altresi’ affermato che la riconducibilita’ del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del giudice del merito, volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalita’ di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti. Tale accertamento, se adeguatamente e correttamente motivato, non e’ censurabile in sede di legittimita’ (Cass. n. 24871/2008, cit.).
19. La labilita’ del confine tra rapporto di lavoro subordinato e associazione in partecipazione con apporto di prestazioni lavorative impone che l’accertamento sia condotto in modo rigoroso dovendosi rammentare che, con riguardo alle controversie la cui soluzione involge la questione dell’accertamento della natura subordinata o autonoma di un rapporto di lavoro, l’elemento decisivo che contraddistingue l’una dall’altra e’ l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro ed il conseguente inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell’organizzazione aziendale.
20. Costituiscono poi indici sintomatici della subordinazione, valutabili dal giudice del merito sia singolarmente che complessivamente, l’assenza del rischio di impresa, la continuita’ della prestazione, l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l’utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro (vedi tra le tante v. Cass. 17/4/2009, n. 9256; Cass. 9/3/2009, n. 5645; Cass. 28/9/2006, n. 21028; Cass. 24/2/2006, n. 4171; Cass. 25/10/2004, n. 20669). Si aggiunge, inoltre, che non si puo’ comunque prescindere dalla volonta’ delle parti contraenti e sotto questo profilo va tenuto presente il nomen iuris utilizzato, il quale pero’ non ha mai un rilievo assorbente, poiche’ deve tenersi conto, sul piano della interpretazione della volonta’ delle parti, del comportamento complessivo delle stesse, anche posteriore alla conclusione del contratto, con la conseguenza che in caso di contrasto tra dati formali e dati fattuali relativi alle modalita’ della prestazione, occorre dare prevalenza ai secondi (Cass. 21/10/2014, n. 22289; Cass. 27/7/2009, n. 17455; Cass. 23/7/2004, n. 13884).
21. Spetta dunque al giudice di merito accertare in maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel documento contrattuale si sia poi tradotto nella realta’ fattuale attraverso un coerente comportamento delle parti, ovvero se quest’ultimo possa ragionevolmente indurre a ravvisare la formazione di una diversa volonta’ negoziale (Cass.18/4/2007, n. 9264).
22. La Corte d’appello, pur libera di scegliere le fonti del proprio convincimento, selezionando quelle ritenute piu’ attendibili o maggiormente significative, non solo non ha affatto esaminato il contratto, a cui le parti hanno dato il nomen iuris di associazione in partecipazione, ma non ha neppure preso in esame le dichiarazioni testimoniali assunte nel giudizio di primo grado, in cui vi era la descrizione delle concrete modalita’ con cui si e’ svolto il rapporto.
23. La Corte territoriale ha cosi’ aderito acriticamente alla soluzione dell’attivita’ di lavoro subordinato, apparendo del tutto inadeguato e insufficiente il ragionamento presuntivo adottato, desunto dalla natura dell’attivita’ svolta (attivita’ commerciale al minuto) in mancanza di un qualsivoglia accertamento in ordine alle modalita’ con le quali si e’ in concreto attuato il rapporto, nonche’ la valorizzazione di un unico elemento, la commisurazione (di parte) del compenso al prezzo complessivo delle vendite, anziche’ agli utili, elemento pero’ non significativo, come sopra anticipato.
24. Ne’ possono invocarsi i principi affermati in Cass. 6/09/2007, n. 18692, – secondo cui la prestazione di attivita’ lavorativa onerosa all’interno dei locali dell’azienda (nella specie, commesso addetto alla vendita), comporta una presunzione di subordinazione, che e’ onere del datore di lavoro vincere, – giacche’ nella fattispecie esaminata era stato comunque accertato che il lavoro si era svolto con modalita’ tipologiche proprie di un lavoratore subordinato. Accertamento che, invece, e’ del tutto mancato nel caso in esame.
25. La sentenza deve quindi essere cassata, con rinvio ad altro giudice di appello che procedera’ ad un nuovo esame della controversia e provvedera’ anche alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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