Al cittadino extracomunitario in possesso del permesso del permesso di soggiorno spetta l’assegno sociale

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 5 luglio 2019, n. 18189.

La massima estrapolata:

Al cittadino extracomunitario in possesso del permesso del permesso di soggiorno spetta l’assegno sociale anche se si è allontanato temporaneamente dall’Italia.

Sentenza 5 luglio 2019, n. 18189

Data udienza 2 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 10573-2015 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1273/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/10/2014 r.g.n. 209/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/04/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbimento del secondo motivo.
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), extracomunitaria di nazionalita’ albanese, ricorse al giudice del lavoro del Tribunale di Bologna per ottenere il ripristino dell’assegno sociale, di cui era titolare dal febbraio del 2005, spiegando che tale beneficio le era stato revocato a decorrere dal mese di maggio del 2009 per la contestata carenza del requisito della residenza stabile e continuativa sul territorio italiano.
Rigettato dal giudice adito il ricorso, la Corte d’appello di Bologna (sentenza del 15.10.2014), investita dall’impugnazione di (OMISSIS), riformo’ la gravata decisione e condanno’ l’Inps ad erogare alla ricorrente l’assegno sociale dal mese di maggio del 2009.
Osservo’ la Corte territoriale che nella fattispecie era inapplicabile la disposizione di cui alla L. n. 133 del 2008, articolo 20, comma 10, che subordinava il diritto degli stranieri residenti in Italia alla corresponsione dell’assegno sociale alla condizione della loro legale e continuativa residenza sul territorio nazionale per un periodo continuativo di almeno dieci anni, in quanto la domanda della ricorrente era stata proposta in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 133 del 2008 che aveva previsto l’applicazione della suddetta limitazione. Inoltre, la L. n. 40 del 1998, articolo 39 che, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni di assistenza sociale, anche economiche, aveva equiparato ai cittadini italiani gli stranieri titolari di una carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, non richiedeva in aggiunta il requisito della stabile dimora in Italia.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps con due motivi, cui resiste (OMISSIS) con controricorso illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo l’Inps denunzia la violazione e falsa applicazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, articolo 3, commi 6 e 7, nonche’ degli articoli 1, 4, 10, 10 bis del Regolamento CEE del 14.6.1971, versione consolidata in G.U. n. L. 30 aprile 2004, articolo 166 in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, assumendo che la questione sulla quale questa Corte e’ chiamata a pronunciarsi e’ quella di accertare se il soggetto, titolare di pensione sociale (oggi assegno sociale) abbia o meno diritto ad ottenere dall’istituto di previdenza il pagamento dei ratei della suddetta prestazione qualora trasferisca la sua dimora abituale all’estero, considerato che l’assegno sociale e’ prestazione monetaria di natura assistenziale non esportabile. Spiega, altresi’, il ricorrente che la L. n. 335 del 1995 aveva espressamente previsto come requisito costitutivo della prestazione in esame quello della residenza in aggiunta alla cittadinanza e che il Regolamento CEE n. 1408/71 escludeva dal suo campo d’applicazione i regimi di assistenza sociale. Inoltre, in base a tale Regolamento, sostituito da quello n. 883/2004 a decorrere dall’1.5.2010, la regola generale – secondo la quale le prestazioni di sicurezza sociale erano corrisposte qualunque fosse lo Stato nel quale il beneficiario risiedeva – non si applicava alla categoria particolare delle prestazioni collegate all’ambiente sociale dello Stato membro che, se comprese in uno specifico allegato al Regolamento, erano soggette a regole speciali di coordinamento ed erano erogate unicamente nello Stato membro che le prevedeva, per cui non potevano essere esportate. Infatti, l’allegato X del predetto Regolamento, per quel che riguardava l’Italia, includeva tra le “Prestazioni speciali a carattere non contributivo”, alla lettera a), le “Pensioni sociali per persone sprovviste di reddito di legge (L. 30 aprile 1869, n. 153)”. Infine, era incontestato che dal 2005 al 2008 la (OMISSIS) si era allontanata per ogni anno e per piu’ di un mese dalla sua dimora abituale, mentre il requisito anagrafico, di carattere costitutivo, avrebbe dovuto permanere anche dopo la concessione del diritto all’assegno sociale.
2. Col secondo motivo l’Inps deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 433 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la violazione e falsa applicazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, articolo 3, commi 6 e 7, e del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, articolo 20, comma 10, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133, dolendosi del fatto che la Corte d’appello ha ripristinato l’assegno sociale revocato alla (OMISSIS) senza che in atti vi fosse la prova della presentazione da parte di quest’ultima della relativa domanda amministrativa a dimostrazione della permanenza delle condizioni per le quali la prestazione era stata originariamente erogata.
3. Osserva la Corte che il primo motivo e’ infondato.
La questione e’ stata gia’ oggetto di precedenti decisioni di questa Corte (Cass., 6 maggio 2013, n. 10460 e Sez. Lav. n. 17397/2016) che questo Collegio intende condividere e alle quali si riporta.
Orbene, come evidenziato pure nell’impugnata sentenza, la L. n. 335 del 1995, articolo 3, comma 6, ha introdotto l’assegno sociale (in luogo della preesistente pensione sociale), riservandone il diritto ai soli ai cittadini italiani residenti in Italia. Successivamente la L. n. 40 del 1998, articolo 39, ha disposto al comma 1, che “Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonche’ i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti”. Si e’ quindi effettuata la equiparazione tra cittadini italiani residenti in Italia e gli stranieri titolari di carta o di permesso di soggiorno, ai fini del diritto alle prestazioni assistenziali, senza invero richiedere, in aggiunta, il requisito della stabile dimora in Italia, che invece sembra essere stato ravvisato come necessario dalla giurisprudenza costituzionale.
