Corte di Cassazione, penale, Sentenza|20 aprile 2021| n. 14862.
Ai fini della configurabilità del tentativo di violenza privata, non è necessario che la minaccia abbia effettivamente intimorito il soggetto passivo determinando una costrizione, ancorché improduttiva del risultato perseguito, ma è sufficiente che essa sia idonea ad incutere timore e sia diretta a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volontà, la condotta pretesa dall’agente.
Sentenza|20 aprile 2021| n. 14862
Data udienza 15 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA VITA E L’INCOLUMITA’ INDIVIDUALE – LESIONI PERSONALI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUNO Paolo Antonio – Presidente
Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere
Dott. SETTEMBR Antonio – Consigliere
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1546/2018 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 15/11/2018;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/12/2020 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
Udito il Procuratore Generale in persona della Dott.ssa ANTONIETTA PICARDI, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito l’Avv. (OMISSIS) si associa alle conclusioni del Proc. Gen. e chiede dichiararsi inammissibile il ricorso o rigettarlo, deposita conclusioni con allegate nota spese;
L’Avv. (OMISSIS) chiede l’accoglimento del ricorso;
L’Avv. (OMISSIS) chiede l’accoglimento riportandosi al ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15 novembre 2018 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma delle sentenze del Tribunale di Rimini del 26 ottobre 2017 e del G.I.P. del medesimo Tribunale del 20 ottobre 2017, riconosciuta la recidiva specifica infraquinquennale non reiterata e, ritenuto il delitto di lesioni di cui alla sentenza del G.I.P. del Tribunale di Rimini commesso nell’unicita’ di disegno criminoso con i reati, pure avvinti nel vincolo della continuazione, di cui ai capi A), B), C), D), E), F), G), I), L), della sentenza del Tribunale di Rimini, rideterminava la pena nei confronti di (OMISSIS), per tutti tali reati, in complessivi anni 13, mesi 11 e giorni 20 di reclusione; con la medesima sentenza, la Corte d’Appello confermava, altresi’, la pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, per il reato continuato di cui ai capi H), M) ed N) della sentenza del Tribunale di Rimini del 26 ottobre 2017, cosi’ determinando una pena complessiva di anni 15, mesi 5 e giorni 20 di reclusione, nonche’ confermando tutte le statuizioni civili.
1.1. In particolare, con la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Rimini del 20 ottobre 2017 il (OMISSIS) era stato condannato, con il rito abbreviato, per il delitto commesso in Rimini il 10 gennaio 2017, nei confronti della ex fidanzata, (OMISSIS), di lesioni ex articoli 582 e 583 c.p., articolo 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2, comma 2, n. 4, articolo 585 c.p., anche in relazione all’articolo 576 c.p., nn. 1 e 5.1, con compromissione della capacita’ visiva e della cute, nonche’ la deformazione e lo sfregio permanente del viso. Secondo la ricostruzione dei fatti, sulla base del materiale probatorio acquisito, ed in primis delle dichiarazioni ritenute attendibili della (OMISSIS), quest’ultima la sera del 10.1.2017, fu vittima di un agguato nel parcheggio antistante la sua abitazione, da parte di un soggetto che l’attendeva accovacciato nei pressi del suo posto auto condominiale, gettandole sul viso e sul capo liquido caustico corrosivo, cagionandole cosi’ le lesioni indicate, consistite in profonde e diffuse ustioni chimiche al volto, con coinvolgimento anche delle cornee; la p.o. fin dai primi istanti, senza mai manifestare dubbi, identificava nell’imputato l’autore dell’agguato.
1.2. Con sentenza del Tribunale di Rimini del 26 ottobre 2017, il (OMISSIS) era stato, inoltre, condannato per piu’ reati avvinti dalla continuazione e segnatamente:
-per atti persecutori ex articolo 612 bis c.p., commi 1 e 2, (capo A), dall’aprile 2016 (in sostanziale coincidenza con l’interruzione della relazione sentimentale con la (OMISSIS)) al 10 gennaio 2017 (data delle lesioni gravissime), poiche’, allo scopo di costringere la (OMISSIS) a riallacciare la relazione sentimentale con lui, la molestava, presentandosi ripetutamente nel luogo di lavoro, presso la sua abitazione e nei luoghi pubblici dalla stessa frequentati, facendole scenate, tagliandole la strada durante la guida, bombardandola di chiamate e messaggi, minacciandola anche di possibili ritorsioni a mezzo di pubblicazioni di video e foto su internet, ovvero, inscenando malori, tentativi di suicidio mediante impiccagione (ben sapendo che il fratello della stessa si era suicidato in tal modo) e, da ultimo, procurandole le lesioni gravissime indicate; cosi’ facendo le determinava ansia e timore per la propria incolumita’ fisica, costringendola anche a mutare le proprie abitudini di vita, con l’aggravante di aver commesso il fatto ai danni di persona con cui era stato legato sentimentalmente e con l’aggravante di aver commesso il fatto mediante comunicazioni informatiche/telematiche;
-per plurimi episodi di minaccia grave, anche con l’uso di armi, nei confronti del nuovo fidanzato della (OMISSIS) ( (OMISSIS)) (capi B, E) e di un amico della stessa Cotugno Marcello (capi C e D), ovvero di lesioni (capo G) e percosse (capo D) nei confronti di quest’ultimo, di tentata violenza privata (capo F) ai danni della (OMISSIS) e del Cotugno, tagliando la strada all’auto con a bordo i predetti, minacciando il Cotugno di ammazzarlo, allo scopo di costringere lo stesso ad astenersi dal frequentare/accompagnare la (OMISSIS), di detenzione illegale di cartucce (capi I e L).
1.2.1. Con la medesima sentenza del Tribunale di Rimini l’imputato veniva altresi’ condannato per altro gruppo di reati, avvinti dalla continuazione, riguardanti la sottoposizione del cane pitbull dell’imputato stesso ad un intervento di amputazione dei padiglioni auricolari, minaccia a p.u. e falsa certificazione (capi H, M ed N). Per tali reati non e’ stato proposto ricorso per cassazione.
1.2.2. La Corte d’appello di Bologna disponeva la riunione dei due processi del Tribunale e del G.I.P. suddetti, confermando la piena attendibilita’ del narrato della p.o. (OMISSIS), sia con riferimento specifico agli atti persecutori, che alle lesioni gravissime poste in essere la sera del 10.1.2017.
