Per errore su un “punto controverso”

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 26 febbraio 2020, n. 1418.

La massima estrapolata:

Per errore su un “punto controverso” si intende quello formatosi su un punto che nella sentenza impugnata è stato deciso in base all’apprezzamento delle risultanze processuali, alla loro valutazione e alla loro interpretazione da parte del Giudice; per errore revocatorio, rilevante ai fini dell’impugnazione, si intende invece quello che deriva da un mero “abbaglio dei sensi”, ovvero consiste in un “contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa”, contrasto immediatamente rilevabile come tale.

Sentenza 26 febbraio 2020, n. 1418

Data udienza 6 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8321 del 2015, proposto dalla signora En. Bo., rappresentata e difesa dagli avvocati Da. Gr. e Fe. Te., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Te. in Roma, largo (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Ca., Et. Fu., Ma. Pu. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Co. in Roma, via (…);
nei confronti
della Ed. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Cl. Se. Do., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Clarizia in Roma, via (…);
della It. – It. Co. Ge. S.r.l. non costituita in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, 16 aprile 2015 n. 1957, resa fra le parti, che ha in particolare respinto il ricorso principale nel ricorso in appello n. 7143/2014 R.G., proposto dalla predetta ricorrente in revocazione per la riforma della sentenza del TAR Liguria, sezione I, 28 maggio 2014 n. 807, la quale aveva respinto il ricorso n. 9/2014 R.G. proposto dalla ricorrente in I grado, attuale ricorrente in revocazione, per l’annullamento dei permessi di costruire 16 ottobre 2012 n. 1568 e 17 maggio 2013 n. 1768, rilasciati all’attuale controinteressata in revocazione dal Comune di (omissis) per la costruzione di un fabbricato plurifamiliare di civile abitazione situato in via (omissis) sul terreno distinto al catasto al foglio (omissis) mappale (omissis);
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Ed. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Da. Gr., Ma. Pu. e An. Cl.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La ricorrente in revocazione è proprietaria dell’abitazione in cui risiede -un appartamento in condominio che si trova a La Spezia, nel palazzo di via (omissis) interno (omissis), distinto al catasto al foglio (omissis) mappale (omissis) subalterno (omissis) e in tale sua qualità, previo accesso agli atti, ha a suo tempo impugnato i titoli edilizi relativi ad un intervento da realizzare sul terreno antistante, di proprietà della controinteressata in revocazione, distinto al catasto al foglio (omissis) mappale (omissis), intervento che consiste in un palazzo di quindici appartamenti ed è stato assentito con il permesso di costruire 16 ottobre 2012 n. 1568 e con il permesso di costruire in variante 17 maggio 2013 n. 1768 (v. ricorso in revocazione, pp. 5-6; si tratta comunque di fatti storici non controversi).
Con la sentenza 28 maggio 2014 n. 807 di cui in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso relativo.
In motivazione, per quanto qui direttamente rileva, ha respinto il motivo secondo il quale l’intervento avrebbe richiesto il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, pacificamente mancante, ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, perché localizzato su un terreno posto a distanza inferiore a 150 metri dal corso del torrente Calcinara, e quindi vincolato ai sensi dell’art. 142 comma 1 lettera c) dello stesso d.lgs. 42/2004.
Ha infatti ritenuto che al caso in esame si applicasse la deroga di cui all’art. 142 comma 2 del d.lgs. 42/2004, secondo il quale “La disposizione di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), g), h), l), m), non si applica alle aree che alla data del 6 settembre 1985: a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee A e B; b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate; c) nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell’articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865”.
Il TAR ha in particolare ritenuto che sussistesse l’ipotesi derogatoria di cui alla lettera a) del comma riportato: a suo avviso, la logica dell’esenzione dal vincolo sarebbe quella di evitarne l’incidenza su aree già fortemente urbanizzate e antropizzate, logica che richiede una valutazione rapportata alla data che la norma indica, ovvero al 6 settembre 1985. Ciò posto, sempre secondo il TAR, per ricostruire il regime urbanistico della zona interessata, si sarebbe dovuto tener conto anche degli strumenti semplicemente adottati a tal data, e in particolare della variante generale al Piano regolatore – PRG adottata con delibera consiliare 26 luglio 1982 n. 206. Tale variante ricomprendeva il terreno in questione nelle zone periferiche a prevalenza residenziale- REP, indicate come corrispondenti alle zone omogenee B e in alcuni casi alle zone omogenee C. Ciò posto, ad avviso del TAR il terreno in questione si doveva ritenere compreso nella zona B, e quindi beneficiario della deroga, in mancanza di prova da parte della ricorrente che invece di zona C si trattava (motivazione, pp. 7-9).
