L’amministratore di fatto risponde del delitto di indebita compensazione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1722

Massima estrapolata:

In tema di reati tributari, l’amministratore di fatto risponde, quale autore principale, del delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, come mero prestanome, è responsabile del medesimo reato a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ai sensi degli artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 cod. civ., a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza con la quale è stata affermata la sussistenza del dolo eventuale dell’amministratore di diritto, desumendola, oltre che dall’accettazione della carica, da una pluralità di elementi fattuali convergenti, che ne comprovavano la consapevolezza delle criticità gestionali della società e lo svolgimento di un ruolo attivo in ambito societario, con conseguente accettazione del rischio relativo alla commissione di reati da parte dell’amministratore di fatto).

Sentenza 17 gennaio 2020, n. 1722

Data udienza 25 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/01/2019 della Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BARBERINI Roberta Maria, che ha concluso chiedendo: annullamento senza rinvio per prescrizione con riferimento ai reati del capo B) ed E) e per quanto riguarda il capo F) per quei reati consumati fino al 20.01.2012. Annullamento parziale della confisca e rigetto nel resto;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi e chiedendo l’accoglimento in toto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 07/01/2019, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza in data 26.02.2018, con la quale (OMISSIS) era stato dichiarato responsabile dei reati di cui all’articolo 110 c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater, e condannato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione, rideterminava la pena in mesi dieci di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilita’.
Argomenta che la condotta tipica del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater, consiste nell’aver dolosamente riportato, nel modello F24 presentato per il pagamento di un debito, un credito atto ad estinguere o ridurre il quantum dovuto; il ricorrente era stato ritenuto compartecipe del delitto pur a fronte della insussistenza di qualsivoglia contributo materiale o morale al compimento della condotta tipica; nell’atto di appello, con specifiche argomentazioni e rilievi in fatto, si era evidenziato che l’imputato non aveva realizzato la condotta criminosa in quanto rivestiva solo la carica di amministratore di diritto e la gestione societaria era posta in essere dall’amministratore di fatto (OMISSIS); inoltre, neppure vi era prova del contributo psicologico nella commissione dei reati contestati; la Corte territoriale aveva confermato la sentenza di primo grado, senza rispondere ai rilievi difensivi ed esprimendo una motivazione apparente ed in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimita’, che, in tema di reati tributari, individua nell’amministratore di fatto il soggetto attivo del reato e nell’amministratore di diritto, mero prestanome, il concorrente per non aver impedito l’evento delittuoso, ma esclude la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’amministratore di diritto privo di poteri o di ingerenza nella gestione societaria.
Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale e processuale per il mancato rilievo da parte della Corte di appello della prescrizione per alcune delle condotte oggetto del capo di imputazione sub e), con conseguente congrua riduzione dell’importo sottoposto a confisca.
Argomenta che il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater, si consuma al momento della presentazione del mod. F 24 e che, al momento della pronuncia della sentenza di appello, erano prescritte le condotte commesse il 26.1.2011 ed il 22.6.2011; la Corte di appello, omettendo di rilevare la prescrizione, aveva violato il disposto di cui all’articolo 129 c.p.p., e non operata la doverosa riduzione dell’ammontare sottoposto a confisca per equivalente ai sensi dell’articolo 322 ter c.p..
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
L’equiparazione degli amministratori di fatto a quelli formalmente investiti e’ stato affermata da questa Corte sia nella materia civile che in quella penale e tributaria (Cfr., nella materia civile: Cass. 5 dicembre del 2008 n. 28819; 12 marzo 2008, n. 6719; Sez. un. civile 18 ottobre 2005 n. 2013; in quella penale, per tutte: Cass. 7203 del 2008, Cass. n. 9097 del 1993 e, per le violazioni tributarie, cfr. Cass. Sez. trib., n. 21757 del 2005 nonche’ Cass. pen. 2485 del 1995).