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo dei propri difensori di fiducia, avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), affidato a sette motivi, con i quali – dopo aver dedotto la ricorrenza in linea generale dei vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione alle plurime censure svolte, rappresentando come la sentenza impugnata si sia tradotta in un mero rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado – ha dedotto:
2.1. con il primo motivo, la nullita’ della sentenza e dell’intero processo per violazione del principio del ne bis in idem e per l’identita’ sostanziale del processo in relazione all’articolo 129 c.p.p., essendo stato l’imputato giudicato per lo stesso fatto (lesioni con l’acido), con una duplicazione dell’esercizio dell’azione penale, attraverso imputazioni formalmente diverse nei due distinti procedimenti penali celebrati in primo grado e non riuniti, in violazione dell’articolo 17 c.p.p.; invero, nel procedimento n. 3196/2016, riguardante il delitto di atti persecutori, il P.M., all’udienza preliminare del 17.3.2017, procedeva alla modificazione dell’imputazione, mediante contestazione del termine finale della condotta del reato ex articolo 612 bis c.p., al giorno 10.1.2017, data del fatto di lesioni con l’acido, producendo in quella sede tutti gli atti di indagine relativi proprio al procedimento per lesioni n. 109/2017; a seguito di tale contestazione i due fascicoli, sebbene non formalmente riuniti risulteranno di fatto tali, posto che durante l’istruttoria dibattimentale per il reato di stalking, il Tribunale di Rimini ammetteva tutte le prove, in particolare quelle orali relative alle investigazioni in ordine al reato di lesioni aggravate, dedicando la maggior parte dell’istruttoria dibattimentale proprio al reato di lesioni; in tale contesto, la difesa dell’imputato aveva dedotto in primo grado la sussistenza dei presupposti per la riunione dei procedimenti nel rispetto del principio del simultaneus processus ed il rischio di una duplicazione del processo per il fatto di lesioni del 10 gennaio 2017, in quanto non solo il P.M. aveva gia’ esercitato l’azione penale e, dunque, era improcedibile, ma anche perche’ si portava alla cognizione di due giudici di merito lo stesso fatto (lesioni con l’acido) con lo stesso imputato e medesima persona offesa, lo stesso materiale investigativo e probatorio, in violazione dell’articolo 129 c.p.p. e del principio del ne bis in idem; in proposito, il giudice di prime cure incorreva in errore – non corretto dalla Corte d’appello – laddove, anziche’ ancorare la propria valutazione al fatto storico (lesioni), si riferiva, invece, alla qualificazione giuridica dei fatti, rilevandone la differenza; la vicenda andava, invece, analizzata alla luce dei principi di cui alla sentenze delle S.U. 34655/2005 Donati e della CEDU nel caso Grande Grande Stevens c. Italia;
2.2. con il secondo motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione, in relazione:
– ai reati di cui agli articoli 612 bis e 610 c.p., e dei principi sul ragionevole dubbio, avendo la Corte territoriale esaminato i motivi appello sbrigativamente e con illogicita’, specie con riguardo alla attendibilita’ della p.o. ed alle incongruenze del suo racconto; in particolare, la condotta di staiking, a giudizio della Corte d’appello, si sarebbe dispiegata nel periodo temporale successivo alla fine della relazione della coppia, a causa dei tradimenti del (OMISSIS), ma la figura della (OMISSIS), descritta nella sentenza impugnata come “vittima” dell’ex fidanzato, troverebbe smentita, invece, nella condotta tenuta dalla stessa (specie, ove si considerino le circostanze per cui nel giugno 2016 iniziava la nuova relazione con il Linares, nonostante la misura del divieto di avvicinamento applicata al (OMISSIS) e le presunte condotte persecutorie, non cessava di frequentarlo ed intrattenere con lo stesso contatti telefonici, inviandogli messaggi, rivelanti una profonda ed intatta complicita’, stringendo amicizia altresi’ con le nuove ragazze dell’ex fidanzato, comportamenti questi che rendono, invece, plausibile il fatto che la predetta (OMISSIS) intendesse controllare l’imputato;
– ai reati di cui ai capi B), C), D), E) e G) (plurimi episodi di minaccia e lesioni nei confronti del Cotugno e del Linares), non avendo la Corte territoriale considerato lo stato d’animo dell’imputato nei confronti delle p.o., non ascrivibile alla gelosia, bensi’ al tradimento degli stessi suoi ex colleghi di lavoro, che si erano schierati per ragioni lavorative in favore della (OMISSIS), essendo costei “utile” a tali fini; gli episodi che riguardano l’imputato, da un lato, ed il Cotugno ed il Linares, dall’altro, (peraltro modesti) non attengono, dunque, alla (OMISSIS) che e’ stata solo spettatrice casuale di quegli avvenimenti; se i fatti di cui ai reati suddetti fossero stati valutati nella loro reale portata, sarebbero stati inquadrati in ipotesi di competenza del Giudice di Pace; inoltre, quanto alla minaccia di cui al capo C), la bottiglia menzionata nella sentenza di primo grado, non e’ stata rinvenuta;
– al reato di cui al capo F), (tentativo di violenza privata in danno della (OMISSIS) e del Cotugno) non puo’ ritenersi sussistente tale reato, dato che la ratio della violenza privata e’ quella di tutelare la liberta’ morale, psicologica e di locomozione dei soggetti limitata mediante violenza o minaccia, mentre nel caso di specie, nessuna emergenza processuale dimostra che l’imputato abbia compromesso la liberta’ di autodeterminazione della (OMISSIS), non avendo infatti quest’ultima riferito che non poteva andarsene o scendere dall’autovettura;
2.3. con il terzo motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’articolo 582 c.p. ed ai principi “in dubio pro reo”, e “ragionevole dubbio”; invero, la sentenza impugnata non ha motivato sulle emergenze processuali dedotte con i motivi di appello e segnatamente: sulla identificazione dell’imputato come l’aggressore della (OMISSIS) sulla base del colore della mano, a fronte del rinvenimento sul posto di un guanto; sulla mancata visualizzazione del volto dell’aggressore da parte della stessa (OMISSIS) e dal sistema di videosorveglianza; sulla inverosimiglianza della ricostruzione secondo cui, nell’arco temporale tra le ore 23,21 e le 23,52, l’imputato abbia aggredito con l’acido la (OMISSIS), sia fuggito a piedi con qualcosa in braccio, si sia recato nella sua abitazione, cambiandosi d’abito, leggendo i messaggi ricevuti e parlando anche al telefono; sulle risultanze delle celle telefoniche; sugli esiti dell’accertamento antropometrico, nonche’ su tutte le altre questioni specificamente dedotte;
2.4. con il quarto motivo, il vizio di motivazione e la violazione di legge, in relazione all’articolo 438 c.p.p., e la nullita’ del processo, quanto alla mancata ammissione al rito abbreviato condizionato alla perizia medico-legale, onde valutare l’entita’ delle lesioni ed il grado dei postumi, nonche’ in punto di esperimento giudiziale, volto alla compiuta ricostruzione della dinamica del fatto; la decisione del giudice di primo grado in ordine ai postumi della malattia e’ stata fondata esclusivamente su una consulenza di parte (P.M.), espressa in soli termini ipotetici e probabilistici, in merito allo sfregio ed all’indebolimento permanente dell’organo della vista, mentre i giudici di secondo grado hanno ritenuto che le prove richieste in sede di giudizio abbreviato condizionato non fossero necessarie ai fini della decisione; invece, la decisivita’ della prova in questione andava valutata per stabilire la durata delle lesioni, per la sussistenza o meno di postumi permanenti; inoltre, i giudici di merito hanno trascurato l’evidenza, secondo cui, l’acido solforico, nel caso in cui entri a contatto con indumenti, li danneggia, bruciandoli e bucandoli e, tale circostanza, se fosse stato svolto l’esperimento giudiziale, sarebbe stata confermata ed avrebbe condotto all’incompatibilita’ tra la narrazione della (OMISSIS) e quanto e’ in concreto accaduto;
2.5. con il quinto motivo, la violazione di legge in relazione all’articolo 582 c.p., ed il difetto di motivazione, in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; invero, la motivazione della sentenza sul punto e’ priva di coerenza logica, avendo la stessa sentenza dato atto – cosi’ come affermato dalla (OMISSIS) – del fatto che il (OMISSIS) non abbia mai tenuto atteggiamenti violenti nel corso della relazione durata tre anni; il trattamento sanzionatorio, determinato entro limiti prossimi al massimo edittale, avrebbe dovuto godere di maggiore attinenza rispetto alla personalita’ dell’imputato, esaminando comportamenti, evidenti ed oggettivi, e motivando analiticamente in ordine agli elementi ostativi al riconoscimento del beneficio, nei confronti di un soggetto, che si e’ sempre professato innocente e che, contrariamente a quanto affermato dai giudici d’appello, rendeva interrogatorio sin dal momento del fermo e, poi, in sede dibattimentale; invece, sono stati presi in considerazione elementi ostativi post factum e trascurate le provocazioni a cui l’imputato e’ stato sottoposto, nonche’ gli elementi positivi rinvenienti dal corretto comportamento processuale;
2.6. con il sesto motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di lesioni sul punto relativo alla presunta inesistenza di piste alternative; invero, non spettava all’imputato, professatosi sempre innocente, indicare ipotesi investigative alternative da portare all’attenzione dell’accusa, (bastava considerare l’episodio delle gomme bruciate, oppure quanto emergente dal file audio del maggio-giugno 2016), sicche’ contraddittoria, illogica e carente risulta essere la motivazione anche sul punto; peraltro, la situazione psicologica dell’imputato al momento dei fatti non e’ quella descritta in sentenza, avendo l’imputato numerose relazioni affettive ed anche in quella data ne aveva una in corso;
2.7. con il settimo motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, in merito alla mancata concessione dell’attenuante della provocazione; invero, la motivazione della Corte territoriale di rigetto dell’istanza di concessione dell’attenuante in questione e’ del tutto illogica, in quanto trascura che il comportamento non limpido e non lineare, tanto della (OMISSIS) quanto del Linares, ha ingenerato uno scompenso emotivo (rectius “tempesta emotiva”) che avrebbe dovuto essere considerato all’atto della determinazione della pena.
