La divisio inter liberos regolata dall’art. 734 c.c.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10761.

La massima estrapolata:

La divisio inter liberos regolata dall’art. 734 c.c., ricorre ove il testatore intenda effettuare direttamente la divisione, totale o parziale, del suo patrimonio tra gli eredi attraverso la formazione delle quote e l’individuazione dei beni destinati a far parte di ciascuna di esse, impedendo così il sorgere della comunione ereditaria, con la conseguenza che la decisione del giudice ha carattere meramente dichiarativo, dovendosi prendere atto di un effetto ricollegato alla volontà del “de cuius” che si produce automaticamente al momento dell’apertura della successione; ricorre, invece, la fattispecie di cui all’art. 733 c.c. quando il testatore non divide, ma si limita a dettare le regole per la futura divisione con efficacia obbligatoria per gli eredi. Soltanto in quest’ultimo caso, permanendo lo stato di indivisione, è configurabile la domanda di rendiconto dei frutti proposta dal condividente, estromesso “medio tempore” dalla fruizione dei beni comuni, nei confronti di quello che si trovi nel godimento esclusivo degli stessi; al contrario, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 734 c.c., poiché il coerede è divenuto proprietario unico dei beni assegnatigli dal testatore fin dall’apertura della successione, la pretesa al versamento dei frutti non rientra nell’ambito del rendiconto, atteso che è sganciata dalla domanda di divisione, correlandosi al comportamento privo di giustificazione di colui che, rispetto ai detti beni, è, a tutti gli effetti, un terzo.

Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10761

Data udienza 27 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 20353/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 2929/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/02/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalla ricorrente.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto di citazione del 12 luglio 2002 (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino il fratello (OMISSIS) per procedere allo scioglimento della comunione ereditaria della madre (OMISSIS), deceduta in data (OMISSIS) e del padre (OMISSIS), deceduto in data (OMISSIS).
Per quanto ancora rileva in questa sede, evidenziava che la madre con testamento pubblico per notaio (OMISSIS) del 20/6/1997 aveva diviso tra i figli i diritti dalla medesima vantati sull’immobile in (OMISSIS), ma assumeva che tali disposizioni erano inefficaci in quanto rese sul presupposto che anche il marito, titolare della restante quota del 50% sull’immobile, avesse disposto in maniera conforme, cosa che invece non si era verificata.
Quanto all’eredita’ paterna, evidenziava che era stata beneficiata della somma di Lire 65.000.000 depositata su di un conto corrente intestato al de cuius, laddove al convenuto erano stati attribuiti tutti i diritti immobiliari, con evidente lesione della quota di legittima.
Concludeva pertanto, in relazione alla successione materna, per la declaratoria di inefficacia delle disposizioni testamentarie, dichiarandosi aperta la successione legittima, ordinando la divisione in parti eguali dell’eredita’, con le collazioni, imputazioni e rendiconti previsti dalla legge, previo accertamento della lesione della quota di legittima in relazione all’eredita’ paterna.
Si costituiva il convenuto il quale eccepiva di avere effettuato una serie di prestiti ai genitori, dei quali chiedeva tenersi conto.
Con memoria del 13/6/2003 l’attrice deduceva che il convenuto aveva riscosso delle somme cadute in successione e depositate presso l’ufficio postale di (OMISSIS), la cui meta’ le andava corrisposta; inoltre aveva appreso che il padre aveva estinto un libretto di risparmio nominativo intestato ad entrambi i genitori e dei certificati di deposito intestati alla sola madre, chiedendo quindi di tenersi conto anche di tali importi, per la quota di sua spettanza.
All’esito dell’istruttoria, il Tribunale adito con la sentenza non definitiva del 7 settembre 2007 dichiarava cessata la materia del contendere quanto alla domanda di invalidita’ del testamento materno, per avvenuta rinuncia manifestata nella comparsa conclusionale, dichiarava inammissibile la domanda risarcitoria avanzata dalla attrice solo nella memoria integrativa, e dichiarava devoluta la successione materna in base alle disposizioni testamentarie assegnando alle parti i diritti immobiliari in conformita’ delle stesse.
Contestualmente dichiarava aperta la successione paterna, e dichiarata autentica la scrittura privata con la quale il de cuius aveva riconosciuto il prestito ricevuto dal figlio, accertava che la massa relitta si componeva dei diritti immobiliari nonche’ della meta’ del saldo del conto corrente cointestato con la moglie, ferma restando l’esistenza del debito della somma di Lire 50.000.000 ricevuta in prestito.
