Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 24 settembre 2018, n. 22434.
La massima estrapolata:
Ai fini del riconoscimento in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell’assegno deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione.
Sentenza 24 settembre 2018, n. 22434
Data udienza 5 dicembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente
Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez.
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21830-2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– resistente –
e contro
CASSA NAZIONALE PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 11/03/2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. GIACINTO BISOGNI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto dei primi quattro motivi del ricorso, manifestamente infondata la questione di costituzionalita’ del quinto motivo;
uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
1. La Corte di appello di Messina, confermando la decisione di primo grado, ha negato il diritto di (OMISSIS) a percepire una quota della pensione di reversibilita’ dell’ex coniuge (OMISSIS) ritenendo ostativa la circostanza dell’avvenuto percepimento in unica soluzione dell’assegno divorzile.
2. In base alla disposizione di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 9, comma 3, (come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 13), al coniuge nei confronti del quale sia stata pronunciata la sentenza di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili e che sia titolare dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 5 spetta il concorso sulla pensione di reversibilita’, tenuto conto della durata del rapporto. La Corte di appello ha ritenuto che il requisito della titolarita’ dell’assegno deve essere attuale e cioe’ che al momento del sorgere del diritto alla pensione di reversibilita’ deve essere in atto una prestazione periodica in favore dell’ex coniuge.
3. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di appello di Messina affidato a cinque motivi con i quali ha dedotto la violazione da parte della sentenza impugnata della L. n. 898 del 1970, articoli 5, 9 e 9 bis per avere disatteso la natura previdenziale del suo diritto a una quota della pensione di reversibilita’ e ha eccepito l’incostituzionalita’ della L. n. 898 del 1970, articolo 9 se interpretata alla stregua della decisione impugnata.
4. A sostegno di questa qualificazione del diritto a una quota della pensione di reversibilita’ da parte dell’ex coniuge la ricorrente ha invocato la sentenza n. 159 del 12 gennaio 1998 delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione in cui venne rimarcata la variazione del regime giuridico preesistente alla novella del 1987 (L. n. 74 del 1987, articolo 13) e specificamente l’esclusione del potere discrezionale del giudice in ordine all’an debeatur. Per effetto dell’intervento del legislatore del 1987 l’attribuzione al coniuge divorziato del diritto a una quota della pensione di reversibilita’ era divenuta ormai automatica essendo condizionata esclusivamente dal verificarsi di una fattispecie legale sottratta alla discrezionalita’ del giudice e all’accertamento in concreto di una situazione di bisogno trattandosi di una prestazione di natura previdenziale.
5. In particolare con il primo motivo di ricorso la ricorrente afferma che il presupposto erroneo da cui e’ partita la Corte di appello e’ l’assimilazione della funzione dei due istituti (assegno divorzile e diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilita’). Infatti l’assegno divorzile ha una natura esclusivamente assistenziale fondata sulla solidarieta’ post-coniugale e intesa a garantire mezzi adeguati all’ex coniuge al fine di consentirgli una tendenziale conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (sentenze delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione n. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990). La pensione di reversibilita’ ha invece natura e funzione diversa, come e’ stato chiarito dalle Sezioni Unite civili con la citata sentenza n. 159/1998 che, partendo dalla radicale diversita’ del disposto originario della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 3 rispetto a quello novellato dalla L. n. 74 del 1987, ha evidenziato la natura previdenziale dell’assegno di reversibilita’, la sua non assimilabilita’ all’assegno di divorzio, di cui non costituisce la continuazione, la sostanziale diversita’ nei criteri di attribuzione e di determinazione.
6. Con lo stesso motivo e per le stesse ragioni la ricorrente critica la giurisprudenza lavoristica che, secondo il suo giudizio, enfatizza la diversita’ dell’assetto di interessi realizzato con la corresponsione periodica e con la corresponsione in unica soluzione dell’assegno di divorzio valorizzando il carattere definitivo e non modificabile della corresponsione una tantum. Mentre la corresponsione di un assegno periodico pone in essere una definizione dei rapporti fra gli ex coniugi rebus sic stantibus e quindi modificabile per circostanze sopravvenute.
