Appropriazione indebita per il dipendente dell’istituto di credito

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|3 agosto 2021| n. 30304.

Appropriazione indebita per il dipendente dell’istituto di credito.

È ravvisabile il reato di appropriazione indebita allorché il dipendente dell’istituto di credito abbia concesso un fido al cliente, con violazione, in accordo con lo stesso, delle norme sugli affidamenti stabiliti dall’istituto, sostanziandosi la condotta suddetta in un’arbitraria disposizione dei beni dell’istituto a profitto di terzi. Al riguardo, la sussistenza di possibili rientri da parte del cliente o l’esistenza di parziali garanzie pure offerte non vale ad accreditare la sussistenza di un “rischio di impresa” giustificativo la natura delle operazioni ed escludente la fattispecie penale poiché la violazione delle norme interne ovvero il superamento delle proprie competenze integra l’ipotesi sotto il profilo oggettivo, residuando, quindi, l’obbligo di valutare la sussistenza del dolo ricavabile dalle modalità delle operazioni e in particolare dalla reiterazione delle condotte e dalla entità degli affidamenti, oltre che dai rapporti tra clienti affidati e funzionari dell’istituto.

Sentenza|3 agosto 2021| n. 30304. Appropriazione indebita per il dipendente dell’istituto di credito

Data udienza 8 giugno 2021

Integrale

Tag – parola: Notaio – Riciclaggio – Dipendenti della Banca di Roma – Affidi in favore del gruppo – Conferma della condanna per il notaio – Motivazioni – Deposito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IMPERIALI Luciano – Presidente

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – rel. Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/06/2020 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio alla corte di appello per tutte le posizioni;
uditi i difensori:
avv.to (OMISSIS) in sostituzione dell’avv.to (OMISSIS) per la parte civile il quale conclude per il rigetto dei ricorsi e deposita conclusioni e nota spese;
avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) il quale chiede l’accoglimento del ricorso;
avv.to (OMISSIS) in sostituzione dell’avv.to Tripodi per (OMISSIS) che si riporta ai motivi di ricorso chiedendo l’annullamento senza rinvio ed in linea subordinata l’annullamento con rinvio;
avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) il quale chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;
avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) che si riporta ai motivi di ricorso e conclude per l’annullamento senza rinvio;
avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) che insiste per l’accoglimento dei motivi;
avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) che insiste per l’accoglimento del ricorso; avv.to (OMISSIS) per lo stesso imputato il quale si richiama ai motivi e chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza di appello;
avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) il quale chiede la cassazione senza rinvio della sentenza;
avv.to (OMISSIS) in sostituzione dell’avv.to (OMISSIS) per l’imputata (OMISSIS) che chiede l’accoglimento del ricorso;
avv.to (OMISSIS) in sostituzione dell’avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) che insiste per l’accoglimento del ricorso;
avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) che si riporta ai ricorsi ed insiste per l’accoglimento degli stessi;
avv.to (OMISSIS) che si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento;
avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) che insiste nei motivi.

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza in data 17 maggio 2013, il tribunale collegiale di Roma, assolveva (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati di appropriazione indebita e truffa loro rispettivamente contestati ai capi B) e B1) della rubrica perche’ i fatti non sussistono. Con la stessa sentenza, il tribunale di Roma, assolveva gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di riciclaggio loro ascritto al capo E), (OMISSIS) dal reato di riciclaggio ascritto al capo D), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato loro ascritto al capo H), ritenendo insussistenti anche tali episodi agli stessi rispettivamente ascritti. Riteneva il giudice di primo grado che l’istruzione dibattimentale non avesse fatto emergere elementi sufficienti per ritenere le fattispecie di appropriazione indebita in capo ai dipendenti di (OMISSIS), contestate in relazioni ad una serie di operazioni compiute tra luglio e novembre del 2005 in favore del gruppo (OMISSIS)- (OMISSIS) e di societa’ riconducibili ai predetti imputati. In particolare, secondo l’impostazione del giudice di primo grado, l’imputazione aveva ad oggetto l’appropriazione indebita di somme della (OMISSIS) che erano state concesse sotto forma di crediti alla (OMISSIS) SPA l’11 agosto del 2005 per l’importo di 1.200.000 Euro ed il 30 agosto 2005 attraverso un nuovo fido di 600.000 Euro; infine, nel settembre-novembre 2005 si contestava che (OMISSIS) e gli altri imputati, nei rispettivi ruoli, avevano indebitamente aumentato gli affidamenti gia’ concessi attraverso l’apertura di nuovi conti correnti a favore di societa’ del gruppo (OMISSIS) mettendo a disposizione di dette compagini sociali linee di credito nella misura di 37 milioni di Euro a fronte di garanzie insufficienti.
Il giudice di primo grado, ricostruita sinteticamente l’attivita’ bancaria svolta, riteneva non essere emerso con certezza lo scostamento dei poteri deliberativi del (OMISSIS) quanto alla concessione di fidi nonche’ la riconducibilita’ delle operazioni al potere di sconfinamento da parte dello stesso nell’affidamento dei crediti, nonche’ riteneva non dimostrato che le somme erogate fossero poi confluite nella disponibilita’ del (OMISSIS) o del (OMISSIS). Quanto all’operazione di apertura di conti correnti in favore di societa’ del gruppo (OMISSIS) ed alla concessione di linee di credito nella misura di 37 milioni di Euro, il giudice di primo grado riteneva che detti affidamenti riguardavano tutte operazioni immobiliari e dovessero ritenersi adeguatamente garantite attraverso obbligazioni Capitalia; inoltre, sottolineava ancora il tribunale, la conoscenza delle operazioni in questione da parte dei vertici della banca doveva far escludere la responsabilita’ per fatti del dipendente.
1.2 Proposto appello dalla parte civile (OMISSIS) e dal procuratore della Repubblica di Roma, la Corte di appello di Roma, con la pronuncia del 30 giugno 2020, in completa riforma della sentenza del tribunale, condannava (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alle pene di legge ritenendoli responsabili delle fattispecie di riciclaggio loro rispettivamente ascritte ai capi D), E), F) ed H) della rubrica; condannava i predetti al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile (OMISSIS). Dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione delle ipotesi di appropriazione indebita di cui al capo B), in essa assorbita la contestazione di truffa di cui al capo B1), nei confronti degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), condannando tutti i predetti al risarcimento dei danni patrimoniali nei confronti della parte civile (OMISSIS) da liquidarsi in separato giudizio. Condannava, altresi’, ai soli effetti civili: (OMISSIS) in relazione ai fatti contestati ai capi B) e B1) della rubrica, (OMISSIS) quanto al capo B1) della rubrica, (OMISSIS) in relazione ai fatti a lei contestati al capo E) della rubrica, (OMISSIS) quanto al delitto contestato al capo H) della rubrica.
Ribaltando il giudizio del tribunale, la Corte d’appello di Roma, dopo avere disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale procedendo alla audizione di tre testimoni, riteneva l’illegittimita’ degli affidamenti concessi nell’arco di tempo compreso tra luglio e novembre 2005 al (OMISSIS) ed al (OMISSIS) sotto lo schermo delle numerose societa’ loro controllate, stigmatizzando la rilevantissima entita’ dell’esposizione a carico del cosiddetto gruppo (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) per un importo di oltre 120 milioni di Euro che era stato poi ridotto ad 87 grazie ad un tardivo rientro di capitali; la messa a disposizione del gruppo (OMISSIS) di sempre maggiori liquidita’ veniva ritenuta operazione di appropriazione indebita del denaro della (OMISSIS) gestita in concorso tra i funzionari ed i beneficiari, circostanza questa che doveva ritenersi confermata anche dalla gratuita’ dell’acquisto di un immobile in favore della moglie del (OMISSIS) nonche’ da altre donazioni ricostruite nel corso del procedimento. Alla luce delle predette considerazioni la sentenza di appello riteneva la responsabilita’ del (OMISSIS), direttore territoriale del polo crediti di (OMISSIS) centro, del (OMISSIS), account manager del predetto polo, del (OMISSIS), responsabile dell’area manager retail di Roma centro, del direttore dell’agenzia (OMISSIS) (OMISSIS), del consulente informatico dell’agenzia n. (OMISSIS) (OMISSIS), ritenendo tutte abusive le operazioni contestate ai capi di imputazione. Conseguentemente, le successive movimentazioni dei denari oggetto dei precedenti affidamenti illeciti, venivano ritenute integrare ipotesi di riciclaggio; in particolare, per (OMISSIS), si riteneva la responsabilita’ per il capo D) quanto al versamento sul conto corrente personale di due assegni provenienti dai conti aperti dal padre (OMISSIS) presso l’agenzia (OMISSIS) per il complessivo importo di 3.050.000 Euro; (OMISSIS) veniva ritenuta colpevole dei delitti di cui ai capi E) ed F) con riguardo alla richiesta di emissione di assegni circolari per l’importo di 669.500 Euro nonche’ in relazione al versamento sul suo conto (OMISSIS) presso (OMISSIS) della somma di sei milioni di Euro proveniente dalla (OMISSIS) successivamente movimentato attraverso ulteriori versamenti in conti riconducibili o alla (OMISSIS) medesima o al (OMISSIS).
Quanto al capo H), si riteneva l’illiceita’ dell’operazione riconducibile al (OMISSIS) il quale aveva versato sul suo conto una somma di 200.000 Euro proveniente da un conto intestato alla (OMISSIS) alimentato da un assegno tratto da (OMISSIS) autore delle appropriazioni indebite.
Ancora, in relazione al medesimo capo H), si riteneva sussistente la fattispecie di riciclaggio in relazione alle somme provenienti per un importo di tre milioni di Euro da (OMISSIS) trasferite alla societa’ Como, amministrata da (OMISSIS) e poi ritrasferite il 9 Marzo 2006 alla stessa (OMISSIS) su un diverso conto; sempre nel marzo la somma veniva poi accreditata ad una societa’ di costruzioni amministrata da (OMISSIS) e, dopo alcuni giorni, trasferita sul conto di Castelli Avolio dal quale venivano emessi 30 assegni circolari, 23 dei quali intestati al (OMISSIS) ed altri ancora intestati alla (OMISSIS).
Quanto alla (OMISSIS), si affermava la responsabilita’ in relazione al capo E) per una duplice condotta di riciclaggio: il concorso con la (OMISSIS) nell’occultamento della provenienza della somma di 669.000 Euro nonche’ la ricezione il 25 ottobre 2005 della somma di un milione di Euro sul conto corrente della predetta imputata.
1.3.1 Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati tramite i rispettivi difensori; l’avvocato (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS), deduceva, con il primo motivo, violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera c), in relazione agli articoli 530 e 591 c.p.p., articolo 568 c.p.p., comma 4, per avere la Corte di appello omesso di dichiarare inammissibile l’appello del pubblico ministero avverso i capi B) e B1) della sentenza di assoluzione pur riconoscendo l’intervenuta causa estintiva dei reati determinata dalla prescrizione. Al proposito, si deduceva che la sentenza di primo grado era divenuta irrevocabile per il capo C) della rubrica non avendo proposto appello il pubblico ministero in relazione a tale fattispecie di reato; pertanto, si lamentava non sussistere interesse all’impugnazione del pubblico ministero stante l’avvenuta prescrizione dei reati in data antecedente al deposito dell’appello ed aveva errato la Corte di merito nell’affermare l’interesse del pubblico ministero in forza della possibile ingiusta detenzione reclamabile dall’imputato in quanto, lo stesso, era stato attinto da un unico titolo cautelare relativo al delitto di cui al capo C), per il quale era intervenuta assoluzione non appellata dal pubblico ministero e quindi gia’ irrevocabile.
Con il secondo motivo lamentava violazione dell’articolo 606 comma 1 lettere c) ed e) codice procedura penale poiche’ la sentenza di appello aveva affermato la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e morali degli imputati, in relazione ai capi B) e B1), e cio’ benche’ la pronuncia assolutoria di primo grado non risultava appellata dal pubblico ministero nei confronti dell’imputato (OMISSIS) anch’esso concorrente nei predetti fatti con la conseguenza della irrevocabilita’ di tale pronuncia che aveva affermato l’insussistenza del fatto per carenza dell’elemento oggettivo; cio’ determinava un conflitto teorico di giudicati, caso possibile di revisione, ed il giudice d’appello non aveva pertanto correttamente apprezzato l’effetto preclusivo dell’intervenuta irrevocabilita’ della sentenza assolutoria risultante nei confronti del coimputato concorrente nel reato (OMISSIS).
Il terzo motivo deduceva analogo vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), con riferimento all’imputazione di cui al capo N) con il quale si contestava la fittizia attribuzione dell’immobile di (OMISSIS) dal (OMISSIS) alla moglie (OMISSIS), commessa al fine di agevolare il delitto di riciclaggio contestato alla stessa (OMISSIS) al capo P); invero, in virtu’ della mancata impugnazione ad opera del pubblico ministero della sentenza di assoluzione perche’ il fatto non sussiste contestato alla (OMISSIS) con riferimento al predetto capo P) si producevano analoghi effetti di quelli esposti con il precedente motivo; difatti l’assoluzione con forza di giudicato della (OMISSIS) dal reato di riciclaggio dimostrava chiaramente la non idoneita’ della intestazione fittizia a realizzare il risultato e, pertanto, spiegava i suoi effetti nel senso di travolgere la sussistenza stessa del reato contestato al capo N) per il quale la sentenza meritava essere annullata. Inoltre, l’accoglimento del secondo motivo, e quindi l’accertata insussistenza del delitto di appropriazione indebita, in quanto comportante l’esclusione della fattispecie presupposto, determinava l’esclusione sia dell’ipotesi riciclaggio quanto del delitto di intestazione fittizia.
Il quarto motivo lamentava violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), in relazione all’articolo 652 c.p.p., laddove la sentenza impugnata mancando di apprezzare l’irrevocabilita’ della sentenza assolutoria riportata dal coimputato non appellato per i fatti di appropriazione indebita, aveva affermato la responsabilita’ civile dell’imputato; l’annullamento delle statuizioni civili andava pertanto affermato per via dell’omessa motivazione offerta dalla Corte d’appello sul punto.
Il quinto motivo veniva proposto ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), sotto il profilo della violazione dell’articolo 578, dello stesso codice; infatti, la Corte territoriale, riformando la sentenza di assoluzione di primo grado aveva dichiarato la prescrizione e deciso sulla domanda per gli interessi civili proposti dalla parte civile al di fuori del presupposto indicato dal citato articolo 578 c.p.p., il quale prevede il potere del giudice d’appello di confermare le statuizioni civili solo a fronte di una pronuncia di condanna di primo grado, condizione insussistente nel caso in esame in cui l’impugnazione del pubblico ministero della parte civile aveva avuto ad oggetto una sentenza assolutoria. Al proposito, pur riportato l’orientamento contrario espresso dalla Sezioni Unite nella pronuncia 20508 del 2006, si sottolineava come tale soluzione conferisse una interpretazione della disposizione contraria al significato letterale della norma e come la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice penale non danneggiasse le pretese civilistiche della parte civile legittimata ad agire in sede civile. Sul punto, inoltre, si proponeva istanza di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di valutare se il giudice di appello e la Corte di Cassazione nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione possano a norma dell’articolo 578 c.p.p., decidere sulla impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza impugnata, anche quando nei confronti dell’imputato non sia stata pronunciata condanna generica alle restituzioni o al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
Con il sesto motivo si lamentava violazione di legge e motivazione carente e comunque illogica e contraddittoria quanto all’affermazione di responsabilita’ per i fatti di appropriazione indebita in relazione alla supposta collusione del ricorrente nelle condotte poste in essere dai dipendenti dell’istituto di credito; difatti, posto che l’appropriazione indebita si era consumata nel momento in cui i funzionari di banca avevano erogato ai clienti gli importi in contestazione eccedendo i limiti delle proprie competenze, rigidamente fissate dalle circolari interne, l’affermazione di responsabilita’ del concorrente extraneus nel reato del dipendente avrebbe dovuto essere fondata sulla prova che egli fosse al corrente del preciso contenuto dei limiti della discrezionalita’ del funzionario e della violazione della normativa interna di settore da parte dello stesso, non potendo essere invece affidata alla sola circostanza di essere risultato beneficiario degli importi erogati.
1.3.2 Con motivi aggiunti depositati in cancelleria la difesa deduceva ancora violazione di legge quanto al ritenuto concorso dell’imputato nell’appropriazione indebita c.d. bancaria nonche’ violazione di legge nella misura in cui tale reato era stato valutato quale delitto presupposto di altre condotte illecite; si esponeva che la collusione tra funzionari e clienti non poteva escludere l’irrilevanza penale della condotta del privato beneficiato, ignaro della violazione delle regole di discrezionalita’. Peraltro, la corte di appello, non aveva speso alcun argomento per dimostrare l’accordo criminoso tra il (OMISSIS) ed i funzionari.
Ancora si lamentava, quanto alla affermazione di responsabilita’ civile in relazione al capo N), non sussistere al momento dell’impiego del denaro un saldo negativo nei conti correnti del Notaio (OMISSIS); pertanto, il denaro trasferito al figlio (OMISSIS), non proveniva da fatti di appropriazione indebita mancando un saldo passivo del c/c le cui operazioni venivano anche ricostruite alla luce della consulenza del Dott. (OMISSIS) e che attestavano l’avvenuto versamento dei corrispettivi delle vendite di (OMISSIS) e (OMISSIS) srl.
Anche in relazione al capo E) venivano svolte analoghe considerazioni posto che l’importo dell’assegno versato alla (OMISSIS) non proveniva da conti affidati da (OMISSIS).
Infine, la corte di appello, non aveva considerato la garanzia personale prestata dal Notaio (OMISSIS) sugli affidamenti a favore di (OMISSIS) che escludeva la possibilita’ di configurare i contestati illeciti.
1.4 L’avv.to (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo ritenuto responsabile ai soli effetti civili, lamentava, con il primo motivo, violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e) in relazione all’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, per avere la Corte d’appello omesso di disporre la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva acquisita nel corso dell’istruttoria dibattimentale di primo grado; difatti, il giudice di secondo grado, aveva disposto la rinnovazione di istruttoria di soli tre testimoni ed aveva ricostruito l’accertamento dei flussi economici sui conti correnti delle societa’ riconducibili al (OMISSIS) e provenienti dall’agenzia n. (OMISSIS) sulla base delle (OMISSIS) dichiarazioni del teste (OMISSIS), senza procedere ad alcuna confutazione dei riscontri acquisiti con specifico riferimento alla posizione di (OMISSIS) ed alla sua attivita’ all’interno dell’istituto di credito e di (OMISSIS) in merito all’operazione economica avvenuta nel novembre del 2005, riguardante la cessione dell’immobile sito in (OMISSIS) alla societa’ (OMISSIS). La sentenza di appello aveva richiamato genericamente le dichiarazioni rese nel corso del giudizio di primo grado dagli imputati e dai testimoni che erano stati sentiti sul punto ma non aveva adeguatamente motivato essendosi limitata ad una rivalutazione delle prove dichiarative assunte nel giudizio di primo grado e ad una valutazione difforme delle stesse. La decisivita’ delle prove dichiarative rese nel corso del giudizio di primo grado emergeva chiaramente dalla motivazione del tribunale che aveva sottolineato come i testimoni del pubblico ministero non avevano chiarito l’individuazione dei limiti previsti dalla regolamentazione interna della banca al di sopra dei quali il (OMISSIS) non sarebbe stato legittimato a concedere i fidi, avevano sottolineato come i vertici della banca erano a conoscenza di tutte le operazioni, specificato che il (OMISSIS) non si era mai occupato di concessione di finanziamenti ne’ aveva alcuna posizione direttiva su tali aspetti, in quanto le sue competenze erano quelle di responsabile dell’area manager retail. Inoltre, per quanto riguardava la posizione di (OMISSIS), il tribunale aveva evidenziato l’assenza di qualsiasi collegamento personale con altri soggetti coinvolti a vario titolo nella vicenda dell’appropriazione indebita dei fondi di (OMISSIS); i giudici di appello avevano omesso qualsiasi confronto con tali dati probatori e non avevano adottato una motivazione rafforzata adeguata a sovvertire la pronuncia di primo grado; inoltre, doveva sottolinearsi che, anche nel caso di appello per i soli interessi civili, la giurisprudenza aveva specificamente disposto l’applicazione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, in caso di diversa valutazione di prova dichiarativa assunta in primo grado e la Corte di appello, quindi, aveva errato nel ribaltare la valutazione dello stesso materiale probatorio rispetto alla posizione degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) in violazione dell’obbligo di rinnovazione.
