Le massime
In tema di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura (Cass. 25322/11), può ritenersi legittimamente predicabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dalla irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dalla impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi.
Il concetto di comoda divisibilità di un immobile presupposto dall’art. 720 c.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico- funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’ intero, tenuto conto dell ‘usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso.
La destinazione unifamiliare o bifamiliare di un alloggio non ne muta la destinazione urbanistica, che rimane intesa a fini abitati vi e non trasforma l’uso dell’ immobile (in uso commerciale o industriale), come si verifica quando c’è mutamento urbanistlco. Né il mutamento di tipologia della villetta può incidere in alcun modo sulla comoda divisibilità, restando altrimenti preclusa abitualmente la suddivisione di un immobile inizialmente unitario, in offesa alla regola della divisione – ove possibile – in natura
Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza n. 14577 del 21 agosto 2012
Svolgimento del processo
E’ controversa dal 1999 la divisione di una villetta sita in Andria, zona (omissis), appartenente in parti uguali fra l’attrice M.A. e i convenuti, V.A. e E.I.
Il tribunale di Trani il 3 dicembre 2004, preso atto della esistenza di due distinte unità immobiliari di circa 55 mq ciascuna, già possedute distintamente dalle parti e aventi accessi indipendenti, ha disposto la divisione, previa realizzazione dell’impianto fognario tipo imhoff necessario.
La Corte d’appello di Bari, investita da appello di M.A., con sentenza 6 aprile 2010, dopo aver disposto l’espunzione dal fascicolo documenti relativi alla condizione catastale e urbanistica dell’immobile, perché forniti dai ricorrenti al c.t.u. dopo il termine istruttorio di cui all’art. 184 c.p.c., ha disposto lo scioglimento della comunione e la vendita del bene.
Ha condannato V.A. ed E.I. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
I soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 10 novembre 2010, illustrato con memoria. M.A. oltre a resistere con controricorso ha svolto tre motivi di ricorso incidentale relativi
a errore nelle spese calcolate e alle spese di c.t.u.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 184, 194 e art. 62 c.p.c., anche in relazione all’art. 17 L. 47/85.
Viene censurata la statuizione della Corte di appello di ritenere inammissibile, perché preclusa ex art. 184 c.p.c., la produzione documentale fornita al consulente dalla parte appellata
Trattasi di planimetria della lottizzazione; nulla osta per l’esecuzione dei lavori edili di costruzione; accatastamento dell’immobile; condono edilizio; fattura per la fornitura di acqua potabile.
Il ricorso lamenta fondatamente che trattasi di documentazione che il consulente avrebbe comunque dovuto acquisire d’ufficio, perché necessarla per l’espletamento dell’incarico, tranne l’ultimo documento, irrilevante.
Invero consta dallo stesso controricorso che al c.t.u. fu chiesta l’acquisizione di certificazione catastale aggiornata e di provvedere a verificare la regolarità urbanistico edilizia del fabbricato.
Rientrava pertanto nei suoi compiti l’acquisizione della documentazione prodottagli dalla parte, comunque indispensabile per l’espletamento dell’incarico. In proposito il tribunale aveva chiaramente sancito l’indispensabilità dei documenti acquisiti dal consulente (pag. 6 secondo capoverso) e la Corte d’appello, nell’accogliere la censura svolta dalla A. non ha neppure valutato questo profilo; non si è chiesta se l’incarico avrebbe potuto essere svolto senza quelle acquisizioni.
Ciò avrebbe fatto emergere che la produzione effettuata non consisteva in documenti necessari a fondare il diritto controverso (la proprietà del bene e il diritto a ottenerne la divisione), ma la possibilità stessa della divisione, che è oggetto di accertamento officioso, una volta che il giudice sia investito di domanda di scioglimento della comunione.
Va qui ricordato che è consentito al c.t.u. di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse.
Nella specie, poiché l’acquisizione e la produzione non miravano a far accertare fatti posti a fondamento di domande o eccezioni, ma solo a favorire le verifiche e le acquisizioni comunque dovute, non v’era luogo per l’applicazione dell’ art. 184 c.p.c., dovendo invece essere applicato l’art. 194, in forza del quale il consulente d’ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice può assumere informazioni e procedere all’accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli restando irrilevante la circostanza che tale acquisizione provenga dalla parte. (v. utilmente Cass. 1020/06; 3191/06).
Il secondo motivo lamenta violazione ed erronea applicazione degli artt. 1114 e 718 e 720 c.c. e dell’art.116 c.p.c. censura quest’ ultima posta a base anche del terzo motivo, congiuntamente esaminabile.
La prima doglianza si sofferma sulla tesi della non comoda divisibilità dell’immobile abbracciata dalla Corte d’appello.
Non è giustificata l’eccezione di giudicato sollevata in controricorso, ove si deduce che tale questione attiene al merito della causa ed è denunciabile solo con vizio di motivazione, non formulato.
Premesso che la rubrica del motivo di ricorso per cassazione non vincola l’esame del motivo, va in primo luogo rilevato che la denuncia di violazione dell’art. 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero 5), c.p.c., sicché con il riferimento ad esso e con lo svolgimento effettivo delle doglianze che attengono anche alla motivazione, parte ricorrente ha contestato sotto ogni profilo la decisione sul punto.