7. In questa prospettiva pero’, secondo la ricorrente, non solo si confonde la natura delle due prestazioni (che e’ assistenziale per l’assegno di divorzio e previdenziale per l’assegno di reversibilita’) ma si finisce anche per considerare, erroneamente, riaperto e modificato, dall’attribuzione al coniuge divorziato del diritto alla pensione di reversibilita’, l’assetto degli interessi realizzato con a corresponsione una tantum. Con quest’ultima si e’ adempiuto a una prestazione dipendente dal riconoscimento della titolarita’ del diritto all’assegno mentre l’attribuzione del diritto alla pensione di reversibilita’ e’ si’ una conseguenza di tale riconoscimento ma non una modifica, non consentita, delle condizioni del divorzio. Ne’ puo’ dirsi che l’attribuzione della pensione di reversibilita’ all’ex coniuge presuppone una situazione attuale di dipendenza economica. Sulla base dell’articolo 38 Cost., che prevede l’attribuzione dei trattamenti previdenziali secondo una valutazione generale e astratta dello stato di bisogno, deve ritenersi che il requisito della titolarita’ dell’assegno altro non e’ se non l’attestazione della qualita’ di coniuge economicamente debole, vissuta nel matrimonio ormai sciolto, con la conseguenza che negare il riconoscimento al concorso sulla pensione di reversibilita’ significa negare al coniuge divorziato economicamente debole i suoi diritti previdenziali. Secondo la ricorrente, la titolarita’ dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 3, va intesa come accertamento del diritto all’assegno a prescindere dalle modalita’ della sua corresponsione che ben possono consistere in una dazione in unica soluzione o periodica. La disposizione di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 9, secondo cui la corresponsione in una unica soluzione dell’assegno preclude la proponibilita’ di ogni successiva domanda di contenuto economico, non si riferisce alla pensione di reversibilita’, prestazione che grava sull’ente previdenziale e non costituisce affatto una continuazione dell’assegno divorzile di cui non condivide affatto la natura assistenziale.
8. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente contesta la motivazione della Corte di appello laddove ha operato una equazione fra attualita’ e titolarita’ dell’assegno. La ricorrente riconosce che la Corte Costituzionale ha ricollegato la estensione, da parte del legislatore, dei beneficiari del trattamento di reversibilita’ all’esistenza di uno stato di bisogno (Corte Costituzionale n. 7 del 25 gennaio 1980 secondo cui “il trattamento di riversibilita’ realizza una garanzia di continuita’ del sostentamento al superstite”), dipendente dalla morte del lavoratore che provvede al mantenimento della famiglia (Corte Costituzionale n. 123 del 28 giugno 1963 secondo cui “la riversibilita’ della pensione della previdenza sociale ai familiari superstiti trova la sua causa e la sua ragion d’essere nella circostanza che, quando viene a mancare il lavoratore che provvedeva al sostentamento della famiglia, alcuni componenti del nucleo familiare rimangono privi dei mezzi atti a soddisfare bisogni essenziali di vita e di sostentamento, prima forniti dal lavoratore stesso”): una condizione che accomuna anche il coniuge divorziato ancora a carico dell’ex coniuge. Tuttavia la stessa Corte Costituzionale (con la sentenza n. 777 del 22 giugno 1988) ha rilevato che, dopo la novella del 1987, l’attribuzione al coniuge divorziato del diritto a fruire dell’assegno di reversibilita’ ha acquistato carattere di automaticita’ e non e’ piu’ subordinata alla condizione dell’esistenza effettiva di uno stato di bisogno precedentemente rimesso all’apprezzamento del giudice. Successivamente con la sentenza n. 87 dell’8 marzo 1995 la Corte Costituzionale ha anche chiarito che il diritto dell’ex coniuge superstite alla pensione di riversibilita’ non e’ la continuazione, mutato debitore, del diritto all’assegno di divorzio precedentemente percepito dal coniuge defunto, ma e’ un diritto nuovo di natura previdenziale, collegato a una fattispecie legale i cui elementi (titolarita’ di pensione diretta da parte del coniuge defunto in virtu’ di un rapporto anteriore alla sentenza di divorzio, titolarita’ da parte del coniuge superstite di assegno divorzile disposto dal giudice ai sensi dell’articolo 5) non richiedono alcuna valutazione da parte del giudice. Secondo la ricorrente quindi, mentre per gli altri beneficiari, escluso ovviamente il coniuge superstite, il presupposto del riconoscimento del diritto al trattamento di reversibilita’ si fonda su uno stato di bisogno sia pure configurato in termini generali e astratti, per il coniuge divorziato lo stesso presupposto consiste nella pregressa vita in comune e nel contributo alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex coniuge deceduto, contributo che il legislatore riconosce automaticamente come effetto della descritta fattispecie legale.
