Al lavoratore che non abbia tempestivamente impugnato il licenziamento è precluso l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso

Corte di Cassazione, civile,
Sentenza|14 aprile 2021| n. 9827.

Al lavoratore che non abbia tempestivamente impugnato il licenziamento è precluso l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso e, conseguentemente, la tutela risarcitoria in base alle leggi speciali, né il giudice può conoscere dell’illegittimità del licenziamento per ricollegare al recesso illegittimo le conseguenze risarcitorie di diritto comune, in quanto l’ordinamento prevede, per la risoluzione del rapporto di lavoro, una disciplina speciale, con un termine breve di decadenza (sessanta giorni) all’evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici.

Sentenza|14 aprile 2021| n. 9827

Data udienza 10 dicembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Licenziamento – Mancata impugnazione nel termine di decadenza di sessanta giorni – Preclusione per il lavoratore di far accertare in sede giudiziale l’illegittimità del recesso – Applicabilità del regime impugnatorio di cui all’art. 6 l. n. 604/66 ai licenziamenti collettivi – Termine di prescrizione quinquennale – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 1578/2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., IN LIQUIDAZIONE – (OMISSIS) SOCIETA’ PER AZIONI IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4233/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/07/2018 R.G.N. 5453/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilita’ e in subordine rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 luglio 2018, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’ (OMISSIS) – (OMISSIS) – S.p.A., ha riformato la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda avanzata da (OMISSIS), aveva dichiarato l’illegittimita’ del licenziamento intimato al lavoratore in data 16/12/1998 e condannato la societa’ al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla medesima data sino all’1/12/2000, epoca di cessazione dell’attivita’ aziendale, oltre accessori.
1.1. In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto non condivisibili le considerazioni svolte dal Tribunale con riguardo alla natura ed agli effetti della impugnativa del licenziamento collettivo, reputando il lavoratore decaduto dall’impugnativa del recesso nonche’ prescritta l’azione volta ad aggredirlo alla luce dell’intervenuta impugnativa giudiziale nel 2009, a distanza, quindi, di undici anni dalla data del licenziamento.
2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso, assistito da memoria, (OMISSIS), affidandolo ad un unico, articolato motivo.
2.1. Resiste, con controricorso, la (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, articolo 4, commi 3, 9 e 12 e articolo 5, comma 3, nonche’ della L. n. 300 del 1970, articolo 18 e articolo 1442 c.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per aver la sentenza di secondo grado ritenuto che il recesso intimato al ricorrente fosse annullabile e non affetto da inefficacia, giusta il disposto di cui alla L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 12.
In particolare, parte ricorrente allega che nell’accordo sottoscritto con le O.O.S.S. in data 25/11/1998 non risultavano indicati i criteri di scelta richiesti dal mentovato articolo 4, lasciandosi i Liquidatori liberi di procedere secondo la massima discrezionalita’ e senza possibilita’, quindi, di controllo sui licenziamenti attuati nel tempo.
1.1. Il motivo e’ infondato e, pertanto, non puo’ essere accolto.
Nel caso di specie, parte ricorrente lamenta, sin dalla prospettazione della vicenda dinanzi al giudice di primo grado, la omissione nelle comunicazioni dei criteri di scelta.
Giova premettere, al riguardo, che, ai sensi della L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 3, il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, e’ inefficace qualora sia intimato senza l’osservanza della forma scritta o in violazione delle procedure richiamate dall’articolo 4, comma 12, ed e’ annullabile per violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, della medesima disposizione.
Il comma 12, statuisce che le comunicazioni di cui al comma 9, siano prive di efficacia ove effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dalla norma e che gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2, possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.
1.2. Orbene, appare evidente gia’ dalla piana lettura della disposizione normativa che, al di la’ delle ipotesi di licenziamento privo della forma scritta inefficace de jure gia’ in base ai principi generali – possa ipotizzarsi il difetto di efficacia della comunicazione inerente il recesso soltanto qualora non risultino rispettate le procedure previste dalla legge e posto che eventuali vizi relativi alla comunicazione alle rappresentanze sindacali di cui dell’articolo 4 medesimo, comma 2, possono in ogni caso essere sanate nell’ambito dell’accordo sindacale che venga concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.
In particolare, della L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 3, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 46, stabilisce che qualora il licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, comma 1 e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12, si applica il regime di cui del predetto articolo 18, comma 7, terzo periodo. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui del medesimo articolo 18, comma 4.
Conseguenza della lamentata violazione sara’, comunque, come ovviamente nel caso di specie, la possibilita’ di esercitare l’azione di annullamento del licenziamento intimato.