Con il secondo motivo si lamentava violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’articolo 192 c.p.p., e articolo 646 c.p., per avere la sentenza impugnata erroneamente applicato la norma penale per omissione, contraddizione e illogicita’ della motivazione sulla configurabilita’ del reato di appropriazione indebita a carico di (OMISSIS) di cui al capo B) dell’imputazione; al proposito, si era fatta applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui e’ configurabile il reato di appropriazione indebita quando i dipendenti di un istituto bancario concedano un finanziamento in collusione con il cliente senza pero’ che, tale principio, fosse contestualizzato con i riscontri istruttori acquisiti nel corso del dibattimento e riguardanti ruolo e funzione svolti dal (OMISSIS) all’interno dell’istituto di credito e senza alcun confronto con la produzione documentale difensiva; da tali elementi risultava che il ruolo di (OMISSIS) nell’organigramma della struttura della banca era quello di responsabile dell’area manager retail con scopo esclusivo di propulsione commerciale e non rientrava tra le sue facolta’ quella di deliberare fidi, autorizzare crediti ne’ di proporre gli stessi; dal mansionario della (OMISSIS) risultava che e’ di competenza esclusiva dell’area crediti la politica creditizia dell’istituto a cui spetta la corretta valutazione del merito creditizio. Inoltre, si valorizzava la circostanza che il coinvolgimento del (OMISSIS) nell’autorizzazione del finanziamento era stato escluso dal tribunale di primo grado che aveva valutato la mail ricevuta da (OMISSIS) come una mera comunicazione non rilevante al fine della concessione del finanziamento. Tutti i predetti elementi erano stati pretermessi dal giudice di appello il quale era giunto ad affermazioni apodittiche quanto alle presunte disposizioni che (OMISSIS) aveva dato al (OMISSIS) di inoltrare l’affidamento di 20 milioni di Euro, circa le rassicurazioni che (OMISSIS) avrebbe dato sull’affidabilita’ delle iniziative immobiliari di (OMISSIS) e circa l’avallo di (OMISSIS) della relazione di (OMISSIS) sull’entita’ dell’esposizione debitoria. Tutte tali affermazioni apparivano prive di riscontro istruttorio e contraddittorie rispetto alla documentazione richiamata e acquisita nel corso del giudizio ne’ erano state specificate quali sarebbero state le rassicurazioni del (OMISSIS) agli ispettori nella riunione del 18 novembre 2005.
Con il terzo motivo, lamentava difetto di motivazione per omissione ed illogicita’ sulla sussistenza del reato di riciclaggio contestato a (OMISSIS) al capo H) della rubrica; la sentenza aveva ritenuto configurata l’ipotesi delittuosa per effetto della movimentazione economica di tre milioni di Euro attraverso l’emissione di sei assegni circolari avvenuta tra la societa’ (OMISSIS) SPA e la societa’ (OMISSIS) SRL amministrata da (OMISSIS), importo successivamente ritrasferito alla (OMISSIS) su un conto diverso da quello dal quale era stato inoltrato; la Corte di appello aveva ritenuto sussistente il concorso nel riciclaggio sul presupposto che l’emissione degli assegni sarebbe avvenuta senza alcuna giustificazione ma nessuna argomentazione era stata offerta sugli elementi integranti la condotta delittuosa sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo; i giudici non si erano confrontati con tutte le argomentazioni difensive ed i riscontri istruttori acquisiti nel corso del giudizio di primo grado e che avevano ricostruito le ragioni del rapporto economico tra le due societa’ riconducibili all’operazione della vendita dell’immobile di via (OMISSIS) dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS). La Corte d’appello aveva omesso completamente di confrontarsi con il contenuto dell’esame del (OMISSIS) il quale avevo escluso di avere avuto rapporti di conoscenza prima della vendita dell’immobile con (OMISSIS) e con i rappresentanti della societa’ (OMISSIS) nonche’ con le dichiarazioni degli altri testimoni i quali avevano proprio ricostruito le vicende relative alla cessione di quell’immobile. In ogni caso, nel giudizio di primo grado, era stato accertato che gli assegni consegnati da (OMISSIS) a (OMISSIS) s.r.l. erano stati emessi il 3 novembre 2005 e quindi prima che l’agenzia (OMISSIS) concedesse i finanziamenti oggetto di contestazione al capo B) dell’imputazione; ne conseguiva che la provvista degli assegni utilizzati per la compravendita dell’immobile non era riconducibile a quella frutto del reato presupposto di appropriazione indebita cosi’ che il riciclaggio non poteva ritenersi configurabile. Ancora, la Corte di appello, non aveva offerto alcuna motivazione in ordine alla consapevolezza da parte di (OMISSIS) delle attivita’ illecite presupposte e l’affermazione di responsabilita’ si estrinsecava in argomentazioni del tutto apodittiche e disancorate dalla fattispecie concreta, sprovviste di riferimenti specifici e puntuali.
1.5 L’avv.to Stronati, nell’interesse dell’imputato (OMISSIS), lamentava, con il primo motivo, violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 576 e 578 c.p.p., per avere errato il giudice d’appello nel condannare l’imputato quale obbligato in solido al risarcimento del danno posto che lo stesso era stato assolto dal giudice di prime cure; si deduceva l’illegittimita’ della condanna emessa in sede di appello in riforma della sentenza di primo grado nonostante l’intervenuta causa estintiva del reato fosse maturata antecedentemente la pronuncia stessa; infatti, il tribunale ordinario di Roma, aveva assolto (OMISSIS) da tutti i fatti a lui ascritti con la sentenza del 17 maggio 2013; successivamente, e precisamente in data 30 luglio 2013, spirava il termine di prescrizione del reato di appropriazione indebita di cui al capo B) ed ancora prima in data 30 giugno spirava il termine di prescrizione per il reato di truffa di cui al capo B1) che il giudice di appello aveva ritenuto assorbito nei fatti di appropriazione indebita. I mezzi di gravame del pubblico ministero e della parte civile erano stati proposti solo dopo l’intervenuta maturazione della prescrizione e, ancora, il pubblico ministero non aveva appellato la sentenza nei confronti di (OMISSIS) che pertanto era passata in giudicato agli effetti penali. Nonostante cio’ la Corte d’appello aveva condannato il predetto ricorrente al risarcimento dei danni in favore della (OMISSIS) e tale decisione doveva ritenersi illegittima in quanto la condanna al risarcimento del danno puo’ essere adottata solamente nel caso in cui nel precedente grado di giudizio sia stata affermata con sentenza di condanna la responsabilita’ dell’imputato ex articolo 578 c.p.p..
Il secondo motivo lamentava violazione all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza del concorso nel reato di appropriazione indebita; premesse alcune considerazioni circa la tipicita’ del contributo causale del concorrente e la necessita’ di motivazione rafforzata nell’ipotesi di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, si sottolineava come la Corte di appello di Roma aveva fondato l’affermazione di responsabilita’ ai fini civili sulla base dei rapporti decennali del ricorrente con il notaio (OMISSIS), del ritrovamento di alcuni documenti all’interno dello studio del (OMISSIS) inerenti una delle societa’, sulle affermazioni dell’imputato in cui si sarebbe ammesso di sapere che il predetto Notaio era l’effettivo gestore di (OMISSIS) e (OMISSIS) s.p.a., ma, tali elementi, non bastavano a provare il concorso punibile e, soprattutto, l’adesione del ricorrente (OMISSIS) al disegno criminoso posto in essere dalle societa’ riconducibili al gruppo (OMISSIS) considerata la complessa struttura delle compagini sociali, i prestiti ed i fidi bancari. (OMISSIS), non solo non era a conoscenza dell’uso improprio di somme di denaro ma, al momento in cui era stata prospettata la concreta possibilita’, aveva chiesto di essere estromesso dalla societa’ (OMISSIS) di cui era amministratore unico, come risultava dalla lettera spedita a (OMISSIS) il 5 luglio del 2006. L’unico atto compiuto da (OMISSIS) in qualita’ di amministratore della (OMISSIS) era stato quello di ripianare il 25 novembre 2005 l’esposizione debitoria presso l’agenzia n. (OMISSIS) nella quale si era recato unitamente al Notaio rientrando dell’importo di 30 milioni di Euro; inoltre, il ricorrente, era stato amministratore della societa’ soltanto per pochissimi mesi da marzo 2005 a novembre del 2005 ed aveva compiuto nella sua qualita’ soltanto quell’atto di risanamento del debito. Quanto alla sequenza di eventi che avevano portato all’accreditamento in favore di societa’ del gruppo (OMISSIS) dei 37 milioni di Euro oggetto dell’appropriazione indebita, era assente qualsiasi coinvolgimento del ricorrente nella gestione ed utilizzo dei fondi medesimi. Doveva, pertanto, ritenersi l’assenza di prove che in modo univoco dimostrassero la consapevolezza e l’adesione dell’imputato al sodalizio criminoso.
1.6 L’avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) deduceva con distinti motivi:
– vizio di motivazione in ordine all’eccepita inammissibilita’ dell’appello per prescrizione maturata in data antecedente la pronuncia di primo grado; al proposito si deduceva come il tempo del commesso reato si era protratto al massimo fino al 17 novembre 2005 cosi’ che la prescrizione si era compiuta al piu’ tardi il 16 maggio 2013 e, quindi, prima della pronuncia della sentenza di primo grado del 17 maggio 2013. Le prove conferite al proposito erano state ignorate dalla Corte d’appello e la data della consumazione del reato era dimostrata dalla relazione ispettiva della banca, dalla lettera di contestazione dell’addebito disciplinare del gennaio 2006 nonche’ dalle testimonianze rese in dibattimento. Difatti, nella contestazione dell’addebito disciplinare, la (OMISSIS) contestava al (OMISSIS) che i rapporti bancari della societa’ del gruppo (OMISSIS) erano stati tutti aperti in data 17 novembre 2005 e che nello stesso giorno erano stati deliberati a favore della societa’ i fidi cosi’ che era questo il momento consumativo;
– assenza di motivazione ed inosservanza di norme processuali in ordine alla ritenuta ammissibilita’ dell’appello del pubblico ministero e della parte civile; al proposito, si deduceva che l’appello del P.M. e’ ammissibile solo quando emerga un concreto interesse alla dichiarazione della causa di estinzione del reato, circostanza, questa, che non poteva valere nei confronti del ricorrente posto che nei riguardi del (OMISSIS) non era mai stata adottata alcuna misura cautelare personale o reale, cosi’ che, non congruente era la valutazione del giudice di secondo grado circa la possibilita’ di adire la procedura per l’ingiusta detenzione. In ogni caso, la Corte d’appello, aveva omesso di motivare quanto all’impugnazione della parte civile ed alla legittimita’ della stessa con conseguente vizio dell’affermazione di responsabilita’ con condanna al risarcimento del danno in capo al ricorrente;
– vizio di motivazione, mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), assenza di motivazione rafforzata; al proposito si deduceva la violazione delle regole giurisprudenziali elaborate in tema di ribaltamento della pronuncia di primo grado posto che non erano stati confutati specificamente gli argomenti della motivazione della prima sentenza ed era stata omessa l’analisi di decisivi elementi di prova risultanti dagli atti processuali; in particolare, il tribunale, aveva sottolineato come dai documenti prodotti e dalle testimonianze acquisite veniva riscontrata la tesi difensiva circa il fatto che i superiori del (OMISSIS) ed i vertici della banca fossero a conoscenza o potessero, comunque, conoscere tempestivamente le delibere di concessione dei fidi e intervenire prima delle erogazioni in caso di violazione delle procedure. Tali circostanze erano state ignorate dalla Corte d’appello che aveva assunto come indiscussa l’illegittimita’ delle operazioni bancarie senza procedere ad una rigorosa analisi critica della sentenza di assoluzione con conseguente vizio di mancanza ed illogicita’ manifesta della motivazione di appello.
1.7 Lo stesso avv.to (OMISSIS), per (OMISSIS), proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello riproponendo con le prime due doglianze i motivi eccepiti nel ricorso (OMISSIS) sia in relazione alla inammissibilita’ dell’appello del p.m. e della parte civile, per prescrizione del reato di appropriazione indebita prima della pronuncia di primo grado, che con riguardo all’assenza di interesse non essendo state adottate nei confronti del (OMISSIS) misure cautelari personali o reali.
Il terzo motivo deduceva violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sotto il profilo della mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione nonche’ assenza di motivazione rafforzata quanto alla violazione dei principi giurisprudenziali stabiliti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in ordine al contenuto argomentativo della sentenza di condanna in grado di appello pronunciata in riforma della decisione assolutoria di primo grado; al proposito, riportate le doglianze esposte nel ricorso del (OMISSIS), si deduceva, quanto alla specifica posizione del (OMISSIS), che la sentenza di appello aveva omesso di considerare le argomentazioni della sentenza di primo grado ed i dati probatori emersi nell’istruttoria dibattimentale procedendo ad una semplice valutazione differente dello stesso compendio probatorio senza alcuna effettiva efficacia persuasiva in grado di vanificare ogni ragionevole dubbio. Si sottolineava, inoltre, che, quanto al (OMISSIS), il tribunale di primo grado con riguardo alle operazioni di giro assegni aveva sottolineato che le stesse non fossero vietate ma costituiscono anticipazioni realizzate tramite la monetizzazione di assegni tratti su altra banca prima che sia verificata l’esistenza della relativa provvista, sulla base di un sistema fiduciario col cliente; e nel caso di specie il tribunale aveva richiamato le deposizioni di alcuni testimoni dalle quali risultava che nessuno degli assegni cosi’ movimentati si era rilevato senza provvista ed era stato poi oggetto di protesto, circostanza che doveva fare ritenere non configurabile il contestato reato
anche in relazione a tali operazioni.
1.8 L’avv.to (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS), lamentava con distinti motivi:
– vizio di motivazione per mancanza o manifesta illogicita’, travisamento della prova ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione all’affermazione di responsabilita’ per il capo E) dell’imputazione, sul punto relativo l’elemento oggettivo del reato; in particolare veniva contestato all’imputata di avere commesso il delitto di riciclaggio richiedendo due assegni circolari per complessivi Euro 669.500 tratti da un conto corrente intestato a (OMISSIS) SPA e, tuttavia, l’istruzione dibattimentale aveva fatto emergere in molteplici casi l’avvenuta falsificazione della firma della (OMISSIS), segretaria amministrativa del notaio (OMISSIS), che abitualmente si occupava degli adempimenti presso gli istituti di credito; nessuna verifica tecnica era stata effettuata sulle firme degli assegni e dei documenti bancari apparentemente sottoscritti dalla imputata e la consulenza d’ufficio, svolta nella parallela causa civile, aveva accertato che numerosi documenti riportavano proprio le firme false della ricorrente. La sentenza, pertanto, risultava viziata per carenza di motivazione nonche’ appariva manifestamente illogica nella misura in cui erano state giudicate irrilevanti le conclusioni della dottoressa Colapietro sulla falsita’ delle sottoscrizioni degli assegni solo perche’ si trattava di affermazioni provenienti da consulente tecnico di parte;
– vizio di motivazione in relazione al capo E) dell’imputazione posto che la Corte territoriale aveva ritenuto l’illegittima provenienza della somma utilizzata per l’acquisto dell’immobile in considerazione del fatto che gli assegni circolari per complessivi 669.500 Euro erano stati tratti su un conto corrente con un saldo di appena 40.000 Euro e quindi sprovvisto di adeguata copertura. Tale circostanza, pero’, non poteva ritenersi idonea a dimostrare che la provvista fosse stata costituita con denaro di provenienza delittuosa derivante dal delitto presupposto di cui al capo B); inoltre, si era travisato un elemento decisivo costituito dalla prova che la provvista utilizzata per l’emissione di quegli assegni circolari era stata costituita dalle somme oggetto di bonifici effettuati dal dottor (OMISSIS), acquirente dello stabile di (OMISSIS), e su tali elementi la corte di appello aveva completamente omesso di confrontarsi;
– mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione, erronea applicazione dell’articolo 648 bis c.p., in relazione all’elemento soggettivo del reato di cui al capo E) dell’imputazione; al proposito si sottolineava come il giudice di primo grado aveva assolto la (OMISSIS), segretaria del notaio (OMISSIS), posto che la stessa si limitava ad ottemperare alle disposizioni del suo datore di lavoro senza avere alcuna conoscenza del saldo contabile del conto corrente da cui erano stati tratti gli assegni circolari ovvero della provenienza illecita delle somme di denaro confluite su detto conto corrente e sull’uso che sarebbe stato fatto degli assegni; quanto all’attribuzione da parte del giudice d’appello alla (OMISSIS) del ruolo di collegamento tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), tale affermazione era priva di qualsiasi riscontro e non risultava comunque compatibile con l’accertata falsificazione di numerosissime sottoscrizioni proprio da parte di (OMISSIS) nonche’ con le dichiarazioni del notaio (OMISSIS) che aveva escluso qualsiasi consapevolezza della (OMISSIS) con riguardo alle modalita’ di acquisto dell’immobile nonche’ con l’ulteriore circostanza del brevissimo lasso di tempo in cui la donna era stata membro del consiglio di amministrazione di (OMISSIS) per un periodo di appena un mese e mezzo da ottobre a novembre del 2005. Inoltre, la sentenza impugnata, aveva violato la disciplina in tema di riciclaggio e di elemento soggettivo con riguardo alla consapevolezza della provenienza delittuosa dell’oggetto ed in particolare delle somme versate sul conto corrente da cui erano stati tratti gli assegni circolari;
– vizio di motivazione per mancanza, manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della stessa nonche’ per travisamento della prova quanto all’affermazione di responsabilita’ per il capo F) dell’imputazione; le condotte contestate alla (OMISSIS), di avere di avere acceso il conto corrente presso (OMISSIS) e trasferito in due soluzioni somme pari ad Euro 2.000.000 e 4 milioni provenienti dal conto di (OMISSIS) poi riversate presso altro conto del (OMISSIS), non erano state accertate adeguatamente essendo emersi numerosissimi documenti bancari recanti sottoscrizioni apocrife della (OMISSIS) completamente ignorati dal giudice di appello; ne’ corretta appariva la motivazione della Corte d’appello quanto alla consapevolezza della (OMISSIS) in funzione della relazione avuta con il (OMISSIS) posto che questi era stato autore di numerosissime falsificazioni e poteva essere in via esclusiva l’autore del trasferimento dei fondi avendo ripetutamente violato il rapporto di fiducia tra i medesimi. In ogni caso, le dichiarazioni del Can, il quale aveva riferito di avere ricevuto le somme dalla (OMISSIS), erano state valutate dalla Corte d’appello in mancanza di qualsiasi riscontro violando la regola dettata dall’articolo 192 c.p.p., comma 3;
– vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla fattispecie di riciclaggio di cui al capo F) dell’imputazione in relazione alla provenienza delittuosa della provvista; infatti, le movimentazioni di cui al predetto capo di imputazione, che avrebbero dovuto integrare le illecite condotte di sostituzione, erano state effettuate il 9 e l’11 novembre e quindi in un momento antecedente l’appropriazione indebita dei 37 milioni di Euro confluita sul conto corrente di (OMISSIS) il 18 novembre 2005, cosi’ che non poteva configurarsi l’ipotesi del riciclaggio; inoltre, non poteva farsi riferimento alle aperture di credito collocate tra luglio e ottobre del 2005, perche’ non erano stati ricostruiti i passaggi diretti a dimostrare che le somme di denaro derivanti da quelle aperture di credito erano poi confluite sul conto corrente di (OMISSIS) dell’imputata;
– nullita’ della sentenza per inosservanza degli articoli 521 e 522 c.p.p., intervenuta condanna per un fatto diverso da quello contestato, posto che, la Corte di appello, aveva ritenuto la responsabilita’ dell’imputata quanto alla provenienza illecita delle somme, relative non al versamento dei 37 milioni di Euro ma rispetto a precedenti affidamenti concessi ad altri soggetti giuridici su altri conti correnti cosi’ da integrarsi l’ipotesi di fatto diverso rispetto a quello contestato al capo F) dell’imputazione; il mutamento del reato presupposto conferiva al reato di riciclaggio una connotazione materiale difforme da quella di cui alla contestazione e, quindi, l’attribuzione con la pronuncia di appello della responsabilita’ per un reato di riciclaggio di denaro di origine diversa da quella contestata aveva immutato il fatto e comportava la nullita’ della sentenza impugnata;
– erronea applicazione dell’articolo 648 bis c.p., manifesta illogicita’ della motivazione quanto al punto relativo al concorso nel reato presupposto poiche’, essendo stato attribuito alla (OMISSIS) un ruolo rilevantissimo di collegamento tra i due principali autori delle fattispecie presupposte, la stessa avrebbe dovuto concorrere nei reati commessi da (OMISSIS) e da (OMISSIS) e non anche rispondere di riciclaggio in relazione ai capi E) ed F);
– violazione di leggeRdifetto di motivazione quanto al punto relativo al trattamento sanzionatorio ed alla determinazione della pena base, all’aumento per la continuazione, alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche benche’ ne fosse stata fatta specifica richiesta nelle conclusioni depositate in sede di appello in considerazione dello stato di incensuratezza dell’imputata.
