Ai fini della configurabilità dell’esimente della legittima difesa

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|18 novembre 2020| n. 32414.

Ai fini della configurabilità dell’esimente della legittima difesa, il requisito della proporzione tra offesa e difesa deve essere valutato con giudizio “ex ante”, ponendo a confronto i mezzi usati e quelli a disposizione dell’aggredito nonché i beni giuridici, personali o patrimoniali in conflitto, con la conseguenza che tale proporzione viene comunque meno nel caso di beni eterogenei in conflitto, quando la consistenza dell’interesse leso, quale la vita e l’incolumità della persona, sia enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali e di quelli penalmente protetti, dell’interesse patrimoniale difeso. (Nella specie la Corte ha escluso la sussistenza dell’esimente in relazione alla condotta dell’imputato che aveva reagito al tentativo di sottrazione di un dispositivo elettronico dall’abitacolo della sua autovettura chiudendo più volte lo sportello sul petto, sulla spalla e sulla mano della vittima).

Sentenza|18 novembre 2020| n. 32414

Data udienza 24 settembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Lesioni personali aggravate – Diniego dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – Difetto di autosufficienza dei motivi di doglianza – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/03/2019 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PEZZULLO ROSA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. GIORDANO LUIGI, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’.
udito il difensore l’avvocato (OMISSIS) insiste per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27.3.2019, la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa il 6.10.2016 dal locale Tribunale, esclusa la circostanza aggravante del fatto commesso per motivi abbietti e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ha condannato (OMISSIS) alla pena di mesi tre di reclusione, per il reato di cui agli articoli 582 e 585 c.p..
1.1. Al (OMISSIS) si contesta l’aver cagionato al suo dipendente, (OMISSIS), lesioni alla mano destra, con giorni 30 di prognosi, sbattendo volontariamente e violentemente piu’ volte sul petto, sulla spalla e sulla mano del predetto (OMISSIS) lo sportello lato guida del veicolo aziendale in uso allo stesso, reagendo in tal modo al contestuale tentativo di quest’ultimo di strappare un’apparecchiatura di controllo installata dall’imputato sul veicolo.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonche’ la mancanza di motivazione, stante l’omessa pronuncia in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale avanzata con i motivi nuovi di appello; in particolare, la necessita’ della rinnovazione e’ scaturita dalla circostanza che, parallelamente al presente procedimento, ne e’ scaturito un altro, originato dalla querela sporta dal (OMISSIS) contro la persona offesa e in tale procedimento e’ presente un verbale di s.i.t. di (OMISSIS), contenente testimonianza anche in relazione a fatti oggetto del presente procedimento, con dichiarazioni non coincidenti rispetto a quanto dal predetto dichiarato nel corso del processo.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonche’ il vizio di motivazione in relazione agli articoli 582 e 585 c.p.; invero, tenuto conto delle dichiarazioni del teste (OMISSIS) (che tirava il (OMISSIS) verso di se’) e della stessa p.o. che ha assunto una posizione innaturale, con il braccio proteso all’interno dell’abitacolo, rimanendo con il resto del corpo fuori dal mezzo, non e’ logicamente comprensibile il ragionamento seguito dalla Corte territoriale per ritenere plausibile unicamente la versione della persona offesa – e cioe’ che le lesioni (consistenti nella infrazione allo scafoide carpale della mano) sarebbero derivate dalla chiusura dello sportello dell’autovettura- e non, come invece ipotizzato dalla difesa, dallo sforzo per strappare il localizzatore, nonche’ dagli strattoni ricevuti dal (OMISSIS) per allontanare la p.o. dal veicolo; tale prospettazione alternativa risulta, invero, essere stata bocciata solo in termini apodittici dal giudice di seconde cure; inoltre, si censura la contraddittorieta’ della motivazione, in quanto, relativamente alla richiesta subordinata di riconoscimento della legittima difesa, si afferma dapprima che “non e’ possibile sacrificare l’integrita’ fisica per tutelare la proprieta’”, ma successivamente si riconosce come il ricorrente abbia agito “comunque a difesa della sua proprieta’”.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della legittima difesa; invero, la dinamica condivisa anche dalla Corte territoriale ha visto l’imputato chiudere lo sportello al momento della sottrazione del dispositivo di controllo: si sarebbe trattato di un’azione proporzionata alla difesa del proprio diritto, essendo quello l’unico modo in tale frangente per impedire alla persona offesa di asportare la microspia; l’imputato, pertanto, avrebbe posto in essere l’azione minima necessaria per cercare di dissuadere il (OMISSIS) dall’aggressione patrimoniale; inoltre, la motivazione e’ viziata nella parte in cui afferma che non possa sacrificarsi l’integrita’ fisica a tutela della proprieta’, fuori di un pericolo d’aggressione, evenienza, poi, riconosciuta dalla stessa Corte territoriale, laddove afferma che l’imputato avrebbe chiuso lo sportello nel momento in cui la p.o. strappava il dispositivo di controllo per portarlo via, con cio’ terminando un’aggressione all’imputato; peraltro, e’ ben possibile tutelare diritti patrimoniali ricorrendo ad atti di violenza, nel rispetto del principio di proporzione e di necessita’, requisito escluso dalla sussistenza di una volonta’ di ritorsione, che, tuttavia, nel caso di specie e’ inesistente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile, siccome manifestamente infondato.
