Abusi edilizi la responsabilità del committente e del nudo proprietario

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 17 ottobre 2018, n. 47103.

La massima estrapolata:

La responsabilita’ per la realizzazione di opere abusive e’ configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la disponibilita’ dell’immobile ed un concreto interesse all’esecuzione dei lavori, se egli non allega circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volonta’.

La responsabilita’ del committente per l’abuso edilizio puo’ essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria la cui valutazione si sottrae al sindacato di legittimita’, in quanto comporta un giudizio di merito non contrastante ne’ con la disciplina in tema di valutazione della prova ne’ con le massime di esperienza

Sentenza 17 ottobre 2018, n. 47103

Data udienza 19 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/11/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANTONELLA CIRIELLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SIMONE PERELLI che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito il difensore avv. (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 16 Novembre 2017 la Corte d’Appello di Milano, a seguito di giudizio abbreviato, ha confermato la condanna-inflitta in primo grado dal Tribunale a (OMISSIS) e (OMISSIS), alla pena di mesi due di arresto ed Euro 4.000 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, per avere realizzato in concorso tra loro, in qualita’ di proprietari dell’unita’ immobiliare sita in (OMISSIS) e committenti di lavori, la costruzione di una struttura di ferro a totale copertura del terrazzo, in assenza di idoneo titolo abilitativo (articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b).
2. Avverso la sentenza gli imputati, tramite unico difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, chiedendo l’annullamento della decisione.
2.1 Con il primo motivo di ricorso essi deducono i vizi di motivazione e di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nell’affermazione della loro responsabilita’ per i reati in imputazione.
Essi, infatti, non erano i pieni proprietari dell’immobile in quanto lo stesso era stato concesso in usufrutto ad altro soggetto non legato agli imputati da alcun rapporto di parentela, e in assenza di prova che gli imputati avessero realizzato ed incaricato l’impresa dei lavori oggetto di imputazione. Avrebbe, inoltre, errato il giudice di merito nel ritenere che l’usufruttuario, 86enne al momento dei lavori, non potesse essere, per cio’ solo, responsabile degli stessi.
Avrebbe errato altresi’ la corte di Appello a fondare la condanna sulla circostanza della convivenza tra usufruttuario e imputati, che, invece, pur abitando nel medesimo edificio, in concreto occupavano diversi appartamenti.
Avrebbe errato, ancora, il giudice di merito nel non considerare che la presenza del ricorrente (OMISSIS) nell’appartamento al momento dell’accesso della Polizia Locale, come nella prospettazione difensiva, fosse spiegabile in ragione della necessita’ di spiegare agli operanti che la nuova copertura era stata realizzata per motivi di sicurezza, essendo la precedente danneggiata da un forte evento atmosferico.
Si dolgono, altresi’, i ricorrenti, che la sentenza impugnata abbia affermato il loro concorso morale senza la prova di alcun interesse al compimento della violazione e senza che gli stessi abbiano avuto alcun ruolo nel commissionare i lavori, oltre che in assenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento.
Avrebbe altresi’ errato la Corte di appello nel valutare come ammissione di colpevolezza, la mancata contestazione da parte degli imputati di non essere loro gli esecutori dell’opera al momento dell’ingiunzione di abbattimento, tra l’altro inviata al solo imputato (OMISSIS), e la circostanza che gli stessi avessero tentato di sondare la possibilita’ di una sanatoria della tettoia, giacche’ tali comportamenti erano riconducibile al fatto che medio tempore essi erano divenuti pieni proprietari dell’opera, pur se non riconducibile alla loro condotta, a seguito del consolidarsi della piena proprieta’ per la morte dell’usufruttuario, e avevano posto in essere tali condotte ritenendo di doversi fare carico della sanatoria dell’opera anche se imputabile alla condotta altrui.
Erroneamente la sentenza impugnata avrebbe indicato come data di morte dell’usufruttario il (OMISSIS) e non il (OMISSIS) e avrebbe valorizzato la mancata impugnazione dei provvedimenti amministrativi di abuso davanti al TAR, senza considerare che la mancata impugnazione degli abusi derivava, nella prospettiva difensiva, dal fatto che gli imputati volevano solamente evitare le spese del giudizio, a fronte di una sanzione pecuniaria amministrativa di Euro 258,00.