1.9.1 L’avv.to (OMISSIS), sempre nell’interesse dell’imputata (OMISSIS), deduceva con distinti motivi:
– manifesta mancanza della motivazione della sentenza di appello in relazione alle statuizioni civili e penali concernenti il capo E) dell’imputazione posto che, le argomentazioni della pronuncia, dovevano ritenersi apparenti nella parte in cui ritenevano incontestata l’operazione di richiesta di assegni circolari per l’importo di Euro 669.500, laddove la ricorrente aveva proprio sostenuto di non avere commesso il fatto come dimostrato dalla perizia di ufficio disposta nella causa civile che aveva accertato la falsita’ delle sottoscrizioni della (OMISSIS) e come confermato dalle dichiarazioni del Notaio (OMISSIS). La sentenza di appello, riformando la decisione di primo grado, non si era confrontata con detti argomenti difensivi che riguardavano specificamente l’attribuzione della condotta illecita alla (OMISSIS) violando l’obbligo di motivazione rafforzata;
– violazione di legge e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 646 e 648 bis c.p., in relazione al capo E) della rubrica, quanto alle statuizioni civili e penali adottate nella pronuncia di appello; al proposito, si rappresentava che la condotta consistente nella richiesta di emissioni di assegni circolari in assenza di provvista sufficiente, ove ritenuta attribuibile alla (OMISSIS), non poteva integrare il delitto di riciclaggio ma, al piu’, gli estremi del delitto presupposto di appropriazione indebita; tale, infatti, doveva ritenersi essere l’illegittima autorizzazione all’impiego a copertura dell’emissione di assegni circolari di fondi della banca in assenza di provvista legittimamente procurata dal privato; il concorso nel reato presupposto della (OMISSIS), escludeva la condotta di riciclaggio che richiede la realizzazione di condotte di sostituzione o trasferimento di denaro idonei ad ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa; peraltro, la sentenza impugnata, aveva sottolineato lo stretto legame esistente tra la (OMISSIS) e (OMISSIS), al quale sarebbe stata legata sentimentalmente, tra la (OMISSIS) ed il notaio (OMISSIS), del quale era segretaria, e tale ricostruzione confortava proprio la tesi del concorso nei reati presupposto attribuiti ai predetti;
– manifesta mancanza della motivazione in relazione all’applicazione degli articoli 646 e 648 bis c.p., violazione di legge e falsa applicazione delle disposizioni predette in relazione all’affermazione di responsabilita’ penale e civile quanto al capo F) della rubrica; le operazioni contestate erano state ricostruite dal giudice di appello con un eccesso di sintesi tale da integrare il vizio di mancanza di motivazione; la Corte di appello non aveva tenuto conto che la provvista originaria che affluiva al conto Etruria della (OMISSIS) faceva riferimento a soggetti giuridici di cui la (OMISSIS) era socia o amministratrice o di cui era delegata ad operare sui relativi conti correnti sicche’, se l’origine di tale provvista era il delitto di appropriazione indebita, la ricorrente non poteva che esserne concorrente e beneficiaria al pari del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS); peraltro, con memoria difensiva, la difesa aveva sottolineato che la (OMISSIS) aveva rivestito la carica di consigliere amministrazione della (OMISSIS) da ottobre a dicembre del 2005, che questa societa’ era una delle beneficiarie degli affidamenti ottenuti irregolarmente dalla (OMISSIS) (agenzia (OMISSIS)), cosi’ che, la (OMISSIS), aveva concorso nella condotta anteriore ai trasferimenti successivi di somme di danaro ed impossibile era applicare la normativa sulla punibilita’ dell’autoriciclaggio non ancora entrata in vigore al momento di consumazione dei fatti;
– manifesta mancanza della motivazione, violazione di legge e falsa applicazione delle disposizioni in tema di riciclaggio quanto alle condizioni di applicabilita’ della diminuente prevista dall’articolo 648 bis c.p., comma 3, in sede di determinazione della pena; la sanzione, infatti, era stata quantificata in anni sei di reclusione ed Euro 10.000 di multa; tuttavia doveva farsi applicazione del limite di pena stabilito dal comma 3 posto che il delitto presupposto era quello di appropriazione indebita che prevedeva alla data di consumazione dei fatti una pena inferiore del massimo ad anni 5 di reclusione; si lamentava, poi, il difetto di motivazione quanto alla determinazione della pena ed alla omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
1.9.2 Con memoria depositata in cancelleria, la difesa dell’imputata (avv.to (OMISSIS)), chiedeva dichiararsi l’annullamento con rinvio per prescrizione di entrambi i reati posto che i motivi proposti in relazione a ciascuno dei reati non potevano ritenersi inammissibili in assenza di manifesta infondatezza.
1.10 L’avv.to (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), lamentava con distinti motivi:
– inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza, violazione dell’articolo 591 c.p.p., comma 2, relativamente alla mancata declaratoria di inammissibilita’ dell’appello del pubblico ministero, avanzato nonostante l’evidente carenza di interesse, avuto riguardo alla intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi B), B1) e G) maturata prima del deposito dell’impugnazione; l’affermazione della Corte di appello, secondo cui l’interesse doveva radicarsi avuto riguardo alla possibilita’ di avanzare in futuro richieste di riparazione per ingiusta detenzione, si scontrava con la circostanza che il soggetto impugnante avrebbe dovuto palesare nel proprio gravame il risultato eventualmente favorevole conseguibile, circostanza questa non palesata dal pubblico ministero e contraddetta dalle conclusioni che il procuratore generale nell’udienza del giudizio di appello aveva assunto aderendo alla fondatezza dell’eccezione sollevata dalla difesa di tutti gli imputati;
– inosservanza della legge penale per mancanza di prova circa la sussistenza del reato presupposto, mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione emergente dalla sentenza impugnata; a tale proposito si deduceva che, nel procedimento avente ad oggetto l’imputazione di riciclaggio, e’ necessario che una fattispecie criminosa presupposta sia concretamente ipotizzabile mentre, nel caso di specie, non erano emersi elementi che potessero consentire di ritenere accertata la sussistenza del reato presupposto; al proposito della responsabilita’ per il capo H), infatti, si riportava la decisione del tribunale di primo grado il quale aveva ricostruito l’operazione di cessione dell’immobile di via (OMISSIS) da (OMISSIS) SRL a (OMISSIS) per il prezzo di 36 milioni di Euro di cui veniva versato l’importo di sei milioni di Euro per il pagamento dell’iva; pertanto non era stato acquisito alcun elemento circa la provenienza illecita delle somme transitate sul conto del (OMISSIS) e la conclusione della Corte di appello contrastava con il dato probatorio addotto dalla difesa del (OMISSIS) circa la provenienza lecita della somma in virtu’ di un finanziamento concesso da altro istituto di credito, mentre, la Corte di merito, aveva pretermesso del tutto tale ricostruzione al punto da integrare omessa motivazione sul reato presupposto.
1.11 (OMISSIS), con ricorso del proprio difensore avv.to (OMISSIS), deduceva violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), in relazione agli articoli 576 e 578 c.p.p., quanto alla condanna dell’imputato alle statuizioni civili sebbene nei suoi confronti la parte civile non avesse svolto e formulato alcuna richiesta ne’ diretta ne’ indiretta di riforma della sentenza di primo grado e di condanna al risarcimento dei danni cosi’ che si era formato il giudicato penale di insussistenza del fatto; violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione ai fatti di appropriazione indebita poiche’ il ricorrente era del tutto estraneo al cosiddetto gruppo (OMISSIS) e non era stato coinvolto nelle operazioni di aperture di credito ed esposizioni bancarie in danno della parte civile. Erronea applicazione della legge penale con riferimento alla condanna del (OMISSIS) in assenza di impugnazione da parte del P.M. e della parte civile. Con il terzo motivo lamentava vizio di motivazione risultante dagli atti del processo che attestavano l’estraneita’ del ricorrente alle presunte attivita’ illecite e, quanto ai fatti contestati in rubrica, mancata correlazione tra la sentenza di appello ed il capo di imputazione poiche’ la pronuncia di secondo grado aveva operato un ampliamento illegittimo della imputazione in danno del ricorrente; in relazione ai predetti motivi, il ricorrente deduceva che la parte civile aveva impugnato la sentenza di primo grado in maniera generica, non formulando nei confronti del (OMISSIS) alcuna doglianza ne’ menzionandolo specificatamente nell’atto di gravame cosi’ che, la domanda, doveva ritenersi nulla per mancata esplicitazione del petitum e della causa petendi non essendo stata formulata alcuna ricostruzione sulla base della quale fondare l’obbligo risarcitorio del ricorrente in danno della parte civile. La Corte di appello, poi, aveva esteso all’imputato comportamenti di riciclaggio che risultavano esclusi dal primo giudice e mai oggetto di impugnazione senza che vi fosse prova di contatti o legami tra il ricorrente, la (OMISSIS) ed il Notaio (OMISSIS).
1.12.1 Il difensore di (OMISSIS), avv.to (OMISSIS), deduceva con distinti motivi:
– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per mancata dichiarazione di inammissibilita’ dell’appello del pubblico ministero, relativamente ai capi B) e B1) della rubrica, per difetto di interesse, in ragione dell’intervenuta prescrizione del reato il 16 maggio 2013 per il (OMISSIS) e, comunque, tra la lettura del dispositivo della sentenza di appello ed il deposito della motivazione; al proposito, si rappresentava che la prescrizione per la posizione specifica del ricorrente che aveva commesso l’ultima condotta a lui attribuita il 16 novembre 2005 doveva ritenersi maturata il 16 maggio 2013 in assenza di ordinanze di sospensione e, quindi, il giorno precedente la sentenza di primo grado; ne’ poteva ritenersi corretta la conclusione della Corte di appello circa l’interesse del P.M. a proporre impugnazione in considerazione dell’avvenuta applicazione di misure cautelari e, quindi, al fine di impedire l’accoglimento di eventuali istanze di riparazione per ingiusta detenzione poiche’, per i reati di appropriazione indebita e truffa, di cui doveva rispondere (OMISSIS), la misura coercitiva non era stata mai applicata;
– inosservanza ed erronea applicazione di legge relativamente alla dichiarazione di responsabilita’ civile dell’imputato per i fatti a lui ascritti e alla conseguente condanna al risarcimento del danno per non essere la parte civile costituita nei confronti del (OMISSIS) e per essere le eventuali pretese comunque prescritte; al proposito, deduceva che all’udienza preliminare la posizione dell’imputato era stata stralciata il 26 gennaio 2009 quando la (OMISSIS) aveva chiesto di costituirsi parte civile con atto nei confronti di tutti gli imputati ad eccezione del (OMISSIS); alla successiva udienza del 9 Febbraio 2009 il fascicolo separato del ricorrente veniva riunito al principale senza pero’ che la (OMISSIS) si fosse mai costituita parte civile nei suoi riguardi e cio’ sia in fase di udienza preliminare sia in dibattimento poiche’ in nessuna delle udienze davanti al tribunale di Roma la banca aveva chiesto di costituirsi parte civile nei confronti di (OMISSIS); peraltro, la stessa sentenza di appello, aveva dato atto che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano formulato domande nei confronti di una serie di soggetti ad eccezione proprio del ricorrente nei cui confronti non vi era costituzione di parte civile e, pertanto, non avrebbe potuto essere pronunciata condanna al risarcimento del danno patrimoniale e morale ed alla refusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile;
– mancanza di motivazione laddove la Corte d’appello non individuava l’apporto causale di ciascun imputato per ogni episodio in contestazione ed erronea applicazione delle norme sul concorso di persone; al proposito si lamentava che non era stata specificata la condotta attribuibile al (OMISSIS), di cui si indicava soltanto il ruolo nel capo di imputazione e nella pronuncia d’appello che operava una semplicistica generalizzazione posto che l’imputato, come riferito anche dai testimoni, non aveva formulato proposte di affidamento in relazione ai fidi di 37 milioni di Euro alle sei societa’ del gruppo (OMISSIS);
– mancanza di motivazione laddove la Corte d’appello individuava la prova della responsabilita’ in condotte prive di efficienza causale nella consumazione del reato ed ometteva la valutazione di dichiarazioni testimoniali circa la prassi interna della banca; la Corte di appello, affermava la responsabilita’ del (OMISSIS) in qualita’ di account manager del polo crediti di (OMISSIS) centro e stretto collaboratore di (OMISSIS), senza pero’ che le comunicazioni a firma dello stesso avessero svolto alcuna efficacia causale nel procedimento deliberativo di affidamento dei crediti;
– mancanza della motivazione poiche’ la Corte si era limitata alla ricostruzione del fatto e non aveva sondato l’elemento psicologico dovendosi invece tenere in considerazione il rapporto di subordinazione del (OMISSIS) rispetto ai dirigenti (OMISSIS) e (OMISSIS); ancora erano stati pretermessi ulteriori elementi dai quali era emersa la possibilita’ riconosciuta in azienda di non attivare in casi eccezionali la procedura ordinaria e la mancata produzione dell’hard disk del computer di (OMISSIS) che avevano impedito di valutare il concreto comportamento degli organi dirigenziali della banca;
– contraddittorieta’ della sentenza nella parte in cui si ammetteva la conoscenza da parte dei vertici aziendali delle delibere di affidamento adottate in eccesso di potere, ipotizzando la correita’ nei fatti e, dall’altro, nella misura in cui le stesse dichiarazioni dei testi erano state utilizzate per escludere la conoscenza delle delibere; (OMISSIS), infatti, si era difeso affermando di avere costantemente partecipato i vertici aziendali del suo operato in relazione agli affidamenti, mentre, la Corte di appello, aveva ricostruito i fatti ritenendo che la prova della colpevolezza sarebbe dipesa dalle dichiarazioni dei vertici della banca di essere stati solo tardivamente notiziati; doveva pertanto ritenersi che (OMISSIS) e gli altri operatori bancari avevano agito in buona fede nella convinzione di operare nell’interesse dell’ente e la consapevolezza dei vertici determinava l’impossibilita’ di configurare la fattispecie di reato posto che se e’ pur vero che l’ente ha una sua autonomia giuridica, tuttavia la volonta’ dello stesso si esterna con le decisioni degli organi di amministrazione e quindi dei suoi vertici stessi;
– mancanza della motivazione laddove la Corte non affrontava il tema della verifica di attendibilita’ dei testi operatori bancari nonostante il contrasto delle ricostruzioni fattuali circa la genesi della conoscenza dei fatti;
– mancanza della motivazione in ordine alle utilita’ che taluni imputati avrebbero ricevuto senza alcun rilievo ed argomento specifico speso in relazione alla particolare posizione del (OMISSIS), rimasto totalmente estraneo ad eventuali vantaggi.
1.12.2 Con motivi aggiunti il difensore del (OMISSIS) insisteva nel motivo con cui si era dedotta l’inammissibilita’ degli appelli della parte civile e del P.M. per essere la prescrizione maturata anteriormente la pronuncia di primo grado. In ogni caso, si esponeva che non sussisteva la possibilita’ di radicare l’interesse del P.M. all’impugnazione in ragione dell’applicazione di misure cautelari per quei soggetti che, come il ricorrente, non ne erano stati destinatari.
1.13 L’avv.to (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), dichiarata civilmente responsabile nei confronti della parte civile (OMISSIS) per i fatti di cui al capo E), lamentava, con il primo motivo, nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione all’imputazione di riciclaggio, per mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine all’elemento oggettivo del reato; la pronuncia di secondo grado non aveva operato un serio confronto con le argomentazioni spese dal tribunale nella sentenza di assoluzione ed il giudice di appello non aveva specificato quale sarebbe stata la condotta di sostituzione e cioe’ quella tipizzante un concreto effetto dissimulatorio tale da rendere difficoltosa l’individuazione del bene di origine illecita; non si era indicato per quale motivo, l’acquisto dell’immobile indicato al capo E) dell’imputazione, avrebbe permesso di ostacolare l’identificazione del prodotto del reato presupposto, tanto piu’ che il denaro era circolato mediante un meccanismo tracciabile, un atto pubblico, ed approdato sul conto della moglie del notaio (OMISSIS). Inoltre, la Corte, aveva omesso di considerare gli elementi probatori dai quali si desumeva che la provvista utilizzata per l’emissione degli assegni circolari proveniva da conti del notaio (OMISSIS) alimentati con provviste personali e non della banca e cioe’ mediante i versamenti effettuati dall’acquirente dello stabile di (OMISSIS). Peraltro, la decisione della ricorrente di acquistare l’immobile, era maturata prima della nascita dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) come risultava dalla data di stipula del preliminare, concluso il 4 Marzo del 2004. Con il secondo motivo si lamentava nullita’ della sentenza per mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato la cui sussistenza era stata affermata dalla Corte di appello in forza di una contiguita’ temporale tra le contestate operazioni finanziarie e la distrazione delle somme che non poteva attribuirsi anche alla decisione di acquisto dell’immobile di cui al capo E) alla ricorrente, posto che al momento della ricezione della somma di un milione di Euro il 25 ottobre del 2004 la crisi del gruppo riferibile al notaio (OMISSIS) non si era ancora manifestata. Il giudice di appello, quindi, aveva fornito in relazione all’elemento soggettivo una motivazione in contrasto con le emergenze processuali. Il terzo motivo lamentava nullita’ della sentenza in relazione alla mancata rinnovazione di prova dichiarativa decisiva ai fini della decisione; ripercorsi gli orientamenti giurisprudenziali delle Sezioni Unite e l’introduzione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, si lamentava l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale anche in relazione alle prove dichiarative riguardanti i reati presupposto. Con il quarto motivo si deduceva nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera c), in quanto, il procuratore generale di appello, non aveva concluso in relazione alla posizione dell’imputata (OMISSIS) con conseguente nullita’ assoluta ex articolo 178 c.p.p., lettera b). Con il quinto motivo si deduceva la nullita’ della sentenza poiche’ la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilita’ del gravame della parte civile avverso la sentenza di primo grado sia perche’ mancante delle richieste anche di tipo istruttorio sia perche’ non esplicitava il petitum e la causa petendi; al proposito, si lamentava che la parte civile non aveva chiarito quali fossero gli elementi costitutivi il reato di riciclaggio in forza dei quali la ricorrente poteva ritenersi civilmente responsabile nei confronti di (OMISSIS) e l’analisi dell’atto di appello evidenziava argomentazioni concernenti esclusivamente il reato presupposto ma nessuna riguardante i sospetti flussi di denaro integranti l’ipotesi di cui all’articolo 648 bis c.p..