3. In data 21.2.2020 l’imputato, a mezzo dei suoi difensori, ha depositato memoria con motivi aggiunti ex articolo 585/4 c.p.p. con la quale ha argomentato ulteriormente in merito alla violazione del divieto del ne bis in idem di cui al primo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ nel suo complesso infondato.
1. Non meritano accoglimento il primo motivo di ricorso ed il motivo aggiunto, di cui alla memoria del 21.2.2020, con i quali e’ stata dedotta la nullita’ della sentenza impugnata e dell’intero processo per violazione del principio del ne bis in idem. Invero, il ricorrente deduce di essere stato giudicato due volte per lo stesso fatto di lesioni con l’acido nei confronti di (OMISSIS), in quanto i due processi a suo carico, l’uno per lesioni appunto, e l’altro per atti persecutori ed altre imputazioni, non venivano formalmente riuniti in primo grado, ma di fatto in tale ultimo processo veniva contestato ed introdotto pure l’episodio delle lesioni, mediante la modifica, effettuata dal P.M. in sede di udienza preliminare, del temine finale della condotta persecutoria nella data del 10.1.2017 (quella delle lesioni). Tale deduzione, sulla base dello snodo procedimentale descritto dallo stesso imputato, non risulta essere in alcun modo fondata e cio’ per plurime ragioni.
1.1. In primo luogo, le censure genericamente sviluppate, in merito alla mancata riunione dei due processi a carico dell’imputato in primo grado, devono ritenersi del tutto superate dal dato di fatto che tali processi siano stati, poi, riuniti ex articolo 17 c.p.p., in appello e decisi con la sentenza impugnata, senza alcun pregiudizio per l’imputato. Sul punto, deve ribadirsi il principio, secondo cui la riunione e la trattazione congiunta in fase d’appello di procedimenti celebrati nei confronti dello stesso imputato, anche con riti diversi (nella specie, l’uno con rito ordinario e l’altro con rito abbreviato) non e’ causa di abnormita’ o di nullita’ della decisione (arg. ex Sez. 3, n. 14592 del 19/02/2015, Rv. 263054, in merito alla riunione dei processi nei confronti di piu’ imputati).
1.2. Tanto evidenziato, si osserva che l’imputato, poi, a sostegno della sua deduzione in merito alla violazione del divieto del ne bis in idem, pare riferirsi all’indirizzo di questa Corte, secondo cui, in caso di contestuale pendenza presso lo stesso ufficio (o presso uffici diversi della stessa sede giudiziaria) di piu’ procedimenti penali per uno stesso fatto e nei confronti della stessa persona, una volta esercitata l’azione penale nell’ambito di uno di tali procedimenti, deve considerarsi indebita la reiterazione dell’esercizio del potere di promuovere l’azione, assumendo, in assenza di un’espressa disposizione normativa, diretto rilievo il principio di “consumazione” del potere medesimo, correlato a quello di “preclusione”, del quale costituisce espressione il divieto di “bis in idem” dopo la formazione del giudicato; ne consegue che, nell’ambito del secondo procedimento, va chiesta e disposta l’archiviazione, ovvero, nel caso in cui l’azione penale sia gia’ stata esercitata, ne va dichiarata l’improcedibilita’ con sentenza (cfr. ex plurimis Sez. 4, n. 25640 del 21/05/2008 Rv. 240783).
1.2.1. Tale indirizzo costituisce applicazione dei principi affermati dalle S.U. con la sentenza n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799, pure invocata dal ricorrente, secondo cui le situazioni di litispendenza, non riconducibili nell’ambito dei conflitti di competenza di cui all’articolo 28 c.p.p., devono essere risolte dichiarando nel secondo processo, pur in mancanza di una sentenza irrevocabile, l’impromovibilita’ dell’azione penale in applicazione della preclusione fondata sul principio generale del ne bis in idem, sempreche’ i due processi abbiano ad oggetto il medesimo fatto attribuito alla stessa persona, siano stati instaurati ad iniziativa dello stesso ufficio del pubblico ministero e siano devoluti, anche se in fasi o in gradi diversi, alla cognizione di giudici della stessa sede giudiziaria.
1.2.2. In particolare, il principio del divieto del secondo giudizio per il medesimo fatto naturalisticamente individuato opera, anche in assenza di giudicato formale, pur se nel secondo giudizio il fatto storico sia diversamente qualificato con un’imputazione di reato che costituisca progressione criminosa del primo in ragione dell’assorbimento del reato meno grave in quello piu’ grave (come nel caso della ricettazione e del riciclaggio, Sez. 2, n. 45858 del 17/10/2019, Rv. 277768).
1.3. Alla luce dei suddetti principi, deve concludersi che nessuna duplicazione o, comunque, violazione del divieto del ne bis in idem e’ ravvisabile nella fattispecie in esame.
1.3.1. Invero, ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l’identita’ del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base della triade condotta-nesso causale-evento e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona non essendo sufficiente la generica identita’ della sola condotta (Sez. 2, n. 52606 del 31/10/2018, Rv. 275518). Orbene, nessuna identita’ sussiste per condotta ed evento tra il fatto di staiking (reato abituale a condotta plurima, che si consuma con uno degli eventi indicati nell’articolo 612 bis c.p.) e quello di lesioni, avendo, peraltro, piu’ volte questa Corte evidenziato come il delitto di atti persecutori puo’ concorrere con quello di lesioni, avendo un oggetto giuridico diverso (Sez. 5, n. 54923 dell’08/06/2016, Rv. 268408; Sez. 5, n. 10051 del 19/01/2017 Rv. 269456).
1.3.2. Dalla stessa narrazione dell’imputato emerge come il delitto di lesioni con l’acido – gia’ oggetto di un diverso procedimento instaurato a suo carico in primo grado -sia stato introdotto nel processo per staiking, non quale autonomo ed ulteriore reato, bensi’ al solo fine di dar conto di tale grave vicenda lesiva, ulteriore espressione dell’attivita’ persecutoria posta in essere dal (OMISSIS) nei confronti della p.o., sopravvenuta, rispetto a quelle oggetto dell’originaria imputazione di cui all’articolo 612 bis c.p., e determinante anche lo spostamento in avanti dell’epoca del reato di atti persecutori alla data del 10.1.2017.
