Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 16 gennaio 2019, n. 1023.

La massima estrapolata:

Le controversie per la liquidazione delle spese degli onorari e dei diritti nei confronti del cliente da parte dell’avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dal dpr 150/2011, anche in caso la domanda riguardi la sussistenza della pretesa, senza possibilità per il giudice di trasformare il rito sommario in ordinario e dichiarare l’inammissibilità della domanda.

Ordinanza 16 gennaio 2019, n. 1023

Data udienza 17 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 3801-2017 proposto da:
(OMISSIS) SPA, in persona del procuratore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrerne –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso da se’ stesso;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 6458/2015 R.G. del TRIBUNALE di TARANTO, depositata il 29/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. SCALISI ANTONINO.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articoli 14, articoli 645 e 702-702 bis c.c. depositato il 22.9.2015, dinanzi al Tribunale di Taranto, (OMISSIS) S.p.A. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 1160/2015 e, dopo aver riportato i fatti che avevano contraddistinto la vicenda, eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilita’ e/o l’improcedibilita’ dell’azione monitoria di controparte per parcellizzazione del credito e, nel merito, la sua infondatezza, insistendo per la revoca del D.I. opposto.
L’opponente esponeva che essa, nel corso dei rapporti di natura professionale che avevano legato (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS) per circa trent’anni, durante i quali quest’ultimo aveva ricevuto dalla prima numerosissimi incarichi al fine di tutelare gli interessi della societa’ in svariate controversie, nell’anno 2000 aveva incaricato il professionista di difendere la societa’ in un giudizio civile in cui era stata chiamata in causa dal Comune di Sava, convenuto da (OMISSIS) dinanzi alla Pretura di Taranto-Sezione Distaccata di Manduria.
L’opponente eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilita’, improcedibilita’ della domanda, poiche’ l’avv. (OMISSIS) aveva instaurato numerose azioni giudiziarie nei confronti di (OMISSIS) per le medesime ragioni, realizzando quella parcellizzazione ritenuta illegittima dalle Sezioni Unite di Codesta Suprema Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 23726/2007, che ha stigmatizzato il comportamento del creditore teso alla frammentazione in plurime distinte domande dell’azione giudiziaria volta all’adempimento di un’obbligazione pecuniaria che possa essere preteso unitariamente. Nel merito, contestava l’avversa pretesa, evidenziando i motivi per i quali l’avv. (OMISSIS) quantificava i suoi compensi in modo esorbitante sproporzionato, soprattutto, rispetto al valore, all’importanza all’esito della causa, nonche’ alla complessita’ (non rilevante) dell’attivita’ espletata, senza considerare neppure natura continuativa dei rapporti professionali che legavano le parti.
Il ricorso, iscritto al n. 6458/2015 R.G., veniva notificato, unitamente al provvedimento di fissazione di udienza, in data 14.10.2015 all’avv. (OMISSIS), il quale si costituiva in giudizio con memoria difensiva del 12.2.2016.
Il Tribunale di Taranto, “rilevato che, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 150 del 2011, articolo 14, la competenza di decidere la presente opposizione era del Collegio”, rimetteva la causa dinanzi – appunto – al Collegio della Terza Sezione Civile del Tribunale di Taranto, che il 22.6.2016 emetteva l’ordinanza, depositata il 29.6.2016, con cui dichiarava “l’inammissibilita’ dell’opposizione per tardivita’, in considerazione del fatto che il decreto ingiuntivo era stato notificato il 14.7.2015 ed il termine di giorni quaranta per proporre l’opposizione scadeva il 23.09.2015, eppero’ il ricorso unitamente al decreto di fissazione di udienza e’ stato notificato il 14 ottobre 2015.
Secondo il Tribunale, in materia di rito applicabile alle controversie aventi ad oggetto i compensi professionali di avvocato, riteneva applicabile ad esse il rito sommario di cognizione solo quando fosse controverso unicamente il quantum, mentre nel caso di specie, avrebbe dovuto applicarsi il rito ordinario – dunque introdotto con citazione – avendo l’opponente sollevato anche questioni relative all’an della pretesa (in particolare, l’eccezione di parcellizzazione del credito), cosicche’, l’opposizione proposta da (OMISSIS) doveva ritenersi inammissibile perche’ tardiva, essendo stata notificata all’avv. (OMISSIS) il 14.10.2015, dopo il quarantesimo giorno dalla ricezione della notifica del decreto ingiuntivo.
La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta da (OMISSIS) spa. con ricorso affidato ad un motivo. L’avv. (OMISSIS) ha resistito con controricorso. In prossimita’ della Camera di consiglio la ricorrente ha depositato memoria.
