Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 21 gennaio 2020, n. 2201
Massima estrapolata:
Anche nel sesso a pagamento è necessario il consenso a compiere atti sessuali. Quindi forzare una prostituta al bacio, anche non profondo, costituisce violenza sessuale. Il consenso della donna (ugualmente se fosse stato un uomo) è la sola scriminante che rende lecita l'”attenzione erotica”. E dal consenso – dovrebbe essere ormai chiaro – si è sempre liberi di recedere.
Sentenza 21 gennaio 2020, n. 2201
Data udienza 19 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACETO Aldo – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SCARCELLA ALESSIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale CANEVELLI PAOLO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore presente, Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 11.02.2019, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza 5.11.2012 del tribunale di Roma, appellata dal (OMISSIS), dichiarava n. d.p. in relazione al capo b) perche’ estinto per prescrizione, eliminando la relativa pena, e, riconosciuta per il capo a), l’attenuante di cui all’articolo 609-bis c.p., u.c., rideterminava la pena in 2 anni di reclusione, riconoscendo al medesimo i doppi benefici di legge.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’articolo 613, c.p.p., articolando tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all’articolo 609-bis c.p..
In sintesi, premesso che la fattispecie in esame atterrebbe ad un tentativo di bacio ad una prostituta che i giudici di merito avrebbero ritenuto erroneamente inquadrabile nel reato consumato di violenza sessuale, sostiene il ricorrente che la lettura della norma sarebbe stata erronea. Richiamata dottrina sull’argomento secondo cui solo il bacio profondo connoterebbe sessualmente l’atto come integrante gli estremi della violenza sessuale, sostiene che anche volendo applicare la piu’ rigorosa giurisprudenza in materia, deve comunque ribadirsi la necessita’ per il giudice, al fine di affermare la configurabilita’ del delitto in esame, di operare una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto in cui l’azione si e’ svolta e dei rapporti intercorrenti tra le parti (il richiamo e’ a Cass. 10248/2014), cio’ al fine di evitare eccessive dilatazioni della connotazione sessuale del comportamento, contrarie ai principi di tassativita’ e determinatezza e contrarie al senso comune. Nella specie, non vi sarebbe stato alcun bacio profondo, ed, anzi, il mero tentativo di effusione non avrebbe integrato l’illecito penale applicando la richiamata giurisprudenza, trattandosi di un’azione di routine irrilevante nell’ambito di un rapporto sessuale mercenario gia’ iniziato.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione agli articoli 56 e 609-bis c.p. e correlato vizio di motivazione.
In sintesi, sostiene il ricorrente che dagli atti processuali emergerebbe essersi trattato comunque di un tentativo, come sarebbe provato dalle dichiarazioni dibattimentali rese dalla p.o. all’ud. 1.10.2012, di cui la difesa riporta un estratto.
La sentenza sarebbe quindi giuridicamente errata e manifestamente illogica nella parte in cui confligge con le risultanze dibattimentali.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, vizio di motivazione sotto il profilo della mancanza e della manifesta illogicita’.
In sintesi, si sostiene che i giudici di merito hanno ritenuto credibile la versione della p.o. laddove la stessa ha affermato che, pur avendo concordato con l’imputato una prestazione sessuale a pagamento ed il relativo importo, avrebbe poi deciso di recedere da tale accordo non intendendo farsi baciare dall’uomo. Diversamente, i giudici non avrebbero creduto alla versione difensiva, secondo cui la p.o., piuttosto che recedere dai propri intendimenti, aveva tentato di fuggire dopo aver ricevuto una telefonata dai suoi protettori che verosimilmente l’avvisavano dell’arrivo delle pattuglie dei vigili urbani. Da qui vi era stato il tentativo dell’uomo di trattenere la p.o. per adempiere alla pattuizione sessuale, e la successiva “baruffa” con i protettori della ragazza che avevano malmenato l’imputato. La motivazione offerta dalla Corte d’appello sul punto sarebbe manifestamente illogica in quanto contraddetta dagli atti processuali. Ed invero, secondo la Corte d’appello, la tesi difensiva non avrebbe tenuto conto della circostanza per cui l’abbigliamento solo parzialmente indossato non le precludeva alcun tipo di movimento, laddove, diversamente, come sostenuto da uno degli agenti operanti, tale (OMISSIS), sentito all’ud. 17.04.2012, la ragazza avrebbe avuto il pantalone abbassato solo sulla gamba sx, mentre invece la gamba dx era libera, priva di slip, e con il pantalone calato sulla gamba sx. L’illogicita’, per il ricorrente, risulterebbe evidente, laddove attribuisce piena libera’ di movimento alla p.o. che, invece, era impedita dalla sua parziale vestizione, tanto che gli operanti l’avevano trovata in loco, non riuscendo a fuggire come invece i suoi protettori, sanzionandola con la multa prevista dalle ordinanze comunali emanate per combattere la prostituzione su strada, verbale che viene allegato al ricorso. Inoltre, aggiunge il ricorrente, i giudici avrebbero omesso di tenere in considerazione il referto del PS – allegato al ricorso – ove erano annotate le lesioni riscontrate sull’imputato il giorno dei fatti, lesioni compatibili con la riferita aggressione da parte dei protettori della donna, a riscontro della versione difensiva, senza tuttavia che i giudici si fossero soffermati sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Deve premettersi che tutti i motivi di ricorso presentano un vizio comune, in quanto affetti da inammissibilita’ per genericita’ e manifesta infondatezza.
