Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 19 aprile 2018, n. 9675.
Spetta all’amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, provare, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquisto’ il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioe’ che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; ove l’amministrazione abbia assolto a tale onere probatorio, passa poi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria. Quanto meno nella ipotesi – piu’ semplice e comune – di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare, caratterizzata dalla interposizione di un soggetto italiano – fittizio – nell’acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente), il detto onere probatorio dell’amministrazione ben puo’ esaurirsi nella prova che il soggetto interposto e’ privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (e’, cioe’, una cartiera), costituendo cio’, di per se’, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiche’ l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa ne’ assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con la conseguenza che, in tal caso, sara’ poi il contribuente a dover provare – ipotesi poco verosimile, ma in assoluto da non potersi escludere – di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri.
Sentenza 19 aprile 2018, n. 9675
Data udienza 19 dicembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6018-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 47/2009 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di SALERNO, depositata il 12/02/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. ANDRONIO ALESSANDRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA che ha concluso per l’accoglimento del 1, 2 e 3 motivo di ricorso.
udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto in via principale l’inammissibilita’ in subordine infondatezza.
RITENUTO IN FATTO
1. – La CTP di Avellino ha parzialmente accolto i ricorsi proposti dalla societa’ contribuente avverso avvisi di accertamento per IVA, IRPEG, IRAP, relativi agli anni d’imposta 2002, 2003, 2004, emessi in conseguenza della ritenuta effettuazione di operazioni inesistenti con la (OMISSIS) s.r.l.. Secondo la ricostruzione dell’amministrazione finanziaria, tale ultima societa’ era stata istituita al solo scopo di consentire ai suoi clienti di acquistare a un prezzo inferiore a quello di mercato, e con Iva a credito, prodotti neutri ai fini Iva, per frodare il fisco. Ad avviso dei giudici di primo grado, che si sono pronunciati con tre distinte sentenze, di analogo contenuto, gli avvisi di accertamento devono essere ritenuti legittimi limitatamente al profilo inerente all’Iva, mentre devono essere ritenuti illegittimi in relazione al reddito di impresa, in conseguenza dell’effettiva esistenza dei costi sostenuti.
2. – Le sentenze di primo grado sono state impugnate dalla societa’ contribuente, sul rilievo che la documentazione in atti avrebbe confermato la regolarita’ dell’acquisto e del pagamento della merce oggetto delle fatture emesse dalla (OMISSIS) s.r.l. In particolare, gli elementi indiziari forniti dall’amministrazione non avrebbero il carattere di presunzioni gravi, precise e concordanti.
L’amministrazione finanziaria si e’ costituita nei giudizi di appello, resistendo alla pretesa di controparte, e proponendo appello incidentale, con cui – per quanto qui rileva sostiene la correttezza dell’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui l’Iva per operazioni inesistenti e’ indetraibile e il contribuente, su cui grava l’onere di prova contraria, non ha comunque fornito tale prova. Ha chiesto che la sentenza di primo grado fosse riformata nel merito, con dichiarazione di piena legittimita’ dell’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2004.
3. – La CTR di Napoli, riuniti i giudizi, ha ritenuto fondati gli appelli della societa’ contribuente, affermando l’insufficienza degli elementi in atti, sia ai fini della prova dell’affermata “inesistenza del soggetto con cui le operazioni commerciali in contestazione erano state concluse”, sia ai fini della ritenuta connivenza della societa’ appellante – cessionaria con la cedente. Si evidenzia, in particolare, che la circostanza che le operazioni contestate si siano effettivamente svolte risulta coperta dal giudicato interno, in ragione della mancata impugnazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del capo della sentenza di primo grado che ha riconosciuto la deducibilita’ dei relativi costi ai fini della determinazione del reddito d’impresa. In conclusione, ritenuta sussistente la prova dell’inerenza delle operazioni svolte rispetto all’attivita’ esercitata dalla societa’ contribuente, la CTR ha riconosciuto il diritto alla detrazione, annullando in toto gli avvisi di accertamento e condannando l’amministrazione finanziaria al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
4. – Avverso la sentenza di secondo grado l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.
