Accettazione della carica di amministratore non puo’ costituire essa sola fonte di responsabilita’

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 6 marzo 2019, n. 9856.

La massima estrapolata:

L’accettazione della carica di amministratore, in ambito societario, non puo’ costituire, essa sola, fonte di responsabilita’, ben potendo presentarsi situazioni in cui l’amministratore di diritto resti estraneo alle condotte fraudolente poste in essere dall’amministratore di fatto. Perche’ possa affermarsi una sua responsabilita’ per concorso, ex articolo 40 c.p., occorre – come e’ gia’ stato rilevato – quantomeno la generica consapevolezza, in capo all’amministratore di diritto, che altri (in genere, l’amministratore di fatto) pongano in essere le condotte descritte dalla norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale.
Per l’affermazione della responsabilita’ dell’amministratore di diritto si pone comunque la necessita’, quindi, di accertare in che modo egli si sia posto, dal punto di vista soggettivo, rispetto al fatto delittuoso, al fine di verificare se vi abbia aderito, anche solo implicitamente. A tal fine assumono rilievo, a titolo esemplificativo, il suo coinvolgimento nelle vicende societarie e nella gestione delle attivita’ sociali, i suoi rapporti con l’amministratore di fatto e con i soci, la conoscenza che egli abbia avuto – o abbia scientemente evitato di avere – dei fatti sociali e, non ultime, le ragioni per cui abbia assunto la carica di amministratore, nonche’ le utilita’ che ne abbia eventualmente percepite o gli siano state promesse, siccome potenzialmente indicativi, ognuno di essi, anche solo singolarmente, della partecipazione psicologica ai fatti illeciti di gestione.
Dal punto di vista pratico, poi, non puo’ farsi a meno di distinguere tra la condizione di chi, dietro compenso, si presti a fare da parafulmine rispetto a gestori di fatto del tutto estranei (la cd. testa di legno) e chi, per motivi affettivi o morali, si presti ad assumere la carica di amministratore al fine di consentire lo svolgimento di un’attivita’ imprenditoriale a soggetti che, altrimenti, ne sarebbero impediti. Quanto al primo, e’ senz’altro condivisibile l’affermazione, contenuta in numerose pronunce di questa Corte, che, allorche’ si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilita’ penale. Quanto al secondo, un’indagine specifica sull’atteggiamento psicologico dell’amministratore di diritto serve ad evitare automatismi sanzionatori contrastanti, per quanto si e’ detto, col principio della responsabilita’ penale personale.

Sentenza 6 marzo 2019, n. 9856

Data udienza 8 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. MORELLI Francesca – Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – rel. Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/09/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SALZANO Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Imperia, che aveva condannato (OMISSIS) per la bancarotta fraudolenta documentale e semplice della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS), ed ha, su appello del Pubblico Ministero, condannato anche (OMISSIS) per bancarotta fraudolenta documentale.
Secondo quanto si legge in sentenza le due imputate – (OMISSIS) come amministratrice di diritto e (OMISSIS) come amministratrice di fatto tennero le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; (OMISSIS), inoltre, aggravo’ il dissesto societario omettendo di richiedere il fallimento della societa’, nonostante questa fosse rimasta inattiva “per un certo tempo”.
2. Contro la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, entrambe le imputate, muovendo le censure di seguito esposte.
2.1. (OMISSIS) si duole della motivazione posta a base del giudizio di responsabilita’, per non essere stata dimostrata la concretezza del pericolo di dispersione delle garanzie patrimoniali e il nesso causale con il dissesto.
2.2. (OMISSIS) lamenta un vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita’ per il reato a lei addebitato, derivante dal fatto che la Corte d’appello ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado senza fornire una motivazione rafforzata, che consentisse di superare gli argomenti posti a base del proscioglimento (il Tribunale aveva ritenuto che (OMISSIS), mera “testa di legno”, fosse del tutto ignara dei reati commessi dall’amministratrice di fatto). Con lo stesso motivo lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di “indicare gli elementi in forza dei quali sarebbe insorta in concreto, nella mente dell’odierna imputata, la rappresentazione del rischio di illecito e della conseguente asserita accettazione”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

l ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile per manifesta infondatezza, mentre va accolto quello di (OMISSIS).
1. (OMISSIS) non ha mai contestato di essere stata l’amministratrice effettiva della societa’. Logicamente, pertanto, le sono stati attribuiti entrambi i reati per cui e’ processo, dal momento che la societa’ non ha tenuto le scritture contabili nei cinque anni di operativita’ ed ha aggravato il proprio dissesto omettendo di richiedere il proprio fallimento, nonostante fosse rimasta priva, negli ultimi anni, di qualsiasi bene con cui soddisfare i creditori. Tale condotta rientra – obbiettivamente – nel paradigma della bancarotta documentale, atteso che ha reso impossibile al curatore la ricostruzione dell’andamento economico della societa’, mentre l’inerzia serbata per anni ha inevitabilmente aggravato il dissesto societario, se non altro per il lievitare degli interessi passivi. Del tutto eccentriche rispetto al tipo di contestazione e alla ratio decidendi sono le doglianze difensive, dal momento che ne’ la bancarotta fraudolenta patrimoniale ne’ la bancarotta semplice, di cui alla L. Fall., articolo 217, richiedono “il dolo specifico volto a recare pregiudizio ai creditori”, ne’ occorre, per la punibilita’ dei detti reati, che siano in rapporto causale col dissesto o col fallimento, bastando la consapevolezza di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ovvero, per la bancarotta semplice, la consapevolezza di aggravare il dissesto societario: circostanze di cui la sentenza impugnata ha dato adeguatamente conto, senza ricevere smentita dalle deduzioni difensive.
2. Discorso diverso e’ da fare per (OMISSIS). Secondo l’orientamento che appare preferibile, perche’ conforme al canore costituzionale della responsabilita’ personale, l’accettazione della carica di amministratore, in ambito societario, non puo’ costituire, essa sola, fonte di responsabilita’, ben potendo presentarsi situazioni in cui l’amministratore di diritto resti estraneo alle condotte fraudolente poste in essere dall’amministratore di fatto. Perche’ possa affermarsi una sua responsabilita’ per concorso, ex articolo 40 c.p., occorre – come e’ gia’ stato rilevato – quantomeno la generica consapevolezza, in capo all’amministratore di diritto, che altri (in genere, l’amministratore di fatto) pongano in essere le condotte descritte dalla norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale (Cassazione penale, sez. V, 24/03/2011, n. 17670).
Per l’affermazione della responsabilita’ dell’amministratore di diritto si pone comunque la necessita’, quindi, di accertare in che modo egli si sia posto, dal punto di vista soggettivo, rispetto al fatto delittuoso, al fine di verificare se vi abbia aderito, anche solo implicitamente. A tal fine assumono rilievo, a titolo esemplificativo, il suo coinvolgimento nelle vicende societarie e nella gestione delle attivita’ sociali, i suoi rapporti con l’amministratore di fatto e con i soci, la conoscenza che egli abbia avuto – o abbia scientemente evitato di avere – dei fatti sociali e, non ultime, le ragioni per cui abbia assunto la carica di amministratore, nonche’ le utilita’ che ne abbia eventualmente percepite o gli siano state promesse, siccome potenzialmente indicativi, ognuno di essi, anche solo singolarmente, della partecipazione psicologica ai fatti illeciti di gestione.
Dal punto di vista pratico, poi, non puo’ farsi a meno di distinguere tra la condizione di chi, dietro compenso, si presti a fare da parafulmine rispetto a gestori di fatto del tutto estranei (la cd. testa di legno) e chi, per motivi affettivi o morali, si presti ad assumere la carica di amministratore al fine di consentire lo svolgimento di un’attivita’ imprenditoriale a soggetti che, altrimenti, ne sarebbero impediti. Quanto al primo, e’ senz’altro condivisibile l’affermazione, contenuta in numerose pronunce di questa Corte, che, allorche’ si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilita’ penale (Cass., n. 7332 del 17/1/2015; sez. 5, n. 44826 del 28/5/2014; sez. 5, n. 11938 del 9/2/2010). Quanto al secondo, un’indagine specifica sull’atteggiamento psicologico dell’amministratore di diritto serve ad evitare automatismi sanzionatori contrastanti, per quanto si e’ detto, col principio della responsabilita’ penale personale.
Non risulta che la sentenza impugnata si sia attenuta, per (OMISSIS), sorella dell’amministratrice di fatto, a questo criterio di giudizio, sicche’ la sentenza va parzialmente annullata con rinvio per nuovo esame al giudice del merito. L’inammissibilita’ del ricorso di (OMISSIS) comporta, invece, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, che, in ragione dei motivi di ricorso, si reputa equo quantificare in Euro 2.000.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 a favore della Cassa delle ammende.

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