4.1. Sono anzitutto affetti da genericita’ per aspecificita’, in quanto non si confrontano con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nei motivi di appello (che, vengono, per cosi’ dire “replicate” in questa sede di legittimita’ senza alcun apprezzabile elementi di novita’ critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita’. Ed invero, e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia’ esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
4.2. Gli stessi sono inoltre da ritenersi manifestamente infondati, atteso che la Corte d’appello ha, con motivazione adeguata e del tutto immune dai denunciati vizi, spiegato le ragioni per le quali ha disatteso le identiche doglianze difensive esposte nei motivi di impugnazione.
5. Ed invero, dalla lettura della sentenza emerge come i giudici, proprio tenendo conto delle dichiarazioni della p.o., hanno scrupolosamente escluso che si potesse ritenere con rassicurante certezza che vi fu un costringimento iniziale all’atto sessuale, atteso che la donna trovo’ comunque opportuna l’esecuzione della prestazione ad un prezzo inferiore rispetto a quello pattuito, senza esplicitare il dissenso, se non allontanandosi per ritornare alla propria postazione lavorativa, recedendo dal dissenso subito dopo. Per i giudici di appello, dunque, l’attivita’ invasiva della sfera sessuale fu limitata all’iniziativa di baciarla e strapparle i vestiti indossati, non investendo l’intero rapporto sessuale, ma con modalita’ di esecuzione non gradite perche’ al di fuori del perimetro delle attivita’ che la donna era solita consentire ai propri clienti. Del resto, come risulta dalla lettura della prima sentenza (le cui motivazioni si integrano reciprocamente con quella d’appello e viceversa: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), la dinamica dei fatti ebbe svilupparsi secondo modalita’ che videro la donna reagire al comportamento dell’uomo che aveva iniziato a baciarla ed a strapparle i vestiti, provocando il tentativo di fuga della ragazza che, bloccata dall’uomo, cadde rotolando per terra in mezzo alle spine, tanto che la ragazza aveva iniziato ad urlare, tentativo che l’uomo aveva cercato di impedire, mettendole violentemente la mano in bocca, colpendola con un pugno. Tale dinamica dei fatti, del resto, si legge nella sentenza di primo grado, venne corroborata dalle dichiarazioni degli operanti che, allertati dalle urla, notarono l’imputato e la donna, quest’ultima priva di slip, carponi per terra, mentre invocava aiuto e che si presentava in lacrime, riferendo di essere stata malmenata dall’imputato, oltre che con vistosi segni di violenza al collo, venendo accompagnata ad un presidio sanitario dove le vennero prestate le prime cure, e diagnosticate lesioni compatibili con la violenza descritta dalla p.o. e non con la dinamica dei fatti descritta dall’imputato che aveva riferito essersele procurate a causa del semplice rotolamento nel prato. Inoltre, aveva aggiunto il primo giudice, non si comprendeva il motivo per cui, secondo il racconto dell’imputato, la p.o., raggiunta dall’ipotetico protettore che avrebbe colpito l’imputato e si era allontanato, non lo avesse seguito, quanto meno per non essere ritenuta responsabile delle lesioni inferte dal suo protettore all’imputato. La credibilita’ della ragazza, peraltro, non era stata incisa dalle fallaci dichiarazioni del teste indotto dalla difesa, il quale era stato smentito dallo stesso imputato e dalla p.o., i quali avevano riferito di essersi trovati da soli nello spazio apparato attiguo al giardino al momento della consegna della somma di denaro – laddove il teste aveva riferito di essere stato presente all’atto della dazione -, come parimenti inattendibile era stato il medesimo teste nel dichiarare di essere stato presente sui luoghi sino a che non venne allontanato dalla polizia municipale, affermazione sconfessata dallo sviluppo cronologico degli eventi. I giudici di appello, peraltro, si prendono carico anche di confutare, con motivazione non manifestamente illogica, la versione difensiva dell’imputato resa in appello, secondo cui la p.o. non era riuscita ad unirsi alla fuga dei suoi protettori, in quanto non avrebbe tenuto conto della circostanza per cui l’abbigliamento solo parzialmente indossato non le precludeva alcun tipo di movimento, cosicche’ ben avrebbe potuto fuggire insieme ai protettori intervenuti.
6. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente appaiono del tutto prive di pregio, in quanto tradiscono in realta’ il “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimita’, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realta’, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimita’ operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
E, sul punto, attraverso l’asserito travisamento probatorio (contestato nel secondo e nel terzo motivo, senza peraltro nemmeno curarsi di allegare integralmente il verbale stenotipico delle dichiarazioni rese dalla p.o. il 1.10.2012, ne’ quelle del teste (OMISSIS) all’ud. 17.04.2012, cio’ che preclude l’esercizio del sindacato da parte di questa Corte, attesa la genericita’ di ciascun motivo, in considerazione del ricorso alla censurabile tecnica del c.d. stralcio dichiarativo utilizzata per costruire il vizio di travisamento della prova, laddove e’ invece pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericita’, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicita’ o di contraddittorieta’ della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte: Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 – dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601), oltre che ad essere smentito dalla ricostruzione puntuale offerta dalla sentenza d’appello, piu’ che prospettare un reale vizio motivazionale della sentenza, costruisce la censura alla sentenza d’appello chiedendo a questa Corte di scegliere quale delle due versioni, quella difensiva o quella seguita dalla sentenza, fosse quella piu’ convincente, operazione inibita davanti al giudice di legittimita’.
7. A cio’, peraltro, va aggiunto come non meriti nemmeno favorevole valutazione, la prospettazione difensiva tendente a sminuire la credibilita’ della p.o., attraverso il richiamo a presunte contraddizioni logiche della sentenza nella parte in cui i giudici avrebbero ritenuto compatibile che la donna non sarebbe stata impedita dal suo abbigliamento ove avesse voluto darsi alla fuga in compagnia dei suoi protettori o ancora, laddove, non avrebbero tenuto conto delle lesioni refertate sul corpo dell’uomo, compatibili con la riferita aggressione subita a riscontro della versione difensiva. Deve, infatti, essere ancora una volta ribadito che il giudizio di Cassazione non e’ configurato come terzo grado di giurisdizione di merito, ma ha precisi limiti, legati alla ordinaria funzione di giudice della legittimita’ della Corte di Cassazione, che esclude il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa e consente solo di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice cui e’ riservato l’apprezzamento dei fatti. Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo) cui il giudice di merito sia pervenuto attraverso l’esame delle risultanze processuali, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono dunque sottratti al sindacato di legittimita’ e non possono essere investiti dalla censura di mancanza o contraddittorieta’ di motivazione soltanto perche’ contrari all’assunto del ricorrente il quale prospetti una diversa ricostruzione e valutazione dei fatti. Le doglianze su tali accertamenti non rientrano, percio’, tra quelle ammissibili in sede di ricorso per Cassazione, cui non sono soggette se non per un controllo estrinseco sulla congruita’ e logicita’ della motivazione, giacche’ al di fuori dei casi espressamente previsti il giudizio di Cassazione non e’ configurato come un terzo grado di giurisdizione di merito (tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 – dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961). Controllo, in questa sede, agevolmente superato dalla sentenza impugnata.
8. Infine, non coglie nel segno la tesi difensiva secondo cui i fatti o non costituirebbero reato o al piu’ sarebbero stati riconducibili nel tentativo. Ed invero, come emerso dalle decisioni di merito, non si tratto’ di un approccio fallito dell’uomo, ma di un bacio non gradito dalla donna, accompagnato dal comportamento del medesimo che le strappo’ i vestiti per porre in essere l-esecuzione coattiva” della prestazione sessuale gia’ pagata, anche se a prezzo inferiore a quello concordato.
Del resto, a ribadire la rilevanza penale del fatto, e’ sufficiente richiamate quanto questa Corte ha gia’ affermato, laddove si e’ precisato che va qualificato come “atto sessuale” anche il bacio sulla bocca che sia limitato al semplice contatto delle labbra, potendosi detta connotazione escludere solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l’atto risulti privo di valenza erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto (Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007 – dep. 02/07/2007, Greco, Rv. 236964).
Inoltre, quanto alla pretesa configurabilita’ del tentativo, a destituire di fondamento giuridico la tesi difensiva soccorre la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di reati sessuali, anche il bacio sulla guancia, in quanto atto non direttamente indirizzato a zone chiaramente definibili come erogene, configura violenza sessuale, nella forma consumata e non tentata, allorquando, nell’ambito di una valutazione complessiva della condotta che tenga conto del contesto ambientale e sociale in cui l’azione e’ stata realizzata, del rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante, incida sulla liberta’ sessuale della vittima (Sez. 3, n. 43423 del 18/09/2019 – dep. 23/10/2019, P., in corso di massimazione). E, nella specie, il bacio venne dato alla p.o. dal reo nel contesto del rapporto sessuale, e, dunque, indubbiamente aveva una connotazione sessuale, costituendo tuttavia una modalita’ di esecuzione non gradita perche’, come spiega con motivazione scevra da illogicita’ manifeste la Corte d’appello, al di fuori del perimetro dell’attivita’ che la donna era solita consentire ai propri clienti.
9. Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
10. Segue l’oscuramento dei dati personali, attesa la natura del reato contestato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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