Sempre per quanto qui direttamente rileva, il TAR ha respinto il motivo secondo il quale l’intervento avrebbe richiesto la previa approvazione di uno strumento urbanistico attuativo – SUA, perché non richiesto dal piano urbanistico vigente (motivazione, p. 11).
Infine, il TAR ha respinto anche i motivi secondo i quali l’intervento non avrebbe previsto le opere di urbanizzazione primaria nella misura necessaria, ritenendo che gli spazi a parcheggio fossero stati correttamente calcolati tenendo conto anche degli spazi di accesso e di manovra, e che la rampa di accesso prevista fosse utilizzabile, data la sua pendenza del 22,5% e non del 40% così come sostenuto dalla ricorrente (motivazione, pp. 12-14).
Con la sentenza 1957/2015 della cui revocazione si tratta, questo Consiglio ha respinto l’appello proposto dalla ricorrente contro la predetta sentenza del TAR, e sui punti di interesse di cui si è detto ha motivato così come segue.
Quanto all’applicabilità al terreno in questione del vincolo relativo alla fascia di rispetto del torrente, questione oggetto del primo motivo di appello, la sentenza ha anzitutto ricordato la tesi dell’appellante, la quale aveva criticato la sentenza impugnata ritenendo incomprensibile che il TAR avesse ritenuto applicabile lo strumento urbanistico adottato, ma non avesse tenuto conto che in base all’art. 5 del PRG del 1961 l’area era stata classificata omogenea di tipo C.
Sul punto, la sentenza 1957/2015 ha ritenuto infondato il motivo corrispondente, ed ha sostenuto che fosse corretta la tesi del TAR, per cui si doveva guardare alla situazione al 6 settembre 1985, e che la deroga di cui all’art. 142 comma 2 del d.lgs. 42/2004 si applicherebbe anche alle zone C, se come nella specie destinate comunque ad edilizia residenziale come tale, a prescindere dal grado maggiore o minore di urbanizzazione.
La sentenza 1957/2015 ha poi ricordato l’altra tesi dell’appellante, per cui il Comune avrebbe dovuto provare egli stesso l’esistenza della deroga al vincolo, e che nel dubbio esso si sarebbe dovuto ritenere inesistente. Sul punto, ha infatti sostenuto che si tratterebbe non di prova di un fatto, ma di corretta interpretazione delle norme relative, e che la ricorrente, la quale avesse inteso contestare il criterio di classificazione del piano adottato di cui alla ricordata delibera 26 luglio 1982 n. 206 l’avrebbe dovuta impugnare in sede propria (motivazione, § 2.1).
Quanto alla necessità della previa approvazione di un SUA, la sentenza 1957/2015 non ha condiviso la tesi dell’appellante, espressa nel quinto motivo di appello, per cui lo strumento attuativo sarebbe comunque necessario per le aree di scarsa urbanizzazione; ha infatti ritenuto che tale criterio, di origine giurisprudenziale, non sia applicabile ove, come nella specie, la zona sia definita come urbanizzata dalle norme di piano, che consentono nuove costruzioni senza necessità di piano attuativo (motivazione, § 2.2).
Quanto alle questioni attinenti la sufficienza degli spazi a parcheggio previsti e l’adeguatezza della rampa di accesso, la sentenza 1957/2015 ha ritenuto che esse fossero oggetto dei motivi di appello secondo, sesto e settimo, e li ha respinti tutti, ritenendo rispettata la normativa (motivazione, § 3 lettere a, d ed e).
Contro questa sentenza, la ricorrente ha proposto ricorso per revocazione, sulla base di un unico complesso motivo, in cui deduce violazione degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4 c.p.c., per asseriti plurimi errori di fatto risultante dagli atti o documenti di causa, nei termini di cui subito.