Con separata ordinanza disponeva la prosecuzione del giudizio.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale l’attrice ed appello incidentale il convenuto, e la Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 2929 del 25 giugno 2014, in parziale accoglimento dell’appello incidentale disponeva la correzione materiale della sentenza gravata quanto alla mancata inclusione tra i beni assegnati per effetto della divisione materna anche della meta’ del lastrico solare e del vano scala, da intendersi come assegnati al solo convenuto; in accoglimento del secondo motivo dell’appello incidentale revocava la condanna del convenuto al pagamento della somma di Euro 5.669,17 oltre interessi legali, ordinandone la restituzione da parte dell’attrice; in accoglimento del primo motivo dell’appello principale accertava la prescrizione del credito vantato dal convenuto, che andava quindi escluso dal calcolo della massa ereditaria; per l’effetto determinava la massa ereditaria paterna come comprensiva, oltre che dei diritti immobiliari, della somma attribuita per testamento all’attrice, nonche’ della somma di Lire 1.250.000 di cui al libretto nominativo estinto dal de cuius in data 8 gennaio 2001.
In primo luogo riteneva che la decisione di prime cure fosse incorsa in un errore materiale, suscettibile di correzione, nella parte in cui nel descrivere le porzioni immobiliari oggetto di assegnazione ai germani secondo le volonta’ testamentarie, aveva omesso di indicare che la quota di (OMISSIS) ricomprendeva anche la meta’ del lastrico solare e del vano scala, errando anche nell’indicazione della superficie della corte comune.
Quanto alla condanna disposta dal Tribunale a carico del convenuto, la sentenza d’appello rilevava che in realta’ l’estinzione del libretto di risparmio e dei certificati di deposito era stata effettuata dal padre, e non anche da (OMISSIS), sicche’ al pagamento della quota di spettanza dell’attrice era tenuto il de cuius, venendo quindi a concretarsi un credito della stessa nei confronti della successione paterna, avendo ognuno dei figli il diritto di prelevare la somma di Euro 5.194,00.
L’appellante principale aveva poi lamentato l’omessa pronuncia sulla domanda di rendiconto dei frutti percetti dall’appellato che era nel possesso delle quote ereditarie che le erano state attribuite per testamento.
Ad avviso dei giudici di appello l’attrice aveva chiesto dichiararsi l’inefficacia del testamento e la richiesta di accertare l’apertura della successione ab intestato era consequenziale a tale domanda.
Avendo rinunciato alla domanda di inefficacia del testamento, poiche’ la domanda di rendiconto era consequenziale ed accessoria a quella di invalidita’ testamentaria, cui sarebbe conseguita la divisione testamentaria, doveva ritenersi che la rinuncia alla prima richiesta avesse travolto anche l’accessoria domanda di rendiconto.
La decisione di appello accoglieva il motivo di gravame che atteneva alla prescrizione del diritto del convenuto alla restituzione delle somme asseritamente date in prestito al padre, rilevando che la missiva alla quale il Tribunale aveva attribuito efficacia interruttiva della prescrizione, manifestava una mera riserva di richiedere il rimborso delle somme non assurgendo quindi al rango di valido atto di costituzione in mora.
Infine, rideterminava le componenti destinate a far parte dell’asse paterno, dovendosi includere la somma della quale aveva disposto a favore dell’attrice e dovendosi per converso escludere la somma di cui al libretto bancario cointestato che, essendo stato estinto prima della morte, non poteva piu’ rappresentare una componente attiva, dovendo infine prendersi in considerazione solo la meta’ dell’importo delle somme depositate sul libretto postale acceso presso l’ufficio di (OMISSIS), trattandosi di libretto cointestato, e del quale il de cuius aveva la disponibilita’ solo per la meta’.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di un motivo.
L’intimato non ha svolto difese in questa fase.
2. Con il motivo di ricorso, articolato in varie censure, si denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi in tema di qualificazione della domanda giudiziale, con la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 324 c.p.c..
Si lamenta anche la violazione dell’articolo 101 c.p.c., per l’operato rilievo d’ufficio della questione concernente l’asserita rinuncia alla domanda di rendiconto e la nullita’ in parte qua della sentenza di primo grado per omessa pronuncia sulla domanda di rendiconto proposta in via strumentale ed accessoria a quella di divisione, con la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c..
Assume parte ricorrente che, alla luce delle conclusioni, come formulate in citazione, la domanda di rendiconto non poteva reputarsi strumentale ed accessoria alla sola domanda di invalidita’ del testamento, ma che era correlata alla domanda di divisione dell’eredita’ materna.
La soluzione della Corte d’Appello, oltre a rilevare una rinuncia alla domanda, in difetto di allegazioni delle parti e senza attivare il doveroso contraddittorio ex articolo 101 c.p.c., ha ignorato che nella fattispecie era stata comunque decisa ed esaminata la domanda di divisione ex testamento, dovendosi quindi escludere che la rinuncia alla domanda di invalidita’ potesse estendersi anche alla domanda di rendiconto, in violazione del giudicato formatosi invece sull’ammissibilita’ della domanda di divisione.
Il motivo va disatteso.
In primo luogo e’ inammissibile la censura nella parte in cui e’ rivolta avverso la sentenza di primo grado per omessa pronuncia sulla domanda di rendiconto, atteso che tale doglianza aveva costituito oggetto di motivo di appello, disatteso dai giudici di secondo grado, dovendo quindi le doglianze essere indirizzate unicamente avverso la sentenza di seconde cure.
Va altresi’ evidenziato che alla fattispecie non risulta applicabile ratione temporis il dettato del novellato articolo 101 c.p.c., nella parte in cui espressamente prevede la nullita’ della sentenza che abbia posto a suo fondamento una questione rilevata d’ufficio senza la previa attivazione del contraddittorio nelle forme dettate dallo stesso articolo, trattandosi di norma introdotta dalla L. n. 69 del 2009, ed espressamente applicabile ai giudizi introdotti in data successiva al 4 luglio 2009, tra cui quali non rientra quello in esame.
Tuttavia, anche in relazione ai giudizi gia’ pendenti a questa data, occorre dare atto dell’orientamento di questa Corte secondo cui cfr. Cass. n. 30716/2018) nel sistema anteriore all’introduzione dell’articolo 101 c.p.c., comma 2 (a norma del quale il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, deve assegnare alle parti, “a pena di nullita’”, un termine “per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”), operata con la L. n. 69 del 2009, articolo 45, comma 13, il dovere costituzionale di evitare sentenze cosiddette “a sorpresa” o della “terza via”, poiche’ adottate in violazione del principio della “parita’ delle armi”, aveva fondamento normativo nell’articolo 183 c.p.c., che al comma 3 (oggi comma 4) faceva carico al giudice di indicare alle parti “le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”, con riferimento, peraltro, alle sole questioni di puro fatto o miste e con esclusione, quindi, di quelle di puro diritto (conf. Cass. n. 25054/2013).
Attesa quindi la possibilita’ di poter comunque denunciare la violazione del contraddittorio nel caso di sentenze che si fondino su questioni rilevate d’ufficio dal giudice (tranne che non si tratti di questioni di puro diritto ovvero attinenti al rispetto dei presupposti processuali di ammissibilita’ della domanda o dell’impugnazione), reputa il Collegio che debba escludersi la ricorrenza in concreto della nullita’ denunciata.
Ed, infatti, come si ricava dalla esposizione dei fatti contenuta sia in ricorso che nella sentenza impugnata, l’appellante si doleva del fatto che, a seguito della dichiarazione di cessazione della materia del contendere sulla domanda di inefficacia del testamento, il Tribunale, pur avendo assegnato i beni relitti in conformita’ delle volonta’ testamentarie, aveva omesso di statuire sulla richiesta di determinare il rendiconto dei frutti percetti in esclusiva dal convenuto.
Alla luce del contenuto del motivo di appello, che appunto lamentava gia’ per il primo grado la violazione dell’articolo 112 c.p.c., era specifico compito del giudice di appello quello di esaminare il contenuto della domanda di rendiconto azionata in primo grado e verificare se la stessa, anche a seguito della rinuncia ad un capo della domanda originaria, conservasse ancora attualita’.
Peraltro, avendo gia’ il Tribunale ravvisato la rinuncia quanto meno al capo concernente l’inefficacia del testamento, deve reputarsi che la valutazione compiuta dal giudice di appello circa l’estensione di tale rinuncia anche alla domanda di rendiconto, lungi dal costituire una decisione cd. a sorpresa, rappresenti una risposta, peraltro non suscettibile di essere tacciata come imprevedibile, ad una sollecitazione espressamente proveniente dai motivi di gravame, dovendosi reputare che il contraddittorio, scaturente dalla stessa proposizione del motivo di appello, avesse investito anche il profilo concernente la corretta valutazione ed interpretazione delle domande, cosi’ come formulate in citazione e la loro permanenza alla luce delle scelte difensive dell’attrice.
Tuttavia va disattesa anche la doglianza in relazione alla dedotta violazione dell’articolo 112 c.p.c. e del rispetto del giudicato interno, formatosi in relazione all’assunta pacifica ammissibilita’ della divisione.
Va in primo luogo osservato che la formulazione del motivo esula dalla richiesta di sindacare una mera interpretazione della domanda, come tale riservata al giudice di merito, ma investe piuttosto la denuncia di un error in procedendo, dovendosi quindi dare seguito alla tesi sostenuta da questa Corte secondo cui (Cass. n. 20716/2018) quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un “error in procedendo”, il sindacato del giudice di legittimita’ investe direttamente l’invalidita’ denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso e’ fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicita’ della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione e’ giudice anche del fatto (nella specie, la Corte, rilevando un vizio di omessa pronuncia sulla riproposizione in appello dell’originaria domanda riconvenzionale riguardante l’obbligo dell’appellato di contribuire ai miglioramenti apportati dall’appellante alle parti comuni dell’edificio, ha proceduto direttamente all’interpretazione dell’atto di appello; conf. Cass. n. 25259/2017).
Ad avviso del Collegio la doglianza e’ pero’ priva di fondamento. La ricorrente in primo grado, per quanto qui rileva, aveva cosi’ concluso (cfr. pag. 22 del ricorso):
“II. Dichiarare inefficaci le disposizioni testamentarie della sig.ra (OMISSIS) di cui al testamento pubblico per not. (OMISSIS) di (OMISSIS) del 20/06/1998 e, conseguentemente, aperta ab intestato la relativa successione e devoluta la relativa eredita’ ex lege ai suoi due figli.
III. Ordinare in conseguenza la divisione in parti eguali della eredita’ della sig.ra (OMISSIS), con le collazioni, imputazioni e rendiconti previste dalla legge (articoli 724 c.c. e segg.) e disporre le altre operazioni divisionali fino all’attribuzione ed al rilascio dei beni a favore di ciascun attributario.”
Effettivamente, la piana lettura delle dette conclusioni consente di apprezzare con immediatezza come la richiesta di rendiconto fosse correlata, per volonta’ della stessa attrice, alla necessita’ di addivenire alla divisione giudiziale dei beni, in conseguenza della auspicata accertata inefficacia del testamento.
Depone in tal senso l’utilizzo dell’espressione “in conseguenza” nell’incipit del punto III. che appunto chiarisce come, secondo lo stesso apprezzamento della odierna ricorrente, la divisione fosse necessaria nel solo caso in cui per effetto dell’inoperativita’ delle volonta’ testamentarie, si fosse resa necessaria la divisione giudiziale ab intestato.
La censura in esame, nella parte in cui evidenzia che il Tribunale avrebbe comunque provveduto ad una divisione dei beni, conservando quindi in vita l’interesse alla rendicontazione dei frutti, evidentemente riferiti al godimento esclusivo dei beni immobili (atteso che per i diritti di credito caduti in successione, la sentenza ha disposto la condanna del convenuto al pagamento della quota parte delle somme indebitamente prelevate, comprensive di accessori, statuizione poi riformata dalla stessa sentenza di appello, che ha riconosciuto solo l’esistenza di un diritto di credito nei confronti dell’eredita’ paterna), non tiene in adeguata considerazione la differenza che scaturisce tra divisione giudiziale e divisione compiuta direttamente dal testatore.
In tal senso questa Corte ha costantemente affermato che (cfr. Cass. n. 10306/1996) la “divisio inter liberos” regolata dall’articolo 734 c.c. ricorre quando il testatore intende compiere egli stesso la divisione totale o parziale dei suoi beni fra gli eredi, con effetti reali immediati. Tale fattispecie si distingue da quella regolata dall’articolo 733 c.c., con la quale il testatore non divide, ma si limita a dettare le regole per la futura divisione con efficacia obbligatoria per gli eredi (conf. Cass. n. 10797/2009).
Laddove la divisione sia attuata direttamente dal testatore con l’individuazione dei beni da assegnare direttamente agli eredi, e’ impedito lo stesso insorgere della comunione, con la conseguenza che la decisione del giudice ha efficacia meramente dichiarativa, non gia’ provvedendo a sciogliere la comunione secondo le regole dettate dal codice di rito, ma prendendo atto di un effetto ricollegato alla stessa volonta’ del testatore e che si e’ realizzato automaticamente al momento stesso dell’apertura della successione.
E’ poi evidente che la domanda di rendiconto dei frutti presuppone che permanga uno stato di indivisione, poiche’ solo in tal caso il godimento esclusivo dei beni, ancora comuni, da parte di uno solo dei condividenti puo’ ingenerare la pretesa del condividente escluso medio tempore dalla fruizione, ad ottenere la sua quota parte di frutti eventualmente riscossi da altro condividente quale utile gestore degli altri comunisti, ovvero, il che riverbera nell’illiceita’ della condotta, in contrasto con la volonta’ degli altri comproprietari.
Nella diversa ipotesi in cui invece la nascita della comunione sia impedita dalla stessa volonta’ del testatore, la pretesa al versamento dei frutti, di colui che per effetto della divisione ex articolo 734 c.c., deve ritenersi essere proprietario esclusivo dei beni assegnatigli fin dal momento dell’apertura della successione, avanzata verso chi in concreto ne abbia goduto, non rientra piu’ nell’ambito del rendiconto, trattandosi di domanda che appare del tutto sganciata da quella di divisione, e che si correla al comportamento privo di giustificazione di colui che rispetto ai beni goduti e’ a tutti gli effetti un terzo.
Nel caso in esame, la sentenza gravata, in conformita’ di quanto anche statuito dal Tribunale, ha preso atto di quelle che erano le precise volonta’ testamentarie, quali anche riportate in ricorso alla pag. 2, in base alle quali i diritti immobiliari vantati dalla de cuius, erano separatamente assegnati ai due germani, ancorche’ gravati di usufrutto in favore del coniuge superstite (usufrutto ormai estintosi), con la precisa descrizione delle porzioni immobiliari oggetto di attribuzione.
La decisione di appello, lungi dal procedere autonomamente alla divisione dei beni relitti, ha viceversa preso atto di quanto contenuto nel testamento, come peraltro si evince dalla stessa statuizione adottata in relazione al primo motivo di appello incidentale, che denunciava l’omessa inclusione tra i beni assegnati al convenuto anche dei diritti sulla scala e sul lastrico solare.
La soluzione raggiunta, che ha ritenuto di emendare l’errore denunciato, non gia’ con una divisione integrativa o una correzione del progetto di divisione, ma evidenziando come proprio sulla base delle volonta’ espresse dalla de cuius, la quota di (OMISSIS) dovesse reputarsi comprensiva anche di tali diritti, conforta il convincimento che in realta’ la sentenza si e’ limitata ad accertare quello che era un effetto gia’ prodottosi in conseguenza della volonta’ della de cuius, e del quale il giudice doveva limitarsi a prendere atto.
Ne’ vale eccepire che i diritti attribuiti per testamento non riguardavano porzioni concrete degli immobili ma quote indivise, occorrendo a tal fine evidenziare che la de cuius era in realta’ a sua volta titolare di quote indivise, e che per effetto della divisione testamentaria i singoli assegnatari delle quote sono stati immessi direttamente nella diversa comunione con il padre, all’epoca del decesso ancora in vita, che era appunto titolare della restante meta’ indivisa del fabbricato al cui interno erano ricomprese le unita’ immobiliari le cui quote sono state attribuite per testamento.
L’assenza della necessita’ di dover delibare su una residuale domanda di divisione giudiziale, una volta rinunciata la domanda di inefficacia del testamento, determina quindi che risulta incensurabile la qualificazione della domanda di rendiconto come operata dal giudice di merito, avendo tratto la corretta conclusione che la rinuncia alla prima domanda era idonea a coinvolgere anche quella di rendiconto, espressamente avanzata in via strumentale ed accessoria.
3. Nulla a provvedere quanto alle spese atteso il mancato svolgimento di attivita’ difensiva da parte dell’intimato.
4. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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