Al fine della sussistenza dell’attenuante della provocazione

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 5 marzo 2019, n. 9729.

La massima estrapolata:

Al fine della sussistenza dell’attenuante della provocazione, sebbene non occorra una vera e propria proporzione tra offesa e reazione, e’ comunque necessario che la risposta sia adeguata alla gravita’ del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un’evidente sproporzione, posto che occorre tener conto del criterio dell’adeguatezza come parametro utile alla valutazione dello stato d’animo del reo che, nel caso di evidente sproporzione, tradisce sentimenti e stati psicologici diversi dallo stato d’ira

Sentenza 5 marzo 2019, n. 9729

Data udienza 19 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta Mari – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/04/2018 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CAPUTO ANGELO;
Uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. DI LEO Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 20/04/2018, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza deliberata il 12/10/2017, all’esito del giudizio abbreviato, con la quale il Tribunale di Lecce aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile, in concorso con il fratello minorenne, del reato di lesioni gravissime in danno di (OMISSIS) (al quale era causata la perdita dell’uso di un occhio) e lo aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore avv. (OMISSIS), denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, – inosservanza dell’articolo 62 c.p., comma 1, n. 2), in ordine alla conferma del diniego dell’applicazione della circostanza della provocazione. La sentenza impugnata, secondo cui la condotta dell’imputato non rappresenta la reazione ad un fatto ingiusto, e’ smentita dalla teste (OMISSIS), che ha riferito di aver ricevuto numerose telefonate con offese e minacce da (OMISSIS), suo ex fidanzato, offese e minacce rivolte anche alla fidanzata dell’imputato (OMISSIS), in stato di gravidanza, sicche’, l’imputato, preoccupato per quanto stava accadendo alle ragazze e soprattutto spaventato per lo stato di gravidanza della propria ragazza, decideva di intervenire nella conversazione telefonica con (OMISSIS): il colloquio terminava con un appuntamento nel parcheggio di un supermercato dove nasceva una colluttazione. Sussistono i requisiti della fattispecie circostanziale, ossia lo stato di forte alterazione emotiva causato dal comportamento di (OMISSIS), il fatto ingiusto della persona offesa determinato dalle gravissime ingiurie e minacce rivolte alle due ragazze, il rapporto di causalita’ psicologica tra offesa e reazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile, per plurime, convergenti ragioni.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, puntualmente richiamato dalla Corte distrettuale, al fine della sussistenza dell’attenuante della provocazione, sebbene non occorra una vera e propria proporzione tra offesa e reazione, e’ comunque necessario che la risposta sia adeguata alla gravita’ del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un’evidente sproporzione (Sez. 1, n. 52766 del 13/06/2017, Rv. 271799; conf., ex plurimis, Sez. 1, n. 1214 del 06/11/2008 – dep. 2009, Sanchez, Rv. 242622), posto che occorre tener conto del criterio dell’adeguatezza come parametro utile alla valutazione dello stato d’animo del reo che, nel caso di evidente sproporzione, tradisce sentimenti e stati psicologici diversi dallo stato d’ira (Sez. 5, n. 24693 del 02/03/2004, Vannozzi, Rv. 228861; conf., ex plurimis, Sez. 1, n. 701 del 03/11/1997 – dep. 1998, Caruso, Rv. 209402).
Il giudice di appello ha fatto buon governo dei principi di diritto richiamati escludendo la ravvisabilita’, nel caso di specie, di un rapporto di causalita’ tra il fatto ingiusto di (OMISSIS) (che aveva pronunciato al telefono frasi offensive nei confronti della propria ex compagna e della compagna dell’imputato) e la reazione dell’imputato (e del fratello), incomparabilmente piu’ grave e lesiva delle espressioni rivolte alle due donne: reazione, questa, tradottasi in un’azione tanto violenta da aver causato la perdita di un occhio e che macroscopicamente travalica i limiti di una semplice reazione all’altrui ingiustizia, per assumere la fisionomia di un’azione punitiva (posta in essere dopo che i due fratelli si erano armati di una pistola a salve e di una mazza), che ha dato sfogo ad una violenza brutale.
Le censure del ricorrente sostanzialmente reiterano quelle esaminate e disattese dalla sentenza impugnata con motivazione in linea con i dati probatori richiamati ed immune da vizi logici, sicche’, sotto questo profilo si rivelano manifestamente infondate; a cio’ si aggiunga che il ricorso non sottopone a specifica disamina critica il duplice, correlato, argomento del giudice di appello circa l’insussistenza del nesso di causalita’ tra azione e reazione e la riconducibilita’ del fatto lesivo non gia’ allo stato d’ira dell’imputato, ma al suo dar sfogo ad una violenza brutale, sicche’, sotto questo profilo, il ricorso risulta del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849).
Alla declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00. In ragione del coinvolgimento di minori nella vicenda, in caso di diffusione della presente sentenza, andranno omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
Oscuramento dati.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

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