Corte di Cassazione, penale, Sentenza|12 luglio 2021| n. 26511.
Aggravante del furto su cosa destinata a pubblico servizio.
In tema di furto, non può considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., configurata dall’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, qualora nell’imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito, direttamente o mediante l’impiego di formule equivalenti ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma.
Sentenza|12 luglio 2021| n. 26511. Aggravante del furto su cosa destinata a pubblico servizio
Data udienza 13 aprile 2021
Integrale
Tag – parola: Rito abbreviato – Armi da taglio – Sentenza di non doversi procedere per prescrizione – Furto aggravato – Aggrvante del furto su cosa destinata a pubblico servizio – Assenza di contestazione dell’aggravante
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente
Dott. CATENA Rossella – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. SESSA Renata – Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/12/2019 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere BRANCACCIO MATILDE;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale DI LEO GIOVANNI che ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso.
Aggravante del furto su cosa destinata a pubblico servizio
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 26.4.2018, emessa con rito abbreviato, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati di porto senza licenza di armi da taglio (capi b e c dell’imputazione, aventi ad oggetto taglierini a scorrimento), dichiarandone la prescrizione, ed ha rideterminato la pena nei confronti di entrambi, quanto al reato di furto aggravato, avente ad oggetto cavi elettrici dell’illuminazione pubblica e, dunque, cose destinate a pubblico servizio cosi’ riqualificata, gia’ all’esito del giudizio di primo grado, l’imputazione di ricettazione inizialmente loro contestata al capo A – riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla citata aggravante.
La misura della sanzione finale inflitta si e’ cosi’ attestata in mesi tre, giorni dieci di reclusione ed Euro 100 di multa.
(OMISSIS), insieme ad altro complice, era stato arrestato in flagranza; (OMISSIS) era stato individuato come concorrente solo in un momento successivo.
2. Ha proposto ricorso l’imputato (OMISSIS), tramite il difensore, avv. (OMISSIS), deducendo due distinti motivi.
2.1. Con il primo si duole della violazione di legge riferita all’articolo 521 c.p.p. e articoli 648 e 624 c.p., articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, che sarebbe stata determinata dalla violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata inizialmente e sentenza; si censura, altresi’, vizio di motivazione avuto riguardo agli stessi aspetti di mutamento della qualificazione giuridica del fatto.
La tesi del ricorrente e’ che la Corte d’Appello abbia errato nell’avallare la riqualificazione dei fatti ascritti all’imputato, compiuta in primo grado, nel reato di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, a fronte dell’originaria contestazione di ricettazione.
Una simile operazione, giustificata sotto il profilo della corrispondenza tra accusa e sentenza e della mancata lesione del diritto di difesa con l’argomento che la diversa configurazione giuridica fosse stata richiesta dallo stesso imputato, e’ violativa dell’articolo 521 c.p.p., per come interpretato dalla giurisprudenza di legittimita’.
Inoltre, la difesa evidenzia anche l’illegittimita’ della ritenuta sussistenza dell’aggravante suddetta, nella specie selezionata dal provvedimento impugnato nell’aver perpetrato il furto su cosa destinata a pubblica utilita’, mai contestata formalmente, nonostante si tratti di circostanza a contenuto valutativo, secondo le indicazioni delle Sezioni Unite da ultimo stabilite con la pronuncia Sez. U, n. 24906 del 19/4/2019, Sorge, Rv. 275436. 2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione manifestamente illogica per non avere la Corte aderito quantomeno alla richiesta di riqualificazione della condotta nel reato di furto solo tentato, travisando la prova costituita dalle denunce dell’amministratore e del tecnico della societa’ concessionaria del servizio pubblico di illuminazione, dalla consistenza e provenienza dei cavi elettrici nonche’ la ricostruzione della condotta degli imputati come di impossessamento, laddove, invece, alcuna signoria autonoma sulle cose sottratte era stata raggiunta.
3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l’inammissibilita’ del ricorso.
Aggravante del furto su cosa destinata a pubblico servizio
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ parzialmente fondato, quanto al motivo riferito alla ritenuta sussistenza dell’aggravante prevista dall’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, mentre e’ inammissibile nel resto.
2. La riqualificazione del fatto da ricettazione in furto e’ stata legittimamente disposta dal Tribunale, che ha valutato tale possibilita’ coerente con gli obblighi del rispetto dei diritti di difesa dell’imputato, in un contesto processuale, peraltro, in cui essa stessa aveva concluso nel senso di detta riqualificazione.
Del resto, costituisce orientamento non controverso sostenere che, in caso di riqualificazione del fatto da furto in ricettazione o viceversa, non sussista violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza nel caso in cui nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza (Sez. 5, n. 36157 del 30/4/2019, Gugliotta, Rv. 277403).
Nel caso di specie, certa la contestualizzazione di fatto del reato riqualificato, l’assenza di qualsivoglia lesione delle prerogative difensive – che costituisce la finalita’ ultima dell’esigenza di garantire costantemente la correlazione tra accusa e sentenza – e’ resa icasticamente evidente dall’aver la difesa concluso proprio nel senso della riqualificazione poi statuita: e tale circostanza e’ stata evidenziata dalla motivazione della sentenza d’appello.
L’imputato, peraltro, ha avuto modo di contestare l’asserita violazione del principio generale suddetto in occasione sia del giudizio d’appello che di quello di cassazione; e cio’ consente di escludere qualsiasi compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce dei principi affermati dalla Corte EDU nella sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia (cfr. sul tema Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, Petittoni, Rv. 278093 in una fattispecie in cui questa Corte ha messo in risalto l’importanza della sollecitazione sulla diversa qualificazione giuridica che era gia’ emersa nel processo attraverso i motivi di impugnazione del pubblico ministero; analogamente, pertanto, e’ possibile argomentare nel caso in esame, in cui la sollecitazione proveniva dalla stessa difesa dell’imputato).
2.1. Deduce, invece, una censura fondata il ricorrente, quando evidenzia che non poteva essergli ascritta, e, conseguentemente, non poteva essere ritenuta, l’aggravante dell’aver perpetrato il furto su cosa destinata a pubblico servizio, prevista dall’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, mai contestata formalmente, cosi’ come invece richiesto necessariamente, per le circostanze aggravanti “a contenuto valutativo”, dalle Sezioni Unite, con la pronuncia Sez. U, n. 24906 del 19/4/2019, Sorge, Rv. 275436.
L’aggravante e’ stata ritenuta equivalente alle attenuanti generiche dalla sentenza di primo grado, poi confermata in appello; ed il provvedimento impugnato si esprime esplicitamente nel senso di ritenere l’aggravante configurabile poiche’ “contestata in fatto nella formulazione del capo d’accusa” (cosi’ pag. 3 della decisione di secondo grado).
Orbene, il massimo collegio di legittimita’, nella citata sentenza Sorge ed esprimendosi in tema di falso in atto pubblico, ha affermato che non puo’ ritenersi legittimamente contestata, si’ che non puo’ essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all’articolo 476 c.p., comma 2, qualora nel capo d’imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma.
Le Sezioni unite hanno escluso che la mera indicazione dell’atto, in relazione al quale la condotta di falso e’ contestata, sia sufficiente al fine di ritenere adeguatamente garantita la necessita’ che l’imputato conosca compiutamente dell’imputazione elevata nei suoi confronti, in quanto l’attribuzione ad esso della qualita’ di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione.
La sentenza Sorge ha, altresi’, chiarito che la necessaria contestazione formale di un aggravante a contenuto “valutativo” deriva dalla considerazione del diritto dell’imputato a vedersi correttamente contestato il fatto di reato e le sue circostanze – e non attiene alla questione della diversa qualificazione giuridica del fatto -, desumibile dal sistema processuale penale interno e dai principi dettati dalla stessa Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che, all’articolo 6, comma 3, lettera a), dispone che “ogni accusato ha diritto soprattutto ad essere informato, nel piu’ breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico”, da cui deriva la necessita’, perche’ l’esercizio dei diritti di difesa possa dirsi pienamente garantito, che la natura fidefacente dell’atto, oggetto del falso, sia adeguatamente e correttamente esplicitata nell’imputazione.
I principi dettati dalle Sezioni Unite devono essere calati nella fattispecie odierna, che vede la contestazione di un’aggravante si’ differente da quella prevista dall’articolo 476 c.p., comma 2, ma comunque omogenea nella natura “valutativa” che la caratterizza.
Invero, la considerazione circa l’essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio implica necessariamente l’esercizio di un’opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della res e, appunto, sulla sua specifica destinazione.
Inoltre, data la tipologia dei beni sottratti – cavi elettrici, con le loro guaine di copertura, rimossi da due tratti della pubblica illuminazione cittadina di Palermo – avrebbe potuto crearsi anche incertezza sulla tipologia di aggravante ipotizzabile come contestata “in fatto”, potendo eventualmente ritenersi anche l’esposizione alla pubblica fede, egualmente prevista dalla disposizione di cui al n. 7 dell’articolo 625, comma 1; equivoco che, infatti, si e’ verificato, come dimostra la sentenza impugnata che ha dovuto segnalare, in risposta allo specifico motivo formulato dal ricorrente, che non erano state ritenute sussistenti, e contestate in fatto, entrambe le aggravanti ma soltanto quella della destinazione delle cose a pubblico servizio.
Ulteriore fattore di complicazione e’ rappresentato dalla compresenza, all’interno della disposizione normativa di cui all’articolo 625, di due diverse ipotesi di aggravanti, quelle previste dal n. 7 e dal n. 7-bis, che gia’ questa Corte regolatrice ha ritenuto legate da rapporto di specialita’, entrambe, in astratto, ipotizzabili in un’ipotesi come quella di specie, verificate e valutate le condizioni di configurabilita’ richieste (sul tema dell’aggravante di cui all’articolo 625, n. 7-bis cfr. Sez. 5, n. 40027 del 18/6/2019, Menestrina, Rv. 277602).
Di recente e’ stato chiarito, infatti, che la disposizione di cui all’articolo 625, n. 7, configura plurime fattispecie, che, per consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, possono concorrere tra loro, essendo in grado di integrare autonomamente l’aggravante configurata (ex multis Sez. 4, n. 16894 del 22/01/2004, P.M. in proc. Tassone ed altro, Rv. 228570) e che, tra le diverse ipotesi contemplate dalla norma, vi sono sia quella dell’esposizione della cosa alla pubblica fede, che quella della sua destinazione a pubblico servizio o a pubblica utilita’.
Ebbene, il n. 7-bis dello stesso articolo non prevede che le specifiche componenti o i materiali ivi descritti siano esposti alla pubblica fede, ma solo che gli stessi vantino un preciso vincolo di destinazione all’erogazione di un servizio pubblico.
Si e’, pertanto, ritenuto che, in caso di sottrazione delle cose descritte nel n. 7-bis, qualora le stesse siano state esposte alla pubblica fede ed al contempo destinate all’erogazione di un servizio pubblico (nel senso che fanno parte di un’infrastruttura effettivamente destinata a tale funzione), e’ configurabile, sotto il primo profilo, l’aggravante di cui al n. 7 e, sotto il secondo, quella di cui alla successiva disposizione, che risulta speciale con riguardo all’autonoma ipotesi caratterizzata dal vincolo di destinazione pure prevista dal citato n. 7 in ragione della peculiarita’ dell’oggetto materiale del reato (cfr. Sez. 5, n. 8002 del 13/1/2021, Livera, Rv. 280744), sicche’ non puo’ concorrere con essa (a differenza di quella prevista dal n. 7).
Dunque, la contestazione specifica, nel caso di specie, emerge come ancor piu’ necessaria per individuare quale contenuto di fatto e valutativo intendesse ritenere l’imputazione come fattore di aggravamento del disvalore penale di cui e’ rappresentativo il reato, alla luce della prova in atti.
Risulta evidente, pertanto, come, in concreto, siano risultate fortemente affievolite le garanzie per l’esercizio dei diritti di difesa che fondano la necessita’ di un’adeguata e corretta esplicitazione nell’imputazione di qualsiasi aggravante che comporti una valutazione da parte dell’autorita’ giudiziaria.
Ne’ puo’ ricorrersi, nel caso di specie, alla variabile del consenso prestato dall’imputato alla riqualificazione, poiche’ la richiesta della difesa, avanzata in tal senso in primo grado, era diretta alla rimodulazione giuridica della condotta nella fattispecie di furto semplice e non gia’ di furto aggravato nei termini anzidetti.
In conclusione, deve affermarsi che, in tema di furto, non puo’ ritenersi legittimamente contestata, si’ che non puo’ essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, configurata dall’essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio, qualora nel capo d’imputazione non sia esposta esplicitamente tale natura dei beni sottratti o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma, poiche’ detta aggravante implica necessariamente l’esercizio di un’opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sui caratteri della res e, appunto, sulla sua specifica destinazione.
2.2. Generico e manifestamente infondato e’, infine, il secondo motivo di ricorso, dedicato ad ipotizzare la fattispecie tentata piuttosto che consumata a carico del ricorrente.
La tesi difensiva sembra essere, data la poca chiarezza espositiva del motivo, che i cavi elettrici dei quali e’ stato trovato in possesso l’imputato non fossero gli stessi sottratti dall’illuminazione pubblica.
La censura, dedotta con non brillante coerenza argomentativa, in realta’ non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che ha chiarito l’infondatezza in fatto delle ragioni del ricorrente: i cavi elettrici sottratti non provenivano da impianti presenti nel luogo in cui i concorrenti nel reato sono stati sorpresi dalla polizia – un arengo condominiale in via (OMISSIS) -, bensi’ da impianti di due diversi tratti di strade pubbliche comunali, sicche’ e’ evidente che, al momento del fermo, essi avevano conseguito piena signoria sulle cose sottratte, di talche’ non e’ possibile ragionare in termini di tentativo ma di delitto consumato (cfr. Sez. U, n. 52117 del 17/7/2014, Prevete, Rv. 261186; Sez. 5, n. 48880 del 17/9/2018, S., Rv. 274016).
3. All’esito dell’analisi sin qui condotta, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla parte in cui ha ritenuto sussistente l’aggravante prevista dall’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, la cui quota sanzionatoria deve essere eliminata.
Si puo’ procedere direttamente, ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera I), alla rideterminazione della pena, riducendo di un terzo la sanzione base per effetto delle generiche (che erano state riconosciute equivalenti all’aggravante eliminata) e di un ulteriore terzo, in adesione al rito (la pena base in primo grado era stata indicata in mesi 5 di reclusione ed Euro 150 di multa).
Di conseguenza, la pena finale deve essere rimodulata in mesi due e giorni sette di reclusione, nonche’ Euro 67 di multa.
Il ricorso deve essere, infine, dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Esclusa la ritenuta aggravante di cui all’articolo 625 c.p., n. 7, annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in mesi due e giorni sette di reclusione ed Euro 67 di multa.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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