Ai fini dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo

Consiglio di Stato, Sentenza|23 agosto 2021| n. 6016.

Ai fini dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo, l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dovesse ritenersi in re ipsa in quanto il rilascio stesso di un titolo illegittimo determinava la sussistenza di una permanente situazione contra ius. In questa prospettiva, l’atto di autotutela avrebbe avuto natura vincolata.

Sentenza|23 agosto 2021| n. 6016. Ai fini dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo

Data udienza 15 luglio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Titolo edilizio – Illegittimità – Annullamento d’ufficio – Condizioni – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5673 del 2020, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. Ma., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Mi. Fa., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Or., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza 21 febbraio 2020, n. 820 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Sesta.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Mi. Fa.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 luglio 2021 il Cons. Vincenzo Lopilato. L’udienza pubblica si è svolta ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305.

Ai fini dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo

FATTO e DIRITTO

1.? La sig.ra Fabozzi Michelina è proprietaria di un immobile, sito nel Comune di (omissis), realizzato su quattro livelli, con destinazione in parte agricola e in parte residenziale, in assenza del permesso di costruire.
Il Comune, con ordinanza 10 marzo 2006, n. 86, ha ingiunto la demolizione dell’immobile e con atto 8 gennaio 2010, n. 1 ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria.
Lo stesso Comune ha adottato i seguenti atti: a) con verbale 29 settembre 2017, n. 9839 ha contestato l’inottemperanza alla predetta ordinanza di demolizione; b) con determinazione 14 marzo 2019, n. 49 ha annullato in autotutela il suddetto permesso di costruire n. 1 del 2010; c) con delibera della Giunta comunale 7 marzo 2019, n. 19 è stata chiesta l’anticipazione della somma necessaria per effettuare la demolizione; d) con atto del 12 febbraio 2018 è stato comunicato l’avvio del procedimento.
2.? La parte ha impugnato l’atto indicato alla lettera a con ricorso principale e gli atti indicati alle lettere b-d con ricorso per motivi aggiunti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania.
3.? Il Tribunale amministrativo, con sentenza 21 febbraio 2020, n. 820: i) ha dichiarato inammissibile il ricorso principale in ragione della valenza non provvedimentale del verbale di inottemperanza; ii) ha dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti nella parte in cui sono stati impugnati gli atti di cui alle lettere c e d perché ritenuti non immediatamente lesivi; iii) ha accolto il ricorso per motivi aggiunti nella parte in cui è stato annullato il permesso di costruire in sanatoria. In particolare, il primo giudice ha ritenuto che il Comune non avesse indicato le ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale ad annullare in autotutela il suddetto permesso di costruire, anche in ragione del lungo tempo trascorso (nove anni) dal rilasciato del titolo autorizzatorio.
4.? Il Comune ha proposto appello per i motivi riportati nei successivi punti.
5.? Si è costituita in giudizio la ricorrente di primo grado, chiedendo il rigetto dell’appello.
6.- La Sezione, con ordinanza 11 settembre 2020, n. 5227, ha accolto la domanda cautelare ai soli fini della sollecita definizione nel merito della presente controversia, aggiungendo “che è necessario che il Comune depositi prima della udienza di merito una relazione di chiarimenti in ordine alla rilevanza nel presente giudizio della sentenza penale di condanna adottata dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 27 marzo 2008”.
7.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 15 luglio 2021.
8.- L’amministrazione appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza in quanto: i) “l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo, specie se rilasciato in sanatoria come nel caso in esame, risulti in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata”; ii) “non grava in capo all’amministrazione un particolare onere motivazionale, laddove l’illegittimità del titolo in sanatoria sia stata determinata da una falsa rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi imputabili al beneficiario dei titolo in sanatoria”.
I motivi non sono fondati.
L’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, nella versione vigente al motivo dell’adozione degli atti impugnati, prevedeva che il provvedimento amministrativo illegittimo potesse “essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto i mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge” (l’art. 63, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108 ha ridotto il termine per l’adozione dell’atto di autotutela a dodici mesi, lasciando, per il resto, immutata la norma).
Il comma 2-bis dello stesso art. 21-nonies prevede che “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.
La giurisprudenza amministrativa era divisa in ordine all’individuazione dei presupposti che dovevano ricorrere nel caso in cui oggetto di annullamento d’ufficio fosse un permesso di costruire.
Un primo orientamento maggioritario riteneva che, ai fini dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo, l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dovesse ritenersi in re ipsa in quanto il rilascio stesso di un titolo illegittimo determinava la sussistenza di una permanente situazione contra ius. In questa prospettiva, l’atto di autotutela avrebbe avuto natura vincolata (Cons. Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3660; Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 2012, n. 5691).
