In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 11 settembre 2018, n. 40343.

La massima estrapolata:

In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo richiede, invece, un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento e il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare.

Sentenza 11 settembre 2018, n. 40343

Data udienza 25 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 16/06/2016 dalla Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri;
udito il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa Perla Lori, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado, emessa all’esito del rito abbreviato, con cui (OMISSIS) e’ stato condannato alla pena di due anni di reclusione ed Euro 6.000 di multa per avere: 1) acquistato kg. 5,343 di sostanza stupefacente di tipo marijuana, contenuta in 7 involucri di cellophane (capo a); 2) detenuto, presso la sua abitazione e nelle pertinenze di essa, kg. 8,88 (in un trolley all’interno del garage) di sostanza stupefacente di tipo hashish, contenuti in 11 involucri di cellophane (capo b).
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; la Corte avrebbe dovuto assolvere l’imputato dal reato contestato al capo b), trattandosi di una ipotesi di connivenza non punibile.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato, ai limiti della inammissibilita’.
2. Dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado emerge, in punto di fatto, che il 28/06/2015 i Carabinieri di (OMISSIS), all’esito di una perquisizione personale, rinvennero nella disponibilita’ del ricorrente la droga di cui al capo a); a seguito di una successiva perquisizione domiciliare, i militari trovarono all’interno di un trolley, custodito nel garage dell’abitazione dell’imputato, la sostanza stupefacente di cui al capo b).
Dalla sentenza di primo grado, in particolare, si evince che l’imputato, nel corso del procedimento, ha riferito: a) che gli otto chili di droga rinvenuti nel garage erano stati a lui consegnati da un connazionale, temporalmente da lui ospitato, che gli aveva chiesto di aiutarlo nella vendita; b) di non aver accettato la proposta; c) di aver dato la disponibilita’ a custodire la sostanza stupefacente presso la sua abitazione, in attesa che il connazionale provvedesse alla vendita.
3. La Corte di appello, con motivazione logica e tecnicamente ineccepibile, ha ritenuto che, pur volendo ritenere attendibili le dichiarazioni rese dall’imputato, nondimeno nella specie sarebbe configurabile la compartecipazione nel reato “per il solo fatto di aver accettato di custodire la sostanza”.
Rispetto a tale motivazione, il ricorrente ha negando che l’imputato abbia tecnicamente “custodito” la sostanza stupefacente: (OMISSIS) sarebbe stato solo consapevole della droga lasciata presso la sua abitazione dal connazionale e cio’ configurerebbe una mera connivenza non punibile.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ quello secondo il quale, a differenza della connivenza non punibile – qualificata dalla tenuta da parte dell’agente di un comportamento meramente passivo -, si realizza il concorso nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti quando l’interessato fornisca un contributo partecipativo, morale o materiale, alla condotta criminosa altrui, tenendo consapevolmente e volontariamente un comportamento capace di concretizzare un contributo alla realizzazione del reato (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 44633 del 31/10/2013, Dioum, Rv. 257810; Sez. 6, n. 14606 del 18/02/2010, lemma, Rv. 247127; Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, Porcheddu e altro, Rv. 246649; Sez. 4, n. 21441 del 10/04/2006, Piscopo, Rv. 234569, in fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame).
Per costante monito della giurisprudenza, la connivenza non punibile postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, mentre il concorso puo’ essere manifestato in forme anche solo agevolatorie della condotta illecita altrui, anche solo assicurando all’altro concorrente nel reato lo stimolo o il sostegno all’azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza nella propria condotta, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Caradonna, Rv. 264454).
Va ravvisato il concorso nella detenzione illecita di sostanze stupefacenti, laddove il soggetto abbia posto in essere un comportamento tale da avere arrecato un contributo partecipativo positivo, morale o materiale, alla realizzazione del delitto, anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento e il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi puo’ contare. (Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, Porcheddu, Rv. 246649).
La Corte di merito ha fatto corretta applicazione di tali principi.
L’uomo cui ha fatto riferimento l’imputato, che avrebbe avuto la originaria detenzione di quella droga, chiese a (OMISSIS) di poter conservare, mantenere, custodire, “tenere” la sostanza stupefacente in casa durante la sua assenza e (OMISSIS) accetto’ la proposta.
L’imputato, accettando la proposta del connazionale, e, quindi, accettando di mantenere in casa la droga anche nel periodo di assenza di quest’ultimo arreco’ un contributo partecipativo, morale e materiale, alla detenzione illecita.
Sotto il profilo morale, l’imputato, fornendo la sua disponibilita’ funzionale a tenere quella sostanza stupefacente, assicuro’ una oggettiva collaborazione, su cui il connazionale pote’ contare, e, quindi, un evidente sostegno psicologico alla protrazione dell’altrui azione criminosa, con cio’ rafforzando il proposito del compagno.
Sotto il profilo materiale, (OMISSIS), con la propria condotta positiva, contribui’ materialmente alla detenzione illecita della droga, perche’ agevolo’ l’occultamento e il controllo della sostanza stupefacente; se (OMISSIS) avesse rifiutato di tenere, custodire, mantenere in casa quella droga, il connazionale non identificato – e di cui nulla e’ stato detto – avrebbe dovuto rinunciare al suo proposito criminoso, oppure avrebbe dovuto trovare forme di occultamento e di controllo diverse e maggiormente rischiose di quelle di cui pote’ usufruire grazie al contributo dell’imputato.
Il soggetto non identificato non dovette spostare la droga, non dovette trovare un nuovo nascondiglio, non dovette accollarsi il rischio di portare all’esterno l’hashish e cio’ perche’ il ricorrente dette la sua disponibilita’ funzionale a custodire quella droga in assenza del compagno.
Di qui l’infondatezza del motivo di ricorso.
4. Anche il secondo motivo e’ infondato.
La Corte di cassazione, seppure in relazione alla circostanza attenuante prevista dall’articolo 8 del decreto L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203, ha chiarito in molteplici occasioni, con ragionamento che pare trasponibile anche alla circostanza di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 7, come il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la concessione di attenuanti fondate sulla “collaborazione” si fondino su distinti e diversi presupposti.
Le prime non escludono, ma nemmeno necessariamente implicano, l’applicazione delle seconde; mentre l’articolo 62 bis c.p., attribuisce al giudice la facolta’ di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici (motivi che hanno determinato il reato, circostanze che lo hanno accompagnato, danno cagionato, condotta tenuta “post delictum”, ecc.), quegli elementi che possono suggerire l’opportunita’ di attenuare la pena edittale, I’ attenuante della collaborazione e’ conseguenza del valido contributo fornito dall’imputato allo sviluppo delle indagini e della attivita’ dallo stesso posta in essere allo scopo di evitare le ulteriori conseguenze della attivita’ delittuosa (Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013, dep. 2014, Sapienza, Rv. 258958; Sez. 1. N. 14527 del 03/02/2006, Cariolo, Rv. 233938; Sez. 1, n. 2137 del 05/11/1998, dep. 1999, Favaloro, Rv. 212531).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, spiegando, con motivazione ineccepibile, come, a fronte dell’apporto collaborativo fornito dall’imputato e del riconoscimento quindi della circostanza attenuante prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309, articolo 73, comma 7, la personalita’ del ricorrente, desunta dalle precedenti condanne, e l’oggettiva gravita’ dei fatti ostino tuttavia al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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