Sul primo punto, l’asserita sussistenza del vincolo paesaggistico, secondo la ricorrente la sentenza 1957/2015 avrebbe commesso un primo errore riferendosi alla variante generale adottata con la citata delibera 26 luglio 1982, senza rendersi conto che essa, mai approvata, sarebbe decaduta alla data del 26 luglio 1987, ovvero decorsi i cinque anni di legge di durata massima delle misure di salvaguardia, e senza rendersi conto che, in quanto decaduta, essa non si sarebbe potuta impugnare. Secondo la ricorrente, se il Giudice della sentenza 1957/2015 si fosse accorto di ciò, non avrebbe potuto fare altro che accogliere l’appello (ricorso pp. 13-16 lettera A del testo).
Sempre sul primo punto, la sentenza 1957/2015 avrebbe commesso un secondo errore, anch’esso in tesi determinante dell’esito, nel ritenere che la qualificazione del terreno come appartenente o no ad una zona C costituisse questione di interpretazione giuridica e non di fatto (ricorso pp. 16-18 lettera B del testo).
Ancora sul primo punto, la sentenza 1957/2015 avrebbe commesso un terzo errore, anch’esso in tesi determinante dell’esito, nel ritenere l’area urbanizzata, perché si sarebbe dovuta considerare la situazione di scarsa urbanizzazione esistente alla data del 6 settembre 1985 (ricorso, pp. 18-19 lettera C del testo)
Sul secondo punto, l’insufficienza delle opere di urbanizzazione, nella specie dei parcheggi previsti e di un’idonea rampa di accesso, la sentenza 1957/2015 avrebbe errato nell’apprezzare i fatti, perché avrebbe confuso la strada ove si trova l’intervento, la strada privata perpendicolare a via Sarzana, con la strada provinciale che costituisce la via Sarzana vera e propria; dall’errore commesso, deriverebbe anche l’errato giudizio circa la non rilevanza degli elaborati grafici dell’intervento stesso, la cui mancata produzione da parte del Comune era stata censurata con un motivo distinto di appello (ricorso pp. 13-16 lettere D e F del testo).
Sul terzo punto, la necessità di un piano attuativo, infine la sentenza 1957/2015 avrebbe errato nel ritenerlo non necessario proprio perché, data la confusione fra le due strade di cui si è detto, avrebbe erroneamente ritenuto sufficienti le opere di urbanizzazione.
Tanto premesso, nella parte del ricorso dedicata alla fase rescissoria, la ricorrente sostiene che l’originario ricorso si sarebbe dovuto accogliere.
Hanno resistito la controinteressata, con atto 27 ottobre 2015, e il Comune, con atto 27 novembre 2015, ed hanno chiesto che il ricorso sia respinto.
Con memoria 3 gennaio e replica 16 gennaio 2020, la ricorrente ha insistito sulle proprie tesi.
Con memorie 3 gennaio e repliche 15 gennaio 2020, la controinteressata e l’amministrazione hanno sviluppato le loro difese, osservando che il ricorso, prima che infondato nel merito, è inammissibile, perché verte su punti sui quali la sentenza impugnata si è pronunciata; il Comune ha poi chiesto, per l’eventualità in cui si decida la fase rescissoria, di riesaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario perché tardivo dedotta nell’originario giudizio di I grado (memoria 3 gennaio 2020 p. 19).
All’udienza del 6 febbraio 2020, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, per le ragioni che seguono.
2. Ai sensi degli artt. 106 comma 1 c.p.a e 396 n. 4) c.p.c., la revocazione è proponibile “se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
Ciò posto, secondo costante giurisprudenza, per errore su un “punto controverso”, come tale non rilevante ai fini in esame, si intende quello formatosi su un punto che nella sentenza impugnata è stato deciso in base all’apprezzamento delle risultanze processuali, alla loro valutazione e alla loro interpretazione da parte del Giudice; per errore revocatorio, rilevante ai fini dell’impugnazione, si intende invece quello che deriva da un mero “abbaglio dei sensi”, ovvero consiste in un “contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa”, contrasto immediatamente rilevabile come tale. Così, per tutte, C.d.S. sez. IV 2 ottobre 2019 n. 6582, da cui le citazioni, e sez. V 11 agosto 2010 n. 5630, le quali rilevano che ciò è coerente con la natura eccezionale della revocazione, la quale, ove diversamente intesa, si trasformerebbe in un terzo grado di giudizio non previsto dalla legge.
3. Applicando i principi appena delineati al caso di specie, a semplice lettura della sentenza impugnata 1957/2015, si riscontra che i presunti errori fatti valere dalla parte ricorrente si qualificano, in ipotesi, come errori su punto controverso, e non come errori revocatori.
3.1 Come si è detto in premesse, la ricorrente deduce anzitutto che la sentenza 1957/2015 avrebbe errato nel ritenere la non sussistenza sulla zona del vincolo paesaggistico. Si risponde però che tale giudizio è il risultato di un apprezzamento e di una valutazione espliciti del punto, esposti al § 2.1 della motivazione in diritto, in particolare là dove la sentenza impugnata, respingendo in modo espresso la tesi dell’appellante, ritiene che la deroga al vincolo sia applicabile anche alle zone di tipo C, ove disciplinate, come nella specie sarebbe avvenuto da disposizioni che prevedono la destinazione residenziale, e là dove la stessa sentenza ritiene che si dovesse tener conto della situazione esistente al 6 settembre 1985. Si esprime all’evidenza un giudizio argomentato- non più sindacabile come tale lo si condivida o no- senza che di alcun abbaglio dei sensi si possa parlare. In particolare, la sentenza ha ritenuto, come si è detto, di dover considerare la situazione al 6 settembre 1985, e con ciò, per implicito, ma inequivocabilmente, ha affermato di ritenere irrilevanti vicende successive, ovvero la decadenza alla data successiva del 26 luglio 1987 della variante all’epoca ancora in vigore, decadenza che la ricorrente valorizza.
3.2 Sempre secondo quanto detto in premesse, la ricorrente ravvisa un ulteriore errore revocatorio nell’affermazione, a suo dire errata, per cui qualificare un terreno come compreso o no in zona C ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 costituirebbe questione di fatto e non di diritto. Nel caso di specie, però l’errore nemmeno sussiste, perché ai sensi dell’art. 2 del decreto medesimo le zone C sono quelle “destinate a nuovi complessi insediativi” non edificate o edificate entro i limiti ivi indicati: è evidente che calcolare una densità edificatoria può essere questione di fatto, ma verificare se una certa zona è destinata a complesso insediativo richiede comunque un’interpretazione delle norme urbanistiche.
3.3 Sempre sulla questione della sussistenza del vincolo, a dire della ricorrente la sentenza avrebbe commesso un ulteriore errore revocatorio nel ritenere l’area non scarsamente urbanizzata. Si risponde che la sentenza stessa ha espressamente motivato sul punto, a p. 9 dal quarto rigo, là dove ritiene rilevante “la già indicata situazione di urbanizzazione” a prescindere dal grado di essa: ancora una volta si esprime un giudizio argomentato, e non si cade in alcun “abbaglio dei sensi”.
3.4 Sulla questione della sussistenza o no delle opere di urbanizzazione, come detto in premesse la sentenza 1957/2015 avrebbe a dire della ricorrente confuso la strada privata perpendicolare a via Sarzana, con la strada provinciale che costituisce la via Sarzana vera e propria, e quindi per tal ragione non si sarebbe resa conto delle caratteristiche dei luoghi che, in ipotesi, non avrebbero consentito l’intervento principalmente per la pendenza della rampa di accesso ai parcheggi. Si risponde però che, al di là della denominazione delle strade, la sentenza impugnata a p. 15 dal settimo rigo della motivazione riporta correttamente la lunghezza e il dislivello della strada interessata e contesta espressamente, tenendo conto il risultato che da questi due parametri deriva, che la pendenza sia pari al 40% ritenuto dalla ricorrente, Ancora una volta, vi è un’argomentazione, che potrebbe anche essere errata, ma non rientra nell’errore revocatorio.
3.5 Quanto appena detto comporta che l’errore revocatorio non sussista nemmeno sull’ultimo punto denunciato, la non necessità di piano attuativo, desunta dalla sufficienza delle opere di urbanizzazione, anche qui argomentata al § 2.2 della motivazione a p. 9.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
5. La particolare complessità in fatto della controversia è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 8321/2015), lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza – Presidente FF
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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