1. Il primo motivo di ricorso non si confronta con i principi costantemente affermati da questa Corte, secondo cui la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello e’ circostanza di carattere eccezionale, alla luce della presunzione di completezza dell’istruttoria di primo grado (Sez. 5, n. 8891 del 16/05/2000, Rv. 217209). Invero, il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre puo’ anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilita’ del reo (cfr. da ultimo Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, Rv. 275114).
Nel caso di specie, dallo snodo argomentativo della sentenza impugnata, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia ricostruito in termini univoci la dinamica delittuosa, nel senso che l’imputato chiudeva lo sportello del veicolo aziendale nel momento in cui il (OMISSIS) riusciva a strappare il dispositivo di controllo, come dimostrato dal tipo di lesione riportata. Pertanto, il rigetto della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale risulta argomentato implicitamente in virtu’ della completezza degli elementi di prova acquisiti.
2. Inammissibile, siccome versato in fatto, si presenta il secondo motivo di ricorso. La Corte territoriale ha evidenziato, con ragionamento essenziale, come l’evento di lesioni verificatosi e la relativa prognosi non possano essere compatibili con l’alternativa prospettazione difensiva, secondo la quale il (OMISSIS) si sarebbe provocato l’infrazione allo scafoide della mano nel tentativo di strappare il dispositivo GPS, ovvero a causa degli strattoni ricevuti dal (OMISSIS). Al contrario, la lesione e’ pacificamente riconducibile ad un trauma da schiacciamento, sicche’ la ricostruzione dell’accaduto effettuata della p.o., ritenuta attendibile dalle sentenze di merito, risulta essere in effetti l’unica spiegazione dotata di plausibilita’ ed elevato grado di credibilita’ razionale in relazione agli elementi acquisiti.
2.1. Anche la censura di contraddittorieta’ della motivazione e’ infondata: non vi e’ alcunche’ di contraddittorio nelle due affermazioni della Corte territoriale per cui, da un lato, non sarebbe possibile sacrificare l’integrita’ fisica per tutelare la proprieta’, e dall’altro che il ricorrente avrebbe agito “comunque a difesa della sua proprieta’”, avendo la Corte territoriale correttamente evidenziato come la difesa della proprieta’, per essere legittima, non possa (di norma, come si vedra’ successivamente) passare per un sacrificio di beni personali, fuori dell’ipotesi del pericolo di aggressione.
3. Anche il terzo motivo e’ infondato. Ha ritenuto la Corte d’appello che nel caso in esame difetti il requisito di proporzione. Tale elemento costitutivo della legittima difesa, presunto soltanto nel caso di violazioni al domicilio e ai luoghi a questo equiparati (articolo 52 c.p., comma 2), purche’ vi sia pericolo di aggressione, richiede normalmente che i beni posti a confronto siano di pari rango, o che comunque l’intensita’ della lesione del bene sovraordinato, sacrificato con l’azione difensiva, sia contenuta. In questo senso si e’ riconosciuto in giurisprudenza come non possa in assoluto escludersi la legittimita’ del sacrificio di beni personali (incolumita’ fisica) per salvaguardare il patrimonio, fermo restando il rispetto del principio di proporzione (oltre che di necessita’ dell’azione difensiva).
Cosi’, ad esempio, e’ stato affermato (Sez. 1, n. 6979 del 20/06/1997, Rv. 208256) che, posta l’astratta ammissibilita’ dell’azione difensiva a presidio di qualsiasi diritto, e pertanto anche del patrimonio, l’apprezzamento della proporzione tra offesa e difesa, da formularsi con giudizio ex ante (alla luce dei mezzi impiegati dall’agente, a quelli a disposizione dell’aggredito nonche’ ai beni giuridici in conflitto) non puo’ che essere qualitativo e relativistico: ne consegue che, nel raffronto tra il bene di un aggressore e il bene di un aggredito, il requisito della proporzione venga meno, nel caso di beni eterogenei in conflitto, quando la consistenza dell’interesse leso, quale la vita e l’incolumita’ della persona, sia enormemente piu’ rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali e di quelli penalmente protetti, dell’interesse patrimoniale difeso, ed il male inflitto all’aggredito abbia una intensita’ di gran lunga superiore a quella del male minacciato.
3.1. Orbene, nel caso di specie, a fronte di un sacrificio patrimoniale modesto, deve rilevarsi come l’azione difensiva abbia travalicato i limiti imposti dal predetto requisito, come reso manifesto dalle conseguenze della lesione.
Deve da ultimo evidenziarsi come il rilievo difensivo, relativo alla contraddittorieta’ della pronuncia nella parte relativa al pericolo di aggressione, ritenuto sussistente dalla difesa, sia viziato dall’aver riferito l’estremo dell’aggressione a qualsiasi diritto, laddove la disposizione codicistica fa evidentemente riferimento ad un’aggressione di tipo fisico, in questo caso insussistente.
3. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3000,00, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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