Ai fini dell’ammissibilità dell’appello

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|27 ottobre 2022| n. 31830.

Ai fini dell’ammissibilità dell’appello

Ai fini dell’ammissibilità dell’appello a motivi limitati ex art. 339, comma 3, c.p.c., le norme sul procedimento che si assumono violate vanno identificate unicamente nelle regole che presidiano lo svolgimento del giudizio di cognizione davanti al giudice di pace e, cioè, nella disciplina delle attività delle parti e del giudice in quel processo, con esclusione delle disposizioni (pur aventi natura processuale) di altri procedimenti che siano assunte dal giudicante per la decisione sul merito e, cioè, per la valutazione di fondatezza o di infondatezza della domanda. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione di inammissibilità dell’appello avverso una pronuncia del giudice di pace che aveva respinto la domanda di ripetizione – avanzata nei confronti del debitore anziché del terzo pignorato – dell’imposta di registro assolta su un’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c., poiché le norme asseritamente violate dal primo giudice – gli artt. 91 e 553 c.p.c. – non avevano natura di “norme sul procedimento”).

Sentenza|27 ottobre 2022| n. 31830. Ai fini dell’ammissibilità dell’appello

Data udienza 13 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Esecuzione forzata – Espropriazione presso terzi – Opposizione – Ordinanza di assegnazione – Imposta di registro – Ripetizione somme – Presupposti – Giudizio di equità – Articoli 113 e 339 cpc – Appello – Articoli 91 e 553 cpc – Regolamentazione delle spese di lite – Articolo 95 cpc – Criteri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2080/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS), difensore di se’ medesimo, elettivamente domiciliato presso il suo studio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’Area legale territoriale di centro, in (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 15487/2019 del TRIBUNALE DI ROMA, depositata il giorno 24 luglio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 luglio 2022 dal Consigliere ROSSI RAFFAELE;
Lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA, formulate ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e successive modifiche, con le quali chiede l’accoglimento del ricorso.

Ai fini dell’ammissibilità dell’appello

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) convenne innanzi il Giudice di Pace di Roma la societa’ (OMISSIS) S.p.A. chiedendone la condanna al pagamento dell’importo di Euro 176,75 (oltre accessori), a titolo di ripetizione dell’imposta di registro assolta su un’ordinanza di assegnazione resa a definizione di una procedura di espropriazione presso terzi promossa in danno della predetta societa’, quale debitrice esecutata, e nei confronti della (OMISSIS) S.p.A., terzo pignorato.
2. Il Giudice di Pace rigetto’ la domanda per difetto di legittimazione passiva della societa’ convenuta, ritenendo che tenuto al rimborso di quanto richiesto fosse il terzo pignorato.
3. Con la decisione in epigrafe indicata, il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello interposto da (OMISSIS), siccome diretto avverso una sentenza pronunciata secondo equita’ (a mente dell’articolo 113 c.p.c., comma 2) in difetto di alcuna violazione rilevante ex articolo 339 c.p.c., comma 3.
4. Ricorre per cassazione (OMISSIS), affidandosi ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, (OMISSIS) S.p.A..
6. Fissato per l’udienza pubblica del 13 luglio 2022, il ricorso e’ stato in pari data trattato in camera di consiglio, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 bis, convertito nella L. n. 176 del 2020, e successive modifiche, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non essendo stata formulata richiesta di discussione orale.
7. Entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il P.G. ha formulato conclusioni motivate nei sensi riportati in epigrafe.
8. Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Ai fini dell’ammissibilità dell’appello

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’articolo 339 c.p.c., comma 3, articolo 553 e articolo 91 c.p.c.” in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, del codice di rito.
Ad avviso del ricorrente, la statuizione del giudice di prime cure secondo cui era insussistente la legittimazione passiva della societa’ convenuta, in quanto l’ordinanza di assegnazione consentiva al creditore di richiedere il pagamento dell’imposta di registro al terzo pignorato – era inficiata da violazione di norme processuali, in specie degli articoli 91 e 553 del codice di rito, aventi ad oggetto la disciplina della condanna alle spese e dell’ordinanza di assegnazione.
E proprio l’inosservanza di siffatte norme sul procedimento aveva costituito motivo di appello il quale, pertanto, rientrando nell’a’mbito di applicazione dell’articolo 339 c.p.c., era stato erroneamente dichiarato inammissibile.
2. Il ricorso e’ infondato.
2.1. Ai fini della intellegibilita’ delle ragioni che suffragano detta conclusione, e’ doveroso tracciare il corretto perimetro dell’oggetto della valutazione devoluta a questa Corte.
E’ censurata una statuizione di inammissibilita’ di un appello interposto avverso una sentenza resa dal Giudice di pace ai sensi dell’articolo 113 c.p.c., comma 2, sul rilievo che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, le doglianze poste a fondamento dell’impugnazione rientravano tra i “motivi limitati” di cui all’articolo 339 c.p.c., comma 3, essendo stata dedotta la violazione degli articoli 91 e 553 del codice di rito, aventi, secondo parte ricorrente, natura di “norme sul procedimento”.
Il punto controverso risiede allora nello stabilire se l’inosservanza delle teste’ menzionate disposizioni, per come ipotizzata dal ricorrente, integri violazione di norme sul procedimento.
Si spiega. Non assume rilievo, in questa sede, la correttezza o meno, in iure, della decisione di rigetto della domanda emessa dal Giudice di pace (ne’ quindi, la fondatezza o meno dei motivi di gravame proposti circa l’esaurimento degli effetti dell’ordinanza di assegnazione quale titolo esecutivo contro il debitor debitoris, l’impossibilita’ di azionare in executivis detta ordinanza in danno del debitore originario e la conseguente necessita’ di introdurre un nuovo giudizio di cognizione diretto alla formazione di una nuovo titolo esecutivo); cio’ che rileva e’ se la prospettazione di queste doglianze – fondate o meno – sia qualificabile come prospettazione della violazione, da parte del Giudice di pace, di “norme sul procedimento” e, conseguentemente, sussumibile nel novero dei motivi “limitati” di appello consentiti dall’articolo 339, comma 3, del codice di rito.

