Associazione in partecipazione e la Clausola volta ad attribuire agli associati alla cessazione del rapporto importi corrispondenti al valore patrimoniale dell’azienda

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 308.

Associazione in partecipazione e la Clausola volta ad attribuire agli associati alla cessazione del rapporto importi corrispondenti al valore patrimoniale dell’azienda

In tema di associazione in partecipazione, poiché l’associato non partecipa direttamente all’affare o all’impresa o non ha, conseguentemente, un diritto immediato agli utili, egli non può pretendere che gli sia attribuita, quale utile, nel corso del rapporto o al suo termine, una parte dei beni eventualmente prodotti con l’attività associata, bensì soltanto che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettantegli di utili ed all’apporto. Ne consegue che la clausola inserita nel contratto la quale riconosca, al termine del rapporto, il diritto dell’associato alla restituzione anche di eventuali incrementi patrimoniali che si dovessero verificare nel corso dell’attività dell’impresa, deve ritenersi nulla, in quanto completamente distonica rispetto alla disciplina dell’associazione in partecipazione

Ordinanza|| n. 308. Associazione in partecipazione e la Clausola volta ad attribuire agli associati alla cessazione del rapporto importi corrispondenti al valore patrimoniale dell’azienda

Data udienza 1 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Società – Associazione in partecipazione – Associato – Disciplina negoziale – Clausola volta ad attribuire agli associati, alla cessazione del rapporto, anche importi corrispondenti al valore patrimoniale dell’azienda – Nullità – Sussistenza –Fondamento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta da

Dott. MARULLI Marco – Presidente

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere Rel.

Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 38517/2019 R.G. proposto da

No.Gi., rappresentata e difesa dagli avv. Ca.Co. e Pi.Ma.Pa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ed.Ca., sito in Roma, via (…)

– ricorrente, controricorrente in via incidentale –

contro

Tr.An., rappresentata e difesa dagli avv. An.An., At.Sp. e Gi.Mi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Vi.Ca.Ia., sito in Roma, via (…)

– controricorrente, ricorrente in via incidentale –

No.An.

– intimato –

No.Ca.

– intimato –

No.Fe.

– intimato –

No.Pa.

– intimato –

No.Ca.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 1045/2019, depositata il 6 maggio 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 dicembre 2023 dal Consigliere Paolo Catallozzi;

Associazione in partecipazione e la Clausola volta ad attribuire agli associati alla cessazione del rapporto importi corrispondenti al valore patrimoniale dell’azienda

RILEVATO CHE:

– No.Gi. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, depositata il 6 maggio 2019, che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità della clausola n.(Omissis) del contratto di associazione in partecipazione del (Omissis) concluso tra la medesima ricorrente, Tr.An., Vi.No. e Be.No., confermando nel resto la decisione impugnata;

– dalla sentenza impugnata si evince che il giudizio traeva origine dalla proposizione da parte di Tr.An. di una domanda di simulazione del predetto contratto di associazione in partecipazione e della coeva relativa scrittura integrativa, in quanto dissimulanti un contratto di mutuo ritenuto nullo perché usurario, e, comunque, di nullità della clausola n.(Omissis) di contratto per vizio di causa e violazione del principio di corrispettività delle prestazioni, nonché, in via subordinata, di ulteriori domande di restituzione di somme indebitamente percepite da No.Gi. in esecuzione di tale contratto;

– in essa si dà atto che al giudizio era stato riunito altro da quest’ultima intrapreso – originariamente presso il Tribunale di Vicenza – di impugnazione della liquidazione della sua quota della associazione in partecipazione operata da un “collegio di arbitratori”;

– la Corte di appello ha riferito che il giudice di prime cure aveva declinato la sua competenza, in favore degli arbitri, in ordine a quest’ultimo giudizio, mentre aveva respinto le domande proposte da Tr.An.;

– ha, quindi, accolto il gravame da quest’ultima interposto limitatamente alla ritenuta nullità della clausola n.(Omissis) del contratto di associazione in partecipazione, avente ad oggetto la disciplina delle somme spettanti agli associati alla cessazione del rapporto;

– ha osservato, sul punto, che la previsione negoziale del riconoscimento agli associati, alla cessazione del rapporto, (anche) di importi corrispondenti al valore patrimoniale dell’azienda non era coerente con la causa del contratto di associazione in partecipazione e che l’autonomia delle parti non poteva spingersi sino al punto di riprodurre uno schema contrattuale – quello della gestione in forma societaria delle farmacie – che all’epoca era vietato dalla legge;

– il ricorso è affidato a un unico motivo;

– resiste con controricorso v, la quale propone ricorso incidentale, articolato in tre motivi;

– gli altri soggetti intimati non spiegano alcuna difesa;

– avverso il menzionato ricorso incidentale No.Gi. s.p.a. resiste con controricorso;

– le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;

CONSIDERATO CHE:

– va preliminarmente disattesa la richiesta, avanzata dalla ricorrente principale, di riunione del presente giudizio con quello contraddistinto al n. 19973/22 R.G., avente a oggetto il ricorso avverso la sentenza emessa nel processo di impugnazione del lodo reso sulla liquidazione della quota associativa, non ravvisandosi una situazione di pregiudizialità tra i due giudizi che renderebbe opportuna la trattazione congiunta degli stessi;

– nel merito, con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1418, 1421 e 2549 cod.

civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la previsione pattizia del diritto degli associati, alla cessazione del rapporto, al versamento da parte dell’associante di importi quantificati con riferimento non solo all’entità del capitale apportato, ma anche al valore dell’azienda costituisse una deviazione dalla causa tipica del contratto di associazione in partecipazione, tale da determinare la nullità della relativa clausola;

– il motivo è infondato;

– l’associazione in partecipazione si qualifica per il carattere sinallagmatico tra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota degli utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto, da quest’ultimo conferito, che può essere di qualsiasi natura purché avente carattere strumentale per l’esercizio di quell’impresa o per lo svolgimento di quell’affare (cfr. Cass. 22 giugno 2022, n. 20159; Cass. 20 giugno 2018, n. 16198; Cass. 21 giugno 2016, n. 12816; Cass. 17 aprile 2014, n. 8955);

– nell’associazione in partecipazione non si ha, dunque, la formazione di un soggetto nuovo, né la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell’affare o dell’impresa;

– da ciò deriva che l’affare o l’impresa rimangono di esclusiva pertinenza dell’associante, a questi soltanto continuano ad appartenere tutti i mezzi per la conduzione dell’uno o dell’altra e tutti i relativi poteri di gestione e di decisione ed è questi solo che acquista i diritti ed assume le obbligazioni nei confronti dei terzi e che fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell’associato;

– la partecipazione dell’associato nell’affare o nell’impresa è solo mediata e si esplica, in caso di risultati positivi, nella forma del riconoscimento di un suo diritto di credito nei confronti dell’associante avente a oggetto la liquidazione della quota convenuta degli utili, mentre, in caso di risultati negativi, di un suo diritto a vedere circoscritta la sua responsabilità in misura corrispondente alla quota di partecipazione agli utili e, comunque, non superiore al valore dell’apporto;

– alla cessazione del contratto, una volta esaurite le relative attività liquidatorie, diviene esigibile il diritto alla restituzione dell’apporto, sempre che siano derivati utili;

– poiché l’associato non partecipa direttamente all’affare o all’impresa o non ha, conseguentemente, un diritto immediato agli utili, egli non può pretendere che gli sia attribuita, quale utile, nel corso del rapporto o al suo termine, una parte dei beni eventualmente prodotti con l’attività associata, bensì soltanto che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettantegli di utili e all’apporto (cfr. Cass. 24 giugno 2011, n. 13968; Cass., 17 maggio 2001, n. 6757);

– con particolare riferimento a una clausola del contratto di associazione in partecipazione che riconosce, al termine del rapporto, il diritto dell’associato alla restituzione (anche) degli eventuali incrementi patrimoniali che si dovessero verificare nel corso dell’attività dell’impresa, va richiamata la menzionata sentenza di questa Corte n. 13968 del 2011, la quale ha affermato che tale clausola risulta “completamente distonica rispetto alla disciplina dell’associazione in partecipazione” e che “l’argomento secondo cui l’art. 2553 c.c. non precluderebbe la possibilità di convenire la possibilità, per l’associato, di ottenere una quota corrispondente all’incremento dell’azienda e all’avviamento, prova troppo”, dovendosi considerare che il riconoscimento di una quota del patrimonio dell’associante riflette lo schema tipico del rapporto societario e si colloca su un versante del tutto diverso rispetto alla figura disciplinata dagli artt. 2494 e segg. c.c.;

– tale decisione ha, inoltre, aggiunto che l’inserimento di una siffatta clausola, dal contenuto assolutamente atipico, viene a integrare “l’ipotesi del negozio complesso, al quale, secondo un orientamento pressoché unanime, deve applicarsi la disciplina del contratto la cui funzione, nella combinazione degli elementi, è in concreto prevalente”, con la puntualizzazione che “gli elementi riconducibili al negozio non prevalente, nel rispetto dell’autonomia privata, non possono essere considerati privi di rilevanza giuridica, a condizione che non risultino incompatibili con la regolamentazione del contratto che funge da principale negozio di riferimento”;

– la Corte di appello ha espressamente posto a fondamento della sua decisione i riferiti principi – ormai consolidatisi nel tempo e coerenti con le più avvertite riflessioni dottrinali sulla natura del contratto di associazione in partecipazione – e ne ha fatto conseguire che il riconoscimento del diritto dell’associato a una quota del patrimonio dell’associante al termine del rapporto si rivelava del tutto incompatibile con il contratto di associazione in partecipazione e che l’autonomia delle parti non poteva spingersi fino al punto di riprodurre un modello contrattuale vietato dalla legge applicabile all’epoca dei fatti, la quale vietava la gestione delle farmacie in forma societaria;

