Ai fini della integrazione del reato di cui all’articolo 603-bis del Cp

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|23 febbraio 2021| n. 6905.

Ai fini della integrazione del reato di cui all’articolo 603-bis del Cp, è sufficiente la sussistenza anche di uno soltanto degli indici di sfruttamento del lavoro contemplati dalla norma, che sono previsti chiaramente, in base alla lettera della legge, come alternativi (nella specie, relativa a vicenda cautelare, il reato è stato ravvisato a carico di indagato cui era stato contestato di avere impiegato manodopera sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento, attesa la reiterata retribuzione in modo difforme dai contratti collettivi e sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato).

Sentenza|23 febbraio 2021| n. 6905

Data udienza 2 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Caporalato – Nozione – Art. 603 bis cp – Paga sotto i minimi salariali – Configurabilità del reato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Mar – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

Dott. PICARDI Francesc – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 13/08/2020 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO;
udita la relazione svolta dal Consigliere PICARDI FRANCESCA;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS) il quale riportandosi al ricorso insiste per l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS), indagato per il reato di cui all’articolo 603-bis c.p., asseritamente commesso dal mese di marzo 2018, per avere impiegato manodopera sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento, attesa la reiterata retribuzione in modo difforme dai contratti collettivi e sproporzionata rispetto alla quantita’ e qualita’ del lavoro prestato, ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, avverso il provvedimento del Tribunale di Catanzaro, con cui, in parziale accoglimento dell’appello proposto avverso il rigetto, da parte del G.I.P., della richiesta di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, e’ stato previsto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per una volta al giorno e per tutti i giorni della settimana. In particolare il ricorrente ha dedotto la violazione dell’articolo 273 c.p.p., con riferimento all’articolo 603-bis c.p., per insussistenza di gravita’ indiziaria circa la condotta di sfruttamento, nonche’ l’omessa motivazione in ordine agli indici rivelatori della condizione di sfruttamento dei lavoratori, evidenziando che il provvedimento impugnato non ha menzionato alcun elemento investigativo relativo alle effettive condizioni di lavoro, ai metodi di sorveglianza e/o alle situazioni alloggiative degradanti dei lavoratori, eventualmente fornite dal ricorrente, e non si e’ affatto soffermato sul dato temporale della ripetizione dell’unica condotta contestata (retribuzione in misura difforme ed inferiore ai contratti collettivi), che, al piu’, puo’ ritenersi limitata alla sola giornata del 18 aprile 2018, essendo del tutto equivoci ed insufficienti gli indizi desumibili dalla conversazione tra terzi ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), smentiti dallo stesso (OMISSIS). Con istanza tempestiva il ricorrente ha chiesto trattarsi il procedimento nelle forme ordinarie.
2. La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. Occorre premettere che, come evidenziato dal ricorrente, il Tribunale di Catanzaro, con provvedimento del 25 giugno 2020, depositato in data 23 luglio 2020, ha rigettato l’istanza di riesame proposta avverso l’originario provvedimento cautelare. Da tale premessa consegue che l’istanza di sostituzione/revoca del ricorrente e le successive impugnazioni avverso i provvedimenti di rigetto di tale istanza devono confrontarsi con il giudicato cautelare. Difatti, pur mancando un “giudicato” in senso tecnico in materia di provvedimenti di liberta’, l’istanza di revoca o di modifica della misura coercitiva non puo’ limitarsi a rimettere in discussione, puramente e semplicemente, gli stessi elementi che hanno gia’ formato oggetto di decisione e che siano rimasti sostanzialmente immutati: essa presuppone, invece, un mutamento, in senso favorevole all’imputato, degli elementi di accusa o il venir meno delle esigenze cautelari, che l’istante ha l’onere di indicare, per evitare, lo svolgersi di procedimenti del tutto inutili e il ripetersi di provvedimenti negativi con motivazione priva di ogni novita’ e’ stato impugnato (Sez. 6, n. 85 del 13/01/1994 cc. – dep. 22/03/1994, Rv. 197937 – 01). In definitiva, le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non puo’ essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli gia’ presi in esame (Sez. 5, n. 27710 del 04/05/2018 cc. – dep. 15/06/2018, Rv. 273648 – 01).
Lo stesso ricorrente si e’ attenuto a tali principi nella proposizione dell’istanza di revoca della misura cautelare e dell’appello in ordine al provvedimento di parziale rigetto, avendo fatto riferimento ad elementi di novita’, costituiti dal provvedimento del Tribunale di Riesame che ha disposto il dissequestro dell’assenza per insussistenza di fumus e dalla cessazione delle esigenze cautelari anche in ragione della nomina della moglie quale incaricato interno per la gestione e per il reclutamento del personale.
Al contrario, con il presente ricorso, si e’ chiesta un’inammissibile rivalutazione del quadro indiziario dei tutto sganciata degli elementi di novita’ allegati nelle precedenti fasi del procedimento e senza la denuncia di manifeste illogicita’, contraddittorieta’ o lacune motivazionali, non essendovi un’analisi puntuale dei passaggi motivazionali del provvedimento impugnato, ma piuttosto un’analisi diretta del complessivo quadro indiziario, di cui si e’ proposta una lettura diversa da quella operata dal Tribunale del Riesame.
Ad ogni modo del tutto irrilevante risulta la carente valutazione della gravita’ indiziaria in ordine agli altri indici rivelatori dello sfruttamento dei lavoratori, essendo sufficiente, ai fini della integrazione del reato contestato, la sussistenza di uno soltanto degli indici contemplati dall’articolo 603-bis c.p., che sono previsti chiaramente, in base alla lettera della legge, come alternativi.
Per quanto concerne, invece, l’asserita carente valutazione della effettiva ripetizione della condotta emersa dal quadro indiziario (retribuzione inferiore a quella prevista dai contratti collettivi), deve rilevarsi che nel provvedimento impugnato tale elemento viene implicitamente dedotto dal quadro indiziario evidenziato e, cioe’, dall’episodio oggetto di specifico accertamento.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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