Ai fini dell’ammissibilità dell’appello

2.2. Per la soluzione della questione, e’ dirimente il rilievo che la violazione prospettata dall’appellante (oggi ricorrente) non concerne una norma di disciplina dello svolgimento del processo celebrato innanzi il giudice di pace (e concluso con la sentenza appellata) bensi’ disposizioni regolanti il – diverso e distinto – procedimento esecutivo (segnatamente, le norme sull’efficacia dell’ordinanza di assegnazione e sul riparto dell’onere delle spese di lite), che ha rappresentato la remota scaturigine causale dell’azione di ripetizione qui discussa.
E queste ultime disposizioni (articolo 91 e 553 c.p.c.) sono state (in thesi malamente) apprezzate dal giudice di pace non quale canoni di disciplina dell’andamento della controversia innanzi a se’ dipanata e delle attivita’ processuali (delle parti o officiose) in essa espletate, ma quali regole sostanziali occorrenti per l’emissione della pronuncia di merito sulla domanda proposta e, piu’ precisamente, onde individuare il soggetto munito di legittimazione passivo rispetto alla pretesa restitutoria fatta valere.
Correttamente inquadrate nella descritta prospettiva, tuttavia, le norme in parola, invocate a suffragio dell’appello, non potevano e non possono considerarsi “norme sul procedimento”, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 339 c.p.c., comma 3.
Avuto riguardo al modo di esplicarsi nel nostro ordinamento del giudizio di equita’ (che opera in funzione correttiva o integrativa, allo scopo di invenire l’eventuale regola di giudizio non scritta che consente una soluzione della lite piu’ adeguata alle caratteristiche del caso concreto) ed ai limiti che positivamente connotano tale giudizio, le “norme sul procedimento” vanno identificate unicamente nelle regole del processo che presidiano lo svolgimento del giudizio di cognizione innanzi il Giudice di pace (disciplinando le attivita’ delle parti e del giudice all’interno di quel giudizio), con esclusione delle regole di altri procedimenti che siano assunte dal giudicante (quali norme aventi natura processuale ma svolgenti funzione di regole di diritto sostanziale interposte) ai fini della decisione sul merito, cioe’ a dire per formulare il giudizio di fondatezza o di infondatezza della domanda.
Di queste ultime norme non puo’ predicarsi la sindacabilita’ con il rimedio impugnatorio dell’appello, cio’ importando un inaccettabile vulnus all’intangibilita’ del giudizio equitativo come giustizia (integrativa o correttiva) del caso singolo, posto che l’osservanza delle norme sostanziali e’ sindacabile in appello soltanto per contrasto con norme sovraordinate (costituzionali o comunitarie) oppure con i principi regolatori della materia.

Ai fini dell’ammissibilità dell’appello

2.3. Nel caso di specie, le disposizioni dettate dagli articoli 91 e 553 c.p.c., pur avendo natura di norme processuali (relative al processo esecutivo), non rientrano nel complesso delle norme che, ai sensi degli articoli 311 e seguenti del codice di rito, disciplinano lo svolgimento del processo di cognizione dinanzi al Giudice di pace; ne’, comunque, una funzione del genere hanno in concreto assolto, neanche in via di mera interposizione, in quanto sono state prese in considerazione dal giudice di pace allo scopo di individuare il soggetto obbligato al rimborso delle somme richiesto dall’attore, cioe’ a dire, in altre parole, come regole del rapporto sostanziale dedotto in lite: e il loro apprezzamento – corretto o meno che sia, qui non rileva – ha giustificato il rigetto dell’azione di ripetizione delle somme intentata contro (OMISSIS) S.p.A. per difetto di legittimazione passiva.
La (asserita) inosservanza di siffatte disposizioni non era, dunque, qualificabile come violazione di “norme sul procedimento”, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 339 c.p.c., comma 3 e non poteva essere ammissibilmente dedotta con i motivi di appello.
Corretta in iure appare, pertanto, l’impugnata declaratoria di inammissibilita’ dell’appello resa dal Tribunale di Roma.
3. Il ricorso e’ rigettato.
4. Le spese del grado seguono la soccombenza.
5. Atteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento da parte del ricorrente ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.

Ai fini dell’ammissibilità dell’appello

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida, per ciascuna parte controricorrente, in Euro 510 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

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