9. Con il terzo motivo di ricorso si ribadisce l’argomento a contrario suggerito dalla L. n. 898 del 1970, articolo 9 bis, che subordina l’attribuzione di un assegno periodico a carico dell’eredita’ al “riconoscimento del diritto a una corresponsione periodica di somme di denaro a norma della L. n. 898 del 1970, articolo 5”. Secondo la ricorrente il legislatore ha specificamente identificato nella corresponsione periodica dell’assegno divorzile una condizione per l’attribuzione di un assegno a carico dell’eredita’, a differenza di quanto previsto nell’articolo 9 relativamente alla pensione di reversibilita’ che non a caso richiede solo la titolarita’ dell’assegno divorzile e non la corresponsione in corso di un assegno periodico.
10. Con il quarto motivo si contesta la motivazione della Corte di appello che ha ritenuto applicabile anche alla pensione di reversibilita’ la disposizione della L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 8, secondo cui la corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione esclude la proponibilita’ di qualsiasi successiva domanda di contenuto economico. Secondo la ricorrente l’interpretazione della Corte di appello si basa sull’erronea qualificazione del diritto del coniuge divorziato a una quota della pensione di reversibilita’ come diritto nei confronti del coniuge superstite e non nei confronti dell’ente previdenziale. L’assegno di reversibilita’ non puo’ considerarsi una prestazione aggiuntiva rispetto alla corresponsione in unica soluzione dell’assegno di divorzio per la eterogeneita’ della natura delle due prestazioni e per la diversita’ dei soggetti obbligati.
11. Con il quinto motivo si ripropone, subordinatamente all’ipotesi di rigetto dei precedenti motivi, la questione di costituzionalita’ delle disposizioni che regolano l’accesso del coniuge divorziato alla pensione di reversibilita’, in relazione agli articoli 3 e 27 Cost., (rectius 37) e articolo 38 Cost.. Ritiene la ricorrente che la discriminazione fra corresponsione periodica e in unica soluzione dell’assegno divorzile costituisce una irragionevole e arbitraria esclusione, in danno del coniuge che opti per la seconda modalita’, del diritto a fruire di una prestazione di natura esclusivamente previdenziale che costituisce attuazione della garanzia di cui all’articolo 38 Cost. e prescinde del tutto dalla regolazione degli interessi propria dell’assegno divorzile.
12. Si difende con controricorso (OMISSIS).
13. La prima sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 11453/2017 del 19 gennaio – 10 maggio 2017, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite. Ha infatti rilevato l’esistenza di un contrasto negli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’ circa la natura giuridica del diritto alla pensione di reversibilita’ e la interpretazione della norma (L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 3) che pone come presupposto per il diritto alla pensione di reversibilita’ la titolarita’ dell’assegno di cui all’articolo 5.
14. In particolare la ordinanza interlocutoria ha fatto riferimento alle sentenze nn. 159 del 12 gennaio 1998 e 12540 del 14 dicembre 1998 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione che hanno affermato la natura previdenziale del diritto e alle sentenze della Sezione Lavoro (dalla sentenza n. 10458 del 18 luglio 2002 sino alle successive pronunce nn. 3635 dell’8 marzo 2012, 26168 del 30 dicembre 2015 e 9054 del 5 maggio 2016) e della Sezione Prima (sentenza n. 17018 del 12 novembre 2003) che pure riconoscono la natura previdenziale del diritto alla pensione di reversibilita’ ma escludono il concorso del coniuge divorziato se la corresponsione dell’assegno non sia attuale in quanto e’ stata convenuta dalle parti in unica soluzione mediante la dazione di un capitale o un trasferimento patrimoniale.
15. L’ordinanza interlocutoria rileva per altro verso che le piu’ recenti sentenze della Sezione Prima (nn. 13108 del 28 maggio 2010 e 16744 del 29 luglio 2011) ritengono che la natura previdenziale del diritto sia decisiva per rendere autonoma l’erogazione (e la funzione) della pensione di reversibilita’ dalla modalita’ di adempimento dell’obbligazione di natura solidaristica-assistenziale propria dell’assegno divorzile che pertanto puo’ avvenire sia in maniera periodica che in unica soluzione.
16. La causa e’ stata discussa davanti alle Sezioni Unite all’udienza del 5 dicembre 2017 in vista della quale i difensori di (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato memorie.
Ritenuto che:
17. Il ricorso si basa fondamentalmente sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 159 del 12 gennaio 1998. Con questa pronuncia le Sezioni Unite furono chiamate a risolvere tre questioni interpretative che si erano presentate nell’applicazione del nuovo testo del terzo comma della L. n. 898 del 1970, articolo 9 e che non concernevano peraltro la questione oggetto della presente controversia.
18. La prima questione era relativa alla identificazione della natura del trattamento di reversibilita’ riservato al coniuge divorziato: -se costituisse un diritto nei confronti del coniuge superstite e condividesse sostanzialmente la stessa natura dell’assegno divorzile ovvero se consistesse in un diritto autonomo, se pure concorrente con quello del coniuge superstite al trattamento di reversibilita’, e quindi presentasse una natura prettamente previdenziale e una riferibilita’ soggettiva diretta in capo al coniuge divorziato nei confronti dell’ente previdenziale.
19. La seconda questione si riferiva alla individuazione del criterio di determinazione della quota da attribuire al coniuge divorziato e in particolare se tale criterio doveva essere quello matematico e automatico, ancorato alla durata del matrimonio, ovvero temperato da altri elementi di giudizio, specificamente quelli utilizzabili ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile, o, altrimenti, se la durata del matrimonio non fosse altro che uno fra gli altri criteri concorrenti e utilizzabili nella liquidazione dell’assegno divorzile.
20. La terza questione si riferiva infine ai criteri per determinare la durata del rapporto e in particolare se si dovesse prendere a riferimento rigidamente la durata legale del matrimonio ovvero se si dovesse tenere conto della durata effettiva della convivenza tenendo quindi conto di una eventuale convivenza prematrimoniale ed escludendo invece il periodo di separazione precedente al divorzio.
21. La risposta delle Sezioni Unite a queste tre questioni interpretative fu nel senso di considerare il coniuge divorziato titolare di un autonomo diritto al trattamento di reversibilita’, potenzialmente all’intero trattamento, ma limitato quantitativamente dall’omologo diritto spettante al coniuge superstite; di escludere la utilizzabilita’ di criteri diversi da quello della durata del rapporto; di intendere per durata del rapporto la durata legale del matrimonio e pertanto di escludere la rilevanza, in pregiudizio del coniuge divorziato, dell’eventuale cessazione della convivenza matrimoniale prima della pronuncia di divorzio, o, in favore del coniuge superstite dell’eventuale periodo di convivenza more uxorio con l’ex coniuge che abbia preceduto la stipulazione del nuovo matrimonio.
22. La sentenza n. 159/1998 delle Sezioni Unite ha avuto seguito nella giurisprudenza di legittimita’ per quanto concerne la affermazione della natura previdenziale del trattamento di reversibilita’ e il riconoscimento della pari dignita’ del diritto del coniuge divorziato e di quello del coniuge superstite. La giurisprudenza successiva tuttavia ha rivisto la configurazione automatica e predeterminata del diritto e ha superato le risposte date in quella sede dalle Sezioni Unite alla seconda e alla terza questione.
23. Il contrasto giurisprudenziale per cio’ che concerne la questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite va quindi correttamente inquadrato rilevando l’inesistenza di una precedente pronuncia delle Sezioni Unite sullo specifico tema oggetto della presente controversia e registrando la attualita’ solo parziale della citata pronuncia del 1998 sulla natura previdenziale dell’assegno di reversibilita’.
24. Per quanto concerne quest’ultimo profilo deve infatti sottolinearsi come la Corte Costituzionale sia stata chiamata, immediatamente dopo la sentenza delle Sezioni Unite del 1998, a pronunciarsi sulla stessa questione dei criteri di determinazione della quota spettante all’ex coniuge.
25. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419 del 20 ottobre 1999, nel rigettare la sollevata questione di costituzionalita’, ha fornito l’interpretazione della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 3 compatibile con le disposizioni di cui agli articoli 3 e 38 della Carta fondamentale. Secondo il giudice delle leggi “la pensione di reversibilita’ realizza la sua funzione solidaristica in una duplice direzione. Nei confronti del coniuge superstite, come forma di ultrattivita’ della solidarieta’ coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto. Nei confronti dell’ex coniuge, il quale, avendo diritto a ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta, per un verso, la continuita’ di questo sostegno e, per altro verso, la conservazione di un diritto, quello alla reversibilita’ di un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale. Si tratta, dunque, di un diritto alla pensione di reversibilita’, che non e’ inerente alla semplice qualita’ di ex coniuge, ma che ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarita’ attuale dell’assegno, la cui attribuzione ha trovato fondamento nell’esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati (L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6)”.
26. Secondo la Corte Costituzionale “in presenza di piu’ aventi diritto alla pensione di reversibilita’ (il coniuge superstite e l’ex coniuge), la ripartizione del suo ammontare tra di essi non puo’ avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale possibile correttivo, delle finalita’ e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilita’. Cio’ che il criterio esclusivamente matematico della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale non consente di fare. Difatti una volta attribuito rilievo, quale condizione per aver titolo alla pensione di reversibilita’, alla titolarita’ dell’assegno, sarebbe incoerente e non risponderebbe al canone della ragionevolezza, ne’, per altro verso, alla duplice finalita’ solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, la esclusione della possibilita’ di attribuire un qualsiasi rilievo alle ragioni di esso perche’ il tribunale ne possa tenere in qualche modo conto dovendo stabilire la ripartizione della pensione di reversibilita’”.
27. La giurisprudenza di legittimita’ ha fatto costante applicazione, da allora, del criterio enucleato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce fra le quali sembra rilevante, in questa sede, richiamare quelle che sottolineano la funzione solidaristica del trattamento di reversibilita’, diretta alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi (Cass. civ. sez. 1, n. 16093 del 21 settembre 2012, n. 26358 del 7 dicembre 2011, n. 10638 del 9 maggio 2007, n. 4868 del 7 marzo 2006, n. 15164 del 10 ottobre 2003).
28. Deve rimarcarsi che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 1999, la giurisprudenza di legittimita’ ha escluso, in ragione del carattere solidaristico della pensione di reversibilita’, che, nella ripartizione dell’assegno, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, il criterio della durata legale dei rispettivi matrimoni comporti automatismi di qualsiasi tipo, dovendo il giudice del merito tener conto di ulteriori elementi, correlati alle finalita’ che presiedono al detto trattamento, e, tra questi, in primo luogo, dell’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge (Cass. civ. sez. 1 n. 23379 del 16 dicembre 2004).
29. Deve ritenersi quindi non piu’ invocabile la sentenza n. 159 delle Sezioni Unite del 1998 laddove identifica il fondamento della pensione di reversibilita’ nell’apporto alla formazione del patrimonio comune e a quello proprio dell’altro coniuge e nelle aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio. Se in particolare l’apporto alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge puo’ considerarsi elemento costitutivo della solidarieta’ coniugale e post-coniugale, che peraltro non impone necessariamente il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile, il presupposto per l’attribuzione della pensione di reversibilita’ e’, invece, il venir meno di un sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso e la sua finalita’ e’ quella di sovvenire a tale perdita economica all’esito di una valutazione effettuata dal giudice in concreto che tenga conto della durata temporale del rapporto, delle condizioni economiche dei coniugi, dell’entita’ del contributo economico del coniuge deceduto e di qualsiasi altro criterio utilizzabile per la quantificazione dell’assegno di mantenimento. Anche la previsione, nella L. n. 898 del 1970, articolo 9 della condizione che l’ex coniuge non sia “passato a nuove nozze” conduce, del resto, a correlare il diritto alla pensione di reversibilita’ all’attualita’ della corresponsione dell’assegno divorzile.
30. Alla luce di queste constatazioni, che derivano dall’esame della giurisprudenza successiva alla citata pronuncia delle Sezioni Unite del 1998, il problema dell’interpretazione dell’espressione testuale “titolare dell’assegno” di divorzio, di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 3 nel testo in vigore, assume quindi una direzione univoca nel senso di valorizzare il significato della titolarita’ come condizione che vive e si qualifica nell’attualita’ (non condividendosi pertanto l’opposto indirizzo ermeneutico segnato dalle uniche due decisioni le quali affermano che la titolarita’ dell’assegno di divorzio non significa necessariamente corresponsione periodica e attuale dell’assegno: Cass. civ. sez. 1 n. 13108 del 28 maggio 2010 e n. 16744 del 29 luglio 2011). Se infatti la finalita’ del legislatore e’ quella di sovvenire a una situazione di deficit economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, l’indice per riconoscere l’operativita’ in concreto di tale finalita’ e’ quello della attualita’ della contribuzione economica venuta a mancare; attualita’ che si presume per il coniuge superstite e che non puo’ essere attestata che dalla titolarita’ dell’assegno, intesa come fruzione attuale di una somma periodicamente versata all’ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Del resto l’espressione titolarita’ nell’ambito giuridico presuppone sempre la concreta e attuale fruibilita’ ed esercitabilita’ del diritto di cui si e’ titolari; viceversa, un diritto che e’ gia’ stato completamente soddisfatto non e’ piu’ attuale e concretamente fruibile o esercitabile, perche’ di esso si e’ esaurita la titolarita’.
31. In questo senso e’ sicuramente pertinente il riferimento della giurisprudenza lavoristica alla L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 8. La corresponsione dell’assegno in unica soluzione preclude la proponibilita’ di qualsiasi successiva domanda di contenuto economico da parte del coniuge beneficiario dell’assegno una tantum senza che cio’ equivalga a negare il carattere autonomo e di natura previdenziale del diritto dell’ex coniuge al concorso sulla pensione di reversibilita’. Significa invece prendere atto che il diritto all’assegno divorzile e’ stato definitivamente soddisfatto e che non esiste alla morte dell’ex coniuge una situazione di contribuzione economica periodica e attuale che viene a mancare. Difetta pertanto il requisito funzionale del trattamento di reversibilita’ che e’ dato dal presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge. L’assegno di reversibilita’ non costituisce la mera continuazione post mortem dell’assegno di divorzio ma si giustifica con le stesse ragioni che giustificavano il sostegno economico all’ex coniuge, mediante la corresponsione dell’assegno divorzile; mentre il quantum, in caso di concorso con il diritto del coniuge superstite, sara’ modulato sulla base della verifica giudiziale diretta ad accertare gli elementi che conducono a una ripartizione equa fra gli aventi diritto.
32. Anche le considerazioni della Corte di appello sulla inesistenza di un argomento a contrario dato dalla previsione normativa di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 9 bis sono condivisibili. L’assegno periodico a carico dell’eredita’ ha un carattere di continuita’ strutturale e soggettiva con l’assegno divorzile che il diritto alla pensione di reversibilita’ non ha per la sua natura di prestazione previdenziale, essendo comunque finalizzato a tutelare il soggetto beneficiario di una situazione di contribuzione economica venuta meno con la morte dell’ex coniuge titolare di pensione. L’assegno a carico dell’eredita’ presuppone l’accertamento in concreto e la persistenza dello stato di bisogno. L’assegno di reversibilita’ e’ una prestazione previdenziale la cui attribuzione dipende dalla ricorrenza di una condizione legale graduata in funzione della persistenza del vincolo di condivisione affettiva ed economica con il lavoratore che beneficiava del trattamento pensionistico. Si tratta di differenze che possono giustificare la diversa dizione normativa senza che quest’ultima sia comunque idonea a configurare un argomento a contrario all’interpretazione dell’espressione “titolare dell’assegno di cui all’articolo 5”, intesa come titolarita’, allo stato attuale, dell’assegno e non di un diritto che e’ stato ormai definitivamente soddisfatto.
33. Con riguardo alla questione di legittimita’ costituzionale prospettata in via subordinata dalla ricorrente, va sottolineato, per rimarcarne la manifesta infondatezza, che, anche nella giurisprudenza costituzionale si ravvisa una sostanziale continuita’ interpretativa dalla fine degli anni 1990. E’ infatti ricorrente il riferimento al presupposto solidaristico dell’istituto della reversibilita’ e alla sua finalita’ di sovvenire alla situazione di difficolta’ economica che deriva dalla morte dell’ex coniuge. Questi, con il suo contributo economico, provvedeva infatti ad eliminare o comunque ad attutire la condizione di dipendenza economica dell’ex coniuge e comunque a soddisfare quell’esigenza di solidarieta’ post-coniugale che giustifica l’imposizione di un assegno divorzile. Significativo e’ il richiamo operato di recente dalla sentenza n. 174 del 2016 della Corte Costituzionale al “fondamento solidaristico della pensione di reversibilita’, che ne determina la finalita’ previdenziale”. La sentenza riconferma la validita’ della “configurazione della pensione di reversibilita’ come forma di tutela previdenziale e strumento per il perseguimento dell’interesse della collettivita’ alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici”. La Corte Costituzionale richiama inoltre la propria giurisprudenza sulla “pensione di reversibilita’ quale prestazione che mira a tutelare la continuita’ del sostentamento e a prevenire lo stato di bisogno che puo’ derivare dalla morte del coniuge” (sentenze nn. 18 del 12 febbraio 1998, 926 dell’8 luglio 1988 e 777 del 22 giugno 1988) e sul “perdurare del vincolo di solidarieta’ coniugale, che proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte” (sentenze nn. 419 del 27 ottobre 1999 e 70 dell’11 marzo 1999). Una continuita’ giurisprudenziale, questa, che rende pienamente compatibile con le disposizioni degli articoli 3, 37 e 38 Cost. l’interpretazione che considera la titolarita’ dell’assegno come titolarita’ attuale, mediante la concreta corresponsione di una contribuzione periodica sino al momento della morte dell’ex coniuge obbligato.
34. In definitiva il contrasto giurisprudenziale che ha determinato il rinvio della controversia a queste Sezioni Unite deve risolversi con l’affermazione del principio di diritto per cui, ai fini del riconoscimento della pensione di riversibilita’, in favore del coniuge nei cui confronti e’ stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 9 nel testo modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 13 la titolarita’ dell’assegno, di cui all’articolo 5 della stessa L. 1 dicembre 1970, n. 898, deve intendersi come titolarita’ attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non gia’ come titolarita’ astratta del diritto all’assegno divorzile che e’ stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione.
35. Il ricorso va respinto con compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone omettersi in caso di pubblicazione della presente sentenza ogni riferimento ai nominativi e agli altri elementi identificativi delle parti.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis.
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