1.3.3. Tale necessita’, all’evidenza, e’ scaturita dalla condivisione da parte della Pubblica Accusa di un indirizzo di questa Corte, secondo cui, al delitto di atti persecutori che ha natura di reato abituale, e cioe’ a condotta plurima, non si applica il principio, proprio dei reati permanenti, in virtu’ del quale, nell’ipotesi di contestazione aperta, il giudizio di penale responsabilita’ dell’imputato puo’ estendersi, senza necessita’ di modifica dell’imputazione originaria, agli sviluppi della fattispecie emersi dall’istruttoria dibattimentale; ne consegue che le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell’imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione, sia quando servono a perfezionare o ad integrare l’imputazione originaria, sia – e a maggior ragione – quando costituiscono una serie autonoma, unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione (cfr. ex plurimis, Rv. 277255). Alla luce di siffatto indirizzo, dunque, logica risulta essere stata la scelta di introdurre e contestare all’imputato l’ulteriore gravissimo episodio di lesioni nel processo per staiking, inserendosi tale fatto nella sequenza dell’attivita’ persecutoria del (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), senza alcuna valenza “duplicatoria”, non ipotizzabile, peraltro, in considerazione della riunione, pienamente legittima, dei processi in appello.
2. Il secondo e terzo motivo di ricorso sono inammissibili, essendo in piu’ punti generici e, comunque, manifestamente infondati, siccome versati in fatto.
2.1. Giova premettere che compito di questa Corte non e’ quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensi’ quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimita’, l’incompiutezza strutturale della motivazione della sentenza impugnata, incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente la Corte territoriale di fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata. Le deduzioni del ricorrente non risultano in sintonia con tale indirizzo interpretativo, tendendo a sottoporre al giudizio di legittimita’ aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio demandati al giudice di merito. Secondo l’incontrastata giurisprudenza di legittimita’, esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi fattuali posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’ riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone). Le censure svolte, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sono in realta’ dirette a richiedere a questa Corte una nuova e piu’ favorevole valutazione del compendio probatorio da parte di questo giudice di legittimita’, su cui la Corte territoriale si e’ espressa con valutazioni logiche e pertinenti, all’esito di una completa disamina delle prove.
2.2.Tanto premesso, in linea generale, e passando all’esame specifico del secondo motivo di ricorso, si osserva che la prima parte di tale motivo attiene al reato di cui all’articolo 612 bis c.p., in relazione al quale vengono sviluppati dall’imputato rilievi che si pongono come una mera, alternativa, soggettiva, nonche’ generica, rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in Cassazione, stante la preclusione, per il giudice di legittimita’, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, che nella fattispecie si e’ tradotta in una “doppia conforme” di condanna. Le doglianze del ricorrente si incentrano in primis sul tema, gia’ ampiamente
arato nella sentenza impugnata, dell’inattendibilita’ della persona offesa (OMISSIS), le cui dichiarazioni si presenterebbero incoerenti ed illogiche, tenuto conto del comportamento contraddittorio nei confronti dell’imputato dalla stessa serbato, laddove, ella, pur denunciando, da un lato, gli atteggiamenti molesti e minacciosi, caratterizzati da rabbia ed ira del (OMISSIS), dall’altro, si presentava pronta ad offrirgli amicizia e solidarieta’.
2.2.1. In proposito, non merita censure la valutazione della Corte territoriale che ha ritenuto, invece, pienamente attendibile la p.o., essendo le dichiarazioni della stessa logiche, dettagliate e coerenti nel descrivere gli episodi di cui e’ stata vittima e nel fornire convincenti spiegazioni, nel contempo, in merito ai suoi complessi rapporti con l’imputato: dimostrandosi pronta ad offrirgli amicizia, pure a fronte di condotte estremamente offensive della sua personalita’ e della sua privacy; attenta al suo benessere, disperata dalla prospettiva che lo stesso arrivasse a gesti estremi; attenta ogni volta a ripetergli le proprie ragioni ed esigenze, sostenendolo nei momenti di disperazione.
2.2.2. Tali dichiarazioni, non animate da intento calunnioso o vendicativo nei confronti dell’imputato – come testimoniato dal fatto che la p.o. non si e’ mai indotta a querelare o denunciare l’imputato “per non rovinarlo”, in occasione della richiesta di ammonimento e successivamente, nonostante questi la costringesse di fatto a condurre una vita limitata, angosciosa e “blindata”, salvo i rari momenti di esasperazione scatenati dal comportamento contraddittorio ed egoista di lui – sono state, tra l’altro, ritenute oggetto di riscontro in virtu’ delle compatibili dichiarazioni rese dalla madre (OMISSIS), da (OMISSIS), da (OMISSIS) e della P.G. escussa.
2.2.3. Pertanto, non illogica e congruamente argomentata si presenta la complessiva valutazione di attendibilita’ della (OMISSIS) compiuta dalla Corte territoriale, che non ha esitato a dare conto del fatto che la stessa ha spiegato con precisione ed in modo convincente, anche sotto il profilo psicologico, i motivi che l’hanno portata, nel tempo, dapprima ad evitare il piu’ possibile gli incontri con l’imputato ed in seguito, rendendosi conto della sua ingravescente pericolosita’, a cercare, da un lato, di “controllarlo” per anticiparne le mosse – cio’ anche attraverso i contatti intrapresi e mantenuti con le sue nuove ragazze – dall’altro ad evitarne un’esasperazione che ne avrebbe fatto esplodere l’aggressivita’, e, quindi, anche al fine di proteggersi, senza mai pero’ illuderlo in merito al futuro ripristino della loro relazione. In tale contesto, il suo mantenere segreto nei rapporti con l’imputato la sua relazione con il (OMISSIS) – a fronte delle violenze esercitate dal (OMISSIS) solo pochi mesi prima per gelosia del cd. “cubano bianco”, in un periodo in cui ancora non esisteva alcun rapporto sentimentale costui e la p.o. – lungi dall’essere interpretabile come un modo per illudere il (OMISSIS) su un possibile riavvicinamento fingendosi libera, appare piuttosto conseguenza del suo concreto timore che la gelosia di quest’ultimo, a fronte della conclamata notizia della relazione, tornasse ad esplodere in tutta la sua virulenza.
2.2.4. Con tale valutazione la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi costantemente affermati da questa Corte, secondo cui le dichiarazioni della p.o. possono essere legittimamente poste da sole a base dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilita’ soggettiva e dell’attendibilita’ intrinseca del racconto (S.U., n. 41461 del 19.7.2012; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661; Sez. 3, n. 28913 del 03/05/2011, C., Rv. 251075; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/ 2010, Rv. 249136; Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv.240524). Il vaglio positivo dell’attendibilita’ del dichiarante deve essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talche’ tale deposizione puo’ essere assunta da sola come fonte di prova ove venga sottoposta a detto riscontro di credibilita’ oggettiva e soggettiva. Puo’ essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, percio’, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilita’ dell’imputato. Inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimita’ l’affermazione che la valutazione della credibilita’ della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non puo’ essere rivalutata in sede di legittimita’, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232). In concreto, in sede di legittimita’ non e’ consentito contestare l’attendibilita’ della persona offesa quando non emergono disarmonie e incongruenze considerevoli tra la dichiarazione di questa e le altre prove e specialmente quando il giudice abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Sez.3 05/10/2006, n. 41282).
2.2.5. I motivi di censura del ricorrente sull’inattendibilita’ della (OMISSIS), pertanto, che non si confrontano con i principi suddetti, proponendo una alternativa ricostruzione dei rapporti con la p.o., implicante una diversa valutazione (in fatto) delle risultanze processuali, si presentano del tutto generici e, quindi, inammissibili.