1.14 L’avv.to (OMISSIS), nell’interesse dell’imputato (OMISSIS), deduceva inosservanza di norme processuali ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla statuizione di responsabilita’ civile e di condanna al risarcimento dei danni pronunciata con riferimento al reato di cui al capo B) dell’imputazione, nonostante la maturazione della prescrizione in epoca antecedente la sentenza di primo grado; difatti, a fronte della pronuncia assolutoria di primo grado del 17 maggio 2013, la Corte di appello avrebbe dovuto tenere conto che il reato continuato di appropriazione indebita era stato consumato sino al 17 novembre 2005, data di approvazione degli affidamenti e concessione degli stessi, con la conseguenza che tutte le condotte risultavano estinte per intervenuta prescrizione in epoca antecedente la sentenza di primo grado essendo decorso al 17 maggio 2013 proprio il termine di 7 anni e mesi 6 previsto ex articolo 157 c.p.. Difatti, il termine iniziale di prescrizione doveva essere fissato nella data di consumazione di ciascuna delle contestate condotte rappresentate dalle singole delibere di concessione dei crediti che risultavano emanate tra agosto 2005 e il 17 novembre del 2005; pertanto, gli appelli del pubblico ministero e della parte civile, erano stati entrambi depositati dopo il decorso del termine di prescrizione con conseguente illegittimita’ della condanna al risarcimento dei danni che non poteva pronunciarsi quando la prescrizione era gia’ maturata anteriormente la sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo, si lamentava vizio della motivazione per inosservanza del canone di giudizio dell’al di la’ ogni ragionevole dubbio e per mancanza di motivazione rafforzata rispetto alla sentenza di primo grado; in particolare, si deduceva che il giudice di appello aveva disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale procedendo all’escussione dei soli testi del pubblico ministero e rigettando la richiesta di audizione degli ulteriori testi avanzata dalla parte civile in violazione della giurisprudenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite per la quale il giudice di secondo grado che riformi anche ai soli fini civili la sentenza assolutoria e’ obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale. Doveva, pertanto, ritenersi che il ribaltamento della decisione assolutoria a carico del (OMISSIS) era stato deliberato in assenza di nuova assunzione delle prove dichiarative poste a base dell’appello della parte privata; conseguentemente, era stato violato il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio per il rispetto del quale il giudice di appello e’ obbligato alla rinnovazione della prova ove questa, come nel caso delle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), sia stata posta a fondamento della decisione di assoluzione di primo grado, non potendo la riforma in appello basarsi su valutazioni difformi dello stesso materiale probatorio. La Corte di appello si era limitata ad affermazioni assertive, generiche ed aspecifiche affermando l’illegittimita’ della condotta di (OMISSIS) e svalutando i contributi dichiarativi di quei testimoni posti a fondamento della decisione di primo grado senza procedere all’audizione degli stessi. In particolare, il giudice di primo grado, aveva dato atto di come non si fosse stati in grado di individuare i precisi limiti dei poteri deliberativi attribuiti al (OMISSIS) in materia di erogazione dei fidi e come non fosse stato dimostrato che le somme erano pervenute nella disponibilita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’, con riguardo all’affidamento di 37 milioni di Euro, fosse rimasta incerta la circostanza della destinazione finale delle somme presumibilmente utilizzate per ripianare l’esposizione debitoria. Quanto all’affermazione della Corte d’appello, secondo cui irrilevante doveva ritenersi la difesa del (OMISSIS) fondata sulla circostanza che i vertici della banca erano stati messi al corrente dei finanziamenti, anche tale asserzione doveva ritenersi apodittica non essendo stati precisati: – il perimetro delle competenze del ricorrente in seno alla banca, – il doloso superamento di tale perimetro all’insaputa dei vertici dell’istituto, – l’esclusione del cosiddetto rischio d’impresa, – la sussistenza di un concorso ovvero della collusione con gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), – l’iter di acquisizione dell’immobile intestato alla moglie del (OMISSIS). Tutti tali aspetti, rimasti indimostrati da parte del giudice di appello, manifestavano l’assenza di una motivazione rafforzata idonea a ribaltare la sentenza di primo grado.
1.15.1 Gli avv.ti (OMISSIS) ed (OMISSIS), per (OMISSIS), premesse alcune considerazioni circa la struttura del delitto di riciclaggio ed il suo rapporto col reato presupposto, tali da ritenersi non rispettate nel caso in esame poiche’ la condanna relativa al capo D) dell’imputazione contestato a (OMISSIS) non riguardava somme di provenienza illecita movimentate dal ricorrente, deducevano, con il primo motivo, vizio della impugnata sentenza per mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, e violazione di norme processuali stabilite a pena di nullita’. Al proposito, si sottolineava come la Corte di appello di Roma, nell’affermare la responsabilita’ di (OMISSIS), in ordine al delitto di riciclaggio, non aveva rinnovato l’istruzione dibattimentale attraverso l’audizione della teste (OMISSIS) che aveva, nel corso dell’istruzione dibattimentale di primo grado, fornito giustificazioni in ordine alle motivazioni dei versamenti di somme di denaro ad entrambi i fratelli, dovute ad una anticipazione della divisione ereditaria, escludendo, quindi, la natura illecita dell’operazione compiuta da (OMISSIS). Pertanto, il giudice di appello, aveva violato l’obbligo dettato dall’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis. Inoltre, la Corte di appello, aveva disposto la rinnovazione istruttoria attraverso l’esame dei soli testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), senza rispettare l’obbligo di rinnovazione con riferimento alla specifica posizione di (OMISSIS), assolto all’esito del giudizio di primo grado sebbene con motivazione mancante; difatti la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale di appello non aveva avuto ad oggetto la condotta posta in essere dall’imputato e, quindi, la Corte di merito aveva violato l’obbligo di rinnovare le prove dichiarative che lo riguardavano.
Con un secondo motivo si deduceva mancanza di motivazione rafforzata in relazione ad aspetti decisivi della responsabilita’ di (OMISSIS) ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e); svolte alcune considerazioni in ordine all’obbligo di motivazione rinforzata incombente sulla Corte di appello in caso di riforma della pronuncia assolutoria, si contestava che il giudice di secondo grado aveva proceduto ad una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio considerato dal tribunale senza fornire alcuna specifica giustificazione dell’affermazione di responsabilita’ e cio’ benche’ il giudice di primo grado aveva omesso di motivare sulla specifica contestazione mossa al ricorrente. Difatti, era mancato il confronto con le argomentazioni difensive esplicitate anche in una dettagliata memoria prodotta nel giudizio di primo grado; inoltre, mancava la motivazione in ordine al reato presupposto del delitto di riciclaggio e, quanto al versamento di somme di provenienza irregolare, la Corte di appello non aveva chiarito quali sarebbero state le specifiche irregolarita’ riguardanti i conti aperti da (OMISSIS) e dai quali provenivano i due versamenti a favore di (OMISSIS). Per potere affermare che le somme presenti nei predetti conti intestati a (OMISSIS) fossero provento di attivita’ delittuose non era sufficiente fare riferimento ad affidamenti irregolari e quindi mancava qualsiasi motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato presupposto. Analogamente si deduceva mancanza di motivazione rafforzata in relazione all’elemento soggettivo, poiche’ non erano stati indicati gli elementi sulla base dei quali ritenere che (OMISSIS) fosse consapevole della provenienza delittuosa del denaro ricevuto, nulla sapendo lo stesso dei rapporti tra il padre ed i vertici della banca e la crisi di tale relazione.
Con il terzo motivo si lamentava contraddittorieta’ ed illogicita’ della motivazione sotto il profilo del vizio di travisamento della prova in relazione ad aspetti decisivi poiche’ l’affermazione che le somme erano di provenienza irregolare doveva ritenersi in contrasto con la produzione documentale in atti, dalla quale risultava che i due conti dai quali erano stati tratti i due assegni, uno di un milione di Euro consegnato a (OMISSIS) il 20 ottobre 2005 e l’altro di 2,05 milioni di Euro consegnato in data 4 novembre, non erano mai stati oggetto di affidamento e, quindi, di somme provenienti da appropriazione indebita in danno della banca. Difatti i due sconfinamenti citati nelle schede tecniche richiamate dalla sentenza di appello, erano stati autorizzati nelle date dell’11 e del 14 novembre 2005 e quindi in un momento successivo rispetto all’emissione degli assegni in favore di (OMISSIS); conseguentemente, non poteva configurarsi il contestato reato e non risultava mai smentita la ricostruzione operata dalla teste (OMISSIS) circa la causale dei versamenti per complessivi tre milioni di Euro inseriti in una trattativa tra fratelli per una divisione anticipata dell’eredita’ paterna.
Con il quarto motivo si lamentava mancanza di motivazione rafforzata in relazione alla sussistenza delle appropriazioni indebite contestate ai capi B) e B1) della rubrica, al concorso di (OMISSIS) in tali reati e, quindi, alla sussistenza del delitto presupposto della fattispecie di riciclaggio contestata a (OMISSIS). La motivazione della Corte d’appello aveva fatto generico rinvio alle prove acquisite in atti ma non si era soffermata su aspetti rilevanti delle dichiarazioni dei testi, addirittura procedendo ad un ampliamento delle contestazioni riguardanti l’illegittimita’ degli affidamenti in favore del cosiddetto gruppo (OMISSIS) rispetto a quanto contestato nelle imputazioni; in ogni caso, non erano stati specificati gli elementi sulla base dei quali ritenere il concorso del notaio (OMISSIS) nei fatti commessi dai dipendenti bancari ed, a fronte di una analitica ricostruzione di ciascuno degli episodi contenuti nella sentenza di primo grado, la motivazione di condanna in fase di appello, si era limitata a considerazioni di ordine generale senza spiegare il ruolo concreto che il (OMISSIS) aveva rivestito all’interno delle societa’ affidate e senza contestare la circostanza gia’ messa in luce dal tribunale della mancanza di incameramenti personali di somme da parte di (OMISSIS) e l’assenza di collegamenti diretti tra questi ed i dipendenti dell’istituto bancario.
Con il quinto motivo si lamentava, poi, violazione di legge in ordine alla mancata declaratoria di inammissibilita’ dell’appello del P.M. proposto avverso i capi B) e B1) dell’imputazione, con conseguente conferma della assoluzione anche per il capo D). Al proposito si rappresentava che aveva errato la Corte di appello nel ritenere il concreto interesse del pubblico ministero a proporre impugnazione avverso detti capi benche’ fossero estinti per prescrizione in ragione dell’avvenuta applicazione di misure cautelari, poiche’, l’unico fatto per il quale il (OMISSIS) era stato attinto da misura cautelare, riguardava il capo C) della rubrica per il quale il pubblico ministero non aveva interposto appello avverso la sentenza di primo grado. Doveva conseguentemente ritenersi che il passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione per le condotte di appropriazione indebita comportasse analogo effetto anche per il diverso reato di riciclaggio contestato a (OMISSIS) e cio’ sulla base del principio del divieto di ne bis in idem in quanto il giudicato assolutorio relativo al reato presupposto comporta anche la necessaria esclusione del fatto di riciclaggio. Con l’ultimo motivo si lamentava motivazione illogica e contraddittoria in relazione all’esclusione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore di (OMISSIS) avuto riguardo al comportamento processuale dello stesso ed alla sua incensuratezza.
1.15.2 Con motivi aggiunti depositati in cancelleria i difensori di (OMISSIS) lamentavano ancora:
– mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, come da interpretarsi anche in base alla recente giurisprudenza della corte di Strasburgo che veniva esposta e riassunta posto che la rinnovazione disposta dalla Corte di appello di soli tre testimoni doveva ritenersi inidonea a garantire l’equita’ del procedimento poiche’ avrebbero dovuto essere escussi anche i testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) i quali erano stati decisivi per la sentenza assolutoria;
– mancanza di adeguata motivazione rinforzata – con le caratteristiche richieste anche dalla recente giurisprudenza della corte di Strasburgo – in relazione alla responsabilita’ di (OMISSIS); al riguardo si esponeva che il giudice di appello non aveva motivato in ordine alle circostanze indicate nella memoria depositata in secondo grado dalla difesa circa l’insussistenza del delitto di riciclaggio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Le difese hanno sostenuto con diversi motivi la tesi dell’inammissibilita’ dell’appello del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria di primo grado avuto riguardo alla intervenuta prescrizione dei reati; al proposito, hanno contestato la legittimita’ della decisione del giudice di appello sul punto, secondo il quale l’avvenuta applicazione di misure cautelari radicherebbe l’interesse all’impugnazione al fine di evitare la possibile futura liquidazione di somme per ingiusta detenzione, posto che le misure cautelari o risultano applicate per reati per i quali il proscioglimento non veniva contestato (capo C) ovvero non riguardano le posizioni di numerosi ricorrenti mai attinti da provvedimenti restrittivi.
Al proposito occorre pero’ ricordare come, con riferimento alla individuazione dell’interesse ad impugnare, bisogna fare riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non puo’ essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalita’ negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilita’, ossia di una decisione piu’ vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo. (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Rv. 251693). Posta tale premessa, il tema del potere di appello del P.M. avverso la sentenza di assoluzione per fatti di reato per i quali e’ maturata al momento della presentazione dell’impugnazione la causa estintiva della prescrizione, e’ stato oggetto di vario approfondimento da parte di questa Corte; si e’ cosi’ affermato che e’ inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto qualora, al momento della pronuncia della sentenza impugnata, era gia’ maturata la prescrizione del reato, salvo che emerga un interesse concreto del pubblico ministero alla dichiarazione della causa di estinzione del reato rispondente a una ragione esterna al processo obiettivamente riconoscibile (Sez. 6, n. 2025 del 12/12/2018, Rv. 274844). Posto quindi che il sistema processuale non puo’ impedire l’appello del pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria qualora con lo stesso la pubblica accusa miri comunque al conseguimento di un interesse favorevole rispetto alla sua posizione, il caso in esame propone proprio una condizione specifica di interesse del P.M. ad impugnare le assoluzioni per i reati di appropriazione indebita e truffa contestati ai capi B) e B1); difatti, posto che proprio le predette condotte costituivano i delitti presupposto delle fattispecie di riciclaggio di cui ai capi D), E), F) ed H), le cui assoluzioni il P.M. aveva certamente interesse ad impugnare perche’ ancora non prescritte, deve ritenersi che attraverso l’impugnazione la pubblica accusa mirasse alla necessaria ricostruzione in fatto della responsabilita’ per i citati delitti presupposto. Viceversa, negare l’interesse all’impugnazione, avrebbe significato affermare la definitiva esclusione della responsabilita’ penale per le condotte di appropriazione indebita e truffa e cosi’ escludere il delitto presupposto dei riciclaggi con conseguente non configurabilita’ delle predette condotte.
Ne deriva pertanto affermare che sussiste l’interesse del PM ad appellare la sentenza assolutoria di appropriazione indebita e truffa anche qualora le predette ipotesi di reato sarebbero comunque prescritte ove le stesse costituiscano i delitti presupposto di fattispecie di riciclaggio pure oggetto di impugnazione e cio’ perche’ l’intima connessione tra delitto presupposto e condotta di riciclaggio necessita l’accertamento della prima condotta.
2.2 Quanto ai motivi con i quali e’ stato dedotta analoga inammissibilita’ anche dell’appello della parte civile (quinto motivo ricorso avv.to (OMISSIS), primo motivo ricorso (OMISSIS)), va ricordato come sia ius receptum il principio gia’ affermato dalle Sezioni Unite e secondo cui il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, puo’ condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, atteso che l’articolo 576 c.p.p. conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto. (Sez. U, n. 25083 del 11/07/2006 Rv. 233918). L’affermazione risulta ribadita anche recentemente essendosi affermato che e’ ammissibile l’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto relativa a un reato gia’ prescritto al momento della pronuncia, essendo in tal caso l’oggetto del giudizio costituito dall’accertamento della condotta illecita ai soli effetti della responsabilita’ civile e dall’eliminazione degli effetti preclusivi del giudicato di insussistenza del fatto, con possibilita’ di condanna al risarcimento dei danni, in quanto l’articolo 576 c.p.p., conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto. (Sez. 6, n. 43644 del 11/09/2019, Rv. 277375). Ed al proposito, non puo’ che ribadirsi come il testo dell’articolo 576 c.p.p., sia davvero inequivocabile sul punto affermando testualmente come “la parte civile puo’ proporre impugnazione….ai soli effetti della responsabilita’ civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio”. Tale essendo la disciplina generale dettata dal suddetto articolo, intitolato proprio “Impugnazione della parte civile e del querelante”, il successivo articolo 578 c.p.p., regola, invece, il caso particolare della sorte delle statuizioni civili a fronte di una sentenza di condanna in primo grado che sia riformata in appello o cassazione per prescrizione od amnistia ma non stabilisce il principio che la devoluzione della questione sulle statuizioni civili al giudice di secondo grado o di legittimita’ e’ ammessa solo in caso di condanna in primo grado perche’, evidentemente, detto principio che le difese pure sostengono, finirebbe per sacrificare immotivatamente la posizione della parte civile che non potrebbe appellare la sentenza di proscioglimento per l’avvenuto decorso del tempo.
Quanto a quelle doglianze con le quali si prospetta l’avvenuta maturazione della prescrizione dei reati di cui ai capi B) e B1) antecedentemente la pronuncia di primo grado del 17 maggio 2013 (ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), prospettando diverse date di consumazione dei predetti reati, contestati il primo fino alla fine del 2005 ed il secondo da luglio a tutto novembre del 2005, va ricordato come il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione e’ antecedente rispetto a quella contestata, ha l’onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato e’ stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti ne’ smentibili da altri elementi di prova acquisiti al processo. (Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, Rv. 265330). E nel caso in esame, a fronte di contestazioni che escludono la maturazione della prescrizione prima della data della sentenza di primo grado, accertata la complessita’ delle operazioni di indebita appropriazione tutte consumate tra l’estate ed il novembre del 2005, nessuno dei ricorrenti ha provato con elementi incontrovertibili che l’accreditamento delle somme sui conti correnti contestati con precedente spoliazione del patrimonio di (OMISSIS) sia stato operato sempre antecedentemente il 17 novembre del 2005; e cio’ perche’ i ricorsi fanno evidentemente riferimento a singole delibere di affidamento cui seguirono pero’ i materiali accreditamenti sui conti correnti od alle posizioni individuali degli imputati autori di deliberazioni, comunicazioni od incontri in relazione ai rispettivi ruoli che non assumono valore decisivo avuto riguardo alla contestazione dei fatti in concorso senza che sia mai stato provato incontrovertibilmente che tutti i fondi pervenirono sui conti correnti incriminati entro il 17-11-2005.
2.3 In relazione, poi, al secondo e terzo motivo del ricorso avv.to (OMISSIS), con il quale si deduce vizio della sentenza di appello per non essere stata impugnata la decisione di assoluzione del (OMISSIS) quanto ai capi B) e B1) e della (OMISSIS) quanto al capo N), sotto il profilo del contrasto teorico di giudicati che deriverebbe dalla pronuncia di responsabilita’ anche ai soli fini civili, va ricordato come secondo l’orientamento di questa Corte di cassazione la sentenza passata in giudicato ha un’efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e in relazione al medesimo fatto e non sussistono rimedi in caso di contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi per imputati diversi. Pertanto, il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revisione di una sentenza definitiva non ricorre nell’ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica dello stesso fatto operata da giudici diversi. (Sez. 5, n. 633 del 06/12/2017, Rv. 271928). Con preciso riferimento ad una situazione del tutto analoga a quella oggetto di esame si e’ anche affermato che in caso di sentenza di assoluzione di due coimputati per il medesimo reato, contestato nell’ambito del medesimo procedimento, la scelta insindacabile del pubblico ministero di non proporre impugnazione contro il proscioglimento nel merito di uno degli stessi, non determina alcun effetto preclusivo ai fini dell’impugnazione della sentenza assolutoria nei confronti dell’altro coimputato (Sez. 2, n. 32033 del 21/03/2019, Rv. 277512). L’applicazione dei sopra esposti principi deve portare ad escludere che, contestato il reato di appropriazione indebita in concorso a piu’ soggetti ed intervenuta l’assoluzione di tutti all’esito del giudizio di primo grado perche’ il fatto non sussiste, la mancata impugnazione del P.M. nei riguardi di uno di essi determini il vizio della sentenza di condanna in fase di appello per contrasto di giudicati, ben potendo la mancata impugnazione spiegarsi in relazione alla specifica posizione individuale dell’imputato non appellato anche all’esito dell’istruzione dibattimentale di primo grado che puo’ averne escluso un ruolo nella consumazione dei fatti con valutazione implicitamente valutata corretta dall’organo della pubblica accusa.
Analogamente deve ritenersi quanto al capo N) di intestazione fittizia, contestato sotto il profilo del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 quinquies, oggi articolo 512 bis c.p., poiche’, l’intervenuta assoluzione della (OMISSIS) dal corrispondente delitto di riciclaggio di cui al capo P), con statuizione non appellata dal pubblico ministero, non preclude una valutazione differente da parte del giudice di appello che sia investito del gravame limitatamente alla posizione del soggetto autore dell’interposizione.