1.= Con l’unico motivo di ricorso, l’ (OMISSIS) spa lamenta Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360 c.p.c., n. 3), in relazione al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 e articolo 702-bis c.p.c.. Il ricorrente sostiene il Tribunale abbia errato nel ritenere che il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 “laddove prevede contro il decreto riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali il rito sommario di cognizione” fosse applicabile solo nell’ipotesi in cui fosse controverso il quantum della pretesa del professionista, ma, non anche se controverso l’an della pretesa.
Su proposta del relatore, il quale riteneva che il motivo formulato con il ricorso era fondato, con la conseguente definibilita’ nelle forme dell’articolo 380-bis c.p.c., in relazione all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il Presidente ha fissato l’adunanza della Camera di Consiglio.
Rileva il collegio che il ricorso, deve essere ritenuto fondato, in tal senso trovando conferma la proposta gia’ formulata dal relatore, ai sensi del citato articolo 380-bis c.p.c..
1.1.= In via preliminare vanno rigettate le eccezioni avanzate dall’avv. (OMISSIS).
a) Infondata e’ l’eccezione con la quale l’avv. (OMISSIS) ha eccepito l’inammissibilita’ del ricorso posto che la procura speciale rilasciata ai difensori della societa’ ricorrente oltre ad essere priva di data non sarebbe stata allegata alla copia notificata del ricorso, perche’:
a.1) Risulta in calce all’originale del ricorso la procura speciale rilasciata dalla parte al proprio difensore. Quanto poi alla sua mancata trascrizione nella copia notificata, va rilevato che nell’ipotesi, come quella in esame, in cui la procura risulti dall’originale del ricorso, una tale omissione non determina l’inammissibilita’ del ricorso medesimo allorche’ la copia contenga elementi idonei a dimostrare la provenienza dell’atto dal difensore munito di procura, come la semplice indicazione della procura nella copia notificata (Cass. 9206/01; Cass. 6766/01; Cass. 3733/01 Cass. n. 3971 del 2003). Orbene, nel caso in esame dalla copia notificata del ricorso l’indicazione dell’avvenuto rilascio della procura speciale in calce risulta non solo dall’intestazione dell’atto, ma, anche, dall’annotazione firmata dal difensore con cui si fa testualmente presente che “vi e’ procura nell’originale”. Essendo implicito dalla relata, ai sensi dell’articolo 137 c.p.c., comma 2, che la notifica e’ avvenuta mediante consegna di copia conforme all’originale, deve ritenersi che di dette attestazioni l’ufficiale giudiziario abbia preso atto e che la procura non puo’ non essere stata, quindi, rilasciata anteriormente.
a.2) Come e’ stato gia’ affermato da questa Corte (Sent. n. 24422 del 2016) la procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita in epoca anteriore alla notificazione dello stesso, investire, espressamente, il difensore del potere di proporre il ricorso suddetto ed essere rilasciata in data successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione. Pertanto, se apposta a margine del ricorso, tali requisiti si desumono, rispettivamente, quanto al primo, dall’essere stata la procura trascritta nella copia notificata del ricorso, e, quanto agli altri due, dalla menzione che, nell’atto a margine del quale essa e’ apposta, si fa della sentenza gravata, restando, invece, irrilevante che la stessa sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso e che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullita’.
b) Infondata e’, anche, l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso perche’ nella pronuncia impugnata il Tribunale di Taranto farebbe riferimento al sistema del doppio grado di giudizio e posto che questa parte di pronuncia non sarebbe stata oggetto di impugnazione il relativo passaggio in giudicato impedirebbe a questa Corte di Cassazione di tornare sul punto.
b.1) Come ha evidenziato anche il ricorrente, il riferimento contenuto nella pronuncia del Tribunale di Taranto al doppio grado del giudizio nelle liti in cui e’ controverso l’an della pretesa di un avvocato e non solo il quantum, non costituisce un autonomo giudicato ma era argomento interpretativo a favore della tesi della non applicabilita’ del rito speciale forense. Pertanto, con il ricorso per cassazione, diretto a criticare la mancata applicazione del D.Lgs n. 150 del 2011, articolo 14, proponendo la questione di quale fosse il rito applicabile, deve ritenersi censurata ogni valutazione sottesa alla decisione del Tribunale di Taranto e dunque anche l’affermazione di cui si dice.