2.2.6. Del pari generiche si presentano le doglianze circa l’insussistenza del reato di cui all’articolo 612 bis c.p., avendo la Corte territoriale – con ragionamento logico immune da censure, sulla base delle dichiarazioni della p.o., riscontrate da ulteriori testimonianze, senza incorrere in vizi – concluso per la ricorrenza a carico dell’imputato della condotta di atti persecutori, stante l’abitualita’ dei comportamenti molesti e minacciosi, da ultimo concretizzatisi nell’episodio di lesioni gravissime con l’acido nei confronti della (OMISSIS). La Corte territoriale ha ritenuto, poi, sussistenti nella fattispecie in esame tutti gli eventi previsti, peraltro alternativamente, dalla norma, atteso che, sulla base delle condotte tenute dal (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), quest’ultima risultava vittima di una forzata alterazione delle proprie abitudini di vita e di uno stato di grave ansia e paura, in maniera costante per l’intero arco temporale considerato (dal maggio 2016 all’episodio del 5-6 agosto 2016, la p.o. evidenziava che l’imputato la cercava disperatamente ed allarmanti erano divenute le intemperanze di quest’ultimo verso terzi; forti erano il timore e l’ansia determinati dall’aumentata aggressivita’ dell’ex partner), nonche’ dall’agosto 2016, anche di un concreto timore per la propria incolumita’. Infatti, a seguito del provvedimento di ammonimento, il (OMISSIS) aveva piu’ intensamente minacciato la p.o., con chiamate e messaggi intimidatori, allarmanti e vendicativi, acuitisi altresi’ quando lo stesso veniva attinto da misura cautelare del divieto di avvicinamento e di non uscita notturna, e la (OMISSIS) temeva del fatto che privare l’ex partner delle sue abituali frequentazioni e dei suoi momenti di svago, lo avrebbe incattivito maggiormente, preoccupazioni tali da condurre la persona offesa ad illustrare le proprie perplessita’ all’autorita’ competente.
2.2.6.1. Tale abitualita’ non puo’ ritenersi interrotta a seguito della scelta della (OMISSIS) di non recidere completamente i rapporti con il (OMISSIS) a seguito della fine della loro relazione, serbando nei suoi confronti un atteggiamento in qualche occasione compassionevole, plausibilmente giustificato dall’esigenza fortemente avvertita dalla stessa di cercare di non esasperare ulteriormente l’imputato nelle sue manifestazioni di rabbia e di ira, oltre che di autolesionismo. In tale comportamento non si coglie alcun elemento idoneo a “sconvolgere” lo sviluppo dell’attivita’ persecutoria e, quindi, ad interromperla, anche in relazione alla produzione degli eventi previsti dalla norma. Anzi, proprio il sentimento di ansia o paura ha determinato, al fine di non acuire ulteriormente la rabbia e l’ira dell’imputato, in qualche occasione l’atteggiamento “solidaristico” della (OMISSIS), atteggiamento che, tuttavia, non e’ servito ad impedire il precipitare degli eventi con l’aggressione con l’acido.
Piu’ volte questa Corte ha avuto modo di precisare come nel reato di atti persecutori, il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore non interrompa l’abitualita’ del reato, ne’ infici la continuita’ delle condotte, quando sussista l’oggettiva e complessiva idoneita’ delle stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dall’articolo 612 bis c.p. (cfr. tra le altre, Sez. 5, n. 17240 del 20/01/2020 Rv. 279111).
2.3. Le doglianze del ricorrente, relative ai capi b), c), d), e) e g) sono anch’esse inammissibili, siccome generiche e versate in fatto, risolvendosi nella sollecitazione del giudice di legittimita’ a formulare valutazioni di merito sostitutive di quelle effettuate dal giudice a quo e sostenute dal medesimo con motivazione non manifestamente illogica e coerente rispetto ai compendio probatorio disponibile.
Invero, la Corte territoriale, nell’analizzare gli episodi di minaccia grave, di lesioni e percosse nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS), ha evidenziato come tali episodi siano strettamente connessi al reato di atti persecutori di cui al capo A) nei confronti della (OMISSIS) e percio’ aggravati dall’articolo 61 c.p., n. 2, coinvolgenti non solo i diretti interessati (OMISSIS) e (OMISSIS), ma la stessa (OMISSIS), che subiva forzatamente gli effetti di stress, di ansia e di forte preoccupazione per gli amici e colleghi. Inoltre, tali episodi posti in essere dal (OMISSIS) hanno riguardato aggressioni di carattere estremamente violento, comportanti piu’ volte l’intervento della polizia, la cui materialita’, tuttavia, non e’ stata seriamente contestata dalla difesa, ma anzi comprovata dalle prove testimoniali assunte e dalla certificazione medica, anche questa non contestata. A fronte della congrua motivazione della sentenza impugnata il ricorrente ripropone in questa sede inammissibilmente questioni – relative allo stato d’animo in cui versava in quel periodo, ovvero alla reale portata degli episodi in questione che avrebbero dovuto essere ricondotti ad ipotesi di reato del Giudice di Pace del tutto inidonee ad incidere sul percorso logico-argomentativo della sentenza impugnata.
2.4. Manifestamente infondate si presentano, altresi’, le censure relative alla sussistenza del reato di tentata violenza privata di cui al capo F).
La Corte territoriale ha evidenziato come l’aver il (OMISSIS) impedito alla p.o., bloccandole la strada, di procedere oltre in piena notte con la propria auto, integri il reato di tentata violenza privata, non essendo elisa tale illecita condotta dalla possibilita’ della (OMISSIS) di fuggire a piedi, oppure di allontanare l’imputato. Di contro, il ricorrente ripropone inammissibilmente in questa sede la questione della mancata compromissione della liberta’ di autodeterminazione della (OMISSIS), non avendo quest’ultima riferito di essere impossibilitata ad andare via, all’esito della condotta posta in essere dal (OMISSIS).
2.4.1. In proposito, giova premettere che ai fini della configurazione del reato di violenza privata e’ sufficiente la coscienza e volonta’ di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa (Sez. 5, n. 4526 del 03/11/2010 Rv. 249247) e che la violenza o la minaccia realizzino la perdita o, comunque, la significativa compressione della liberta’ di azione o della capacita’ di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtu’ del principio di offensivita’, i comportamenti che, pur astrattamente condizionanti, si rivelino in concreto inidonei a limitare la liberta’ di movimento o a condizionare il processo di formazione della volonta’ altrui (Sez. 5, n. 40485 del 01/07/2019 Rv. 277748).
2.4.2. Per quanto concerne specificamente il tentativo di violenza privata, non e’ necessario che la minaccia abbia effettivamente intimorito il soggetto passivo determinando una costrizione, ancorche’ improduttiva del risultato perseguito, ma e’ sufficiente che essa sia idonea ad incutere timore e sia diretta a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volonta’, la condotta pretesa dall’agente (Sez. 5, n. 34124 del 06/05/2019 Rv. 276903). Tali ultimi elementi sono pienamente ravvisabili nelle fattispecie in esame e congruamente descritti nella sentenza impugnata.
2.4.2.1. La circostanza dedotta dal ricorrente, pur senza alcun elemento oggettivo a conforto, circa la possibilita’ della (OMISSIS) di sottrarsi al confronto con l’imputato, si presenta irrilevante nel contesto della forma tentata del reato, dovendo guardarsi all’idoneita’ dell’atto “di bloccare la strada” ad integrare la fattispecie in contestazione e, comunque, ben possono trovare applicazione i principi espressi da questa Corte in tema di violenza privata commessa nell’ambito della circolazione stradale, secondo cui non e’ esclusa la configurabilita’ del delitto di violenza privata, di cui all’articolo 610 c.p., dal fatto che con una manovra di retromarcia, piu’ o meno complessa, la persona offesa possa riprendere la marcia, dopo che la propria autovettura sia stata costretta a fermarsi; infatti, il delitto di violenza privata, che e’ reato istantaneo, deve considerarsi consumato nel momento stesso della coartazione all’arresto, poiche’ e’ irrilevante che gli effetti dell’imposizione si siano protratti nel tempo e che la vittima possa successivamente eliminarli (Rv. 179650).