2.4 Cio’ posto, vanno formulate alcune osservazioni in ordine alle fattispecie contestate di appropriazione indebita e riciclaggio di somme originariamente appartenenti a (OMISSIS), illegittimamente affidate ad alcuni degli imputati e da questi, o da altri soggetti loro incaricati, movimentate su altri conti, trattandosi di questioni oggetto di motivi di doglianza avanzati da diversi imputati (terzo motivo del ricorso avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS), quarto e sesto motivo ricorso avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS); secondo motivo ricorso avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS)).
Orbene, sul tema, occorre richiamare quell’indirizzo giurisprudenziale delle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione secondo cui e’ configurabile il reato di appropriazione indebita nel caso in cui il dipendente dell’istituto bancario, assumendo arbitrariamente i poteri dell’organo di amministrazione competente ad autorizzare il superamento dei limiti del fido o della provvista del conto corrente di corrispondenza, abbia concesso un fido al cliente violando, in collusione con lo stesso, le norme sugli affidamenti stabilite dagli istituti in modo da realizzare sostanzialmente un’arbitraria disposizione di beni della banca a profitto di terzi. (Sez. U, n. 9863 del 28/02/1989, Rv. 181789).
L’affermazione risulta ribadita da altra successiva pronuncia in base alla quale nella condotta del dirigente di una banca che, travalicando i suoi poteri, ha messo a disposizione del cliente somme di denaro, delle quali aveva la disponibilita’, accreditando sul conto dello stesso o pagando direttamente un numero rilevantissimo di assegni privi di provvista, appaiono configurabili tutti i requisiti dell’appropriazione indebita: il possesso da parte del dirigente, incontestabile dato che egli ha potuto disporre concretamente del denaro; l’abuso dei suoi poteri; l’esercizio di un potere di dominio dal quale e’ derivata la cessione del danaro; ed in motivazione detta pronuncia precisa che l’interversione del possesso puo’ ben essere realizzata mediante la cessione del bene ad un terzo (Sez. 5, n. 2337 del 21/01/1994 Rv. 197574).
Il suddetto principio risulta ribadito da altre e piu’ recenti pronunce le quali hanno confermato la configurabilita’ della fattispecie di appropriazione indebita nella condotta collusiva del dipendente di un istituto bancario, che abbia concesso fidi ai clienti violando, in collusione con lo stesso, le norme sugli affidamenti stabilite dagli istituti in modo da realizzare sostanzialmente un’arbitraria disposizione di beni della banca a profitto di terzi. (Sez. 2, n. 3332 del 05/10/2012, Rv. 254774). Piu’ recentemente, in un caso analogo a quello in esame, si e’ affermato che risponde di appropriazione indebita e non di truffa il direttore di un istituto bancario, che, in collusione con un cliente ed omettendo i doverosi controlli interni, metta a disposizione dello stesso somme di denaro, accreditando sul di lui conto o pagando direttamente assegni privi di provvista; in motivazione la Corte ha evidenziato che la qualita’ di direttore consente all’agente un’ampia e materiale disponibilita’ delle somme depositate in banca, rispetto alle quali, con l’attribuzione diretta o l’accreditamento al terzo, egli si comporta “uti dominus” (Sez. 2, n. 6603 del 21/01/2014, Rv. 258280).
Particolarmente rilevante in tale contesto appare quella pronuncia secondo cui si realizza l’ipotesi di appropriazione indebita allorche’ il dipendente dell’istituto di credito abbia concesso un fido al cliente, con violazione, in accordo con lo stesso, delle norme sugli affidamenti stabiliti dall’istituto, sostanziandosi la condotta suddetta in un’arbitraria disposizione dei beni dell’istituto a profitto di terzi. La sussistenza di fondate prospettive di “rientro” del beneficiario, la presenza di garanzie o risorse patrimoniali, l’intento di agire nell’interesse dell’istituto di credito, mentre valgono ad escludere l’elemento soggettivo del reato, non incidono minimamente sull’oggettivo “superamento del rischio di impresa”, verificatosi attraverso operazioni irregolari e con comportamenti “uti dominus” (Sez. 2, n. 5523 del 27/02/1991, Rv. 187512). Tale pronuncia chiarisce quindi che la sussistenza di possibili rientri da parte del cliente o l’esistenza di parziali garanzie pure offerte non vale ad accreditare la sussistenza di un “rischio di impresa” giustificativo la natura delle operazioni ed escludente la fattispecie penale poiche’ la violazione delle norme interne ovvero il superamento delle proprie competenze integra l’ipotesi sotto il profilo oggettivo, residuando, quindi, l’obbligo di valutare la sussistenza del dolo ricavabile dalle modalita’ delle operazioni ed in particolare dalla reiterazione delle condotte e dalla entita’ degli affidamenti, oltre che dai rapporti tra clienti affidati e funzionari dell’istituto.
Orbene, la sentenza impugnata appare avere fatto corretta applicazione dei sopra esposti principi escludendo che la conoscenza dei fatti da parte dei vertici dell’istituto e la sussistenza del c.d. rischio di impresa bancario, circostanze sottolineate dalla sentenza di primo grado a fondamento dell’assoluzione di tutti gli imputati per insussistenza dei fatti, possano avere assunto un ruolo decisivo e determinante nella ricostruzione dei fatti.
E quanto al possibile coinvolgimento di altri soggetti ed alla corresponsabilita’ dei vertici della (OMISSIS) pro tempore, invocata quale circostanza scriminante l’azione degli imputati da parte dei ricorsi, assumendosi che la persona giuridica in questo caso avrebbe agito in senso conforme, assentendo gli affidamenti concessi da (OMISSIS) ed altri, ritiene questa Corte che la prospettiva segnalata dalle doglianze non tiene conto dell’individuazione del bene giuridico protetto dalla norma di cui all’articolo 646 c.p., in caso di attivita’ sociali ed appropriazioni indebite consumate in danno dei patrimoni delle persone giuridiche. La giurisprudenza di legittimita’ si e’ occupata del tema al proposito della individuazione del socio legittimato a proporre querela affermando in diverse occasioni che la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di appropriazione indebita posto in essere ai danni della societa’ amministrata da parte del legale rappresentante che sia anche socio di maggioranza spetta al singolo socio titolare delle residue quote, dovendo lo stesso considerarsi non solo danneggiato dal reato, ma anche persona offesa, in quanto titolare del bene giuridico costituito dalla integrita’ del patrimonio sociale; in motivazione la Corte ha rilevato che se, di regola, nei reati patrimoniali commessi ai danni di una societa’ la legittimazione a proporre querela appartiene soltanto al legale rappresentante, sarebbe irragionevole affermare il medesimo principio quando la condotta illecita sia stata posta in essere proprio da quest’ultimo (Sez. 2, n. 11970 del 22/01/2020, Rv. 278831; Sez. 2, n. 40578 del 24/09/2014, Rv. 260363). Da cio’ ne deriva affermare che le infedelta’ patrimoniali degli amministratori non possono escludere la rilevanza penale della condotta posta in essere in danno dell’ente aggredendo il bene giuridico costituito dall’integrita’ del patrimonio sociale. La eventuale coincidenza tra organi che abbiano deliberato gli affidamenti illeciti e titolari del potere rappresentativo non esclude quindi l’illiceita’ delle condotte poiche’ la persona giuridica, in tal caso, vede aggredito il proprio patrimonio attraverso attivita’ infedeli e dolose dei propri rappresentanti che, violando il dovere di agire nell’interesse della stessa, ne abbiano diminuito concretamente le consistenze patrimoniali.
Al proposito, possono ancora richiamarsi altri interventi di questa Corte di cassazione in tema di responsabilita’ degli amministratori con i quali si e’ affermata l’autonomia dell’interesse dell’ente rispetto alla condotta del legale rappresentante; in particolare, si e’ stabilito come integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore di una societa’ di capitali che versi somme di denaro della societa’ a terzi, per il perseguimento di un interesse estraneo a quello dell’ente ed in mancanza di un formale assenso dei soci al compimento di tali erogazioni (Sez. 6, n. 39008 del 06/05/2016, Rv. 268090). Altra pronuncia ha poi affermato il tema della condotta passiva dell’amministratore di un ente a fronte di condotte di sottrazione di capitali in danno dello stesso poste in essere da terzi, escludendo che tale posizione possa in qualche modo escludere la sussistenza del reato ai danni della stessa persona giuridica; invero integra il reato di appropriazione indebita, ai sensi dell’articolo 40 c.p., comma 2, la condotta dell’amministratore di societa’ di capitali che non abbia impedito la distrazione di somme del patrimonio sociale a favore di terzi che non risultino titolari di diritti di credito ovvero che non abbiano effettuato alcuna prestazione a vantaggio della societa’ (Sez. 2, n. 49489 del 25/10/2017, Rv. 271325).
Cio’ naturalmente non comporta una generica ed indiscriminata rilevanza penale delle condotte di amministratori e dipendenti che abbiano agito in violazione di norme interne o di regolamento od in assenza del consenso dei soci o dei componenti il c.d.a; al proposito sempre la giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che il limite negativo della fattispecie penale e’ costituito dal perseguimento di un interesse sociale. Si e’ cosi’ affermato che non integra il reato di appropriazione indebita, ma una mera condotta di distrazione non rilevante ai sensi dell’articolo 646 c.p., il compimento, da parte dell’amministratore di una societa’ di capitali, di atti di disposizione patrimoniale comunque idonei a soddisfare anche indirettamente l’interesse sociale, e non un interesse esclusivamente personale del disponente (Sez. 2, n. 30942 del 03/07/2015, Rv. 264555).
Analogamente si e’ esclusa la rilevanza penale della condotta nel caso di soddisfacimento di un diritto soggettivo di altri; cosi’ si e’ affermato che non integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore di una societa’ che dispone in bilancio accantonamenti a titolo di compenso, ancora non determinato, nel suo ammontare, per l’attivita’ svolta in tale qualita’, in quanto l’atto compiuto non e’ volto al conseguimento di un ingiusto profitto o di un vantaggio che si ponga come “danno patrimoniale” cagionato alla societa’, bensi’ ad assicurare il soddisfacimento di un diritto soggettivo perfetto. (Sez. 2, n. 36030 del 22/05/2014 Rv. 260846). Ma escluso che si sia agito per il preciso conseguimento di un interesse sociale o, comunque, per il soddisfacimento di diritti soggettivi perfetti (come quello alla retribuzione) in capo a terzi od anche a dipendenti, la rilevanza penale delle condotte di aggressione del patrimonio sociale pur poste in essere da amministratori e dipendenti rimane intatta nei casi in cui si sia agito in violazione delle norme interne di comportamento ovvero in assenza del consenso dei soci. Cosi’ che le conclusioni cui e’ pervenuta la Corte di appello di Roma, sulla sussistenza della configurabilita’ astratta della condotta ex articolo 646 c.p., non paiono censurabili essendosi accertata la violazione delle regole sulla corresponsione di affidamenti interni ed irrilevante essendo, quindi, l’eventuale collusione, contiguita’, connivenza od anche semplice conoscenza da parte degli amministratori di tali violazioni, essendo stata indiscutibilmente accertata la diminuzione del patrimonio dell’ente per effetto della corresponsione di affidamenti del tutto ingiustificati a vantaggio del gruppo (OMISSIS)- (OMISSIS) per diverse decine di milioni di Euro.
Ne’ puo’ dubitarsi del concorso punibile del (OMISSIS) nella consumazione dei fatti di appropriazione indebita, come pure il ricorso dell’avv.to (OMISSIS) contesta sotto il profilo della assenza di prova della consapevolezza della violazione di regole interne all’istituto; al proposito, basta osservare come la corte di appello di Roma abbia sottolineato che (OMISSIS) e le societa’ di cui era nella disponibilita’ costituirono gli unici beneficiari delle rilevanti somme affidate permettendogli di elevare le esposizioni nei confronti di (OMISSIS) in misura sostanzialmente anomala e del tutto sproporzionata rispetto alle garanzie dallo stesso prestate cosi’ che, tale ricostruzione dei fatti, correttamente veniva posta a fondamento dell’affermazione di responsabilita’ civile del predetto imputato ex articoli 110 e 646 c.p..
2.5 Tale essendo la qualificazione giuridica della condotta posta in essere dai dipendenti dell’istituto bancario che abbiano agevolato dolosamente la posizione di alcuni clienti, deliberando affidamenti in favore degli stessi in violazione delle norme interne per importi ingentissimi, ne consegue affermare che la successiva movimentazione delle somme frutto di appropriazione indebita puo’ certamente configurare la fattispecie di riciclaggio e cio’ a confutazione di quei motivi propositi da quei ricorrenti che cio’ contestano (ricorsi degli imputati (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS)). Difatti, secondo l’orientamento costante di questa corte di legittimita’ integra di per se’ un autonomo atto di riciclaggio, poiche’ il delitto di riciclaggio e’ a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalita’ frammentarie e progressive, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito (Sez. 2, n. 546 del 07/01/2011, Rv. 249446).
In relazione, poi, all’elemento soggettivo che i predetti ricorsi hanno anche contestato si e’ affermato che in tema di riciclaggio, la consapevolezza dell’agente in ordine alla provenienza dei beni da delitti puo’ essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi in proposito siano cosi’ gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione che i beni ricevuti per la sostituzione siano di derivazione delittuosa specifica, anche mediata. (Sez. 2, n. 47375 del 06/11/2009, Rv. 246433).
Inoltre, non e’ esclusa la punibilita’ a titolo di dolo anche solo eventuale essendosi affermato come in tema di riciclaggio, si configura il dolo eventuale quando l’agente ha la concreta possibilita’ di rappresentarsi, accettandone il rischio, la provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Sez. 2, n. 36893 del 28/05/2018, Rv. 274457). E nei casi in esame la corte di appello di Roma, a sostegno della tesi della sussistenza del dolo, ha proprio stigmatizzato specifiche circostanze relative alla movimentazione delle somme ricevute a seguito delle appropriazioni indebite con attivita’ praticamente contestuali, che paiono interpretate senza alcuna illogicita’, tanto piu’ manifesta.
2.6 Fatte salve le conclusioni che verranno assunte per ciascuna posizione dei ricorrenti, deve ancora essere escluso che la sentenza di appello sia genericamente incorsa nella violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata (ricorsi degli imputati: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) a seguito della riforma totale della pronuncia di primo grado che aveva assolto tutti gli imputati dai reati loro rispettivamente ascritti con la formula perche’ il fatto non sussiste. Il giudice di appello ha, infatti, stigmatizzato e criticato singolarmente i presupposti della decisione assolutoria di primo grado, contestando la fondatezza delle conclusioni del primo giudice e fornendo adeguata spiegazione del ragionamento giuridico posto a fondamento della decisione di condanna. Al proposito, va sottolineato come, il tribunale di Roma aveva fondato la propria decisione su alcuni argomenti costituiti in particolare:
– dal non dimostrato sconfinamento dei propri poteri deliberativi in materia di concessione di fidi da parte del (OMISSIS);
– dalla non dimostrata circostanza che le somme di Euro 1.200.000,00 oggetto del “primo” affidamento contestato siano confluite nella diretta disponibilita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) quali persone fisiche (vedi p.13 sentenza di primo grado);
– dalla circostanza del non essere dimostrato un preventivo accordo criminoso che prevedeva un doloso mancato rimborso degli affidamenti (p. 16 sentenza tribunale);
– dal mancato rinvenimento dell’hard disk del personal computer di (OMISSIS) che avrebbe impedito di “vagliare il livello di diffusione da parte dei (OMISSIS) (e degli altri interessati) degli sviluppi dei vari affidamenti…i riscontri alle sue azioni” (p.23 sentenza di primo grado);
– dalla circostanza del coinvolgimento dei vertici della Banca negli affidamenti al gruppo (OMISSIS) e conseguentemente nella rilevata accettazione del rischio di impresa da parte dell’istituto (pp.24-25 pronuncia del tribunale di Roma).
Orbene, con tutte tali osservazioni, la pronuncia di appello non ha omesso di confrontarsi ma ha proceduto alla singola confutazione della valenza decisiva di ciascuna di esse ai fini di escludere la sussistenza dei fatti; il giudice di appello ha cosi’ osservato come sostanzialmente irrilevanti appaiano ai fini della sussistenza del delitto di cui all’articolo 646 c.p., le circostanze della mancata dimostrazione della percezione personale delle somme in capo a (OMISSIS) e (OMISSIS) ovvero del coinvolgimento dei vertici della banca nelle operazioni in favore dei predetti e delle societa’ loro riconducibili; invero, posto che oggetto dell’appropriazione indebita sono le somme di pertinenza dell’istituto di credito (OMISSIS) fatte confluire a seguito di ripetuti affidamenti illegittimi sui conti correnti delle societa’ riconducibili al controllo dei predetti imputati, non assume alcun rilievo del non esservi stata precisa e specifica dimostrazione della percezione personale delle somme da parte delle persone fisiche. Appare, invero evidente, come segnalato dal giudice di appello, che ai fini della consumazione del delitto e’ irrilevante individuare se le somme siano confluite nei conti personali degli imputati ovvero sui conti correnti intestati alla societa’ poiche’ agli stessi viene contestato di avere percepito i profitti delle condotte illecite concordate con i dirigenti dell’istituto di credito che permettevano gli affidamenti.
Ancora, il giudice di appello, ha sottolineato come sia irrilevante ai fini della determinazione della fattispecie contestata esplorare e ricostruire il livello di semplice conoscenza od anche di coinvolgimento dei vertici dell’istituto nelle operazioni di affidamenti in favore del gruppo (OMISSIS); come gia’ segnalato al precedente punto 2.4 della presente motivazione, l’autonomia giuridica dell’istituto bancario esclude che l’eventuale volonta’ di alcuni dei suoi componenti possa elidere la rilevanza penale di condotte consistite nell’appropriazione di somme della banca medesima per favorire singoli clienti o societa’ riferibili a tali soggetti. L’interesse alla destinazione del patrimonio sociale a soddisfare gli scopi istituzionali della banca esclude che i singoli dipendenti o gli amministratori possano sviarne il patrimonio a vantaggio di terzi senza incorrere in violazioni penali e nella conseguente responsabilita’ civile da risarcimento del danno. E proprio a tali principi appare essersi attenuta la corte di appello nel ribaltare la sentenza assolutoria di primo grado la quale, sostanzialmente, e’ incorsa in evidenti violazioni dei principi fondamentali in tema di concorso di persone nel reato ovvero di responsabilita’ dei dipendenti ed amministratori per atti compiuti in danno dell’ente ove gli stessi operano.
Cosi’ che, al caso in esame, appare applicabile quella giurisprudenza secondo cui in tema di motivazione della sentenza, il giudice d’appello, che riformi la decisione assolutoria di primo grado assolve correttamente all’obbligo di motivazione rafforzata, senza violare il principio del ragionevole dubbio, nel caso in cui la condanna sia la conseguenza della correzione di un errore di diritto, decisivo ai fini dell’assoluzione, nel quale sia incorso il primo giudice. (Sez. 4, n. 6514 del 18/01/2018, Rv. 272224).
Inoltre, la pronuncia di appello, ha anche sottolineato il completo travisamento dei fatti in cui incorreva il tribunale che non valutava la complessita’ delle operazioni ed il numero di conti correnti aperti ed affidati presso l’agenzia n. (OMISSIS) da parte del gruppo (OMISSIS) limitandosi ad un’analisi di (OMISSIS) poche operazioni prima di quella dell’affidamento di 37 milioni di Euro e cosi’ completamente omettendo la valutazione complessiva della vicenda. E tale totale travisamento delle condotte illecite, pure ricostruite nell’istruzione dibattimentale dinanzi allo stesso giudice di primo grado, il collegio di appello non ha mancato di sottolineare come emerge dalla specifica censura svolta a pagina 21 della sentenza di secondo grado, ove si sottolinea la grave omissione in cui risulta incorsa la pronuncia del tribunale posto che la fattispecie di cui all’articolo 646 c.p., non rileva soltanto in relazione all’affidamento dei 37 milioni di Euro ed alle altre poche operazioni esposte dal giudice del tribunale bensi’ “Nella piu’ rilevante ed irregolare apertura di credito che tra il luglio e l’ottobre del 2005 porta l’esposizione del gruppo (OMISSIS) a superare i 100 milioni di Euro”.
Tale ricostruzione, permette di ritenere applicabile al caso di specie anche quel principio secondo cui in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di assoluzione pronunciata in primo grado, pervenendo ad una sentenza di condanna, non ha l’obbligo di fornire una motivazione rafforzata nel caso in cui il provvedimento assolutorio abbia un contenuto motivazionale generico e meramente assertivo, posto che, in tale ipotesi, non vi e’ neppure la concreta possibilita’ di confutare argomenti e considerazioni alternative del primo giudice, essendo, invece, il giudizio d’appello l’unico realmente argomentato (Sez. 5, n. 12783 del 24/01/2017, Rv. 269595).
