Ai fini della concessione dei benefici penitenziari

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 22 giugno 2020, n. 18866.

Massima estrapolata:

Ai fini della concessione dei benefici penitenziari alle persone condannate per taluno dei reati cd. ostativi di cui all’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’utile collaborazione con la giustizia non è limitato ai soli delitti ostativi, ma è esteso a tutti i delitti con questi finalisticamente connessi, in quanto riconducibili alla medesima risoluzione criminosa.

Sentenza 22 giugno 2020, n. 18866

Data udienza 25 maggio 2020

Tag – parola chiave: Associazione per delinquere di stampo mafioso – Omicidi – Delitti tentati e consumati – Aggravante ex articolo 7 decreto legge 152 del 1991 – Condanne – Provvedimento di cumulo – Collaborazione con la giustizia – Impossibilità – Sentenza della corte costituzionale 361 del 1994 – Unificazione di pene concorrenti – Articolo 663 cpp – Criteri – Articolo 4 bis ordinamento penitenziario – Motivazione del giudice di merito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – rel. Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
Avverso l’ordinanza n. 516/2018 del Tribunale di Sorveglianza di Campobasso in data 01/10/2019;
Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Minchella;
Lette le conclusioni del P.G., nella persona del Dott. Domenico Seccia, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
Letta la memoria depositata dal difensore Avv. (OMISSIS), con la quale si insiste per la permanenza di un interesse all’impugnazione, il cui esito positivo avrebbe effetti favorevoli nella successiva valutazione di merito.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 01/10/2019 il Tribunale di Sorveglianza di Campobasso rigettava l’istanza di accertamento dell’impossibilita’ della collaborazione con la giustizia avanzata da (OMISSIS), ristretto in espiazione della pena di cui al provvedimento di cumulo emesso il 18/08/2009 dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Campobasso. Rilevava il Tribunale di Sorveglianza che nel cumulo di pene erano confluite, tra l’altro, condanne per associazione mafiosa e per plurimi delitti di omicidio e tentato omicidio nonche’ per violazione della normativa sulle armi aggravati dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, rispetto ai quali andava effettuata una valutazione unitaria, atteso l’evidente legame finalistico; pertanto, osservava come, con riferimento ai delitti di omicidio e tentato omicidio (e reati satelliti), i fatti potevano dirsi compiutamente accertati nelle sentenze di condanna. Al contrario, con riferimento ai delitti associativi (l’instante era stato condannato due volte per il delitto di cui all’articolo 416 bis c.p.: una volta per aver fatto parte di un cosca promossa e costituita da (OMISSIS) e un’altra volta per avere fatto parte del “clan (OMISSIS)”), le sentenze di condanna davano atto che si trattava di vaste compagini criminose, nelle quali vi era uno stretto vincolo tra gli associati e nelle quali vi era disponibilita’ di armi, di automobili blindate, di divise militari, di apparecchiature tecniche sofisticate; inoltre era stato accertato che egli aveva svolto il ruolo di sicario ed aveva partecipato a numerosi delitti, percependo un emolumento fisso, frequentando assiduamente i luoghi di ritrovo degli associati e mostrandosi come elemento molto fidato: cosi’, concludeva il Tribunale di Sorveglianza che le sentenze tratteggiavano il concorso nei reati anche di soggetti non identificati, atteso che gli affiliati superavano il centinaio di individui ma che non tutte le identita’ erano state accertate, poiche’ l’atteggiamento degli affiliati era stato omertoso e lo stesso instante aveva negato ogni addebito; tuttavia, le attivita’ illecite poste in essere dalle associazioni erano innumerevoli e spaziavano dalle estorsioni alle rapine, al traffico di sostanze stupefacenti: cosi’, ad esempio, non era mai stata accertata l’identita’ di coloro che disponevano dei locali nei quali erano state rinvenute le armi del clan e le intercettazioni telefoniche avevano permesso di ricostruire soltanto parte delle dinamiche criminali; su tutti questi ambiti non secondari l’instante veniva ritenuto come capace di riferire elementi utili, considerato il ruolo svolto, la fiducia in lui nutrita dal vertice criminale, il prestigio di cui egli godeva e i vantaggi stessi di cui fruiva, i quali attestavano il suo profondo inserimento nel clan (che gli aveva messo a disposizione l’abitazione in cui viveva e uno “stipendio” mensile).
2. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore Avv. (OMISSIS).