3. Manifestamente infondato e’ il terzo motivo di ricorso che denuncia la violazione del principio del ragionevole dubbio ed il vizio di motivazione in relazione al delitto l’articolo 582 c.p..
3.1. Deve premettersi che non ricorre vizio di motivazione allorquando il giudice a quo abbia dato conto adeguatamente delle ragioni della sua decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicita’ di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilita’ di apprezzamento e valutazione (Cass., Sez. I, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. IV, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimita’.
Giova, poi, rammentare che il vizio del travisamento della prova si realizza allorche’ si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo, oppure allorquando si omette la valutazione di una prova decisiva, ai fini della pronunzia, secondo il costante e condiviso insegnamento di questa Corte. Vizio siffatto, per essere apprezzabile, in sede di legittimita’, presuppone non il mero contrasto tra gli atti del processo invocati dal ricorrente e le valutazioni del giudice, la sua ricostruzione complessiva del fatto di reato e della responsabilita’ dell’imputato e nemmeno che da essi sia ricavabile una ricostruzione piu’ persuasiva di quella fatta propria dal giudicante stesso; occorre, piuttosto, che gli atti indicati dal ricorrente siano dotati di per se’ di una forza esplicativa o dimostrativa tale da essere in grado di smentire l’intero ragionamento svolto nella sentenza contestata e determinarne una radicale ed insanabile incompatibilita’, cosi’ da compromettere la tenuta logica della motivazione. Sul ricorrente grava l’onere di illustrare le ragioni per cui il dato travisato condiziona negativamente la coerenza della motivazione e, soprattutto, d’indicare e rappresentare in modo specifico gli atti processuali che intende far valere (mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto o la loro produzione) non essendo sufficiente la citazione di alcuni brani o delle relative pagine (Sez. F, n. 37368 del 13/09/2007, Torino, rv. 237302; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, rv. 241023; Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, Gagliardo, rv. 241449; Sez. 1, n. 06112 del 22/01/2009, Bouyahia, rv. 243225; Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, rv. 248141).
A cio’ va aggiunto che, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, come quello in esame, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (ex multis, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina e altro, Rv. 26921701).
3.2. Il nucleo centrale su cui si focalizza la critica, devoluta con il mezzo di impugnazione, riguarda il reato di lesioni gravissime, di cui e’ stata vittima la (OMISSIS), e la sua attribuibilita’ al (OMISSIS), l’assenza di valenza accusatoria dell’analisi delle celle telefoniche, gli esiti della CTU del Dott. (OMISSIS) sull’acido da rinvenire o rinvenuto sugli oggetti di proprieta’ dell’imputato, l’accertamento antropometrico, l’alibi del (OMISSIS). Il ricorrente, in particolare, si duole del fatto che la Corte territoriale si sia sottratta all’onere di motivare su ogni emergenza processuale dedotta con i motivi di gravame ed all’uopo elenca inammissibilmente una serie di elementi di fatto, implicanti una diversa valutazione delle emergenze, senza collegarli compiutamente al percorso argomentativo della sentenza impugnata, incorrendo nel vizio di insuperabile genericita’ delle censure mosse, che ricorre quando il motivo difetti della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013). Tale constatazione consente di comprendere subito che le censure evidenziate con il motivo di ricorso, non mettono assolutamente in discussione l’intero percorso logico seguito dalla decisione e lasciano immutata la struttura motivazionale, che resiste ampiamente alle critiche rivolte.
3.3. La sentenza impugnata, contrariamente a quanto genericamente dedotto nel ricorso, ha, invece, adeguatamente e congruamente argomentato in merito alla responsabilita’ dell’imputato per il delitto di lesioni con l’acido in danno della (OMISSIS), enunciando gli elementi a suo carico (cfr. pag. 38 e ss. del provvedimento impugnato), concatenandoli in ordine logico e fornendo, quindi, adeguata e solida spiegazione circa la validita’ del complessivo quadro a suo carico.
3.3. Quanto alla riferibilita’ al (OMISSIS) del reato in questione, la sentenza di merito, richiamando il materiale probatorio utilizzato per la decisione del primo giudice con il rito abbreviato, ha indicato gli elementi che hanno indotto a ritenere provata con certezza, senza dubbio alcuno, l’identificazione dell’imputato come l’autore dell’agguato e delle lesioni provocate con l’acido alla p.o. Cio’, prendendo le mosse anche e soprattutto dalle stesse dichiarazioni della (OMISSIS) (ritenute, per quanto sopra evidenziato, del tutto attendibili) che, nell’immediatezza del fatto – sin dai primi istanti successivi all’aggressione, interloquendo con piu’ soggetti (la madre, il (OMISSIS), gli inquirenti ai quali ha fornito, prima sul posto e poi in ospedale, le prime informazioni) – indicava, in termini di assoluta certezza, sempre e solo il (OMISSIS) quale autore del fatto. La (OMISSIS) non si limitava ad indentificarlo, ma fondava tale identificazione su molteplici elementi caratterizzanti e particolari – fisici e non – descrivendo la corporatura estremamente robusta dell’aggressore, la repentinita’ fulminea del gesto ed altri numerosi particolari specifici, quali la forma del viso e l’incarnato scuro di esso e della mano, escludendo che si trattasse di un uomo di razza bianca, nonche’ fornendo dettagliate informazioni anche in merito al suo abbigliamento.
3.3.1. Tali indicazioni, gia’ di per se’ sufficienti per l’identificazione dell’imputato come autore del fatto, risultano essere state validate e riscontrate dalla molteplicita’ di elementi indiziari circostanziali gravi, complessi e coerenti, dei quali e’ stata effettuata una lettura non frazionata ma coerente e organica, per nulla scalfiti dai numerosi motivi di appello.
3.3.2. Ebbene, confrontandosi compiutamente con quanto indicato dal ricorrente, con motivazione immune da ogni vizio di legittimita’, la Corte territoriale, in primo luogo, individua (a pag. 41) l’aggressione del 10 gennaio 2017 come “un’aggressione dalle conseguenze devastanti per la parte offesa che non puo’ essere ricondotta a un dispetto o a una banale lite di vicinato, apparendo espressione di una volonta’ di annientamento della parte destinataria, purtroppo tipica dei casi di esasperata possessivita’ che porta l’autore del gesto a neutralizzare, punendola, la persone che gli suscita tali sofferti sentimenti, non rendendola piu’ desiderabile da terzi”, “sentimenti e desideri”, precisa la Corte che ben si attagliano alla peculiare situazione psicologica del (OMISSIS), in quei giorni giunto alla conclusione dell’impossibilita’ di recuperare la relazione con la (OMISSIS), ma mai rassegnatosi a “prenderla persa”.
Sul punto giova richiamare i principi piu’ volte affermati da questa Corte, secondo cui in tema di causale del reato, quando si tratti di processo con elementi probatori di natura indiziaria, il relativo accertamento deve essere puntualmente perseguito, in quanto l’identificazione della causale assume, in tale genere di processi, specifica rilevanza per la valutazione e la coordinazione logica delle risultanze processuali e, di conseguenza, per la formazione del convincimento del giudice, in ordine alla ragionata certezza della responsabilita’ dell’imputato. Un tale accertamento non e’ invece necessario allorche’ l’affermazione di colpevolezza risulti gia’ “aliunde” dimostrata (Rv. 208899).