Tanto premesso in ordine ai comuni motivi di ricorso puo’ ora procedersi all’analisi delle singole posizioni.
2.7.1 Fondato e’ il secondo motivo di ricorso avanzato nell’interesse di (OMISSIS); questi, assolto all’esito del giudizio di primo grado, non risulta gravato da appello ad istanza della parte civile come si desume:
– dalla mancata richiesta di condanna dell’imputato nell’appello della parte civile (OMISSIS) difettante di conclusioni specifiche;
– dalla mancata notifica dell’appello a detto imputato da parte del tribunale nella fase degli atti successivi alla sentenza di primo grado;
– dalla mancata indicazione del (OMISSIS) tra i soggetti nei cui confronti la parte civile proponeva appello, come risulta dalla testuale lettura della motivazione alle pagine 1-2 della pronuncia di secondo grado.
Ne consegue che in assenza di specifica domanda di condanna al risarcimento dei danni formulata dalla parte civile (OMISSIS) nei confronti del suddetto imputato l’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio sul punto.
I rimanenti motivi rimangono o assorbiti nella predetta statuizione ovvero vanno rigettati sia per le ragioni in precedenza esposte, quanto alla dedotta inammissibilita’ dell’appello del P.M., sia in relazione alla declaratoria di prescrizione nei suoi confronti del reato di cui al capo B); ed invero, venuto meno il rapporto civilistico, va fatta applicazione della disciplina dettata dall’articolo 129 c.p.p., che impone la declaratoria di prescrizione a meno che la prova dell’insussistenza dei fatti non risulti evidente, circostanza quest’ultima da escludersi alla luce della ricostruzione dei fatti contenuta nell’impugnata sentenza e del ruolo svolto dall’imputato nella successiva erogazione di numerosi affidamenti a societa’ del gruppo (OMISSIS) puntualmente ricostruito dalla sentenza di appello.
2.7.2 Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche con riguardo alla posizione dell’imputato (OMISSIS), il quale ha lamentato come la condanna dell’imputato alle statuizioni civili fosse stata disposta sebbene nei suoi confronti la parte civile non avesse svolto e formulato alcuna richiesta ne’ diretta ne’ indiretta di riforma della sentenza di primo grado e di condanna al risarcimento dei danni.
Orbene, il motivo e’ fondato essendo stato denunciato come la parte civile abbia impugnato la sentenza di primo grado non formulando nei confronti del (OMISSIS) alcuna doglianza ne’ menzionandolo specificatamente nell’atto di gravame cosi’ che mancava l’esplicitazione sia del petitum che della causa petendi. Al proposito, infatti, basta osservare che l’imputato risulta condannato al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile all’esito del giudizio di secondo grado per la frazione di condotta allo stesso contestata al capo H); tuttavia, nell’atto di appello della parte civile avverso la sentenza di primo grado, la posizione del (OMISSIS) non viene mai presa in considerazione, ne’ risulta formulata alcuna ricostruzione della condotta del medesimo sulla base della quale fondare l’obbligo risarcitorio del ricorrente in danno della parte civile. Invero, l’appello della parte civile (OMISSIS) s.p.a., contiene alle pagine 19-20 la ricostruzione di alcune condotte riferibili al capo H) dell’imputazione ma manca qualsiasi riferimento sia nominativo che contenutistico alla posizione del (OMISSIS). E poiche’ l’appello, anche nella vecchia formulazione dell’articolo 581 c.p.p., applicabile pro tempore al gravame avanzato da (OMISSIS), avverso la sentenza di proscioglimento, deve contenere a pena di inammissibilita’ i motivi, l’assenza di qualsiasi indicazione alla posizione ed alla condotta del (OMISSIS) lo rende inammissibile. Difatti secondo l’impostazione delle Sezioni Unite l’appello, al pari del ricorso per cassazione, e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita’, a carico dell’impugnante, e’ direttamente proporzionale alla specificita’ con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268822).
Ne deriva affermare che l’appello della parte civile in relazione alla posizione (OMISSIS) era generico e che la corte di secondo grado non poteva condannare il predetto ricorrente al risarcimento dei danni in riforma della pronuncia di primo grado. L’impugnata sentenza deve, pertanto, essere annullata senza rinvio anche limitatamente a tale posizione e le statuizioni civili vanno revocate.
2.8 Quanto al ricorso avanzato nell’interesse di (OMISSIS), condannato all’esito del giudizio di appello per il reato di riciclaggio di cui al capo D) della rubrica commesso nell’ottobre del 2005, ritiene questa Corte di cassazione che le doglianze avanzate abbiano determinato la prosecuzione del rapporto processuale con conseguente obbligo di declaratoria di prescrizione del reato; invero, al termine prorogato di prescrizione del reato di cui all’articolo 648 bis c.p., da fissarsi ad ottobre 2020 (fatti di ottobre 2005), vanno aggiunti i periodi di sospensione con conseguente maturazione al gennaio 2021. Conseguentemente l’impugnata pronuncia va annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione. Non sussistono pero’ i presupposti per l’esclusione della responsabilita’ civile dell’imputato cosi’ che le statuizioni civili dell’impugnata sentenza devono essere confermate.
Invero, quanto all’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale di primo grado ed alla mancanza di motivazione rafforzata che si lamenta con i primi due motivi, va osservato come la peculiarita’ del caso in esame non puo’ prescindere dal valutare come il tribunale di primo grado avesse assolto (OMISSIS) dal delitto ascrittogli perche’ il fatto non sussiste senza pero’ fornire alcuna motivazione, neppure inadeguata od incompleta, di tale proscioglimento. Il giudice di primo grado, incorrendo cosi’ in una grave omissione, ha assolto il (OMISSIS) senza fornire alcuna spiegazione del proprio ragionamento e percio’ spiegare per quale ragione ritenere che il fatto allo stesso ascritto al capo D), riciclaggio della somma di 3 milioni di Euro proveniente dai conti correnti del padre accessi presso l’agenzia (OMISSIS), non sussistesse. A fronte di tale completa assenza di motivazione non puo’ pertanto invocarsi la violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata da parte del giudice di appello che decida in riforma della sentenza di primo grado proprio perche’, la completa omissione della pronuncia di prime cure, non permetteva al giudice di appello di confrontarsi con alcuna argomentazione.
Al proposito secondo le valutazioni delle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’articolo 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullita’ della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, Rv. 244118). Ne consegue, pertanto, che la corte di appello di Roma nel caso in esame non poteva dichiarare la nullita’ della sentenza impugnata trasmettendo gli atti al tribunale ma doveva provvedere alla completa redazione della motivazione, circostanza questa effettivamente osservata senza pero’ che sussistesse alcun elemento di confronto per (OMISSIS) tale da configurare un obbligo di motivazione rafforzata.
Quanto alla doglianza (reiterata anche nei motivi nuovi) in tema di violazione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, sia in relazione alla omessa assunzione in sede di appello della teste (OMISSIS) che con riguardo ad altri testimoni, va osservato come secondo il piu’ recente indirizzo di questa Corte di cassazione il giudice d’appello che riformi la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilita’ di una prova dichiarativa ritenuta decisiva non e’ obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale quando, nella sentenza di primo grado, manchi del tutto la motivazione e, quindi, la valutazione dell’attendibilita’ di detta prova. (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, Rv. 276831).
Deve pertanto essere escluso che la teste (OMISSIS), della cui deposizione non vi e’ alcuna traccia nella sentenza di primo grado, dovesse essere sentita in grado di appello. Peraltro e’ appena il caso di rilevare che anche a volere ritenere che la (OMISSIS) avrebbe potuto riferire circa la motivazione di quei versamenti, tale deposizione avrebbe ad oggetto soltanto il movente dell’azione ma non escluderebbe la natura delittuosa dell’operazione.
Analogamente deve ritenersi quanto alla contestata omessa rinnovazione degli altri testimoni escussi in primo grado in relazione ai delitti presupposto del riciclaggio; il giudice di appello ha proceduto a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base delle cui deposizioni perveniva alla decisione di condanna nei confronti del (OMISSIS) con valutazione che appare esente dai lamentati vizi trattandosi di testimoni che hanno ricostruito sia l’illegittimita’ degli affidamenti sui conti correnti del padre, e pertanto la natura illecita delle somme frutto di appropriazione indebita in concorso con i funzionari di banca, che le operazioni di riciclaggio contestate al capo D).
E quanto alla contestazione dell’elemento soggettivo, la corte di appello, con le argomentazioni esposte alla pagina 22 della sentenza impugnata, ha sottolineato quelle circostanze, ricezione di rilevanti somme di denaro e trasferimento rapidissimo presso altri conti, che certamente hanno fondato la valutazione di consapevolezza dell’origine delittuosa del denaro.
Il terzo motivo, con cui si lamenta contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione sotto il profilo del vizio di travisamento della prova in relazione ad aspetti decisivi, si traduce in una lettura alternativa di elementi probatori avendo la corte di appello dapprima precisato che le operazioni illecite da parte del (OMISSIS) padre presso l’agenzia (OMISSIS) erano iniziate gia’ a luglio e poi aggiunto come i due conti dai quali provenivano i 3 milioni di Euro erano l’uno beneficiato da affidamenti ultra vires e l’altro da scarichi di partite anticipate e, quindi, entrambi alimentati da somme di pertinenza della banca ed illecitamente movimentate.
Ne’ sussiste l’anteriorita’ della condotta di riciclaggio rispetto al delitto presupposto poiche’ il giudice di appello, integrando la grave lacuna motivazionale della sentenza di primo grado, ha gia’ spiegato come le operazioni di apertura di conti presso l’agenzia (OMISSIS) illecitamente movimentati dal padre Notaio (OMISSIS) ebbero ad iniziare a luglio del 2005 cosi’ che le somme versate ad ottobre del 2005 provenivano proprio da appropriazioni indebite essendo gia’ presenti notevoli sconfinamenti.
Rimandando all’analisi della posizione di (OMISSIS) quanto alla contestazione della illiceita’ delle operazioni da questi compiute, che il quarto motivo contesta, deve poi rinviarsi al punto 2.1 della presente motivazione quanto alla contestazione dell’ammissibilita’ dell’appello del p.m.. Gli altri motivi rimangono assorbiti.
All’annullamento senza rinvio per prescrizione segue, pertanto, la conferma delle statuizioni civili di condanna di (OMISSIS) nei confronti della parte civile (OMISSIS).
2.9 Anche il ricorso avanzato nell’interesse della (OMISSIS) e’ infondato e deve pertanto essere respinto con conferma delle statuizioni civili dell’impugnata sentenza; la pronuncia di secondo grado, che ha riformato ai soli effetti civili la pronuncia assolutoria del tribunale condannando la (OMISSIS) al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile (OMISSIS), con le osservazioni svolte alle pagine 26-27 ha sconfessato la sbrigativa ricostruzione della pronuncia di prime cure. La corte di appello di Roma, ha sottolineato come parte delle somme provenienti dai conti correnti aperti da (OMISSIS) presso l’agenzia n. (OMISSIS) della (OMISSIS) sia stata utilizzata per l’acquisto di un immobile, l’attico di (OMISSIS), intestato proprio alla moglie del (OMISSIS). Inoltre, la ricorrente, e’ colei che aveva ricevuto da uno dei conti affidati del marito, sempre presso (OMISSIS), la considerevole somma di 1 milione di Euro; a fronte di tali circostanze la corte di merito evidenziava anche la natura delittuosa delle somme sia perche’ provenienti da un conto la cui provvista non consentiva la copertura degli assegni utilizzati per l’acquisto dell’immobile sia perche’ l’altro conto aveva usufruito dell’anomalo scarico di partite non disponibili. E tali argomenti escludono la fondatezza del primo motivo nella parte in cui si contesta la sussistenza degli elementi del contestato reato di riciclaggio ai fini della responsabilita’ civile. Ne’ rileva la data di stipula del preliminare di acquisto dell’immobile, posto che il versamento delle somme per effettuare la cancellazione dell’ipoteca fu fatta dopo avere ricevuto la provvista illecita ad ottobre del 2005.
In relazione alla contestazione della sussistenza dell’effetto dissimulatorio, oggetto di altro motivo, va ricordato come integra il delitto di riciclaggio la condotta di colui che riceva, dall’autore di un delitto, degli assegni costituenti provento di quest’ultimo, e li versi su conti correnti intestati a persone diverse dal predetto autore, procedendo, poi, alla monetizzazione dei titoli. (Sez. 2, n. 1924 del 18/12/2015, Rv. 265988). Cosi’ che la ricezione degli assegni per il considerevole importo utilizzati poi per l’acquisto dell’immobile integra certamente la contestata fattispecie essendosi proceduto ad una chiara operazione di sostituzione del profitto del reato presupposto. Quanto alla seconda frazione della condotta posta in essere dalla ricorrente (OMISSIS), certamente integra la condotta tipica di cui all’articolo 648 bis c.p., la ricezione sul proprio conto corrente di somme provento di precedente delitto; al proposito questa Corte di cassazione ha gia’ affermato come integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo, od anche a rendere difficile, l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilita’: tra di esse rientra la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiche’, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito. (Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, Rv. 271530). Alcun rilievo assume pertanto la tracciabilita’ ex post dell’operazione posto che la ricezione di assegni o la ricezione di bonifici comporta proprio la condotta di sostituzione del denaro provento di attivita’ illecita. E con le specifiche osservazioni svolte a pagina 27 della sentenza, la corte di appello romana, ha fornito adeguata giustificazione della sussistenza dell’elemento soggettivo, che il secondo motivo contesta, avuto riguardo all’entita’ delle operazioni ed alla coincidenza temporale con la crisi del gruppo (OMISSIS) che correttamente faceva ritenere le operazioni destinate ad occultare il maggior profitto dei delitti presupposto.
Il terzo motivo non e’ fondato posto che la corte di appello ha proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale escutendo sia testimoni di matrice bancaria sia il verbalizzante (OMISSIS) che ha ricostruito le operazioni, cosi’ che l’affermazione di responsabilita’ ai soli fini civili risulta statuita in osservanza del principio di immediatezza e nel rispetto del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Il quarto motivo non e’ fondato poiche’, la mancata precisazione delle conclusioni del P.G. di udienza, non determina alcuna nullita’ della pronuncia impugnata; difatti si e’ affermato che nessuna nullita’ della sentenza e’ configurabile nel rifiuto del pubblico ministero, presente in udienza, di concludere nel merito; non rileva sul punto, infatti, il disposto di cui all’articolo 178, lettera b) c.p.p., che sanziona con la nullita’ la violazione delle disposizioni concernenti l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e la sua “partecipazione al procedimento”: l’obbligo di partecipazione al procedimento, invero, non implica che il pubblico ministero debba svolgere le sue conclusioni, orali o scritte, su tutte le questioni che si possono prospettare in relazione alle possibili statuizioni del giudice (Sez. 2, n. 6916 del 17/01/1996, Rv. 205365).
Peraltro, nel caso in esame, la posizione della (OMISSIS) era limitata all’appello della parte civile e cosi’ al rapporto tra essa ed (OMISSIS) senza che alcuna domanda di riforma della pronuncia ai fini penali fosse stata svolta; ne consegue l’irrilevanza della mancata conclusione del P.G. di udienza in fase di appello.
In relazione al quinto motivo si osserva che l’atto di appello della parte civile conteneva a pagina 17 proprio la specifica descrizione delle attivita’ illecite poste in essere dalla (OMISSIS) ed in relazione alle quali si chiedeva la riforma della decisione assolutoria di primo grado cosi’ da apparire sufficientemente specifico.
In conclusione il ricorso (OMISSIS) deve essere respinto.
2.10 Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) trova integrale rigetto nei punti 2.1 e 2.2 della presente motivazione cui si rinvia.
Il secondo motivo, limitatamente alla parte in cui deduce la violazione da parte del giudice di appello dell’obbligo di motivazione rafforzata, trova invece soluzione nel punto 2.6 della presente motivazione in cui si esclude che la pronuncia di secondo grado abbia violato detto canone essendosi sottolineato come e’ la pronuncia del tribunale ad essere incorsa in numerosi e totali stravolgimenti dei fatti oltre che in numerosi errori di diritto corretti in fase di appello; allo stesso deve pertanto farsi integrale rinvio.
In relazione alle rimanenti doglianze avanzate con il ricorso, deve sottolinearsi che le stesse propongono una diversa lettura di elementi probatori non consentita in questa sede; con le specifiche considerazioni contenute a pagina 21 della sentenza di appello, la corte di merito ha sottolineato tutti gli elementi di fatto sulla base dei quali ritenere che (OMISSIS), amministratore di (OMISSIS), era perfettamente consapevole delle attivita’ illecite poste in essere dal Notaio (OMISSIS) e dirette a drenare cospicui fondi da (OMISSIS) attraverso affidamenti illegittimi sui conti correnti della societa’, alcuni dei quali aperti proprio dal ricorrente nella sua qualita’ di amministratore.
Questa Corte di cassazione ha gia’ affermato la responsabilita’ a titolo di concorso dell’amministratore di diritto con le condotte illecite di quello di fatto sia in tema di bancarotta che in tema di reati tributari; e cosi’ si e’ affermato come sussiste la responsabilita’ dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con l’amministratore di fatto non gia’ ed esclusivamente in virtu’ della posizione formale rivestita all’interno della societa’, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex articolo 40, comma 2, c.p., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioe’ nel mancato esercizio dei poteri di gestione della societa’ e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita (Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Rv. 261814). In tema di reati tributari, si e’ affermato che del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, e’ responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice. (Sez. 2, n. 8632 del 22/12/2020, Rv. 280723).
L’applicazione dei sopra esposti principi, che stabiliscono la responsabilita’ a titolo di concorso dell’amministratore di diritto nelle condotte illecite poste in essere dall’amministratore di fatto per omesso impedimento dell’evento, impongono ritenere che anche in tema di appropriazioni indebite commesse ai danni di una banca da parte dell’amministratore di fatto unitamente a funzionari dell’istituto, sussiste il concorso punibile dell’amministratore di diritto che si sia prestato all’apertura di numerosissimi conti correnti intestati alla societa’ sui quali poi pervenivano i fondi sottratti all’istituto di credito. Difatti, l’amministratore di diritto che abbia aperto numerosi conti correnti intestati a societa’ sui quali venivano fatti transitare i denari distratti dal patrimonio dell’istituto di credito, pone in essere una condotta di concorso punibile per avere omesso dolosamente qualsiasi controllo sull’utilizzo di quei conti permettendone l’utilizzo a fini delittuosi.
Cosi’ che il parziale ripianamento della situazione debitoria a novembre del 2005 cui avrebbe partecipato (OMISSIS) e che il ricorso evidenzia quale unico atto compiuto, oltre a non essere tale perche’ preceduto dalle aperture dei c/c presso l’agenzia n. (OMISSIS) non rileva quale elemento decisivo essendosi il reato consumato al momento dell’illegittimo affidamenti dei fondi.
La sentenza di appello impugnata, pertanto, appare avere anche sul punto corretto l’errore di diritto in cui era incorso il tribunale di Roma che nella sua motivazione non aveva, peraltro, dedicato alcuna parte specifica alla posizione ed al ruolo del (OMISSIS).
2.11 Il primo motivo del ricorso avanzato nell’interesse dell’imputato (OMISSIS) trova trattazione al punto 2.1 della presente motivazione cui si rinvia essendo doglianza comune a molteplici impugnazioni.