4. Infatti con la sentenza n. 306/2008 la Corte Cost. aveva affermato che “al legislatore e’ consentito subordinare, non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni – non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza – alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata; una volta, pero’, che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini”. Ancora la Corte Costituzionale con la sentenza n. 187 del 2010 ha affermato che “E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’articolo 117 Cost., comma 1, la L. 23 dicembre 2000, n. 388, articolo 80, comma 19, nella parte in cui subordina al requisito della titolarita’ della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell’assegno mensile di invalidita’ di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, articolo 13”. Si e’ infatti affermato che “Secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, ove si versi, come nel caso di specie, in tema di provvidenza destinata a far fronte al sostentamento della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’articolo 14 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, la norma de qua, che interviene direttamente e restrittivamente sui presupposti di legittimazione al conseguimento delle provvidenze assistenziali, viola il limite del rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali imposto dall’evocato parametro costituzionale, poiche’ discrimina irragionevolmente gli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato nel godimento di diritti fondamentali della persona riconosciuti ai cittadini”.
5. Alla luce di questi principi, appare infondato l’assunto dell’Inps, secondo cui il beneficio assistenziale deve essere negato per il periodo di assenza della cittadina extracomunitaria dal territorio italiano.
Non puo’ infatti trovare applicazione caso in esame il Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 20, comma 10, convertito in L. n. 133 del 2008, a norma del quale “A decorrere dal 1 gennaio 2009, l’assegno sociale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, articolo 3, comma 6, e’ corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale”, in quanto questo requisito vale solo dal 1 gennaio 2009, mentre, come gia’ rilevato, la prestazione di cui si discute e’ senz’altro anteriore, essendo stata inizialmente riconosciuta a decorrere dal mese di febbraio del 2005. Ne’ tale argomentazione, sulla quale e’ sostanzialmente basata la “ratio decidendi” dell’impugnata sentenza, risulta in qualche modo incisa dagli attuali motivi di censura.
6. Inoltre, la tesi dell’Inps, secondo cui l’allontanamento anche solo temporaneo farebbe venir meno il diritto alla prestazione per il principio della “inesportabilita’” delle prestazioni assistenziali, introdurrebbe un limite al diritto non previsto dalla legge e discriminatorio in ragione della oggettiva diversita’ della posizione dello straniero extracomunitario rispetto al cittadino italiano.
Ne consegue che non essendo in discussione la residenza, ma venendo in rilievo solo un mero allontanamento temporaneo, sussiste il diritto della assistita alla prestazione anche per il periodo in cui si e’ volontariamente allontanata dal luogo di dimora abituale. Occorre, infatti, ricordare che la residenza e’ determinata dalla abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicche’ concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della volonta’ di rimanervi, la quale estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, e’ normalmente compenetrata nel primo elemento (Cass., 5 febbraio 1985, numero 791; Cass., 14 marzo 1986, n. 1738, secondo la quale questa stabile permanenza sussiste anche in caso di temporaneo allontanamento sempre che la persona vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali).
7. Tra l’altro, questa Corte (Cass. Sez. lav. 5 luglio 2011, n. 14733) ha gia’ spiegato che “Il cittadino straniero anche se titolare del solo permesso di soggiorno ha il diritto di vedersi attribuire l’indennita’ di accompagnamento, la pensione d’inabilita’ e l’assegno d’invalidita’, ove ne ricorrano le condizioni previste dalla legge, essendo stata espunta, per effetto delle pronunce della Corte costituzionale n. 306 del 2008, n. 11 del 2009 e n. 187 del 2010, l’ulteriore condizione costituita dalla necessita’ della carta di soggiorno, in quanto, se e’ consentito al legislatore nazionale subordinare l’erogazione di prestazioni assistenziali alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, quando tali requisiti non siano in discussione, sono costituzionalmente illegittime, perche’ ingiustificatamente discriminatorie, le norme che impongono nei soli confronti dei cittadini extra Europei particolari limitazioni al godimento di diritti fondamentali della persona, riconosciuti ai cittadini italiani” (v. pure Cass., 14 febbraio 2014, n. 3521).
8. Egualmente infondato e’ il secondo motivo, atteso che attraverso lo stesso si censura l’impugnata sentenza sulla base di un presupposto inesistente, vale a dire l’asserita legittimita’ della revoca della prestazione, quando, al contrario, tale legittimita’ e’ stata negata dalla Corte d’appello proprio per il fatto che l’Inps aveva erroneamente tolto all’assistita la prestazione che le spettava. Ne consegue che, versandosi in ipotesi di ripristino di tale prestazione senza alcuna soluzione di continuita’, non vi era necessita’ alcuna di un’ulteriore istanza amministrativa da parte della beneficiaria della stessa provvidenza, essendo l’Inps tenuto ad eseguire il comando giudiziale di condanna all’erogazione dell’assegno sociale dal mese di maggio del 2009, epoca della sua revoca illegittima.
9. Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
Ricorrono, altresi’, i presupposti per la condanna del ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di 2200,00, di cui Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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