1.2. = Avuto riguardo al motivo di ricorso, va qui premesso che secondo la previgente L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28, ed i successivi articoli 29 e 30, l’avvocato che voleva recuperare giudizialmente un credito professionale per prestazioni giudiziali poteva optare per tre strade: 1) il procedimento speciale di cui alla L. n. 794 del 1942, articoli 28 e segg. (limitatamente ai crediti relativi a procedimenti civili); 2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo; 3) il giudizio ordinario di cognizione. Secondo la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile, visto che il presupposto dell’esperibilita’ del procedimento speciale era la natura non contestata del credito e l’esigenza soltanto di una sua determinazione quantitativa (ossia di una sua “liquidazione). Il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 34, ha abrogato la L. n. 794 del 1942, articoli 29 e 30 ed ha cosi’ modificato l’articolo 28: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura se non intende seguire la procedura di cui all’articolo 633 e seguenti c.p.c., procede ai sensi del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 14”.
1.2.= A seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011 si e’ posto il problema se la nuova disciplina debba ritenersi o meno inderogabile. Ai fini di interpretare la nuova normativa e’ utile ripercorrere gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’ formatisi in relazione alla previgente L. 13 giugno 1942, n. 794 in materia di “Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile. Ora, secondo la tesi prevalente, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile visto che il presupposto dell’esperibilita’ del procedimento speciale era la natura non contestata del credito e l’esigenza soltanto di una sua determinazione quantitativa. Infatti, secondo l’orientamento della Suprema Corte, lo speciale procedimento camerale di liquidazione di onorari e diritti dell’avvocato previsto dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, articoli 28 e segg. della era limitato alla determinazione del quantum dovuto al professionista e non si estendeva anche all’an della pretesa, ossia ai suoi ai presupposti (Cass., 23 gennaio 2012, n. 876; Cass., 15 marzo2010, n. 6225; Cass. 29 marzo 2005, n. 6578; Cass. 21 aprile 2004, n. 7652). Nella ipotesi in cui l’indagine si estendeva all’an della prestazione secondo la Cassazione, “trattandosi di indagine incompatibile con la trattazione nelle forme del rito speciale, vengono meno le ragioni che giustificano la deroga al principio generale del doppio grado di giudizio ed il procedimento deve svolgersi secondo il rito ordinario” (Cass. 14 ottobre 2010, n. 21261; Cass. 09 settembre 2008, n. 23344). Non vi era univocita’ sulla natura del provvedimento che doveva essere pronunciato dal Giudice erroneamente adito. Infatti una parte della giurisprudenza di legittimita’, in ipotesi di non applicabilita’ della speciale procedura di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, regolata dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, articoli 28 e ss., riteneva che era necessaria la trasformazione del rito, ossia la prosecuzione del procedimento con l’ordinario rito di cognizione: (Cass., 24 febbraio 2004, n. 3637: Cass., 30 agosto 2001, n. 11346). Se la mancanza del presupposto emergeva in occasione della comparizione delle parti in camera di consiglio, il giudice adito doveva limitarsi a dichiarare l’inammissibilita’ del ricorso e, nell’ipotesi di regolare instaurazione del contraddittorio, doveva ordinare che il procedimento proseguisse secondo l’ordinario rito di cognizione avanti all’autorita’ giudiziaria competente. (Cass. 27 marzo 2001, n. 4419, Cass. 5 agosto 2011, n. 17053 Cass. civile, 09 settembre 2008, n. 23344). Pertanto, qualora il Giudice adito, a conclusione di un procedimento instaurato ai sensi della L. n. 794 del 1942, articoli 28 e ss., non si fosse limitato a decidere sulla controversia tra avvocato e cliente circa la determinazione della misura dei compensi, ma si fosse pronunciato anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all’esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, l’intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma di ordinanza, aveva valore di sentenza e, dunque, poteva essere impugnato con il solo mezzo dell’appello (Cass. 03 febbraio 2012, n. 1666). Analogamente, nel caso inverso, l’intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma di sentenza, aveva valore di Ordinanza, in quanto tale sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso per cassazione ex articolo 111 Cost..
1.3.= La Cassazione civile, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 390 (seguita da Cass. civile, sez. 2, 19 maggio 2011, n. 11024) ha temperato il predetto criterio della prevalenza della sostanza sulla forma del provvedimento, facendo applicazione del principio dell’apparenza, affermando che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari e altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che puo’ essere anche implicita e desumibile dalle modalita’ con le quali si e’ in concreto svolto il relativo procedimento.