2.Deve, quindi, osservarsi come gia’ con riguardo alla decadenza dall’impugnativa, questa Corte (Cass. n. 10343 del 19.05.1996, n. 18216 del 21.8.2006, n. 5545 del 9.3.2007, n. 5107 del 3.3.2010) abbia precisato, come correttamente evidenziato dal giudice di secondo grado, che l’ordinamento prevede per la risoluzione del rapporto di lavoro una disciplina speciale, diversa da quella ordinaria, all’interno della quale e’ stato inserito un termine breve di decadenza (sessanta giorni) per l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore (L. n. 604 del 1966, articolo 6, nonche’, per quanto qui interessa, L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 3) all’evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici e garanzia della certezza della situazione di fatto determinata dal recesso datoriale, ritenendo tale certezza valore preminente.
Al lavoratore che non abbia impugnato nel termine di decadenza suddetto il licenziamento e’ precluso, conseguentemente, il diritto di far accertare in sede giudiziale la illegittimita’ del recesso e di conseguire il risarcimento del danno, nella misura prevista dalle leggi speciali (L. n. 604 del 1966, articolo 8 e L. n. 300 del 1970, articolo 18).
Qualora peraltro, tale onere non venga assolto, il giudice non puo’ conoscere della illegittimita’ del licenziamento neppure per ricollegare, di per se’, al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune: la decadenza, infatti, impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, nella misura in cui non consente di far accertare in sede giudiziale la illegittimita’ del licenziamento.
Il sistema delle preclusioni non muta la’ dove, come nella specie, si versi in una ipotesi di impugnativa riguardante vizi del procedimento del licenziamento collettivo, essendo stato precisato (fra le altre, Cass. n. 10235 del 4.5.2009) che la decadenza dall’impugnativa del licenziamento, individuale o collettivo, preclude l’accertamento giudiziale dell’illegittimita’ del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale, sia sul piano extracontrattuale, ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nell’illegittimita’ del recesso.
Anzi, proprio con riferimento ai licenziamenti collettivi, e’ stato affermato piu’ di recente (Cass. n. 31992/2018) che dalla stessa lettura della L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 3 (ante riforma) e L. n. 604 del 1966, articolo 6, si evince che ancor prima della modifica, ad opera della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 46, del menzionato articolo 5 (che previde esplicitamente l’applicazione ai licenziamenti collettivi del regime di impugnazione di cui novellato della L. n. 64 del 1966, articolo 6), tale ultima norma (L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 3, ante riforma), pur non menzionando esplicitamente della L. n. 604 del 1966, articolo 6, in tema di impugnazione del licenziamento, ne riproduceva esattamente il contenuto (“il recesso puo’ essere impugnato entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volonta’ del lavoratore anche attraverso l’intervento delle organizzazioni sindacali”); talche’ deve ritenersi che della L. n. 92 del 2012, detto articolo 1, comma 46 (“Ai fini dell’impugnazione del licenziamento (collettivo) si applicano le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, articolo 6 e successive modificazioni”) non abbia affatto natura innovativa (con conseguente effetto ex nunc), bensi’ ricognitiva del regime normativo applicabile all’impugnazione del licenziamento collettivo, con la conseguenza, derivante dalla soggezione ab origine al regime impugnatorio di cui alla L. n. 604 del 1966, articolo 6, dell’applicabilita’, ai licenziamenti collettivi, anche della successiva disciplina in tema di decadenza dall’impugnazione.
2.1. Quanto alla questione del regime prescrizionale applicabile, si e’ affermato (Cass. n. 10343/2016 cit., Cass. 11/09.2018, n. 22072, Cass. n. 24366 dell’1/12/2010) che una volta che, a mezzo di atto stragiudiziale, sia stata evitata la decadenza prevista dalla L. n. 604 del 1966, articolo 6, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento illegittimo deve essere in ogni caso proposta nel termine quinquennale di prescrizione di cui all’articolo 1442 c.c., che decorre dal giorno di ricezione dell’atto di intimazione, (in senso conf. v. anche Cass. Sez. Lav. n. 18732 del 6.8.2013 secondo cui la prescrizione quinquennale dell’azione volta ad impugnare il licenziamento illegittimo determina – al pari della decadenza dall’impugnativa del licenziamento l’estinzione del diritto di far accertare l’illegittimita’ del recesso datoriale e, quindi, di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, residuando, in favore del lavoratore licenziato, la sola tutela di diritto comune per far valere un danno diverso da quello previsto dalla normativa speciale sui licenziamenti, quale ad esempio quello derivante da licenziamento ingiurioso).
E’ evidente che a tale principio non si sottrae il caso di specie, nel quale, intimato il licenziamento nel 1998, al momento dell’impugnativa, nel 2009, il termine di prescrizione quinquennale era ampiamente trascorso; immaginare una imprescrittibilita’ dell’azione di annullamento sarebbe, d’altro canto, contrario al principio fondamentale della certezza dei rapporti giuridici nell’ambito delle preclusioni dipendenti da cause di decadenza e di estinzione dei diritti all’interno dello stesso sistema dell’impugnativa dei licenziamenti.
4. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
4.1.1. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per ciascun ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 bis e comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.250,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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