In secondo luogo è da rilevare che la doglianza di falsa applicazione di legge è comunque idonea e appropriata per evidenziare eventuali errori di sussunzione commessi dal giudice di merito, nel qualificare come ipotesi di non comoda divisibilità una situazione di fatto non riconducibile al disposto normativo applicabile.
Ciò è quanto accade nella specie.
La Corte d’appello ha ritenuto che non sussista comoda divisibilità, perché verrebbe compromessa la originaria destinazione del bene degradato da villa unifamiliare a villa bifamiliare cioè a una tipologia familiare diversa, meno salubre per via della nuova fossa settica da installare e di cui doveva essere dimostrata la possibilità di ottenere concessione edilizia in relazione alle disposizioni vigenti.
Ha aggiunto che la divisione avrebbe potuto comportare deprezzamento proporzionale delle unità ricavate, non avendo il c.t.u. considerato il valore attribuito all’intero e quello dei lotti, essendosi preoccupato di “dimostrare” soltanto l’equivalenza dei due lotti.
Queste argomentazioni prestano il fianco a tutte le censure di cui al secondo motivo.
In tema di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura (Cass. 25322/11), può ritenersi legittimamente predicabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dalla irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dalla impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi (Cass. 12406/07).
Inoltre il concetto di comoda divisibilità di un immobile presupposto dall’art. 720 c.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico- funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’ intero, tenuto conto dell ‘usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso. (Cass. 12498/07).
Nella specie la sentenza impugnata si è discostata da questi insegnamenti perché, pur in presenza di relazione tecnica pienamente favorevole alla realizzabilità del frazionamento non ha improntato la valutazione al rapporto regola/eccezione che governa il diritto del condividente a ottenere una porzione del bene in natura, omettendo di verificare le circostanza rilevanti.
Essa infatti ha rilevato che non sarebbe stata dimostrata la derogabilità e concessibilità della nuova tipologia edilizia che non sarebbe stato approfondito il tema dell’eventuale deprezzamento delle porzioni rispetto all’intero.
Ora, tali carenze istruttorie, ove insuperabili, potevano e dovevano portare la Corte (ricorso pag. 21) a integrare ed approfondire gli elementi in proprio possesso, non potendo considerare decisive delle carenze istruttorie relative agli accertamenti e alle verifiche dovute ex officio per pronunciare
sulla comoda divisibilità.
Non spetta infatti alle parti, pur potendo esse addurre argomenti nell’uno o nell’altro senso dimostrare la sussistenza dei presupposti, ma al giudice che procede alla divisione verificare i presupposti di quanto stabilisce in punto direalizzabilità/irrealizzabilità deprezzamento del bene.
5;’ L’errore sul punto è soprattutto errore di sussunzione, perché reputa applicabile il paradigma della non comoda di visibilità in relazione a un fatto ricostruito in modo difforme dall’ ipotesi normativa, sia quanto alla eseguibilità della divisione, sia quanto all’affermato deprezzamento, che, si ricorda ancora, deve essere notevole e tale da prevalere sul diritto ad ottenere il bene in natura, che regola normalmente l’istituto.
Evidente illogicità motivazionale si ravvisa inoltre nel non aver considerato un elemento scaturente dalla sentenza di primo grado – e adeguatamente valorizzato in ricorso – costituito dalla esistenza di fatto della suddivisione della villetta in due unità già godute distintamente dai due nuclei familiari. Esso rilevava ai fini dell’ usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso, fattore di giudizio sottolineato dalla giurisprudenza sul tema.
Ed era ancor più esaltato dalla circostanza (ricorso pag. 20) che era stata presentata domanda di condono (risultante tra i documenti prodotti al c.t.u.) con la quale evidentemente si tendeva a regolarizzare quella suddivisione di fatto già attuata.
Altrettanto erroneo è il riferimento alla alterazione della originaria destinazione del bene, rilevante sotto il profilo urbanistico. Vi è qui l’applicazione inesatta dei concetti invocati a ipotesi del tutto estranee.
La destinazione unifamiliare o bifamiliare di un alloggio non ne muta la destinazione urbanistica, che rimane intesa a fini abitati vi e non trasforma l’uso dell’ immobile (in uso commerciale o industriale), come si verifica quando c’è mutamento urbanistlco. Né il mutamento di tipologia della villetta può incidere in alcun modo sulla comoda divisibilità, restando altrimenti preclusa abitualmente la suddivisione di un immobile inizialmente unitario, in offesa alla regola della divisione – ove possibile – in natura, come il ricorso puntualmente evidenzia.
E’ comunque, vizio motivazionale palese stabilire la impossibilità urbanistica del frazionamento senza un esame dettagliato della consulenza o suo approfondimento.
Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso quanto a tutti i motivi.
Resta assorbito il ricorso incidentale, che verte in materia di spese di lite.
La sentenza va cassata e la cognizione rimessa ad alta sezione della Corte di appello di Bari, che provvederà a nuovo esame, ripercorrendo la motivazione in ordine ai fatti controversi trattati in questo giudizio, facendo applicazione dei principi normativi enunciati da Cass. 12406/07 e 12498/06 e previa utilizzazione dei documenti di cui al primo motivo, esclusi dal giudizio in violazione di norma procedimentale.
Liquiderà le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata
e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bari, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità
Leave a Reply