3.3.3. In tale contesto, la sentenza impugnata ha analizzato tutti gli elementi acquisiti, quali il rinvenimento sulla tuta da ginnastica e sulle scarpe sequestrate all’imputato di numerose macchie di acido solforico, del tutto compatibili con la natura e la composizione di quello repertato sulla persona offesa e sull’abbigliamento dopo l’aggressione, l’assenza di un alibi in capo al (OMISSIS) per l’orario del fatto (ore 23.21), ma anzi, un alibi inidoneo, sulla base di quanto dichiarato alla P.G., nonche’ le modalita’ di uso del cellulare (spento all’orario dell’aggressione), la localizzazione di esso sul territorio nelle ore rilevanti, al fine della ricostruzione degli eventi. Senza trascurare, poi, gli esiti dell’accertamento antropometrico, che, sebbene non abbiano portato all’individuazione del volto dell’aggressore hanno, tuttavia, consentito di individuare un uomo avente le medesime caratteristiche fisiche del (OMISSIS), ovvero la circostanza del possesso da parte dell’imputato delle chiavi e del telecomando del cancello condominiale della (OMISSIS), con conseguente facilita’ di introdursi nel parcheggio, ove e’ avvenuto l’agguato.
3.4. Le valutazioni logiche della Corte territoriale, con la concatenazione coerente degli elementi indiziari acquisiti, hanno condotto univocamente e coerentemente all’affermazione di responsabilita’ dell’imputato, sicche’, pur trattandosi di un processo di tipo indiziario, gli indizi “tanto gravi, numerosi, coerenti e reciprocamente corroboranti” hanno consentito di identificare, con il grado di certezza richiesto, nell’attuale imputato (OMISSIS) l’autore del reato oggetto dell’imputazione.
3.5. La prova indiziaria caratterizzata dai crismi di gravita’, precisione e concordanza degli elementi informativi che la connotano, vive, dunque, e soprattutto, d’una valutazione unitaria e globale dei dati stessi (Sez. U., 4.2.1992, ric. Ballan; Sez. U n. 33748 del 12.7.2005, ric. Mannino, rv. 231678). L’esame globale puo’ permettere di superare l’ambiguita’ indicativa di ciascun elemento informativo, nella sua individualita’. Cio’ perche’ la valutazione complessiva si caratterizza del reciproco integrarsi d’ogni elemento, offendo una proiezione che conferisce al complesso indiziario significato dimostrativo univoco, che attesta la prova del fatto, in via logica.
Peraltro, in tema di prova indiziaria, alla Corte di Cassazione compete il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi, nonche’ la verifica della completezza, della correttezza e della logicita’ del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario, ma non, anche, un nuovo accertamento che ripeta l’esperienza conoscitiva del giudice del merito (Sez. 5, n. 602 del 14/11/2013, Rv. 258677).
4. Il quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’articolo 438 c.p.p., per la mancata ammissione al rito abbreviato condizionato e’ manifestamente infondato.
4.1. Non merita censure, invero, la sentenza impugnata laddove, nel condividere le valutazioni espresse dal G.i.p. nella sentenza di primo grado – secondo cui “le prove richieste dall’imputato in sede di richiesta di giudizio abbreviato condizionato, non sono necessarie ai fini della decisione” – ha ritenuto, invece, legittima la decisione di accogliere la richiesta di giudizio abbreviato “secco” formulata in via subordinata dall’imputato, considerando le integrazioni probatorie richieste superflue, prima ancora che contrastanti con le esigenze di economia processuale tipiche del rito speciale.
In particolare, le ulteriori richieste di prova con l’abbreviato condizionato, afferivano ad una perizia medico-legale e ad un esperimento giudiziale, volto alla ricostruzione della dinamica del fatto lesivo, con riferimento alla traiettoria del liquido corrosivo rinvenuto sul luogo teatro dell’aggressione, sulla vittima e sugli indumenti del (OMISSIS).
La Corte territoriale, investita della legittimita’ del rigetto dei suddetti mezzi di prova, ha dato ampiamente conto delle ragioni del diniego, ritenendo senza illogicita’:
– superflua la perizia medico medico-legale, alla luce delle acquisizioni probatorie di carattere tecnico intervenute nella fase delle indagini preliminari e pienamente utilizzabili per la scelta del rito abbreviato e segnatamente la CTU della Dott.ssa Fedeli – ben chiara in merito alla determinazione dei danni prodotti alla p.o. (OMISSIS) in merito allo sfregio permanente al viso, con correlato indebolimento dell’apparato tegumentario e all’indebolimento irreversibile della vista (perdita della funzionalita’ dell’occhio sinistro e indebolimento del visus di quello destro) ed ai giorni della malattia – nonche’ la copiosa documentazione medica, relativa ai ricoveri agli interventi e alle cure, alle quali si e’ sottoposta la p.o. analizzate e descritte nella predetta CTU;
– superfluo l’esperimento giudiziale volto alla ricostruzione della dinamica del fatto lesivo, con riferimento alla traiettoria del liquido corrosivo rinvenuto sul luogo teatro dell’aggressione sulla vittima e sugli indumenti del (OMISSIS), tenuto conto sia delle precise ed attendibili dichiarazioni rese dalla persona offesa sulle modalita’ dell’aggressione subita, sia dall’esito delle analisi svolte dal CTU Dott. (OMISSIS) sulla sostanza altamente corrosiva utilizzata nel corso dell’aggressione ed alle tracce repertate sull’abbigliamento della persona offesa e dello stesso imputato.
4.2. Tale iter argomentativo si presenta immune da vizi e non risulta scalfito dalle censure sviluppate dall’imputato nel motivo di ricorso, tutte in fatto, traducentesi in mere prospettazioni esplorative ed alternative a quelle dei giudici di merito, disancorate da elementi oggettivi a conforto.
4.2.1. Peraltro, deve osservarsi come, anche nell’ipotesi di richiesta di abbreviato secco subordinata al rigetto dell’abbreviato condizionato, debba farsi applicazione del principio, secondo cui e’ preclusa all’imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato “secco”, la possibilita’ di contestazione successiva della legittimita’ del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria e’ equiparata al mancato rinnovo “in limine litis”, ai sensi dell’articolo 438 c.p.p., comma 6, della richiesta di accesso al rito subordinata all’assunzione di prove integrative”. (Sez. 2, n. 13368 del 27/02/2020, Rv. 278826 Sez. 1, n. 37244 del 13/11/2013 Rv. 260532).
4.2.2. Il (OMISSIS), invero, come evidenziato in premessa, aveva avanzato due istanze in ordine subordinato ed ha optato, dopo il rigetto dell’abbreviato condizionato, per il rito abbreviato semplice, richiesto appunto in via subordinata rispetto al primo, sicche’ deve ritenersi inammissibile la richiesta di rivalutazione del rigetto dell’abbreviato condizionato, pur avendo la Corte d’appello, in un’ottica di trasparente interlocuzione, ritenuto di dare risposta compiuta alla difesa.
5. Inammissibile, siccome generico e comunque manifestamente infondato, e’ poi il quinto motivo di ricorso, in merito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed in punto di trattamento sanzionatorio in generale.
5.1. In proposito, deve evidenziarsi come la Corte d’appello abbia compiutamente ed in maniera coerente motivato in merito alle ragioni del diniego delle circostanze attenuanti generiche, condividendo le valutazioni del primo giudice, circa l’assenza di elementi favorevoli per la concessione del beneficio in questione. Giova premettere che piu’ volte questa Corte ha condivisibilmente evidenziato che in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa e’ quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu’ favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni, tanto del fatto, quanto del soggetto che di esso si e’ reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non puo’ mai essere data per scontata o per presunta, si’ da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, e’ la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi le plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza necessita’ di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826). Il riconoscimento di esse richiede, comunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, 27/01/2012, n. 19639) e rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalita’ del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, rv. 248737).