Avrebbe, infine, errato la Corte territoriale nel ritenere che l’ordine di rimozione delle opere provasse la loro responsabilita’, in quanto l’ordine veniva impartito quando l’usufruttuario era gia’ deceduto, per eliminare le conseguenze dell’abuso da loro non perpetrato.
2.2 Con il secondo motivo di ricorso si censura l’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione relativamente alla mancata applicazione dell’articolo 131 bis c.p. relativo alla particolare tenuita’ del fatto, escluso in ragione di presunzioni lacunose e contraddittorie, carenti di prova.
L’affermazione del giudice di Appello non avrebbe tenuto infatti conto delle modalita’ della condotta, dell’esiguita’ del danno o del pericolo e della non abitualita’ del comportamento. Riguardo alla mancanza del titolo abilitativo, posto a base della valutazione di gravita’ del fatto, rileva la difesa che lo stesso, gia’ considerato quale elemento costitutivo dell’illecito, non potrebbe essere utilizzato al tempo stesso quale circostanza per fondare il giudizio di gravita’. Erroneamente quindi il giudice avrebbe escluso il riconoscimento della tenuita’ del fatto in ragione della natura stessa del titolo del reato, non compiendo la doverosa analisi di tutte le circostanze del caso concreto e del comportamento degli imputati.
Anche riguardo all’elemento soggettivo del dolo, la circostanza, affermata in motivazione, secondo cui l’oggetto dell’abuso fosse di una certa consistenza e di carattere duraturo nel tempo, sarebbe contraddetta da statuizioni della stessa sentenza di primo grado, che avrebbe riconosciuto le dimensioni ridotte dell’opera; del pari la motivazione sarebbe in contrasto con quanto affermato dal Tribunale che, nel riconoscere come l’opera costituisse ampliamento e aggravamento di un abuso preesistente, aveva rilevato che la precedente struttura risaliva agli anni 60 (tenuto conto del fatto che, dagli atti di indagine, allegati nel ricorso, emergeva come il precedente abuso fosse gia’ presente dagli anni 90 e che la vicina di casa denunciante avesse pacificamente ammesso come un’opera analoga a quella oggetto dell’imputazione era corredo di tutti i terrazzi del condominio, compreso il suo, dal momento della costruzione dell’edificio). Avrebbe errato la corte nel non considerare, per negare la diminuente, la scarsa offensivita’ della condotta riguardo l’assetto urbanistico e il regolare assetto del territorio, poiche’ pacificamente nello stabile erano gia’ stati rilevati “piu’ condoni per la formazione di veranda”, di portata non meno invasive e lesive rispetto all’opera oggetto di imputazione. La circostanza, fondante l’esclusione della causa di non punibilita’, che l’opera impedisse l’afflusso di luce solare all’appartamento vicino,risulterebbe, del resto, non provata in assenza di perizia o altro accertamento.
Ancora illogicamente non avrebbe considerato la corte il dato della intervenuta riduzione in pristino da parte degli imputati dello stato dei luoghi ad opera degli imputati, ai fini della concessione dell’articolo 131 bis c.p., in contrasto con la Giurisprudenza di questa Corte, semplicemente perche’ avvenuta in ottemperanza di un provvedimento dell’autorita’ amministrativa e non spontaneamente.
La sentenza sarebbe, infine, contraddittoria) nella parte in cui ha riconosciuto agli imputati “l’occasionalita’ del fatto” posto a fondamento della sospensione condizionale della pena, mentre invece ha negato “la non l’abitualita’” del comportamento, non tenendo conto sia del fatto che gli imputati risultano incensurati, senza ulteriori carichi pendenti, sia del fatto che l’intervento sulla struttura sarebbe avvenuto per soli motivi di sicurezza, al fine di stabilizzare la precedente in stato precario ed instabile.
2.3 Il difensore degli imputati ha quindi depositato ulteriore memoria integrativa dei motivi di ricorso gia’ formulati, insistendo per il loro accoglimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono inammissibili.
