Ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 23 aprile 2019, n. 2579.

La massima estrapolata:

Ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni, fra loro autonome, è sufficiente che anche una sola fra esse sia riconosciuta idonea a sorreggere l’atto medesimo, mentre le doglianze formulate avverso gli altri motivi devono ritenersi carenti di un sottostante interesse a ricorrere, giacché in nessun caso le stesse potrebbero portare all’invalidazione dell’atto.

Sentenza 23 aprile 2019, n. 2579

Data udienza 18 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3760 del 2013, proposto da
Ap. An. Ae. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. La. ed Ir. Gi. Be., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. La. in Roma, via (…);
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 1229/2013.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Gi. Ir. Be. e l’avvocato dello Stato Fa. To.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – La Società appellante è proprietaria di una vasta tenuta agricola che si estende per circa 111.000 mq, sita nel territorio di Roma Capitale, Località (omissis), distinta in catasto terreni al foglio (omissis), all.to (omissis), parti. (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis).
L’area risulta ricompresa nel perimetro del Parco Regionale dell’Appia Antica, istituito con Legge Regionale Lazio n. 66 del 10 novembre 1988.
Sulla detta tenuta insistono, sin dagli anni ’50, un edificio rurale ed un manufatto agricolo destinato ad alloggio del guardiano, diversi piccoli manufatti e pertinenze varie, legittimamente realizzati, giusta licenza edilizia n. 740 rilasciata dal Comune di Roma nell’anno 1957.
2 – L’appellante ha eseguito, senza la prescritta autorizzazione, una serie di opere che hanno formato oggetto di richiesta di concessione in sanatoria, ai sensi della Legge n. 724/1994.
Precisamente: a) è stata presentata la domanda di sanatoria n. 77410/1995 per l’ampliamento di circa 25 mq del manufatto agricolo esistente; b) la domanda di sanatoria n. 75768/1995 per la realizzazione di un piccolo muretto per il contenimento del terreno.
3 – Su tali istanze l’Ente Parco si è espresso negativamente, ritenendo che le opere non sono suscettibili di sanatoria in ragione del regime vincolistico che caratterizza l’area. Tale provvedimento è stato impugnato con ricorso dinanzi al T.A.R. per il Lazio che, con la sentenza n. 4100 del 2012, ha respinto il ricorso.
Tale sentenza è stata impugnata con il ricorso in appello n. 2258 del 2013.
4 – In considerazione del fatto che l’area risulta assoggettata, con D.M. del 14 dicembre 1953, anche a vincolo paesistico, ai sensi della Legge n. 1497/1939, sono state presentate anche al Ministero le richieste di parere ai sensi dell’art. 32 della Legge n. 47/1985.
La Soprintendenza si è espressa in senso negativo, citando il precedente parere ostativo del Parco.
5 – Quest’ultimo provvedimento è stato impugnato davanti al T.A.R. per il Lazio, che con la sentenza n. 1229 del 2013 lo ha respinto.
6 – L’appellante lamenta che tale sentenza ha richiamato, e quasi integralmente riportato, la sentenza n. 4100/2012, che aveva respinto il ricorso proposto dalla odierna appellante avverso il parere negativo espresso dall’Ente Parco, senza esaminare compiutamente i motivi di ricorso.
Più precisamente, deduce:
a) l’erronea citazione da parte del T.A.R. degli abusi edilizi realizzati;
b) che il provvedimento dell’Ente Parco si regge su una normativa, e precisamente le misure di salvaguardia di cui alla L.R. Lazio n. 66/1988 (istitutiva del Parco dell’Appia Antica), che non è più operativa in conseguenza della disposizione di cui all’art. 145, comma 3 del D.Lgs. n. 42/2004; conseguentemente, non poteva essere richiamata la normativa di salvaguardia di cui all’art. 16 della legge reg. n. 66/88 istitutiva del Parco, in quanto abrogata; la normativa di riferimento, invece, sarebbe quella contenuta nel Piano Territoriale Paesistico n. 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica ed Acquedotti”, approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 70/2010;
c) in subordine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della Legge Regionale Lazio n. 66/1988, come modificato dall’art. 1 della Legge Regionale Lazio n. 7/1994 in relazione alla normativa in materia di salvaguardia ed all’art. 8 della L.R. Lazio n. 29/1997;
d) in via ulteriormente subordinata, l’incostituzionalità dell’art. 16 della Legge Regionale Lazio n. 66/1988, come modificato dall’art. 1 della Legge Regionale Lazio n. 37/1994 in relazione agli artt. 42 e 97 Cost.;
e) l’eccesso di potere per difetto di motivazione, errore di presupposti e per illogicità manifesta.
7 – In via preliminare, deve rilevarsi l’inammissibilità, sotto più punti di vista, delle questioni di cui ai motivi sub b), c) e d).
7.1 – In primo luogo, deve osservarsi che tali censure non erano contenute nei motivi del ricorso originario, da cui l’inammissibilità della loro proposizione in appello alla stregua dell’art. 104 c.p.a., concretizzandosi in questioni nuove che ampliano inammissibilmente l’oggetto del giudizio di appello, rispetto al giudizio di primo grado.
Come noto, non possono essere proposti in sede di appello nuovi motivi di ricorso (cfr. Cons. St., ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26; Cons. St., ad. plen., 19 dicembre 1972, n. 8). Pertanto, non sono ammissibili nuove censure contro gli atti già impugnati, se era possibile proporle sin dal primo grado di giudizio, in quanto la novità dei motivi equivale ad una domanda nuova (cfr. Cons. St., Sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2977).