2.1. Con il primo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), erronea applicazione di legge: lamenta che l’ordinanza impugnata aveva focalizzato la sua attenzione soltanto sulla pena derivante dalla condanna ex articolo 416 bis c.p., non considerando che ormai detta pena era stata ampiamente espiata dall’inizio della detenzione e che non poteva effettuarsi la valutazione di collaborazione impossibile anche con riferimento ad una pena ormai espiata, alla luce del principio dello scioglimento del cumulo e del fatto che il collaboratore impossibile non poteva essere equiparato al collaboratore effettivo, soltanto per il quale la collaborazione ruotava intorno al concetto di emenda mentre il principio del favor rei doveva far concludere per la possibilita’ di sciogliere anche un cumulo omogeneo di reati ostativi.
2.2. Con il secondo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione di legge e manifesta illogicita’ della motivazione: lamenta che nemmeno l’ordinanza impugnata aveva potuto affermare che nelle sentenze di condanna vi fosse un cenno certo a correi non identificati, per cui di fatto cio’ restava una conclusione del Tribunale di Sorveglianza, non ancorata ad un fatto determinato, con conseguente inapplicabilita’ di un mero dubbio che ridondava a danno del ricorrente; peraltro, il Tribunale di Sorveglianza non aveva considerato gli scritti difensivi, affermando in maniera soltanto generica che vi era una possibilita’ di riferire su dinamiche criminose, tuttavia non indicando quali fossero gli ambiti specifici di collaborazione e non considerando che il clan complessivo era costituito da una federazione di compagini minori operanti su specifici territori e che il ricorrente aveva fatto parte appunto di un clan minore, con limitato bagaglio conoscitivo e con avvenuto accertamento completo di fatti e responsabilita’.
3. Il P.G. chiede l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, accedendo all’argomentazione dello scioglimento del cumulo e dell’avvenuta espiazione della parte di pena rispetto alla quale si era incentrata la motivazione censurata.
Con memoria di replica il ricorrente insiste per la permanenza di un interesse all’impugnazione, il cui esito positivo avrebbe effetti favorevoli nella successiva valutazione di merito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.
Preliminarmente va precisato che, con la memoria di replica alla quale si e’ fatto riferimento supra, il Difensore insiste per la sussistenza di un interesse giuridicamente apprezzabile all’esame del ricorso: reputa dunque il Collegio di procedere nella trattazione.
Ma le argomentazioni espresse nel ricorso non possono essere accolte.
2. La prima doglianza del ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata aveva focalizzato la sua attenzione sulla pena derivante dalle condanne ex articolo 416 bis c.p., non considerando che ormai detta parte di pena doveva considerarsi espiata e che proprio questa avvenuta espiazione impediva che la valutazione di collaborazione impossibile fosse effettuata anche con riferimento ad una pena ormai scontata, dovendosi ritenere, in virtu’ del principio del favor rei unito alla formulazione dell’articolo 4 bis Ord.Pen., la possibilita’ di sciogliere anche un cumulo omogeneo di reati ostativi.
Questa Corte non intende smentire detta conclusione, legata al principio, affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 361 del 1994, secondo il quale, nei casi in cui lo scioglimento del cumulo sia necessario, ai fini dell’applicabilita’ di taluni istituti, per la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene, va evitato che l’accesso ai benefici penitenziari possa essere ricollegato a circostanze meramente casuali, con irragionevole discriminazione di situazioni assimilabili. E del resto la possibilita’ di scioglimento del cd. cumulo omogeneo, comprensivo unicamente di reati ostativi, e’ stata riconosciuta da un orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini dell’accertamento della collaborazione con la giustizia, puo’ non tenersi conto del reato ostativo nei casi in cui la corrispondente quota-parte di pena sia gia’ stata scontata (Sez. 1, n. 50485 del 2/10/2018, Patorno, non massimata; Sez. 1, 29/05/2019, Badalamenti, non massimata).
Reputa il Collegio che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimita’, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti ai sensi dell’articolo 663 c.p.p. e’ legittimo procedere allo scioglimento del “cumulo” nel corso dell’esecuzione nei casi in cui debba essere compiuto il giudizio sull’ammissibilita’ della domanda di concessione di un beneficio penitenziario e qualora, tra le pene unificate, alcune si riferiscano a reati ricompresi nel novero di quelli elencati nell’articolo 4-bis Ord. pen. (Sez. 1, n. 2285 del 3/12/2013, dep. 2014, Di Palo, Rv. 258403; Sez. 1, n. 5158 del 17/1/2012, Marino, Rv. 251860; Sez. 1, n. 1405 del 14/12/2010, dep. 2011, Zingale, Rv. 249425). Una volta operato lo scioglimento, deve ritenersi che vengano meno le ostativita’ riferite ai reati le cui pene dovessero risultare gia’ espiate. Qualora, tuttavia, nel “cumulo” residuino uno o piu’ titoli di reato anch’essi ostativi, la cui quota-parte di pena risulti tuttora da scontare, l’accertamento delle rigorose condizioni di accesso al beneficio, stabilite dal citato articolo 4-bis, deve essere limitato ai delitti suddetti, secondo il regime ad essi proprio, verificando, nell’ipotesi in cui rientrino nella c.d. “prima fascia”, se il condannato abbia, rispetto ad essi, collaborato con la giustizia ovvero se detta collaborazione, mai prestata, possa essere ancora utile o sia diventata impossibile o inesigibile (Sez. 1, n. 49713 del 08/10/2019, Rv. 278462).