Quanto al secondo motivo, lo stesso e’ fondato per le stesse ragioni che saranno esposte nella trattazione della posizione del coimputato (OMISSIS); la corte di appello di Roma, con le osservazioni svolte alle pagine 24-25 della impugnata sentenza, ha ricostruito le complesse modalita’ dell’operazione di movimentazione dei fondi provenienti da (OMISSIS) e che si concludeva con l’impossessamento personale da parte di (OMISSIS). Tuttavia, il giudice di secondo grado, non ha in alcun modo precisato quale sia l’origine illecita delle somme successivamente movimentate e pervenute al (OMISSIS); difatti occorre chiarire se la cessione dell’immobile di via (OMISSIS) fu operazione effettiva o fittizia perche’ solo in questo in questo secondo caso potrebbe ritenersi che la somma ritrasferita dalla (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS) alla (OMISSIS) che veniva lo stesso giorno dell’accredito trasferita per un importo di 4.250.000 sul conto della A.D. Costruzioni amministrata proprio del (OMISSIS), che a sua volta decorsi tre giorni ritrasferiva 3 milioni di Euro sul c/c del coimputato (OMISSIS), sia frutto di operazioni di riciclaggio. Invero se l’operazione risulta effettiva, come reclamato dal ricorrente nel secondo motivo ed assunto anche nella sentenza di primo grado, le movimentazioni successive la somma retrocessa da Patrimonio a (OMISSIS) non si comprende come possano avere natura irregolare e cio’ dovra’ essere oggetto di approfondimento in sede di rinvio; in sostanza la corte di appello ha dato per scontata la natura illecita dell’operazione del (OMISSIS) senza pero’ indagare sul carattere dell’operazione che appare stare a monte degli accrediti ed addebiti operati da (OMISSIS) sul c/c di A.D. Costruzioni. Si impone pertanto annullamento con rinvio per nuova motivazione sul punto.
La suddetta declaratoria non comporta alcun effetto ex articolo 157 c.p., posto che, essendo il reato contestato sino ad aprile 2006 il periodo prorogato di prescrizione (anni 15 ex articoli 157 e 648 bis c.p.) decorre ad aprile 2021 cui vanno aggiunti i 3 mesi e 4 giorni di sospensione disposta in fase di appello dal 26 marzo al 30 giugno 2020, con conseguente fissazione del termine finale a luglio 2021 non ancora maturato alla data odierna.
2.12 Quanto al ricorso di (OMISSIS) ritiene questa Corte che nel caso specifico siano fondati il primo ed il terzo motivo del ricorso avv.to (OMISSIS) con il quale si e’ lamentato violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), in relazione all’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, per avere la Corte di appello omesso di disporre la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva acquisita nel corso dell’istruttoria dibattimentale di primo grado; ed invero, dalla lettura della pronuncia di primo grado, e precisamente delle pagine 32-33, risulta che il giudice di primo grado perveniva all’assoluzione dell’imputato valorizzando l’avvenuta dimostrazione da parte della difesa del (OMISSIS) che le somme prima ricevute e poi riversate dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS) erano parte del corrispettivo della complessa operazione immobiliare avente ad oggetto l’immobile di via (OMISSIS) prima trasferito alla Patrimonio nel novembre del 2005 e poi ritrasferito alla (OMISSIS) a marzo del 2006. A fronte di tale ricostruzione, fondata sulle prove documentali e testimoniali fornite dalla difesa, che il ricorso indica nei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il giudice di appello perveniva alla decisione di condanna in riforma ricostruendo con eccesso di sintesi l’operazione che vedeva coinvolte le due societa’ riferibili l’una al gruppo (OMISSIS)- (OMISSIS) e l’altra al (OMISSIS).
Inoltre, la decisione di riforma in pejus veniva assunta senza che alcuna rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia stata svolta rispetto a tale specifico aspetto non apparendo i testi (OMISSIS) e (OMISSIS) escussi ex articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, attinenti in alcun modo tale condotta specifica che vede coinvolto il (OMISSIS) e non avendo in alcun modo chiarito il giudice di secondo grado se il teste (OMISSIS), pure lui audito in sede di rinnovazione ex 603 c.p.p., comma 3 bis, abbia in qualche modo riferito in ordine a tali operazioni. Inoltre, il giudice di appello, nella descrizione del fatto esposto a pagina 24 non assume alcuna posizione in ordine ad una circostanza che appare fondamentale per chiarire la natura illecita dell’operazione e la sua collocabilita’ nell’alveo del riciclaggio e cioe’ se quella cessione con successiva restituzione dell’immobile di via (OMISSIS) fu operazione del tutto fittizia finalizzata soltanto a permettere la movimentazione del denaro proveniente dai conti affidati presso l’agenzia (OMISSIS).
Si impone pertanto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata sia per la violazione della disciplina dettata dall’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, sia con riguardo al difetto di motivazione che il ricorso denuncia con il terzo motivo per ragioni del tutto analoghe a quelle gia’ esposte in relazione alla posizione del (OMISSIS).
Avuto riguardo alla non ancora maturata prescrizione del reato di riciclaggio di cui al capo H) contestata al (OMISSIS) (fatto commesso nell’aprile 2006 – prescrizione ordinaria aprile 2021 oltre 3 mesi e 4 giorni per sospensioni COVID) il rinvio deve essere disposto dinanzi altra sezione della corte di appello quale giudice penale.
2.13.1 I motivi avanzati nell’interesse dell’imputata (OMISSIS) e relativi al capo E) dell’imputazione, non appaiono manifestamente infondati con la conseguenza che appare maturato il termine di prescrizione del reato; invero, avuto riguardo alla data di consumazione dei fatti, ottobre 2005, il termine prorogato di prescrizione del contestato reato di riciclaggio risulta decorso ad ottobre 2020 (12anni + 1/4= anni 15), cui vanno aggiunti i periodi di sospensione pari a 3 mesi e 4 giorni con conseguente individuazione del momento estintivo del reato per decorso del tempo al 4 febbraio 2021.
Quanto alla specifica analisi delle ragioni di doglianza, che si impone ai sensi della disciplina dettata dall’articolo 578 c.p.p., avuto riguardo alla condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile (OMISSIS) disposta in grado di appello, ritiene questa Corte di cassazione che le doglianze non appaiono fondate posto che le stesse insistono sulla estraneita’ della (OMISSIS) all’operazione di riciclaggio effettuata attraverso l’emissione degli assegni circolari che la corte di merito motiva sulla base di precise emergenze istruttorie spiegate alle pagine 2324 dell’impugnata pronuncia; il giudice di secondo grado, facendo riferimento alle emergenze probatorie, ha spiegato come la (OMISSIS) fosse la segretaria amministrativa dello studio (OMISSIS), delegata ad operare sul conto di (OMISSIS), pienamente consapevole delle operazioni in corso, autrice di trasferimenti di denaro anche in favore del (OMISSIS), cosi’ che l’eventuale falsificazione delle firme non esclude la sua consapevolezza delle operazioni di “spostamento” del provento dell’appropriazione indebita nell’acquisto dell’abitazione intestata alla moglie del Notaio, la (OMISSIS). Le conclusioni circa la responsabilita’ della ricorrente vengono quindi affidate dalla corte di appello ad una lettura complessiva del materiale probatorio che non puo’ ritenersi affetto da manifesta illogicita’ essendosi evidenziato il pieno coinvolgimento della (OMISSIS) nelle operazioni del duo (OMISSIS)- (OMISSIS).
2.13.2 Piu’ complessa si profila l’analisi della doglianza avanzata nei diversi ricorsi dell’avv.to (OMISSIS), e con la quale si espone l’impossibilita’ di ritenere il riciclaggio alla luce del concorso della (OMISSIS) nel delitto presupposto di appropriazione indebita; orbene, deve precisarsi al proposito che secondo la ricostruzione operata dalla corte di appello, l’appropriazione indebita vedeva quali autori il duo (OMISSIS)- (OMISSIS) che d’accordo con i funzionari della (OMISSIS) addetti al credito e gli addetti all’agenzia n. (OMISSIS) riuscivano a dirottare sui conti accesi presso detta agenzia ingentissime somme provenienti dal patrimonio dell’istituto bancario. Tale essendo la ricostruzione dei fatti, non appare compiutamente provato che la (OMISSIS),,pur autorizzata ad operare sul conto intestato a (OMISSIS), abbia concorso nel delitto presupposto in quanto il suo intervento risulta essere avvenuto dopo la consumazione della fattispecie di cui all’articolo 646 c.p.; precisamente, la (OMISSIS), dopo che le somme erano state illecitamente sottratte alla banca con il concorso di privati e funzionari, si adoperava per la sostituzione delle stesse attraverso condotte tipiche di riciclaggio in questo caso consistite nell’emissione di assegni circolari versati ad altro istituto per la riduzione dell’ipoteca gravante sull’abitazione intestata alla (OMISSIS).
Al proposito va ricordato che ai fini della individuazione dell’operativita’ della clausola di riserva di cui agli articoli 648, 648 bis e ter c.p., deve farsi riferimento al criterio temporale di distinzione, secondo il quale si ha concorso di persone tutte le volte in cui la condotta, tesa all’impedimento dell’identificazione della provenienza, sia stata posta in essere prima della consumazione del reato produttivo dei capitali stessi, e riciclaggio nei casi in cui questa sia successiva; se cioe’ l’agente predispone gli strumenti adoperati per la sostituzione od il trasferimento del denaro prima del compimento del delitto frutto dei capitali illeciti (ad es. traffico di droga, rapina, estorsione etc.) egli e’ certamente concorrente soltanto in quell’ipotesi delittuosa e non anche autore della condotta di riciclaggio che si profila semplicemente quale sviluppo ulteriore di un piano criminoso predisposto antecedentemente; viceversa, quando gli strumenti per la sostituzione od il trasferimento dei profitti illeciti siano stati approntati dopo la consumazione del delitto, l’agente risponde anche del delitto di cui all’articolo 648 bis c.p., poiche’ pone in essere una ulteriore e differente condotta illecita in ambiti temporali assolutamente differenti.
Nel caso in esame non sussistono elementi per ritenere che la (OMISSIS) avesse deliberato unitamente al (OMISSIS) ed ai funzionari dell’istituto di credito le modalita’ operative dell’appropriazione indebita e la condotta della medesima appare, invece, essere intervenuta dopo che le somme erano state illecitamente accreditate emettendo nel caso del capo E) assegni su un conto corrente privo di adeguata provvista e che nonostante tutto venivano pagati.
Quanto al dolo, la sussistenza dell’elemento psicologico viene ricavata dalla corte di appello anche alla luce di specifiche circostanze esposte a pagina 23 della pronuncia circa il ruolo di soggetto delegato ad operare su piu’ conti e quindi a conoscenza delle modalita’ operative del gruppo (OMISSIS).
2.13.3 Ad analoghe conclusioni di infondatezza dei gravami deve pervenirsi quanto alle doglianze avanzate relativamente al capo F) della rubrica; anche per tale episodio delittuoso pero’ la prosecuzione del rapporto processuale sino alla data odierna, stante la non manifesta infondatezza dei motivi di doglianza, ha determinato l’estinzione del reato per maturata prescrizione posto che essedo i fatti commessi a novembre del 2005, il calcolo dei 15 anni (ex articoli 157 e 648 bis c.p.) oltre i 3 mesi e 4 giorni per sospensione della prescrizione individua il termine finale al 13 febbraio 2021, e quindi gia’ decorso.
Quanto ai motivi avanzati, la corte di appello, con le osservazioni svolte a pagina 23 della sentenza impugnata ha precisato che le particolari contiguita’ temporali delle operazioni di versamento sul conto personale della (OMISSIS), acceso contestualmente presso (OMISSIS) ed il successivo ritrasferimento dell’ingente importo di 4 milioni di Euro presso altro conto Fideuram di (OMISSIS), denotano la volontaria operazione di sostituzione di somme provenienti dagli affidamenti illeciti concessi a (OMISSIS) e tale valutazione la corte ha fondato oltre che su tali dati documentali anche sulla stessa dichiarazione del (OMISSIS) che ammetteva di avere ricevuto 2,5 milioni di Euro proprio dalla (OMISSIS). Escluso che tale dichiarazione proveniente dal coimputato sia stata valutata in violazione della disciplina dettata dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, come pure lamentato dai ricorsi, posto che i riscontri paiono precisamente individuati nella ricostruzione delle operazioni bancarie di ricezione e ritrasferimento di ingentissime somme senza causali operate dalla (OMISSIS), l’impugnata sentenza appare avere ricostruito i fatti alla luce della valutazione complessiva del materiale probatorio senza incorrere nei denunciati vizi di motivazione trattandosi di esposizione priva di illogicita’ tanto piu’ manifesta. Entrambi i ricorsi hanno poi prospettato l’impossibilita’ di configurare la fattispecie di riciclaggio posto che le condotte di appropriazione indebita sarebbero successive i versamenti effettuati dalla (OMISSIS) il 9 novembre ed il successivo 11 novembre del 2005; si assume, quindi, che essendo l’appropriazione indebita ricollegabile all’operazione dell’affidamento per 37 milioni di Euro consumata solo il successivo 18 novembre il delitto di riciclaggio non avrebbe potuto essere consumato prima del delitto presupposto.
Tale ricostruzione pero’ sconta l’errata impostazione fornita alle complessive vicende dei rapporti tra (OMISSIS) ed il gruppo (OMISSIS)- (OMISSIS) dal tribunale di Roma nella sentenza di primo grado; questi, invero, ha arbitrariamente ridotto le ipotesi di appropriazione indebita all’operazione dei 37 milioni ed a poche altre, avvenute sempre nel novembre del 2005, senza, invece, analizzare tutti i fatti analoghi che avevano avuto origine sin dal mese di luglio dello stesso anno quando iniziava l’attivita’ di apertura di oltre 20 c/c presso l’agenzia n. (OMISSIS) intestati a (OMISSIS) e ad altre societa’ del gruppo e sui quali operava poi la (OMISSIS) quale soggetto delegato. E proprio a tale proposito la corte di appello, con la sentenza impugnata, ha corretto l’evidente errore in cui era incorso il giudice di primo grado segnalando che le operazioni illecite non possono limitarsi a quelle del novembre 2005 bensi’ rimontano a mesi prima quando gia’ gli affidamenti illeciti avevano avuto inizio; cosi’ che la tesi della anteriorita’ del delitto di riciclaggio rispetto al delitto presupposto viene confutata posto che gia’ prima del 18 novembre i conti della (OMISSIS) avevano goduto di affidamenti illeciti, e che l’ammontare della complessiva esposizione del gruppo (OMISSIS)- (OMISSIS) ammonta, secondo il giudice di secondo grado, a ben 88 milioni di Euro e non alla sola somma affidata il 18 novembre.
Ne’ tale ricostruzione integra in alcun modo la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e ricostruito nella pronuncia di condanna posto che l’imputazione di cui ai capi B) e B1) fa proprio riferimento a tutti gli affidamenti operati da luglio a novembre e fino alla fine del 2005 e quindi in un arco temporale che comprende anche le operazioni dal cui profitto scaturiva poi il riciclaggio posto in essere dalla (OMISSIS).
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, l’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio per prescrizione dei reati contestati ai capi E) ed F) della rubrica a (OMISSIS); le statuizioni civili dell’impugnata sentenza devono essere confermate.
2.14 In relazione al ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS), deve ritenersi non fondato il primo motivo con il quale si lamenta violazione dell’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in fase di appello nei procedimenti aventi ad oggetto l’impugnazione di decisioni assolutorie in primo grado ed assenza di motivazione rafforzata; al proposito, basta infatti osservare che il giudice di appello ha fondato la propria decisione di riforma e di affermazione della sola responsabilita’ civile del (OMISSIS), avendo dichiarato la prescrizione del reato di cui al capo B), in forza delle dichiarazioni rese in sede di rinnovazione istruttoria in appello da parte del teste (OMISSIS) escusso nel corso dell’attivita’ istruttoria svoltasi alle udienze di secondo grado del 29 maggio, 9 ottobre e 4 dicembre 2018. Esclusa, quindi, ogni fondatezza al rilievo in senso formale, deve poi essere altresi’ escluso che il giudice di appello abbia fondato la declaratoria di prescrizione e l’affermazione di responsabilita’ ai soli fini civili in forza di altre deposizioni testimoniali non escusse poiche’ sono proprio le dichiarazioni testimoniali del predetto (OMISSIS), responsabile area manager (OMISSIS) dell’istituto bancario (OMISSIS), ad avere fondato la prova del concorso di (OMISSIS) negli illeciti affidamenti concessi al gruppo (OMISSIS). Tale conclusione, infatti, e’ esposta dal giudice di appello alle pagine 17-18 della motivazione ove vengono ripetutamente richiamate le circostanze riferite da (OMISSIS) nell’occasione della prova rinnovata in appello, durante la quale riferiva ripetutamente dei diversi interventi specifici posti in essere da (OMISSIS) al fine di assicurare la prestazione dei fidi non dovuti. Pertanto, il riferimento a tali specifici interventi del ricorrente, il quale dava disposizioni a (OMISSIS) di inoltrare un affidamento di 20 milioni che veniva segnalato per la sua totale anomalia alla Direzione Centrale, ed ancora rassicurava i vertici dell’istituto, costituiscono elementi di fatto sulla base dei quali la sentenza di appello ha ricostruito il concorso ex articolo 110 c.p., del (OMISSIS) nei reati di appropriazione indebita; tale valutazione in quanto ancorata a precisi elementi di prova assunti dinanzi lo stesso giudice di appello appare priva del lamentato vizio.
Ne’ puo’ essere ritenuto che il giudice di appello in caso di impugnazione della pronuncia assolutoria di primo grado sia obbligato alla ripetizione di tutte le prove testimoniali escusse in primo grado cosi’ che avrebbero dovuti essere sentiti anche tutti i testimoni attinenti le specifiche mansioni del (OMISSIS) all’interno dell’istituto; posto infatti che la prova da rinnovare deve avere carattere decisivo o comunque almeno rilevante, la corte di appello, accertato sulla base della deposizione (OMISSIS) che (OMISSIS), oltrepassando le proprie mansioni, si era intromesso nella vicenda degli affidamenti dei conti della (OMISSIS) e del gruppo (OMISSIS), supportando le attivita’ del (OMISSIS), non aveva alcun obbligo di procedere ad escutere altri testi su circostanze generiche e che riguardavano mansioni nel caso in esame evidentemente superate.
Il secondo motivo e le altre doglianze trovano proprio risposta nelle predette considerazioni circa il ruolo specifico accertato dalla corte di appello di (OMISSIS) nella consumazione dei fatti; inoltre deve farsi riferimento al punto 2.4 della presente motivazione ove sono stati richiamati i principi giurisprudenziali sulla base dei quali ritenere che il funzionario bancario che permetta l’illecita distrazione dei fondi dell’istituto di credito in favore dei privati risponde proprio di appropriazione indebita senza che possa assumere rilievo decisivo la formale attribuzione di compiti differenti rispetto all’erogazione dei crediti.
Anche le altre doglianze devono ritenersi infondate per le ragioni esposte nella parte generale della presente motivazione ed il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
2.15 I primi due motivi del ricorso (OMISSIS) trovano integrale risposta nelle considerazioni svolte ai punti 2.1 e 2.2 della presente motivazione cui si rinvia; quanto all’assenza di motivazione rafforzata, che pure il ricorso contesta nel terzo motivo, valgono le osservazioni svolte al punto 2.6 della motivazione cui si rinvia ed ove e’ stato segnalato che la pronuncia di assoluzione di primo grado appare frutto di un totale travisamento dei fatti e di palesi errori in diritto corretti in fase di appello.
In relazione sempre al terzo motivo, ed alla contestazione del difetto di motivazione della pronuncia di condanna in grado di appello ai soli fini civili del (OMISSIS), va sottolineato come il giudice di secondo grado, con le specifiche osservazioni svolte a pagina 17, ha tratto le conclusioni con specifico riguardo alla posizione processuale del ricorrente sottolineando come fu proprio lo stesso, quale consulente dell’agenzia n. (OMISSIS) ove erano stati aperti tutti i c/c del gruppo (OMISSIS), che tra il 18 ottobre ed il successivo 14 novembre del 2005 autorizzava “scarichi anticipati di partite non disponibili” e cioe’ pagamenti su conti correnti privi di provvista adeguata “per complessivi 14 milioni di Euro”. Inoltre, il giudice di appello, ha proprio confutato le argomentazioni poste a fondamento della decisione assolutoria di primo grado evidenziando come la condotta posta in essere dall’imputato creava scoperti nei c/c superando il dato della differenza tra saldo contabile e saldo disponibile e cosi’ esponeva l’istituto bancario a rischi concreti aventi ad oggetto la complessiva esposizione dei clienti. Inoltre, la corte di appello, segnalava ancora come attraverso operazioni di scarico tra conti correnti omologhi si sanavano solo apparentemente gli scoperti di un conto per creare altro scoperto su altro c/c, cosi’ che la circostanza del mancato protesto degli assegni perde proprio rilievo perche’ le caratteristiche dell’operazione posta in essere erano proprio finalizzate a consentire il pagamento di titoli pur in assenza di provvista.
