Ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale

Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 16 marzo 2020, n. 7311.

La massima estrapolata:

Ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto dell’azienda comporta, di regola, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto di azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va positivamente accertata dal giudice del merito.

Ordinanza 16 marzo 2020, n. 7311

Data udienza 12 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Fallimento – Affitto dell’azienda – Cessazione della qualità di imprenditore – Compatibilità tra affitto d’azienda e prosecuzione dell’impresa – Dichiarazione – Insufficienza – Verifica – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 9564-2018 proposto da:
ASSOCIAZIONE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CURATELA ASSOCIAZIONE (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1423/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 26/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.

RILEVATO

– che viene proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona del 26 settembre 2017, la quale ha respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della Associazione (OMISSIS);
– che non svolgono difese gli intimati;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex articolo 380-bis c.p.c..

RITENUTO

– che i motivi di ricorso censurano: 1) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2221 c.c. e dell’articolo 1 L.Fall., perche’ l’istante non e’ imprenditore commerciale, ma associazione sindacale tra gli artigiani, avente per scopo statutario la promozione dei loro interessi, lo studio delle problematiche e la loro assistenza, restando irrilevante l’economicita’ della gestione; 2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c. e dell’articolo 10 L.Fall., perche’ essa aveva cessato l’attivita’ sin dal 2014 e non aveva posto in essere un affitto di azienda; 3) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2221 c.c. e dell’articolo 1 L.Fall., perche’, pur ove posto in essere un affitto di azienda, tale contratto comporta la perdita della qualita’ di imprenditore commerciale; 4) violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., perche’, al fine di provare la cessazione dell’attivita’ di consulenza fiscale, essa aveva articolato capitoli di prova, tuttavia non ammessi;
– che la corte del merito ha ritenuto come: a) l’associazione in questione sia assoggettabile a fallimento, in relazione al suo oggetto ed allo svolgimento di attivita’ economica programmata, fra l’altro ingente, consistente nella tenuta della contabilita’ e nell’espletamento di adempimenti fiscali per gli imprenditori associati, alimentandosi con i propri stessi ricavi; b) non e’ provata la cessazione dell’attivita’ di consulenza fiscale da oltre un anno, e comunque dal contratto che ha trasferito “il godimento dell’attivita’” aziendale non e’ derivata la cessazione dell’attivita’, che al contrario e’ in fatto continuata, trattandosi di mero affitto d’azienda; c) la prova per testi e’ superflua in ragione della evidenza del dato contrattuale;
– che, cio’ posto, il primo motivo, e’ manifestamente infondato, avendo la corte del merito fatto applicazione del principio consolidato, secondo cui “Lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non e’ elemento essenziale per il riconoscimento della qualita’ di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attivita’ di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicita’ dell’attivita’ esercitata, intesa quale proporzionalita’ tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo” (Cass. 24-03-2014, n. 6835, con riguardo a societa’ cooperativa operante solo verso i soci; conformi: n. 5839 del 1992, n. 7061 del 1994, n. 9513 del 1999): ed invero, il fine associativo non e’ con quello inconciliabile, ben potendo anche l’associazione, ove svolga attivita’ commerciale nel predetto significato, in caso di insolvenza essere assoggettata a fallimento;
– che, a questo punto, giova esaminare il terzo motivo, che e’ fondato;
– che, infatti, il Collegio reputa di non condividere l’apodittica riconduzione dell’affitto di azienda alla continuazione dell’attivita’ d’impresa, sottesa all’argomentazione della sentenza impugnata, posto che questa Corte ha gia’ affermato come non puo’ essere dichiarata fallita una societa’ che, dismessa l’attivita’, non svolga in concreto alcuna attivita’ imprenditoriale, ma un mero affitto dell’azienda (Cass. 01-09-2015, n. 17397): onde non e’ sufficiente accertare l’avvenuto affitto dell’azienda per dedurne la compatibilita’ con la prosecuzione dell’impresa, che invece va positivamente accertata;
– che i rimanenti motivi sono inammissibili, in quanto: non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha reputato non cessata l’attivita’ da oltre un anno e, dunque, non integrata in fatto la fattispecie dell’articolo 10 L.Fall., al contrario avendo reputato la permanenza dell’attivita’; l’accertamento di fatto, cosi’ operato, non puo’ essere riproposto in questa sede, ne’ viene illustrata in alcun modo la denunciata violazione dell’articolo 1362 c.c.; la pretesa di provare il contrario per testimoni non rispetta il disposto dell’articolo 366 c.p.c., dovendosi richiamare il condiviso principio secondo cui “La censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale e’ inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare -elementi necessari a valutare la decisivita’ del mezzo istruttorio richiesto – non alleghi e indichi la prova della tempestivita’ e ritualita’ della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire ex actis alla corte di cassazione di verificare la veridicita’ dell’asserzione” (Cass. 23-04-2010, n. 9748);
– che, dunque, la sentenza va cassata, perche’ il giudice di appello provveda a nuova valutazione dei fatti, sulla base del principio enunciato come segue: “Ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto dell’azienda comporta, di regola, la cessazione della qualita’ di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attivita’ d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilita’ tra affitto di azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va invece positivamente accertata dal giudice del merito”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, infondato il primo ed inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, innanzi alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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