3.1. Preliminarmente va ricordato che nel caso di specie ricorre una “doppia conforme” affermazione di responsabilita’ e che, in tale caso, secondo la pacifica giurisprudenza di questa corte, la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi e’ difformita’ sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando, una sola entita’ logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruita’ della motivazione, integrando e completando con le argomentazioni del primo giudice le eventuali carenze della motivazione di appello (Sez. 1, 22/11/1993-4/2/1994, n. 1309, Albergamo, riv. 197250; Sez. 3, 14/2- 23/4/1994, n. 4700, Scauri, riv. 197497; Sez. 2, 2/3- 4/5/1994, n. 5112, Palazzotto, riv. 198487; Sez. 2, 13/115/12/1997, n. 11220, Ambrosino, riv. 209145; Sez. 6, 20/113/3/2003, n. 224079).
4. Cio’ premesso, il primo motivo di ricorso e’ inammissibile, in quanto manifestamente infondato, sotto entrambi i profili denunciati della violazione di legge e del vizio di motivazione.
4.1. In tema di reati edilizi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la responsabilita’ per la realizzazione di opere abusive e’ configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la disponibilita’ dell’immobile ed un concreto interesse all’esecuzione dei lavori, se egli non allega circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volonta’. (Cass. Sez. 3, Sent. n. 39400 del 21/03/2013 Ud. (dep 24/09/2013) Rv. 257676).
4.2. Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, l’atto di appello degli imputati verteva esclusivamente sulla riconducibilita’ dell’abuso in capo agli imputati, non contestando nel merito l’abuso edilizio, cosi’ come rilevato nell’unita’ abitativa del quale gli imputati erano prima nudi proprietari e, successivamente, a seguito della morte dell’usufruttario, titolari del diritto pieno e completo.
Dalla mera lettura della sentenza impugnata emerge come l’imputato (OMISSIS), formalmente nudo proprietario dell’unita’ immobiliare insieme al coniuge coimputato, avesse dichiarato al momento del sopralluogo che l’opera era stata realizzata in sostituzione di precedente opera abusiva, che, a seguito degli accertamenti effettuati, risultava di dimensioni maggiori a quella preesistente. Inoltre, sempre al momento del sopralluogo, gli operanti di PG provvedevano ad identificare i presenti, risultando presenti in loco entrambi i coimputati di cui al procedimento; la sentenza ha correttamente posto in rilievo, dunque, che gli imputati non avevano mai contestato, ne’ in sede di sopralluogo, ne’ successivamente in sede di sanatoria, di essere gli esecutori dell’opera di cui all’imputazione, emergendo, inoltre, come da verbale di sommarie informazioni del 22.01.2016 richiamato in sentenza, che il legale rappresentante della societa’ esecutrice di vari lavori all’interno dell’immobile,avesse ricevuto l’incarico di smontaggio della tettoia da parte degli stessi coniugi imputati, non emergendo alcun incarico conferito dall’usufruttuario.
4.3. Dalla lettura del ricorso per cassazione e degli atti allegati dal ricorrente, in particolare dal verbale di sommarie informazioni datato 16.12.2015 (all. C), emerge,inoltre)che la vicina di casa denunciante aveva rilevato l’esecuzione dell’opera abusiva tra il mese di Giugno e l’inizio del mese di Luglio 2013, essendo impossibilitata a datare precisamente l’abuso in quanto eseguito mentre la stessa era assente dalla residenza per trascorrere alcuni giorni di vacanze; mentre dal verbale di sommarie informazioni datato 04.12.2015 (all. H), l’amministratrice del condominio rileva come la copertura del terrazzo fosse stata oggetto di richiesta da parte della sig. (OMISSIS), imputata nel procedimento, inserita nell’ordine del giorno dell’assemblea ordinaria del 07.05.2015, nonostante, come sempre rilevato nel verbale, l’amministratrice rilevava che il fatto di abuso preesisteva gia’ da parecchi anni, essendo stato, come si legge in sentenza e come pacificamente ammesso dagli imputati, costruito su di una precedente tettoia gia’ abusiva.
5.- Alla luce di tali atti deve escludersi la sussistenza dei denunciati vizi di contraddittorieta’ o di illogicita’ manifesta della motivazione e di violazione di legge, avendo la Corte territoriale fatto buon governo dei principi sopra esposti. Sono stati, infatti, individuati a carico di entrambi gli imputati il requisito della disponibilita’ dell’immobile, da tenersi distinto dalla convivenza con l’usufruttuario o dalla piena titolarita’ del bene, in quanto gli stessi erano entrambi presenti al momento del sopralluogo nel corso del quale precisavano fatti e circostanze riguardanti l’istallazione della nuova tettoia, manifestando quindi) inequivocabilmente di essere al corrente di tutti i particolari che riguardavano la costruzione della copertura.