Secondo la dottrina prevalente e parte della giurisprudenza di merito nulla sarebbe sostanzialmente cambiato rispetto al passato, avendo il procedimento Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 14, mantenuto le medesime caratteristiche che aveva quello disciplinato dalla L. n. 794 del 1942, articolo 29, tenuto anche conto che il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, si limita a prevedere che il rito sommario di cognizione regola le “controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28”, senza prevedere alcuna modifica riguardo all’ambito di applicazione di tale ultima disposizione. Nel caso di contestazioni sull’an del rapporto professionale la gran parte della dottrina, in aderenza alla giurisprudenza di legittimita’ formatasi nella vigenza della normativa precedente, ha escluso il mutamento del rito sul presupposto che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria ai sensi degli articoli 702 bis e ter, tenuto conto che il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 3, comma 1, ne prevede espressamente l’inapplicabilita’. In presenza di contestazioni sull’an, ed anche quando l’inesistenza dei presupposti per il procedimento speciale emerga all’esito della comparizione delle parti, il giudice del procedimento speciale deve limitarsi ad una pronuncia di inammissibilita’.
A sostegno di questa tesi, e’ stata richiamata la previsione di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, comma 3, (mutuata dalla L. n. 794 del 1942, articolo 29, comma 3), relativa alla possibilita’ per le parti di stare in giudizio personalmente, da cui e’ possibile evincere che, allorquando le eccezioni del convenuto comportino un ampliamento del thema decidendum alla sussistenza della pretesa del ricorrente, il giudizio non possa proseguire perche’, nell’ipotesi in cui il resistente non si sia avvalso dell’assistenza tecnica, egli si troverebbe in posizione di inferiorita’ rispetto alla controparte proprio nel momento in cui il giudizio diviene piu’ complesso.
1.3.1. = In senso contrario, alla tesi in esame, si e’ peraltro osservato che il rito sommario di cognizione ex articolo 702-bis c.p.c. ss., garantisce, comunque, una cognizione piena della posizione soggettiva dedotta in giudizio, seppur con una trattazione ed un’istruzione semplificate e mette in crisi la premessa da cui muoveva il predetto orientamento giurisprudenziale. E’ stato richiamato il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 3, comma 1, nella parte in cui esclude l’applicabilita’ dell’articolo 702 ter c.c., comma 2, ai sensi del quale il Giudice, se “rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’articolo 702 bis, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale”. La predetta norma precluderebbe, infatti, al Giudice, adito Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 14, di dichiarare inammissibile la domanda anche qualora l’oggetto del procedimento si estenda all’accertamento dei presupposti del diritto dell’avvocato al compenso professionale, cosi’ superando il precedente orientamento giurisprudenziale della Cassazione di cui si e’ sopra dato conto. Inoltre, il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 4, consente il mutamento del rito in ipotesi di controversia promossa con forme diverse da quelle previste, cosi’ sembrando riferirsi all’ipotesi dell’errore sul rito compiuto ab origine, e non alla opportunita’/necessita’, non derivante da errore iniziale, che la controversia, per effetto delle argomentazioni difensive del convenuto, proceda con rito diverso.
I sostenitori di questa tesi rilevano che la norma potrebbe essere letta estensivamente ed applicata anche nelle ipotesi in cui la scelta del rito “incongruo” non sia dipesa da un errore del ricorrente (ossia dell’avvocato) ma dalle difese del convenuto, che hanno determinato l’inapplicabilita’ del rito sommario, con le contestazioni relative all’an e non solo al quantum debeatur.
In sintesi, secondo la tesi in esame, il ricorso sommario proposto dall’avvocato sarebbe suscettibile di evolvere, previa conversione del rito Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 4, in rito ordinario, allorche’ il convenuto contesti anche l’an o proponga domanda riconvenzionale.
1.4.= Infine, secondo una terza tesi, l’intero giudizio di liquidazione dei compensi, comprensivo dei temi sull’an debeatur, dovrebbe essere trattato con il “nuovo” rito sommario. Conseguentemente, nel caso in cui il giudizio in tale materia venga introdotto con rito ordinario e, dunque, con atto di citazione (o con atto di citazione in opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato), il Presidente del Tribunale o della Sezione tabellarmente competente dovrebbe: disporre il mutamento del rito da ordinario in sommario ai sensi del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 4; nominare il Giudice relatore; fissare l’udienza di comparizione parti’ avanti al Collegio per la trattazione.