7.2 – Inoltre, deve evidenziarsi che l’inammissibilità di tali censure era già stata rilevata dal T.A.R. nella sentenza di primo grado, dove si legge “Le ulteriori censure dedotte nella memoria e concernenti la prevalenza delle norme paesaggistiche su quelle del Piano parchi nonché la decadenza delle norme di salvaguardia previste dalla L. reg. 66/1988 non possono essere esaminate in quanto proposte in modo irrituale, mediante memoria non notificata”.
Ciò nonostante, l’appellante non ha proposto alcun specifico motivo di appello al fine di contestare tale statuizione di inammissibilità, con la conseguenza che sulla stessa si è formato il giudicato, precludendo, anche in questa prospettiva, l’esame del merito delle relative questioni.
8 – Non può trovare accoglimento neppure il quarto motivo di appello con cui si deduce l’eccesso di potere per difetto di motivazione, errore dei presupposti e illogicità manifesta del parere oggetto di causa.
Al riguardo, l’appellante rileva che in tale atto l’amministrazione ha ritenuto che le opere oggetto di sanatoria “vanno ad intaccare le valenze ambientali e paesaggistiche della zona in questione classificata dal P.T.P. come zona C e, pertanto, ritiene quanto realizzato non compatibile con le esigenze di tutela.”.
Secondo l’appellante, tale affermazione sarebbe illegittima, poiché, stante l’assunta irrilevanza delle opere oggetto del condono in riferimento al profilo paesistico-ambientale, le stesse non potrebbero avere “intaccato le valenze ambientali e paesaggistiche della zona in questione”, già legittimante edificata.
9 – In generale, deve ricordarsi che la Soprintendenza dispone di un’ampia discrezionalità tecnico – specialistica nel dare i pareri di compatibilità paesaggistica ed il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato.
9.1 – Nel caso di specie, la contestazione dell’appellante che reputa le valutazioni dell’amministrazione “assurde ed illegittime” non trova alcun riscontro concreto effettivo. Invero, a supporto della propria tesi, l’appellante si limita ad argomentare, in modo del tutto generico, che in ragione della loro limitata entità, le opere in questione sarebbero del tutto irrilevanti sotto il profilo paesistico-ambientale e, pertanto, non potrebbero avere “intaccato le valenze ambientali e paesaggistiche della zona in questione”.
La mancanza di ogni contestualizzazione di tali generiche affermazioni non consente in alcun modo di poter valutare – negli stretti limiti innanzi ricordati – un eventuale esercizio distorto da parte della Soprintendenza del potere che le è attribuito a tutela del vincolo paesaggistico che caratterizza la zona, tanto più che, in considerazione del peculiare regime vincolistico che caratterizza l’area in questione, gli interventi oggetto di causa, lungi dall’assumere quella neutralità nei confronti del valore dei beni paesistici assunta dal ricorrente, appaiono invece suscettibili di introdurre sensibili mutazioni nell’aspetto dell’ambiente oggetto di tutela, sia sotto il profilo dell’impatto materiale, sia di quello visivo.
9.2 – Per le ragioni esposte, non è ravvisabile alcun deficit motivazionale nei provvedimenti impugnati, tenuto conto che la giurisprudenza è pressoché unanimemente orientata a ritenere soddisfacente anche una motivazione scarna e sintetica, purché sia idonea a rivelare “gli estremi logici dell’incompatibilità ” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2013 n. 3878).
10 – Da un altro punto di vista, deve rilevarsi che la prospettazione dell’appellante riporta solo parzialmente il tessuto motivazione del parere impugnato, il quale, letto integralmente, si giustifica anche in ragione dell’inclusione dell’area entro il perimetro del Parco dell’Appia Antica le cui norme istitutive (come si legge nell’atto impugnato) vietano l’esecuzione delle opere oggetto di causa.
Non solo, il diniego della Sovrintendenza trova fondamento anche nell’esplicito richiamo al parere negativo in precedenza espresso dall’ente Parco (per tale ragione la sentenza impugnata aveva richiamato il proprio precedente di cui alla sentenza n. 4100/2012).
Al riguardo, deve ricordarsi che ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni, fra loro autonome, è sufficiente che anche una sola fra esse sia riconosciuta idonea a sorreggere l’atto medesimo, mentre le doglianze formulate avverso gli altri motivi devono ritenersi carenti di un sottostante interesse a ricorrere, giacché in nessun caso le stesse potrebbero portare all’invalidazione dell’atto (ex multis Cons. St. sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1769).
10.1 – L’appello in esame si risolve nella sola critica ad una parte del parere, trascurando di riproporre parte dei motivi di primo grado già respinti dal T.A.R., mentre i restanti motivi di appello si sono rivelati inammissibili, come già illustrato innanzi, da cui la possibilità di applicare il principio giurisprudenziale innanzi citato.
11 – Le considerazioni che precedono non sono incise dalla erronea citazione degli abusi realizzati da parte del T.A.R. lamentata dall’appellante, che non risulta comunque idonea ad inficiare la legittimità del parere e l’esito del giudizio, non essendovi dubbio sulla reale natura ed entità delle opere a cui si riferisce l’atto impugnato.
12 – In definitiva, l’appello non deve trovare accoglimento.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite, che si liquidano in Euro3.000, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

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