Nello specifico, tuttavia, l’argomentazione e’ inconferente.
Infatti, per come emerge dalla ordinanza impugnata (senza contestazione sul punto da parte del ricorrente), le sentenze di condanna a carico del ricorrente per il delitto di cui all’articolo 416 bis c.p., mostravano un evidente legame finalistico con altri delitti – ricompresi nel cumulo di pene anzidetto – quali omicidi e tentati omicidi e violazioni della normativa sulle armi (legame reso in modo plastico dalla contestazione della circostanza aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7).
Per tali ultimi delitti l’ordinanza impugnata evidenzia che l’accertamento dei fatti relativi poteva ritenersi compiuto: ma era comunque corretto procedere ad analoga valutazione anche per gli altri delitti di natura associativa finalisticamente connessi con i primi, e, in tal caso, era inconferente l’argomento circa la ritenuta gia’ avvenuta espiazione di quella quota-parte di pena.
Va rammentato che questa Corte ha ribadito con orientamento consolidato che la collaborazione utile non deve essere circoscritta ai soli reati compresi nel catalogo dell’articolo 4 bis Ord. Pen., ma persino che deve ritenersi estesa a tutti i delitti che siano con questi finalisticamente connessi in quanto riconducibili a una medesima risoluzione criminosa. Questa linea interpretativa trae origine da significativi elementi di ordine letterale e logico, in una visione speculare rispetto alla vera e propria collaborazione con la giustizia ed alla connotazione di “utilita’” di quest’ultima: e’ pienamente giustificato che la utile collaborazione non puo’ intendersi limitata ai delitti ostativi alla concessione dei benefici penitenziari, ma e’ estesa a tutti i delitti che siano con questi finalisticamente connessi, poiche’ non sarebbe rispondente alla ratio legis ammettere l’accesso ai benefici in presenza di una collaborazione parziale da cui dovessero restare esclusi taluni delitti che, pur essendo estranei alla previsione dell’articolo 4 bis Ord.Pen., costituiscono pero’ elementi di un medesimo piano operativo e forme attuative di criminalita’ organizzata (Sez. 1, 06/05/1997, n. 3176, Battisti, Rv. 207969; Sez. 1, n. 12949 del 03/12/2013, Rv. 259544; Sez. 1, n. 43391 del 03/10/2014, Rv. 261145; Sez. 1, n. 45330 del 02/07/2019, Rv. 277489; Sez. 1, n. 1790 del 13/11/2019, Rv. 278172).
Cosi’, una volta ritenuta la stretta correlazione tra i vari delitti-scopo e il contesto mafioso, essendo i primi strumentali al perseguimento delle finalita’ criminose del clan, deve certamente tenersi conto, ai fini della valutazione di una eventuale possibilita’/esigibilita’ della condotta collaborativa, del patrimonio conoscitivo concernente i molteplici ambiti in cui, con la diretta partecipazione del condannato, si esplicavano le attivita’ illecite della cosca.
Patrimonio conoscitivo la cui ricostruzione non e’ affatto eccentrica rispetto al perimetro dell’accertamento della collaborazione, proprio in considerazione della sua stretta inerenza rispetto alla ragione per la quale detto accertamento deve essere svolto.
In altri termini, una volta ritenuto che la realizzazione di una determinata attivita’ criminosa abbia trovato la sua causale nelle dinamiche di un sodalizio mafioso, essendo stata finalizzata ad attuarne le strategie, la necessita’ di accertare la collaborazione (o della sua impossibilita’/irrilevanza/inesigibilita’), quale prova legale del venir meno della pericolosita’ sociale connessa all’appartenenza al sodalizio, deve estendersi a tutte le situazioni che specificamente riguardano l’organizzazione criminale, a beneficio della quale l’attivita’ delittuosa era stata compiuta.