5.2.La Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei suddetti principi, oltre a mettere in risalto l’assenza di elementi positivi in favore dell’imputato e, quindi, di ragioni giustificative per tale concessione, ha valorizzato, con ragionamento logico immune da censure, la straordinaria gravita’ della condotta, la sua premeditata insidiosita’ e l’entita’ del danno prodotto, giustificanti non solo l’elevata sanzione penale, ma caratterizzanti ulteriormente una negativa personalita’ dell’imputato, gia’ gravato da precedenti penali. Il gesto posto in essere dall’imputato e’ stato senza illogicita’ ritenuto una plastica rappresentazione di una meditata e ferma volonta’ di “punire per sempre la vittima, privandola non solo della sua speciale bellezza, ma della sua stessa identita’ cosi’ da cancellarla agli occhi di chiunque, non potendola possedere egli stesso”.
5.3. La gravita’ di siffatta condotta (deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso), del resto, ha costituito oggetto di recente attenzione del legislatore, che, con la L. n. 69 del 2019 cd. “codice rosso” ha previsto un apposito reato per le lesioni aventi tali caratteristiche. In particolare, la Corte territoriale ha, di fatto, ritenuto poco significativi od irrilevanti gli elementi addotti dall’imputato a conforto della richiesta di mitigazione della pena, tra cui la sua professione di innocenza, ovvero l’aver reso egli interrogatorio a fronte della personalita’ negativa dell’imputato e della gravita’ dei fatti.
In merito, poi, alle asserite “provocazioni” subite dall’imputato da parte della (OMISSIS), la sentenza impugnata, a prescindere dalla bonta’ di tale allegazione, ha ritenuto, senza illogicita’, che nessuna frustrazione amorosa, per quanto dolorosa, possa contribuire ad attenuare la gravita’ della condotta, sostenuta, nel caso in esame, da lucida preordinazione di mezzi e modi e non soggetta a inscriversi in un contesto emotivo sopraffattorio della razionalita’.
6. Inammissibile, siccome generica ed ininfluente a determinare un diverso epilogo decisorio, si presenta la censura di cui al sesto motivo di ricorso, in merito all’affermazione, asseritamente non corretta, contenuta alla pg. 41 della sentenza impugnata, circa l’assenza di piste alternative e di indicazioni da parte della vittima di altri soggetti potenzialmente gravati da un movente, tale da giustificare un simile atto. Sul punto occorre evidenziare che il ragionamento della Corte territoriale e’ stato impropriamente estrapolato da un contesto argomentativo piu’ ampio, nel quale e’ stato messo in risalto come tutti gli elementi acquisiti risultassero univocamente convergenti verso la responsabilita’ dell’imputato, tenuto conto, tra l’altro, dell’inesistenza di (serie) piste alternative che dessero conto appunto dell’estraneita’ dell’imputato ad un gesto si’ efferato, connotato da una chiara volonta’ di annientare la bellezza della vittima.
Neppure, poi, puo’ essere censurata la motivazione della sentenza impugnata laddove ha ritenuto del tutto generici gli accenni dell’imputato affinche’ fossero considerati gli affari imprenditoriali della famiglia della p.o., ovvero due episodi conflittuali in cui erano state coinvolte la (OMISSIS) e la madre, accenni inidonei per la loro vaghezza ad essere valutati come spunto per piste alternative.
6.1. In ogni caso, e’ sufficiente richiamare i principi affermati da questa Corte, secondo cui, una volta che il giudice di merito abbia ritenuto provato che il fatto sia stato commesso dall’imputato ed abbia dato correttamente conto nella motivazione della sussistenza di prove che in tal senso indicano a ritenere con certezza la responsabilita’ dell’imputato, non si puo’ richiedere allo stesso giudice che si soffermi su eventuali “ipotesi” che la difesa prospetti come teoricamente capaci di indirizzare le indagini verso ” piste alternative”, salvo che trattasi di fatti specifici ed oggettivamente certi e che siano tali da far seriamente vacillare il giudizio di responsabilita’ che deriva dagli elementi probatori acquisiti (Sez. 1, n. 12968 del 27/06/1989, Rv. 182164).
7. Manifestamente infondato si presenta, infine, il settimo motivo di ricorso con il quale il ricorrente si duole del mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione di cui all’articolo 62 c.p., n. 2.
7.1. Giova premettere che ai fini della configurabilita’ dell’attenuante della provocazione occorrono: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che puo’ anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarieta’ a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettivita’ in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilita’ personale; c) un rapporto di causalita’ psicologica e non di mera occasionalita’ tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalita’ tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta (Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Rv. 258454; Sez. 1 n. 21409 del 27/03/2019, Rv. 275894).
7.2. In particolare, e’ necessario che il “fatto ingiusto altrui”, costitutivo dell’attenuante della provocazione, rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarieta’ a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettivita’ in un dato momento storico e non valutate con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilita’ personale, non corrispondenti a canoni di civile convivenza (Sez. 5, n. 55741 del 25/09/2017, Rv. 272044) e che, presupposto dell’attenuante della provocazione e’, nell’aspetto soggettivo, uno stato d’ira incontenibile che provoca nell’agente la perdita dei poteri di autocontrollo, e che non puo’ pertanto essere confuso con stati d’animo diversi quali il risentimento, il rancore, la vendetta, la gelosia. Quanto all’elemento oggettivo, deve tenersi conto del criterio dell’adeguatezza, con parametro utile alla valutazione dello stato d’animo e delle intenzioni del reo: ed invero, la sproporzione fra offesa e reazione sta a significare che la condotta criminosa ha avuto come fattore endogeno scatenante una causale non ricollegabile con nesso di causalita’ con la condotta della vittima, essendovi assoluta inconciliabilita’ tra istinto punitivo e reazione causata da uno stato d’ira (Sez. 1, n. 6811 del 21/04/1994, Rv. 198116).
7.2.1. Nel caso in esame l’attenuante in questione e’ stata negata dalla Corte territoriale, sul presupposto dell’insussistenza dello stato d’ira dovuto a fatto ingiusto altrui (tenuto conto, peraltro, dell’atteggiamento comprensivo e remissivo della (OMISSIS)) e tale motivazione sebbene succinta si ritiene immune da censure. Gli elementi addotti dal ricorrente a fondamento, invece, dell’invocata attenuante sarebbero riconducibili al fatto che Allen (OMISSIS) in rapporto di amicizia con il (OMISSIS), si era fatto strada nella vita della (OMISSIS) dopo la fine della loro relazione ed il comportamento non limpido dei due avrebbe determinato uno “scompenso emotivo”, integrante l’invocata attenuante.
Tale situazione all’evidenza risulta in se’ assolutamente inidonea ad integrare “il fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato, come gia’ evidenziato, dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarieta’ a regole giuridiche, morali e sociali, non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilita’ personale.
7.3. Occorre per completezza rammentare, infine, che non puo’ essere invocata l’attenuante della provocazione quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l’agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni (Sez. 5, n. 27698 del 04/05/2018).
8. Il ricorso va, pertanto, respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. L’imputato, inoltre, va condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Ausl della (OMISSIS) che vanno liquidate in Euro 830,00, oltre accessori di legge, nonche’ dalla parte civile (OMISSIS), ammessa al patrocinio a spese dello Sato, nella misura che sara’ liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Ausl della Romagna che liquida in Euro 830,00, oltre accessori di legge nonche’ dalla parte civile (OMISSIS), ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sara’ liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply