Al difensore non è concesso accesso al carcere per il colloquio con l’introduzione e l’ausilio di strumenti informatici

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 18 settembre 2019, n. 38609.

Massima estrapolata:

Al difensore non è concesso accesso al carcere per il colloquio con l’introduzione e l’ausilio di strumenti informatici se non ne motiva l’utilità ai fini della difesa effettiva e in assenza di altri motivi. Ai fini dell’ammissibilità è necessario dimostrare l’impossibilità di utilizzare mezzi alternativi all’uso di un pc portatile.

Sentenza 18 settembre 2019, n. 38609

Data udienza 18 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 19-12-2018 del G.I.P. presso il Tribunale di Livorno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Zunica Fabio;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Olga Mignolo, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19 dicembre 2018, il G.I.P. presso il Tribunale di Livorno rigettava l’istanza con cui il difensore di (OMISSIS), tratto a giudizio per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti in tema di tributi ed evasione dei diritti doganali, aveva chiesto di essere autorizzato ad accedere presso il carcere di Lecce per avere un colloquio con il suo assistito munito di strumenti informatici, dichiarando altresi’ inammissibile la questione di legittimita’ costituzionale sollevata dalla difesa rispetto alla normativa che non consente al difensore di accedere alla struttura penitenziaria con l’ausilio di supporti telematici per esercitare il diritto di difesa.
2. Avverso l’ordinanza del G.I.P. toscano, (OMISSIS), tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, il difensore deduce l’errata applicazione degli articolo 96 ss. c.p.p., articoli 103 e 104 c.p.p., e articolo 415 bis c.p.p., comma 2, evidenziando come alcuna norma limiti il diritto dell’imputato, non solo del difensore, di accedere agli atti che lo riguardano, per cui l’ordinanza impugnata avrebbe violato il diritto di difesa, impedendo al difensore di esaminare il fascicolo su supporto informatico con il proprio assistito, non essendo sufficiente un’informazione generica del difensore.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost., oltre che la C.E.D.U., 5 comma 2 e 6, evidenziando che il G.U.P. e l’Amministrazione penitenziaria avevano impedito l’esame completo del fascicolo processuale all’imputato, in violazione del suo diritto di difesa e del dovere da parte del difensore di esercitare pienamente il proprio incarico professionale, non potendo essere svolte indagini difensive stante la mancata conoscenza degli atti.
Con il terzo motivo, infine, la difesa lamenta la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost., rinnovando l’eccezione di legittimita’ costituzionale degli articolo 103 e 104 c.p.p. e osservando al riguardo che il G.U.P., nel ritenere manifestamente infondata la questione, non aveva in realta’ chiarito quale disposizione vieti l’accesso del difensore al carcere con lo strumento necessario all’esercizio del diritto di difesa, cioe’ il computer, ravvisandosi diversamente una palese disparita’ di trattamento in danno della difesa, non essendo ragionevole che, in un processo sempre piu’ telematico, l’informatica possa utilizzata solo da parte del P.M. e dell’Ufficio giudicante, imponendo l’articolo 111 Cost., la ricerca della verita’ e non il preponderante potere degli organi inquirenti e giudicanti rispetto a chi e’ chiamato a difendere l’imputato in condizioni non paritarie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato.
1. Premesso che i motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, perche’ tra loro perfettamente sovrapponibili, occorre evidenziare che il provvedimento impugnato non presta il fianco alle obiezioni difensive.
Deve innanzitutto rilevarsi che, a norma dell’articolo 104 c.p.p., l’imputato in stato di custodia cautelare ha diritto di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della misura, disponendo l’articolo 36 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura speciale che, per conferire con la persona fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare, il difensore ha diritto di accedere ai luoghi in cui la persona stessa si trova custodita.
A sua volta, la L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 18, comma 2, recante norme sull’ordinamento penitenziario, ribadisce che i detenuti hanno diritto di conferire con il difensore, sin dall’inizio dell’inizio dell’esecuzione della misura o della pena, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 104 c.p.p., in ordine all’eventuale dilazione dei colloqui, applicabile invero in casi del tutto eccezionali. Ancora, il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, articolo 37, comma 3, (“regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta’”) stabilisce piu’ specificamente che le persone ammesse al colloquio con i detenuti sono identificate e sottoposte a controllo con le modalita’ previste dal regolamento interno, al fine di garantire che non siano introdotti nell’istituto strumenti pericolosi o altri oggetti non ammessi.
Orbene, nessuna di queste norme vieta espressamente che il difensore effettui i colloqui in carcere con il suo assistito con l’ausilio di strumenti informatici, trattandosi evidentemente di una modalita’ di esecuzione del colloquio che puo’ essere presa in considerazione verificandone la compatibilita’ con le parallele esigenze di sicurezza sottese all’imposizione della restrizione custodiale.
Del resto, la Corte costituzionale ha affermato (ad esempio con le sentenze n. 212 del 1997 e n. 143 del 2013) che tutti i detenuti, anche in forza di condanna definitiva, possono conferire con i difensori senza sottostare ne’ ad autorizzazioni, ne’ a limiti di ordine “quantitativo” (numero e durata dei colloqui), e cio’ non solo con riferimento a procedimenti giudiziari gia’ promossi, ma anche in ordine a qualsiasi procedimento contenzioso suscettibile di essere instaurato, restando affidata all’Autorita’ penitenziaria, in correlazione con le esigenze organizzative e di sicurezza connesse allo stato di detenzione, solo la determinazione delle modalita’ pratiche di svolgimento dei colloqui (individuazione degli orari, dei locali, dei modi di identificazione del difensore e simili), senza alcun possibile sindacato in ordine all’effettiva necessita’ e ai motivi dei colloqui stessi.
Tanto premesso, con riferimento alla specifica problematica sottoposta dal difensore, ovvero la possibilita’ per lo stesso di recarsi al colloquio con il suo assistito munito di computer, si impone la preliminare necessita’ di verificare in che termini un’istanza del genere sia funzionale all’esercizio del diritto di difesa.
La questione centrale, infatti, non e’ tanto quella di stabilire in astratto se il difensore possa entrare o meno in carcere con il suo personale computer, ma piuttosto quella di verificare in che termini possa dispiegarsi in concreto il diritto di difesa, le cui modalita’ di esercizio devono necessariamente adattarsi al peculiare contesto ambientale in cui si svolge il colloquio con la persona assistita. Ora, la preventiva valutazione del modo in cui contemperare le esigenze di protezione della sicurezza con quelle del diritto di difesa impone innanzitutto che siano adeguatamente illustrate dal difensore le ragioni che rendano realmente indispensabile l’ausilio di strumentazione informatica durante il colloquio.
Sotto tale profilo, l’istanza difensiva, nel caso di specie, si e’ rivelata del tutto carente: dalla documentazione presente nel fascicolo processuale, infatti, si evince che, con l’istanza del 12 dicembre 2018, il difensore di (OMISSIS) chiedeva al Direttore della Casa circondariale di Lecce di accedere al carcere con computer portatile “dovendo predisporre adeguata memoria difensiva e procedere alla visione insieme allo stesso (ovvero al suo assistito) del corposo fascicolo penale la cui udienza e’ fissata per il 14.12.18 avanti al Tribunale di Livorno”.
Tale richiesta era del tutto generica, non essendosi specificate le ragioni per cui non era stato possibile stampare gli atti processuali necessari, la cui entita’ non e’ stata affatto chiarita, a parte il vago richiamo al “corposo fascicolo processuale”, di cui sono rimaste ignote l’effettiva quantita’ delle cartelle e il numero di pagine. A cio’ deve aggiungersi l’ulteriore considerazione che la necessita’ di assicurare il piu’ ampio dispiegamento del diritto di difesa ben poteva essere salvaguardata, superando tutte le criticita’ appena rilevate, con una differente modalita’, ovvero utilizzando uno dei computer in dotazione alla struttura penitenziaria, mediante uno strumento di consultazione dei files esterni (ad esempio una pen-driver), da sottoporre al preventivo controllo del personale preposto alle relative verifiche. Cio’ infatti avrebbe consentito di scongiurare il rischio che l’introduzione di un personal computer dall’esterno potesse favorire, anche mediante l’utilizzo di internet, l’accesso a informazioni estranee a quelle strettamente funzionali alla conoscenza degli atti processuali utili all’esercizio delle prerogative difensive.
In definitiva, ne’ nell’istanza rivolta all’Amministrazione penitenziaria prima e al G.I.P. poi, ne’ nell’odierno ricorso, la difesa ha illustrato compiutamente i motivi per cui il diritto di difesa di (OMISSIS) poteva essere assicurato in concreto solo attraverso l’ingresso nel carcere del computer personale del difensore.
Questa avrebbe potuto costituire un’ipotesi del tutto residuale, ove fosse stata verificata, in primo luogo, l’assoluta impossibilita’ di utilizzare documenti cartacei e, in secondo luogo, l’assenza di dotazioni informatiche della struttura carceraria con cui eventualmente utilizzare i dati informatici a disposizione della difesa.
Di qui la manifesta infondatezza del ricorso, non essendo ravvisabile ne’ alcuna compressione del diritto di difesa dell’imputato detenuto, ne’ alcun profilo di illegittimita’ costituzionale della normativa in tema di colloqui con i detenuti che, come si gia’ visto, non contiene al riguardo alcuna indebita limitazione.
3. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato pertanto inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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