Il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato “secco”

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 30 aprile 2020, n. 13368.

Massima estrapolata:

È preclusa all’imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato “secco”, la possibilità di contestazione successiva della legittimità del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria è equiparata al mancato rinnovo “in limine litis”, ai sensi dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen., della richiesta di accesso al rito subordinata all’assunzione di prove integrative.

Sentenza 30 aprile 2020, n. 13368

Data udienza 27 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Truffa – Art. 640 cp – Giudizio abbreviato – Richiesta di abbreviato condizionato – Rigetto – Richiesta di abbreviato “secco” – Contestazione successiva del rigetto – Esclusione – Ragioni – Pena – Computo – Graduazione degli aumenti e delle diminuzioni previsti per le circostanze – Discrezionalità del giudice di merito – Criteri – Sindacato di legittimità – Limiti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere

Dott. FILIPPINI Stefa – rel. Consigliere

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/11/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FILIPPINI STEFANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa ZACCO FRANCA, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN FATTO

1. Con sentenza in data 27/09/2017 il GIP del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA, all’esito di giudizio abbreviato c.d. “secco” (comunque richiesto dall’imputato dopo che era stata rigettata, perche’ incompatibile con le esigenze di celerita’ del rito, una precedente richiesta di giudizio abbreviato condizionato all’effettuazione di perizia), dichiarava (OMISSIS) responsabile del reato di cui all’articolo 640 c.p. per aver indotto in errore la Commissione medica della ASL e l’INPS simulando un inesistente stato di cecita’ assoluta con necessita’ di accompagnamento, lucrando oltre 90 mila Euro di trattamenti previdenziali indebiti.
1.1. La CORTE di APPELLO di NAPOLI, con sentenza in data 16/11/2018, respingeva i motivi di gravame volti ad ottenere l’ammissione della perizia medica ex articolo 438 c.p.p., comma 5 e comunque l’assoluzione dell’imputato, confermando la condanna pronunciata dal primo giudice.
2. Vengono proposti due separati ricorsi per cassazione nell’interesse dell’imputato, tramite distinti difensori, deducendo i seguenti motivi:
2.1. Con il ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS) si lamenta, al primo motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta responsabilita’, per non essere stata ammessa e comunque disposta, da parte della Corte d’appello investita di specifico motivo di gravame, la perizia d’ufficio idonea ad accertare le effettive capacita’ visive dell’imputato; con il secondo motivo si lamenta la sproporzione del trattamento sanzionatorio, prossimo al massimo edittale.
2.2. Con il ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS) si lamenta, al primo motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla mancata ammissione officiosa, da parte della Corte territoriale, di una perizia volta a individuare le reali capacita’ visive dell’imputato, che ai sensi della L. n. 138 del 2001, articolo 2 puo’ essere considerato come cieco totale anche in presenza di un residuo visivo binoculare inferiore al 3% oppure limitato alla visione delle luci e delle ombre. Con il secondo motivo si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, non precluse dall’affermazione di gravita’ del fatto.

RITENUTO IN DIRITTO

I ricorsi sono inammissibili e possono essere trattati congiuntamente in relazione ai motivi comuni.
1. Non consentito e’ il motivo di impugnazione afferente alla mancata ammissione, da parte della Corte territoriale, della perizia medica; invero, secondo condivisa giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Sez. 1, n. 37244 del 13/11/2013, Rv. 260532) e’ preclusa all’imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato “secco”, la possibilita’ di contestazione successiva della legittimita’ del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria e’ equiparata al mancato rinnovo “in limine litis”, ai sensi dell’articolo 438 c.p.p., comma 6, della richiesta di accesso al rito subordinata all’assunzione di prove integrative (massime precedenti conformi: n. 27183 del 2009 Rv. 248477).
1.1. Manifestamente infondato e’ l’argomento che censura la mancata attivazione, da parte della Corte territoriale, dei poteri istruttori officiosi, integrativi di risultanze istruttorie asseritamente contraddittorie; invero il motivo non considera che la Corte d’appello ha adeguatamente motivato le ragioni del proprio convincimento in ordine alla superfluita’ della perizia, affermando che, al di la’ delle risultanze mediche gia’ versate in atti (tra le quali si annoverano sia quelle elaborate su richiesta di parte, sia quelle provenienti da accertamenti promossi dai Tribunali di Sorveglianza di Salerno e Sulmona), effettivamente convergenti nell’affermare la presenza di una importante patologia della vista (coroide serpiginosa evoluta bilaterale), gli accertamenti operati dalla Polizia Giudiziaria avevano invece consentito di accertare, con adeguata certezza, che, durante lo svolgimento dello specifico servizio di osservazione effettuato in data 2.9.2016, l’imputato disponesse di sufficiente visus residuo tale da consentirgli di svolgere una vita sostanzialmente normale (si muoveva autonomamente, guardava immagini televisive, riconosceva persone, leggeva etichette di bottiglie e schermi di telefoni cellulari,….); evidenze in fatto evidentemente incompatibili con l’incapacita’ di compiere gli atti elementari dell’esistenza e dunque con il riconoscimento, sin dal 16.3.2010, della condizione di cieco assoluto con necessita’ di accompagnamento.
E, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le altre: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
1.2. Ne’ coglie nel segno il motivo che invoca l’applicazione della L. n. 138 del 2001, articolo 2, in forza del quale puo’ essere considerato come cieco totale anche il soggetto a cui residua la mera percezione di luce e ombra oppure un visus perimetrico binoculare inferiore al 3%; invero, le richiamate risultanze del servizio di osservazione svolto dalla PG, valorizzate dal primo giudice che ha provveduto alla visione diretta dei filmati e richiamate dalla Corte territoriale, hanno decisamente evidenziato come il (OMISSIS), all’interno di una sala giochi si muovesse con disinvoltura e svolgesse le stesse attivita’ degli altri avventori, dimostrando di possedere un visus residuo ben superiore alla mera percezione delle luci e delle ombre o di sfuocate visioni perimetrali.
Invero, dal tenore della motivazione della sentenza impugnata emergono con evidenza i plurimi elementi attestanti la presenza – in capo all’imputato – di adeguata capacita’ di orientamento nello spazio e di distinzione di oggetti e persone; conseguentemente, adeguata e non illogica appare la motivazione relativa al giudizio di superfluita’ della perizia.
2. Quanto al motivo relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la decisione e’ giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita’, che, pertanto, e’ insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244). Nella fattispecie, a fondamento della statuizione contestata, la Corte di appello ha incensurabilmente valorizzato i precedenti penali dell’imputato, gravi e specifici, la durata pluriannuale della truffa e dunque la spiccata capacita’ criminale, oltre all’assenza di elementi sintomatici della. necessaria meritevolezza (che lo stesso ricorso neppure indica).
3. Quanto al motivo sulla pena, la graduazione della stessa, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), cio’ che – nel caso di specie – non ricorre, trattandosi di pena determinata partendo da una base contenuta e aumentata per effetto della recidiva reiterata e specifica.
4. Alla inammissibilita’ dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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