Un secondo orientamento minoritario riteneva, invece, che dovessero applicarsi le regole generali poste dall’art. 21-nonies, sopra riportate (Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 351; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 915).
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 17 ottobre 2017, n. 8, ha risolto il contrasto, ritenendo condivisibile quest’ultimo orientamento.
In particolare, ha ritenuto che, in mancanza di una espressa deroga, si applicano i principi posti dall’art. 21-nonies e, dunque, l’atto di annullamento deve contenere una espressa motivazione dalla quale risultino le ragioni di interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione e la posizione di affidamento dei destinatari dell’atto stesso. Si è puntualizzato che con tale indirizzo interpretativo non si tratta di “negare l’evidente esigenza di un deciso contrasto al grave e diffuso fenomeno dell’abusivismo edilizio, che deve essere fronteggiato con strumenti efficaci e tempestivi e con la piena consapevolezza delle gravi implicazioni che esso presenta in relazione a svariati interessi di rilievo costituzionale (quali la salvaguardia del territorio e del paesaggio, nonché la tutela della pubblica incolumità )”. Nondimeno, occorre “responsabilizzare le amministrazioni all’adozione di un contegno chiaro e lineare, tendenzialmente fondato sullo scrupoloso esame delle pratiche di sanatoria o comunque di permesso di costruire già rilasciato, e sul diniego ex ante di istanze che si rivelino infondate”. Si è osservato, al riguardo, che “l’incondizionata adesione alla (pur suggestiva) formula dell’interesse pubblico in re ipsa può produrre effetti distorsivi, consentendo in ipotesi-limite all’amministrazione – la quale abbia comunque errato nel rilascio di una sanatoria illegittima – dapprima di restare inerte anche per un lungo lasso di tempo e poi di adottare un provvedimento di ritiro privo di alcuna motivazione, in tal modo restando pienamente deresponsabilizzata nonostante una triplice violazione dei principi di corretta gestione della cosa pubblica”. L’atto di autotutela del titolo edilizio rimane, pertanto, di natura discrezionale.
La Plenaria si è occupata di una fattispecie anteriore alla modifica, introdotta nel 2015, che ha sostituito il riferimento al rispetto di un “termine ragionevole” – che costituisce “un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie” (sentenza n. 8 del 2017, cit.) – con il riferimento ad un termine preciso di diciotto messi (ridotto a dodici mesi dal decreto-legge n. 77 del 2021), che deve ritenersi di natura perentoria.
L’atto adottato è illegittimo per plurimi motivi.
In primo luogo, con riguardo al presupposto dell’illegittimità originaria, il Comune ha motivato nel senso di seguito riportato: “1) la concessione in sanatoria non trova conformità urbanistica in quanto non è conforme alla normativa edilizia vigente del Comune di (omissis), approvata con delibera di Consiglio comunale n… del… di cui all’art…. delle norme tecniche di attuazione in quanto l’edificio ha un’altezza superiore ai ml. 7.50 pertanto non trova applicazione la concessione in sanatoria di cui l’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; 2) la concessione in sanatoria è stata rilasciata dopo essere spirati infruttuosamente i 90 giorni di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 e, precisamente, dopo circa 4 anni; 3) manca il deposito al competente Genio civile del calcolo strutturale e/collaudo”.
Tale motivazione, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, non è idonea a dimostrare la sussistenza dell’illegittimità originaria, in quanto: i) non è stata indicata la normativa urbanistica violata; ii) non è chiaro il riferimento al mancato deposito al Genio civile del calcolo strutturale o collaudo; iii) è irrilevante il decorso del termine di novanta giorni (previsto dall’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001) per eseguire la demolizione, in quanto, in mancanza di un divieto normativo espresso, non si tratta di un aspetto ostativo al rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
In secondo luogo, con riguardo al presupposto della sussistenza di un interesse concreto ed attuale, la motivazione non contiene alcun riferimento ad esso, in contrasto con quanto affermato dall’Adunanza plenaria con la sentenza sopra riportata.
Infine, non è stato rispettato il termine perentorio di diciotto mesi per l’adozione dell’atto di autotutela.
Nè varrebbe rilevare che sarebbe riscontrabile una falsa rappresentazione dei fatti sia perché si tratta di un mero postulato non dimostrato sia perché permarrebbe, in ogni caso, la mancanza del primo presupposto costituito dalla illegittimità originaria del provvedimento di primo grado.
5.? Nell’ultima parte dell’atto di appello si fa genericamente riferimento ad una sentenza di condanna definitiva adottata dal Tribunale di S. Maria Capua Veteere del 27 marzo 2008, divenuta irrevocabile in data 8 luglio 2008, che imporrebbe al Comune la demolizione.
Tale deduzione non è in grado di incidere sull’esito della presente decisione sia perché la deduzione è generica e il Comune non ha ottemperato all’ordinanza della Sezione, sopra citata, con la quale sono stati chiesti chiarimenti sia perché si tratta, in ogni caso, di una sentenza adottata in un tempo anteriore al rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
6.? La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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