La Corte ritiene di aderire a questa ultima tesi tenendo conto della pienezza della cognizione che, secondo la maggioranza della dottrina e la stessa relazione di accompagnamento, sarebbe assicurata da questo procedimento e nel rispetto dell’impianto generale del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, in cui la tipologia del rito e’ il frutto di una decisione legislativa senza possibilita’ di scelte discrezionali della parte o del giudice. Infatti, in tal modo e’ rispettata la ratio che ha guidato il legislatore delegato secondo cui il controllo di concreta compatibilita’ della singola lite con le forme semplificate del rito, che nel procedimento sommario di cognizione facoltativo di cui agli articoli 702 bis ss. e’ rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, e’ sostituito, nel procedimento sommario obbligatorio disciplinato dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 3, da una verifica, astratta ed irrevocabile, compiuta a monte dal legislatore sulla base delle caratteristiche riscontrate in alcune specie di controversie che hanno ad oggetto determinate specifiche materie. Una tale soluzione ha evidenti vantaggi di economia processuale e sarebbe conforme al principio di conservazione degli atti processuali, evitando la declaratoria di inammissibilita’ che e’ espressamente esclusa dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 3, comma 1, nella parte in cui esclude l’applicabilita’ dell’articolo 702 ter c.p.c., comma 2. Sarebbe rispettato Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 4, che disciplina in via diretta soltanto l’ipotesi dell’instaurazione, mediante forme errate, di una controversia che dovrebbe essere trattata secondo uno dei riti semplificati dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011; in altri termini, la disposizione non regola espressamente il caso in cui venga instaurata, mediante uno dei riti semplificati, una controversia che non rientra nell’ambito di applicazione dello stesso decreto. Tale soluzione: a) e’ confermata dal recente intervento delle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4485 del 2018, la quale esplicitamente afferma che la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, articolo 28, introdotta sia ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, del anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all'”an debeatur”. b) e’ in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n 26-4-2014 n.65 che, con riferimento alla dedotta violazione dei principi della legge delega, riferita al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 3, comma 1, ed in particolare, all’esclusione della convertibilita’ del rito sommario, ha rilevato che la norma in esame costituisce immediata applicazione del criterio direttivo di cui alla L. n. 69 del 2009, articolo 54, comma 4, lettera b), n. 2), il quale – nel ricondurre al modello del procedimento sommario quei procedimenti nei quali sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa – afferma che resta “esclusa per tali procedimenti la possibilita’ di conversione nel rito ordinario”.
La non convertibilita’ del rito sommario discende quindi dalla espressa prescrizione impartita dalla legge delega (L. n. 69 del 2009, articolo 54, comma 4, lettera b, n. 2) e corrisponde, altresi’, alla inammissibilita’ – ripetutamente affermata anche prima della riforma del 2009 – del procedimento speciale previsto dalla L. n. 794 del 1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso. Il divieto di conversione del rito e’ stabilito dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 3, comma 1, per le controversie regolate dal rito sommario di cognizione, conseguentemente la richiesta caducazione di tale divieto, riferita ai soli procedimenti di liquidazione degli onorari forensi, costituirebbe un’eccezione rispetto al modello procedimentale prescelto dal medesimo Decreto Legislativo n. 150 del 2011. Siffatta eccezione risulterebbe incompatibile con le finalita’, perseguite dalla riforma del 2011, di riduzione e semplificazione dei riti civili, introducendo un’ulteriore particolarita’ ad un sistema processuale, che – pur essendo ispirato alla finalita’ di riportare una molteplicita’ di procedimenti speciali ad una (almeno tendenziale) uniformita’ – conserva tuttora elementi di innegabile eccentricita’.
Si osserva che il giudizio conclusosi con il provvedimento oggetto oggi di impugnazione era stato iniziato correttamente con ricorso davanti al Tribunale competente in composizione collegiale.
Di conseguenza, ha errato il Tribunale a non proseguire il procedimento nelle forme del rito sommario di cognizione ex articolo 702 bis c.c. e ss, ed ha errato nel dichiarare l’inammissibilita’ in presenza di contestazione sull’an della pretesa. Il Tribunale era tenuto a provvedere sulla domanda e sulle contestazioni sull’an proposte dalla parte convenuta. Di qui l’ulteriore conseguenza e cioe’: considerato che il ricorso e’ stato depositato il 22 settembre doveva ritenersi tempestivo perche’ il termine scadeva il 23 settembre cosi’ come evidenzia la stessa ordinanza del Tribunale di Taranto.
In definitiva, il ricorso deve essere accolto e la ordinanza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Taranto che si atterra’ al seguente principio di diritto: Le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28, come modificato dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 34, ed a seguito dell’abrogazione della L. n. 794 del 1942, articoli 29 e 30, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente da parte dell’avvocato devono essere trattate con la procedura prevista dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 14 del anche in ipotesi che la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilita’ per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilita’ della domanda.
Il Tribunale provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Taranto in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Avv. Renato D’Isa

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