Cosi’, nella fattispecie, il Tribunale di Sorveglianza, preso atto del complessivo insieme di reati ostativi e finalisticamente connessi ha accertato – con motivazione la cui adeguatezza logica non e’ scalfita dalle censure del ricorrente – che l’oggetto delle possibili dichiarazioni collaborative (o della impossibilita’ di collaborare) era costituito anche dai delitti associativi, rispetto ai quali sussisteva ragionevolmente la possibilita’ di riferire utilmente.
2. Il secondo motivo di ricorso lamenta che l’ordinanza impugnata aveva respinto la richiesta fondando la propria decisione su di un mero dubbio e sulla base di argomenti generici in ordine ad una asserita possibilita’ di riferire su dinamiche criminose, senza pero’ indicare quali fossero gli ambiti specifici di collaborazione e senza considerare che il ricorrente aveva fatto parte appunto di un clan “minore” federato con altri in una consorteria piu’ ampia, acquisendo percio’ un limitato bagaglio conoscitivo.
La doglianza va rigettata.
Il Tribunale di Sorveglianza, facendo riferimento alla vicenda processuale che ha coinvolto il ricorrente, ha evidenziato i punti essenziali per i quali ha ritenuto come possibile la sua eventuale collaborazione con la giustizia, aderendo correttamente all’orientamento secondo il quale il presupposto della utile collaborazione ai sensi dell’articolo 58-ter Ord.Pen. comprende i contributi informativi integranti un “aiuto concreto” per l’autorita’ di polizia o per quella giudiziaria, da intendersi come apporto non oggettivamente irrilevante e, quindi, dotato di una reale efficacia ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’accertamento delle responsabilita’, che contribuisce alla formazione in dibattimento di prove indispensabili per dimostrare la responsabilita’ degli imputati e determinarne la condanna (Sez. 1, n. 58075 del 26/10/2017, Rv. 271616).
Infatti, l’accertamento della utile collaborazione previsto dall’articolo 58-ter Ord.Pen. postula un giudizio globale sulla personalita’ del condannato e del suo concreto percorso espiativo, con riferimento a tutti i fatti e le responsabilita’ oggetto del processo sfociato nella sentenza definitiva.
Il Tribunale di Sorveglianza ha precisato gli ambiti collaborativi possibili (ad esempio, organigramma della consorteria, identita’ di tutti i correi, dinamiche criminali sulle quali le operazioni di intercettazione non avevano condotto ad accertamenti completi, identita’ di coloro che ponevano a disposizione i locali nei quali erano custodite le armi) ed ha precisato le ragioni (il ruolo svolto, la fiducia in lui nutrita dal vertice criminale, il prestigio di cui egli godeva e i vantaggi stessi di cui fruiva – come l’abitazione messa a disposizione dal clan e la retribuzione mensile – i quali attestavano il suo profondo inserimento nel clan) per le quali riteneva che il ricorrente avesse acquisito un profondo compendio di conoscenza in relazione ad un’organizzazione criminale stabile ed operativa sul territorio: in altri termini, ha respinto la richiesta del condannato sulla base dei risultati informativi previsti dalla normativa, esprimendo un giudizio completo e coerente con i dati in possesso.
La motivazione dell’ordinanza censurata affronta in modo approfondito la tematica degli spazi collaborativi ancora aperti al ricorrente e non risponde al vero che la decisione finale negativa sia stata determinata da mere congetture: al contrario, la posizione del ricorrente e’ stata valutata nella sua individualita’, poiche’ il Tribunale di Sorveglianza, con attente e mai illogiche osservazioni, ha valorizzato la posizione di rilievo ricoperta dal ricorrente medesimo in quel sodalizio: per queste ragioni si concludeva per una possibile e concreta possibilita’ di contribuire alla ricostruzione completa di molti profili delle condotte illecite, i quali certamente non erano ignoti al ricorrente, al quale residuava un notevole spazio collaborativo.
Questa posizione peculiare del ricorrente – ricavata strettamente dalla pronunzia di condanna – aveva convinto il Tribunale di Sorveglianza a ritenere possibile una attivita’ collaborativa negli spazi di conoscenza che il ruolo, i rapporti e le attivita’ avevano fatto acquisire al condannato: in altri termini, l’ampiezza del bagaglio conoscitivo in possesso del ricorrente e’ stata correttamente ed adeguatamente valorizzata nella motivazione del provvedimento impugnato, e il ricorso non censura queste conclusioni specifiche. Anzi, a fronte di questa motivazione completa, le censure sollevate con il ricorso si limitano ad affermare un’impossibilita’ di positiva collaborazione con la giustizia, a motivo di un asserito integrale accertamento dei fatti e di una mancanza di circostanze rilevanti da riferire: in realta’, si tratta di una doglianza che si limita ad essere confutativa.
3. Alla stregua di queste considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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