Nelle occasioni in cui questa Corte si e’ occupata di reati, anche omissivi, commessi in nome e per conto della societa’, ha individuato nell’amministratore di fatto il soggetto attivo del reato e nel prestanome il concorrente per non avere impedito l’evento che in base alla disposizione di cui all’articolo 2639 c.c., aveva il dovere di impedire. A quest’ultimo, infatti, una corresponsabilita’ puo’ essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all’articolo 2639 cit., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la societa’ e per i terzi. E applicato tale principio in tema di reati tributari, deve affermarsi che l’amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, e’ responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (articolo 40 c.p., comma 2, e articolo 2639 c.c.), a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.
Muovendo dal dato incontestabile secondo cui il reato de quo richiede quale elemento soggettivo il dolo generico, ne discende che la responsabilita’ penale dell’amministratore di diritto – qual e’ il ricorrente nel caso in esame – puo’ si’ essere affermata, posto che risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento ex articolo 40 cpv. c.p., e articolo 2632 c.c., ma a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto della norma penale incriminatrice.
Orbene, nella specie, la Corte di appello ha ritenuto la sussistenza del dolo nella forma eventuale in capo al (OMISSIS), non dando esclusivo rilievo al dato meramente formale di accettazione della carica di amministratore da parte sua, ma evidenziando, altresi’ una pluralita’ di elementi fattuali tra loro convergenti (poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, conoscenza della situazione gestionale della societa’ e delle connesse criticita’ anche a livello di liquidita’, preparazione di un report mensile con il fatturato attivo e passivo, sottoscrizione di documenti afferenti la gestione societaria, deposito della firma per le operazioni bancarie), che ne comprovavano la consapevolezza delle criticita’ gestionali della societa’ ed il ruolo attivo svolto nell’ambito societario, e, quindi, la l’accettazione del rischio connesso alla carica di amministratore di diritto in relazione alla commissione di reati da parte dell’amministratore di fatto.
L’accertamento del dolo costituisce un accertamento di fatto volto a conoscere e ricostruire il fatto storico e deve fondarsi sulla considerazione di tutte le circostanze esteriori dello stesso.
La motivazione offerta dalla Corte territoriale a fondamento dell’accertamento dell’elemento psicologico ha tenuto, quindi, conto di tutti gli elementi fattuali rilevanti, e si connota come adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimita’.
Il ricorrente, peraltro, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ fondato.
Le condotte del 26.01.2011 e del 22.06.2011 di cui al capo e) realizzatesi con la presentazione dei rispettivi modelli F24 di pagamento ed entrambe superiori alla soglia di punibilita’ di Euro 50.000,00, risultavano estinte per prescrizione alla data di pronuncia della sentenza di appello, rispettivamente alla data del 26.7.2018 e del 22.12.2018 (tenuto conto del termine massimo di prescrizione pari ad anni sette e mesi sei, ex articoli 157 e 161 c.p.).
Il delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater, si perfeziona, infatti, nel momento in cui viene operata la compensazione per un importo superiore alla soglia di punibilita’ pari a cinquantamila Euro con riferimento al singolo periodo d’imposta (cfr. Sez. 3, n. 7662 del 14/12/2011 Ud. dep. 28/02/2012 Rv. 251975, in motivazione; Sez 3 n. 536 del 10.12.2014, dep. 9.1.2015 non massimata) e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto e’ con l’utilizzo del modello F24 che si realizza la condotta decettiva del contribuente (Sez.3 n. 4958 del 11/10/2018, dep.01/02/2019, Rv.274854 – 01). La fondatezza del motivo e, quindi, l’ammissibilita’ dell’impugnazione per tale capo di imputazione consente di rilevare e dichiarare anche la prescrizione delle ulteriori condotte contestate al capo e), medio tempore maturata.
Diversamente e’ a dirsi per gli altri capi di imputazione, per i quali la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, rende inammissibile l’impugnazione.
Infatti, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi piu’ reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilita’ dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si e’ formato il giudicato parziale, e’ preclusa la possibilita’ di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez.U,n. 6903 del 27/05/2016, dep.14/02/2017, Rv.268966 – 01).
3. La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo e) perche’ estinto per prescrizione, con eliminazione della relativa pena di mesi due di reclusione, nonche’ in relazione alla disposta confisca per equivalente nella misura di Euro 716.815, pari alla misura del relativo profitto del reato sub e); il ricorso va dichiarato, poi, inammissibile nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo e) perche’ estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione, nonche’ alla disposta confisca nella misura di Euro 716.815. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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