– la persuasività dei richiamati principi di diritto, fedelmente applicati dal giudice di appello, non appare scalfita dalla pronuncia di questa Corte n. 24684 del 4 novembre 2013, su cui la ricorrente principale impernia la sua argomentazione difensiva;

– va, infatti, premesso che quest’ultima pronuncia muove dalla tesi per cui il contratto di associazione avrebbe natura associativa, senza confrontarsi con l’orientamento di questa Corte, formatosi precedentemente a tale pronuncia e ribadito in epoca successiva alla stessa, della natura sinallagmatica del negozio;

– inoltre, siffatta decisione sembra concentrare la sua attenzione sul punto – peraltro, affrontato in relazione a un motivo con cui era denunciato un vizio di motivazione – riguardante la possibilità per le parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, di regolamentare gli effetti economici dello scioglimento del contratto che riconosca all’associato anche un diritto sul valore dell’azienda, ma non si sofferma sull’ulteriore profilo – elevato dalla Corte di appello a sostegno della ritenuta nullità della clausola contestata – della violazione dei limiti posti dall’art. 1322 cod. civ. all’esercizio dell’autonomia contrattuale con riferimento al divieto di esercitare le farmacie in forma societaria, ritenuto vigente all’epoca dei fatti;

– in ordine a tale aspetto, dunque, la sentenza n. 24684 del 4 novembre 2013, invocata dalla ricorrente principale, non appare concludente, né la statuizione della Corte di appello sul punto specifico dell’accertato divieto di svolgimento delle farmacie secondo il ricorso al modello societario risulta essere stata oggetto di specifica censura;

– con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce la violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 24 Cost., nonché degli artt. 112, 329, 342 e 819-ter cod. proc. civ., per aver la Corte di appello disatteso la sua domanda restitutoria conseguente alla declaratoria di nullità della clausola n. (Omissis) del contratto di associazione in partecipazione; – evidenzia, in proposito, che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la domanda avesse a oggetto la restituzione dell’apporto versato all’associata e non, invece, la restituzione delle somme a questa versate in esecuzione della clausola dichiara nulla;

– il motivo è inammissibile;

– dall’esame della decisione – benché, per la verità, non molto lineare sul punto – sembra evincersi che, come rilevato dalla stessa ricorrente incidentale, la Corte di appello ha ritenuto che la domanda restitutoria versasse sulla restituzione delle somme versate all’associata quale restituzione dell’apporto originariamente conferito e, in tal senso, sembra militare il riferimento al relativo importo, indicato in euro 1.200.000,00, che corrisponde a quanto richiesto dall’associante a tale titolo (cfr. pag. 40 del controricorso);

– orbene, l’erronea interpretazione delle domande e delle eccezioni non è censurabile in cassazione per error in judicando, perché la relativa doglianza non pone in discussione il significato della norma, ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546), investendo un tipico accertamento di fatto a questi riservato (cfr. Cass. 22 novembre 2023, n. 27181; Cass. 9 maggio 2022, n. 14669; Cass. 16 novembre 2018, n. 29609);

– con il secondo motivo la ricorrente incidentale si duole della violazione degli artt. 1322, secondo comma, 1418, 1419 e 2033 cod. civ. e 11 e 12, l. 1968, n. 475, per aver la sentenza impugnata limitato la declaratoria di nullità alla sola clausola n. (Omissis) e non all’intero contratto;

– evidenzia, sotto diverse angolazioni, che la volontà delle parti era stata nel senso di dare luogo a una forma associata della gestione della farmacia, di cui la clausola n. (Omissis) costituiva elemento essenziale;

– il motivo è inammissibile;

– la valutazione in ordine all’idoneità di clausole ritenute nulle a travolgere integralmente o meno il contratto cui sono apposte richiede un apprezzamento in ordine alla volontà delle parti, quale obiettivamente ricostruibile sulla base del concreto regolamento di interessi, che è rimesso al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se non nei limiti, non prospettati dalla ricorrente incidentale, di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 5 maggio 2003, n. 6756; Cass. 5 luglio 2000, n. 8970);

– con l’ultimo motivo la ricorrente incidentale lamenta la violazione dell’art. 2033 cod. civ., per aver la Corte di appello disatteso la domanda di ripetizione di indebito avente a oggetto utili versati agli associati in misura superiore a quelli effettivamente spettanti;

– il motivo è inammissibile;

– il giudice di merito ha escluso che siano stati erogati in favore degli associati utili in modo non coerente con le previsioni contrattuali, evidenziando che non vi era riscontro dell’allegazione della parte al riguardo e sottolineando che l’associante era titolare della gestione dell’azienda, l’aveva esercitata senza che si fossero verificate indebite interferenze degli associati e, in tale veste, aveva curato la relativa rendicontazione;

– orbene, la doglianza articolata, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito che non può essere ammessa in questa sede (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);

– per le suindicate considerazioni, pertanto, il ricorso principale non può essere accolto e quello incidentale va dichiarato inammissibile;

– in considerazione della reciproca soccombenza, appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi principale e incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 1 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2024.

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