5.1.- La Corte, inoltre, ha individuato anche il necessario interesse sotteso all’abuso, in quanto gli stessi sono stati i committenti dell’opera, come emerge dalle dichiarazioni dell’impresa incaricata, e richiedenti l’autorizzazione all’assemblea condominiale e la sanatoria in sede amministrativa, dopo aver ricevuto l’ordine di demolizione (evidenziandosi altresi’ che l’usufruttuario era il marito della madre dell’imputata (OMISSIS), all’epoca 86enne al momento dei fatti).
Ne’ i ricorrenti allegano circostanze utili a dimostrare che le opere sono state eseguite a loro insaputa e contro la loro volonta’, limitandosi a contestare genericamente, senza confronto con le statuizioni della sentenza, la titolarita’ dell’opera, neppure risultando rilevante la doglianza relativa all’errore sulla data di morte dell’usufruttario, solo genericamente articolata, in quanto non specificata la sua influenza in relazione alle valutazioni, frutto del ragionamento del giudice di merito, per fondare la responsabilita’ dei ricorrenti sul potere di fatto sul bene.
5.2- Giova ricordare che in tema di reati edilizi, la responsabilita’ del committente per l’abuso edilizio puo’ essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria la cui valutazione si sottrae al sindacato di legittimita’, in quanto comporta un giudizio di merito non contrastante ne’ con la disciplina in tema di valutazione della prova ne’ con le massime di esperienza. (Cass. Sez. 3, Sent. n. 15926 del 24/02/2009 Ud. (dep. 16/04/2009) Rv. 243467), Da cio’ discende dunque la inammissibilita’, nel resto, delle censure inerenti il primo motivo di ricorso, in quanto tendenti, attraverso una denuncia di vizi di legittimita’ manifestamente infondata ad introdurre in questa sede un nuovo ed inammissibile giudizio di fatto relativo alla valutazione della prova, compiuto nella sentenza impugnata con logica e coerente valutazione di massime di esperienza, che, come tale, e’ precluso in sede di legittimita’.
6.- Il secondo motivo di ricorso e’ del pari inammissibile, in quanto non sono rintracciabili nella motivazione della sentenza i denunciati vizi di violazione di legge o di motivazione riguardo al rigetto dell’istanza di applicazione del 131 bis c.p., avendo la corte diffusamente motivato riguardo l’inapplicabilita’ dell’istituto in ragione) evidenziando come l’opera, nonostante le dimensioni ridotte, fosse realizzata in totale assenza del titolo abilitativo, innestata su opere gia’ abusive, con aggravamento dell’offesa per l’assetto urbanistico, e che la demolizione non sia stata spontanea ma in esecuzione della diffida comunale, e argomentando, in definitiva sulla intensita’ del dolo e gravita’ del fatto per escludere la tenuita’ presa in considerazione dalla norma.
Per tal via la motivazione appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito, riguardo l’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, che la consistenza dell’intervento abusivo – data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilita’ di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di piu’ disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformita’ dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalita’ di esecuzione dell’intervento. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19111 del 10/03/2016 Ud. (dep. 09/05/2016) Rv. 266586).
6.1. Risultano peraltro inammissibili le restanti censure, o irrilevanti (come la lamentata contraddizione tra la sentenza di primo grado laddove afferma che l’opera abusiva aveva dimensioni ridotte e quella Appello che ne afferma una invece considerevole consistenza, atteso che anche la sentenza di appello condivide la notazione sulle dimensioni (cfr. pag. 9) pur considerando il fatto grave) e, comunque tutte coinvolgendo apprezzamenti di fatto che sono riservati al giudizio di merito (e avendo correttamente tenuto conto il giudice di merito della demolizione quale elemento per determinare il trattamento sanzionatorio e le attenuanti generiche). 7. I ricorsi, in definitiva, devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, conseguendo all’inammissibilita’ il versamento della somma che si liquida in via equitativa in Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Avv. Renato D’Isa