Deve, pertanto, ritenersi che le osservazioni fornite dalla corte di appello hanno permesso di superare le conclusioni cui e’ pervenuto il primo giudice e sono fondate sull’analisi specifica delle operazioni attuate dall’imputato nell’interesse del gruppo (OMISSIS); esse non hanno disatteso gli esiti dell’istruzione probatoria ma hanno proprio compensato l’evidente travisamento dei fatti cui era incorso il tribunale cosi’ che il denunciato vizio di motivazione non appare sussistere sia in relazione alla assenza di motivazione rafforzata che con riguardo alla violazione della lettera e), dell’articolo 606 c.p.p., trattandosi di ricostruzione precisamente fondata sulla lettura delle emergenze probatorie priva di illogicita’ tanto piu’ manifesta.
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, il ricorso avanzato nell’interesse del (OMISSIS) deve essere respinto.
2.16 In relazione al ricorso avanzato dall’avv.to (OMISSIS) per (OMISSIS) va osservato che il primo motivo trova integrale risposta nelle considerazioni svolte al punto 2.2 della presente motivazione, cui si rinvia, ove viene sottolineato, come secondo l’orientamento di questa Corte di cassazione, il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione e’ antecedente rispetto a quella contestata, ha l’onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato e’ stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti ne’ smentibili da altri elementi di prova acquisiti al processo (Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, Rv. 265330). Elementi incontrovertibili non sussistenti nel caso in esame posto che non risulta accertato, con assoluta sicurezza in questa fase di legittimita’, che tutti i fatti di appropriazione indebita contestati a tutto il 2005 ebbero a consumarsi entro il 17 novembre del 2005. Cosi’ che la tesi della prescrizione del reato anteriormente la pronuncia di primo grado, che precluderebbe la possibilita’ di sentenza di condanna ai soli fini civili anche nei riguardi del (OMISSIS) e che non risulta specificamente dedotta in fase di appello, non ha adeguato e certo riscontro.
Peraltro, e’ stato anche affermato che il reato di appropriazione indebita si consuma ne(luogo e nel tempo in cui la manifestazione della volonta’ dell’agente di fare proprio il bene posseduto giunge a conoscenza della persona offesa, e non nel tempo e nel luogo in cui si compie l’azione (Sez. 2, n. 56344 del 11/10/2018, Rv. 276298). Cosi’ che per la individuazione della consumazione dovrebbe farsi riferimento al momento in cui gli organi deliberativi dell’istituto bancario avrebbero preso conoscenza della volonta’ dei titolari dei c/c di fare uso delle ingenti somme affidate e non anche a quello dei semplici affidamenti.
Il secondo motivo di doglianza trova integrale soluzione nel punto 2.2 della presente motivazione cui si rinvia.
Il terzo motivo di ricorso propone doglianze cui si fornisce risposta al punto 2.4 della presente motivazione cui deve farsi integrale riferimento. Il giudice di primo grado appare essere incorso in un totale travisamento del fatto in relazione alla complessiva ricostruzione delle operazioni effettuate dal Notaio (OMISSIS) e dai suoi accoliti a seguito dell’apertura di 25 conti correnti presso l’agenzia n. (OMISSIS) il cui Direttore era proprio (OMISSIS) ed in evidenti errori di diritto in relazione al possibile ruolo che i superiori del (OMISSIS), ed altri vertici dell’istituto, avrebbero avuto perche’ a conoscenza delle operazioni di affidamenti per importi stratosferici di quei conti correnti. Si e’ gia’ sottolineato come l’eventuale conoscenza o complicita’ dei vertici bancari non legittima le operazioni di spoliazione del patrimonio dell’istituto che e’ il bene giuridico tutelato dalla norma e che non appartiene ai singoli, anche esponenti di vertice dello stesso, bensi’ alla persona giuridica dotata di propria autonomia e personalita’ giuridica.
Quanto alle doglianze in punto di ricostruzione della condotta specificamente tenuta dal (OMISSIS), la corte di appello, nella decisione con cui dichiarava la prescrizione del reato e condannava il predetto al risarcimento del danno nei confronti della parte civile (OMISSIS) s.p.a., dopo avere proceduto ad una complessiva analisi della illegittimita’ degli affidamenti, ha specificamente preso in considerazione l’attivita’ dell’imputato alle pagine 16-17, sottolineando il ruolo certamente decisivo dello stesso nell’operazione ed in particolare nell’anomala apertura di ben 25 conti correnti sui quali venivano poi a maturare i notevoli scoperti. Tali considerazioni, in quanto fondate su precise emergenze, appaiono prive di illogicita’ tanto piu’ manifesta e non sono censurabili attraverso letture alternative di elementi di prova non operabili in sede di ricorso per cassazione.
Il ricorso va pertanto respinto e l’imputato condannato al pagamento delle spese processuali oltre che alla rifusione delle spese di lite della parte civile.
2.17 Infondati appaiono i motivi proposti nell’interesse di (OMISSIS); il primo motivo con il quale si deduce violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera c), in relazione agli articoli 530 e 591 c.p.p., articolo 568 c.p.p., comma 4, per avere la Corte di appello omesso di dichiarare inammissibile l’appello del pubblico ministero avverso i capi B) e B1) della sentenza di assoluzione pur riconoscendo l’intervenuta causa estintiva dei reati determinata dalla prescrizione, e’ stato affrontato e risolto al punto 2.1 della presente motivazione al quale integralmente si rinvia. E’ appena il caso di sottolineare come l’intervenuto appello del pubblico ministero avverso l’assoluzione dai reati di riciclaggio radicava l’interesse a proporre impugnazione anche per i fatti di appropriazione indebita che ne costituivano il delitto presupposto.
Il secondo motivo, che deduce conflitto teorico di giudicati per la mancata impugnazione nei confronti del (OMISSIS), trova risposta e soluzione nel punto 2.3 della presente motivazione cui si rinvia; analogamente deve ritenersi quanto al terzo motivo, relativo al conflitto di giudicati tra assoluzione della (OMISSIS) dal capo P) dell’imputazione ed appello per (OMISSIS) in relazione al capo N) prospettate come soluzioni inconciliabili; anche in relazione a tale doglianza valgono le osservazioni svolte al punto 2.3. In tale parte motiva si e’ gia’ osservato come il giudicato assolutorio per la contestazione di riciclaggio elevata alla (OMISSIS) non puo’ determinare alcun vincolo nei confronti della contestazione di intestazione fittizia imputata al (OMISSIS). Al proposito, peraltro, va anche notato come un possibile contrasto di giudicati sia proprio inconciliabile con la diversa natura dei beni giuridici protetti dalle due norme, posto che, il riciclaggio, e’ fattispecie contro il patrimonio e l’ordine pubblico economico mentre l’odierno 512 bis c.p. e’ fattispecie che punisce la difformita’ tra titolarita’ formale ed effettiva di un bene attuata per sfuggire a misure ablatorie. Diverse, quindi, risultano sia le condotte che gli eventi dei due reati cosi’ che, escluso il riciclaggio operato attraverso la sostituzione del denaro attuata con l’acquisto di un immobile da parte di un soggetto acquirente, resta ferma la possibilita’ che attraverso quell’acquisto altri, in questo caso il (OMISSIS), abbia voluto intestare fittiziamente il bene ad un terzo acquirente formale al fine di escludere possibili confische.
Il quarto motivo appare assorbito nelle considerazioni esposte al punto 2.3 ed in precedenza riassunte circa l’assenza di vincolo per effetto del giudicato assolutorio nei riguardi dell’imputato non appellato.
In relazione al quinto motivo, vanno integralmente richiamate le osservazioni gia’ svolte al punto 2.2 della presente motivazione ove si e’ sottolineato come il potere di impugnazione della parte civile, a seguito di pronuncia di proscioglimento, risulti specificamente previsto e disciplinato dall’articolo 576 c.p.p., che costituisce norma di riferimento quanto ai principi generali in tema di impugnazione della parte civile; l’assenza di contrasti sul punto e l’inequivocabile interpretazione letterale dell’articolo 576 c.p.p., canone di interpretazione fondamentale anche secondo le Sezioni Unite (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Rv. 267884, in motivazione), impone il rigetto anche di tale doglianza.
Anche il sesto motivo con cui si e’ lamentato violazione di legge e motivazione carente e comunque illogica e contraddittoria quanto all’affermazione di responsabilita’ civile del (OMISSIS) per i fatti di appropriazione indebita in relazione alla supposta collusione del ricorrente nelle condotte poste in essere dai dipendenti dell’istituto di credito non e’ fondato; con le specifiche osservazioni svolte dapprima alle pagine 14-15, nelle quali sono stati ricostruiti i passaggi fondamentali delle operazioni di illecito affidamento dei conti del gruppo (OMISSIS) presso l’agenzia n. (OMISSIS) e la conseguente appropriazione di ingenti somme dell’istituto e, poi, alle pagine 18-19, ove sono stati esaminati i profili per ritenere che proprio il predetto Notaio (OMISSIS) ed il (OMISSIS) fossero concorrenti nei reati, la corte di appello ha fornito adeguata giustificazione della pronuncia di riforma della sentenza assolutoria di primo grado. In particolare, sotto il profilo che specificamente il sesto motivo di ricorso contesta, il giudice di secondo grado ha evidenziato come il concorso del (OMISSIS) nei fatti di appropriazione indebita contestati ai funzionari di (OMISSIS) si ricavi da plurimi elementi certamente assai significativi costituiti:
dalla riconducibilita’ allo stesso ed al (OMISSIS) di tutte le societa’ titolari dei conti affidati; dal comune interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS) all’ottenimento degli ingenti fondi tramite i quali operavano vari investimenti immobiliari;
dalla accertata frequente movimentazione di denaro tra conti correnti anche personali dei medesimi e quelli oggetto di affidamento;
dalla partecipazione proprio del (OMISSIS), insieme al (OMISSIS), alla riunione tenutasi nel novembre del 2005 dinanzi i vertici di (OMISSIS) al fine di discutere la rilevantissima esposizione debitoria;
dal parziale ripianamento del debito operato dallo stesso (OMISSIS) nei confronti dell’istituto il 25 novembre 2005.
Trattasi di plurimi elementi di fatto, accertati e ricostruiti dal giudice di appello sulla base delle emergenze processuali, anche a seguito della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, significativi anche del dolo, che paiono interpretati senza alcuna illogicita’ tanto piu’ manifesta. Certamente l’apertura di ben 25 conti correnti ed il successivo affidamento degli stessi sino a determinare un’esposizione di 87 milioni di Euro, e’ un elemento di tale rilevanza da ritenersi significativo del pieno concorso di (OMISSIS) nelle condotte di appropriazione indebita commesse dai funzionari, non potendo sostenersi che lo stesso fosse ignaro della volontaria e consapevole violazione delle regole sulla concessione dei prestiti da parte dell’istituto essendo risultato beneficiario diretto di rilevantissimi capitali sottratti al patrimonio dell’istituto a seguito dell’apertura dei conti delle societa’ allo stesso riconducibili; conti dai quali venivano poi drenati gli stessi capitali per varie operazioni immobiliari che lo vedevano autore principale.
2.18 Ad analoghe conclusioni di non fondatezza delle doglianze deve pervenirsi quanto al ricorso avanzato nell’interesse di (OMISSIS); il primo motivo, ha gia’ trovato riposta nella seconda parte del punto 2.2 della presente motivazione cui integralmente si rinvia. La doglianza in tema di maturazione della prescrizione in epoca antecedente la sentenza di primo grado puo’ essere dedotta in sede di legittimita’ solo quando l’effetto estintivo risulti maturato sulla base di elementi incontrovertibili. Si e’ difatti affermato che il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione e’ antecedente rispetto a quella contestata, ha l’onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato e’ stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti ne’ smentibili da altri elementi di prova acquisiti al processo (Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, Rv. 265330).
Nel caso in esame, a fronte di plurime delibere di affidamento decorrenti da luglio del 2005 ed emesse sino a tutto novembre dello stesso anno, la doglianza propone una anticipazione del momento consumativo finale al 17 di novembre di quello stesso anno basata sul solo episodio dei 37 milioni di Euro; la tesi, come gia’ rilevato, neppure adeguatamente dedotta in appello, non puo’ essere condivisa sia perche’ non risulta inequivocabilmente dimostrato che a quella data tutti i fondi erano stati accreditati sui conti correnti delle sei societa’ indicate nell’ultima parte del capo B) dell’imputazione sia perche’, secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione, l’appropriazione indebita si consuma al momento in cui la volonta’ di fare propria la cosa altrui viene a conoscenza della persona offesa. Al proposito, va infatti richiamato quell’orientamento secondo cui il reato di appropriazione indebita si consuma nel luogo e nel tempo in cui la manifestazione della volonta’ dell’agente di fare proprio il bene posseduto giunge a conoscenza della persona offesa, e non nel tempo e nel luogo in cui si compie l’azione (Sez. 2, n. 56344 del 11/10/2018, Rv. 276298). E nel caso in esame, alcun elemento e’ stato con precisione fornito per affermare che, gia’ al 17 novembre del 2005, l’istituto di credito, soggetto passivo del reato, era venuto a conoscenza della volonta’ dei propri funzionari e dei titolari dei conti riconducibili al Notaio (OMISSIS) di appropriarsi di quelle ingenti somme di denaro. Ed anzi la riunione svoltasi proprio a novembre del 2005 tra i funzionari ed i vertici di (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), nel corso della quale venivano dolosamente effettuate ampie rassicurazioni ed il successivo parziale ripianamento delle esposizioni, dimostra proprio il contrario e cioe’ che al 17 di novembre del 2005 l’istituto non aveva ancora acquisito piena consapevolezza della volonta’ degli imputati di appropriarsi di proprie somme.
Quanto al secondo motivo, ci si riporta alle osservazioni svolte al punto 2.6 della presente pronuncia ove si e’ gia’ escluso la violazione da parte del giudice di appello dell’obbligo di motivazione rafforzata; la sentenza di appello ha dovuto confrontarsi con una pronuncia di primo grado gravemente lacunosa sotto il profilo della ricostruzione dei fatti, che risulta avere in ampia parte travisato sia in relazione al numero dei conti correnti oggetto degli illeciti affidamenti sia all’entita’ del passivo complessivo che le operazioni del (OMISSIS) e degli altri funzionari di (OMISSIS) arrecavano al patrimonio dell’istituto con corrispondente vantaggio del Mezza e del (OMISSIS). A fronte di tali stravolgimenti della materia delle contestazioni elevate ai capi B) e B1), il giudice di appello, seppur con motivazione stringata, ha sottolineato la necessita’ di ritenere la totalita’ delle operazioni come frutto di una complessiva strategia e stigmatizzato, altresi’, i gravi errori in punto di diritto cui era incorso il tribunale che aveva ritenuto in qualche modo scriminante la conoscenza da parte dei vertici bancari delle operazioni portate a termine dal (OMISSIS) e dagli altri funzionari presso i conti accesi nell’interesse del gruppo (OMISSIS) nell’agenzia (OMISSIS) diretta dal coimputato (OMISSIS). Anche tale aspetto, che il ricorso riprende sotto il profilo dell’assenza di motivazione rafforzata, risulta frutto di un evidente errore di diritto del primo giudice, che confonde palesemente tra condotta dei funzionari ed autonomia giuridica del patrimonio dell’ente, attribuendo ai vertici della banca la possibilita’ di distogliere il patrimonio dell’ente dai suoi compiti istituzionali per destinarlo a vantaggio dei privati senza commettere alcun illecito. E sul punto la corte di appello offre una sua interpretazione alternativa a pagina 18 della motivazione sottolineando come eventuali comportamenti collusivi, anche di altri soggetti di vertice dell’istituto, non escluderebbero la consumazione dei reati in danno dell’istituto.
Esclusa ogni violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata, va analizzato poi il secondo motivo nella parte in cui prospetta la violazione dell’obbligo di riassunzione delle prove dichiarative e quindi il rispetto dell’articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, come riformulato a seguito della L. n. 103 del 2017; al proposito, il ricorso ha sottolineato come l’affermazione di responsabilita’ ai soli fini civili richieda, comunque, in caso di ribaltamento della pronuncia assolutoria il rispetto dell’obbligo di rinnovazione e che nel caso in esame la corte di appello non ha proceduto a rinnovare la prova attraverso quei testimoni escussi in primo grado che avevano contribuito alla determinazione della pronuncia di assoluzione per essere stati specificamente richiamati (i testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)).
Orbene, deve essere ricordato come, secondo lo stesso orientamento delle Sezioni Unite, il giudice d’appello che intenda procedere alla “reformatio in peius” di una sentenza assolutoria di primo grado, emessa all’esito di giudizio ordinario o abbreviato, non ha l’obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva qualora emerga che la lettura della prova compiuta dal primo giudice sia stata travisata per omissione, invenzione o falsificazione (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Rv. 269786). Si e’ poi affermato, al proposito, che il giudice d’appello che intenda procedere alla “reformatio in peius” di una sentenza assolutoria di primo grado, emessa all’esito di giudizio ordinario, non ha l’obbligo di rinnovare la prova dichiarativa decisiva qualora emerga che la valutazione della prova compiuta dal primo giudice sia inficiata da un errore di diritto (Sez. 2, n. 5045 del 17/11/2020, Rv. 280562).
Nello stesso solco si e’ ancora ritenuto che il giudice d’appello che intende procedere alla “reformatio in peius” di una sentenza assolutoria di primo grado non ha l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa, ritenuta decisiva, qualora emerga che la sua lettura compiuta dal primo giudice non sia inficiata da un errore di valutazione, ma soltanto da un errore di percezione, che ricorre nel caso in cui si afferma l’inesistenza di un dato che in realta’ esiste (Sez. 1, n. 26390 del 14/11/2017, Rv. 273360).
E nel caso in esame il giudice di primo grado ha proprio “inventato” un’efficacia scriminante alle dichiarazioni dei testi sia in relazione al contenuto dei poteri deliberativi in tema di crediti a capo del (OMISSIS), che la corte di appello correttamente valuta nella complessita’ delle operazioni per oltre 100 milioni di Euro, sia con riguardo all’efficacia della conoscenza dei fatti da parte dei vertici della banca. Cosi’ che entrambi i capisaldi dell’assoluzione di primo grado vengono totalmente a perdere qualsiasi efficacia ai fini della completa e corretta ricostruzione dei fatti; il primo, quello della necessaria concreta verifica dei poteri deliberativi autonomi di (OMISSIS) in tema di concessione di fidi perche’ privo certamente di qualsiasi rilievo in relazione all’entita’ complessiva degli affidamenti per oltre 100 milioni di Euro ed, il secondo, perche’ frutto di errata interpretazione in diritto non rilevando ai fini della consumazione del reato la conoscenza da parte dei vertici.
Conoscenza che, peraltro, e’ appena il caso di notare la stessa corte di merito implicitamente esclude o comunque fortemente riduce, ricostruendo quella riunione dinanzi ai vertici della banca del 18 novembre nel corso della quale (OMISSIS) fu chiamato a fornire rassicurazioni sulle operazioni in corso ed alla quale partecipava anche (OMISSIS) mentre, contestualmente, venivano velocemente affidati altri sei conti per complessivi 37 milioni di Euro alla coniuge dell’imputato veniva acquistata un’abitazione in via (OMISSIS)(vedi pagina 16 sentenza di appello).
Cosi’ che anche tali elementi contribuiscono con valenza decisiva a ritenere pienamente provato il dolo di appropriazione indebita ai danni dell’istituto per il quale (OMISSIS) prestava servizio ed il cui patrimonio per effetto delle ricostruite condotte risulto’ gravemente danneggiato.
Alla luce delle predette considerazioni anche il ricorso del (OMISSIS) deve essere respinto e l’imputato condannato al pagamento delle spese processuali oltre la rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado del giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e revoca le relative statuizioni civili.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna di (OMISSIS) al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, che elimina. Rigetta nel resto il ricorso del (OMISSIS).
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS) e conferma le statuizioni civili dell’impugnata sentenza.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) perche’ i reati a lei ascritti sono estinti per prescrizione. Rigetta nel resto i ricorsi della (OMISSIS) e conferma le statuizioni civili dell’impugnata pronuncia.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma; spese al definitivo.
Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in questo grado di giudizio dalla parte civile (OMISSIS) s.p.a. che liquida in Euro 12.000,00 oltre accessori di legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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