4.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce la violazione dell’articolo 2909 c.c., sul rilievo che, al momento della pronuncia della decisione impugnata, non era ancora passata in giudicato la sentenza della CTP di Avellino 422/5/07, ormai definitiva, con la quale si e’ affermato che la (OMISSIS) s.r.l. ha natura di societa’ di comodo, interposta fra i reali cedenti e i reali destinatari, al fine di consentire alle societa’ acquirenti di beneficiare di indebiti crediti di Iva, attraverso il rilascio di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. La ricorrente fa presente che, pur essendo tale sentenza resa nei confronti del preteso cedente e la sentenza impugnata nel presente procedimento resa nei confronti del preteso cessionario, la natura comunitaria dell’IVA non consente un conflitto di accertamenti. Dunque, a fronte dell’accertamento contenuto nella richiamata sentenza della CTP di Avellino, la motivazione della sentenza impugnata dovrebbe essere ritenuta a maggior ragione insufficiente, perche’ basata su dati irrilevanti, quali la regolare emissione e registrazione delle fatture e l’effettivita’ del pagamento.
4.2. – Con una seconda doglianza, strettamente collegata alla prima, si deduce l’insufficienza della motivazione della sentenza con riferimento alla valutazione della mancanza di organizzazione commerciale della societa’ cedente, confermata dalla circostanza che la stessa ha continuato a operare, utilizzando documentazione apparentemente sottoscritta dal suo legale rappresentante, anche nel periodo in cui quest’ultimo era detenuto. Non si sarebbero considerate, sul punto, le risultanze del processo verbale di constatazione.
4.3. – In terzo luogo, si deduce la violazione dell’articolo 112 c.p.c., sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe annullato in toto gli accertamenti anche riguardo alle “riprese sul “regime del margine”, senza che essi avessero formato oggetto di appello”.
4.4. – Con una quarta censura, si sostiene che le sentenze di primo grado appellate avevano riconosciuto la deducibilita’ dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini IRPEG e IRAP, senza considerare che con l’appello si era contestato che i costi per fatture soggettivamente inesistenti potessero essere dedotti. Da tale avvenuta contestazione deriverebbe – secondo la prospettazione della ricorrente – l’erroneita’ dell’affermazione della CTR secondo cui si sarebbe formato il giudicato interno sulla circostanza che le operazioni contestate si siano realmente svolte.
4.5. – Si contesta, infine, l’assorbimento, da parte della sentenza impugnata, della questione relativa alla incompatibilita’ del “condono tombale” di cui alla L. n. 289 del 2002, articolo 9, con il diritto comunitario; incompatibilita’ peraltro riconosciuta nelle sentenze di primo grado in relazione alle operazioni, ritenute soggettivamente inesistenti, oggetto degli avvisi di accertamento.
5. – Si e’ costituita in giudizio, con controricorso, la societa’ contribuente, rilevando, in primo luogo, che l’atto qualificato dalla controparte come “appello incidentale” era in realta’ un semplice atto di controdeduzioni, perche’ non conteneva nessuna sostanziale contestazione in relazione al capo della sentenza di primo grado concernente le imposte dirette che aveva visto la soccombenza dell’amministrazione finanziaria.
Si eccepisce, poi, l’inammissibilita’ del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, per la mancanza di compiuti riferimenti all’atto di accertamento e di circostanziate critiche all’interpretazione data dalla CTR delle risultanze istruttorie. Mancherebbe, inoltre, l’indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso stesso. Quanto al primo motivo di doglianza, si sostiene l’inapplicabilita’ alla fattispecie in esame dell’articolo 2909 c.c., sul rilievo che tale disposizione richiede espressamente che vi sia identita’ delle parti affinche’ si possa estendere l’efficacia del giudicato. Quanto al merito, si sostiene che l’amministrazione finanziaria non avrebbe adeguatamente contestato le risultanze della perizia giurata dalla quale erano emersi gli elementi a sostegno dell’effettivita’ delle prestazioni portate dalle fatture in contestazione. In diritto, si aderisce alla tesi, fatta propria dalla CTR, secondo cui la responsabilita’ del cessionario deve essere circoscritta alle sole ipotesi in cui acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere che il suo acquisto si inseriva in una catena di operazioni dirette a frodare l’IVA; ipotesi non ricorrente nel caso in esame. Quanto al giudicato interno circa l’effettivita’ e la deducibilita’ dei costi ai fini delle imposte dirette, la CTR avrebbe correttamente tenuto conto dell’assoluta genericita’ della contestazione contenuta nell’atto d’appello sul punto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6. – Il ricorso e’ fondato.
6.1. – La quarta censura deve essere trattata per prima, in quanto logicamente prioritaria. Con essa, infatti, la ricorrente sostiene che le sentenze di primo grado appellate avevano riconosciuto la deducibilita’ dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini IRPEG e IRAP, senza considerare che con l’appello si era contestato che i costi per fatture soggettivamente inesistenti potessero essere dedotti. Da tale avvenuta contestazione la stessa ricorrente fa discendere l’erroneita’ dell’affermazione della CTR secondo cui si sarebbe formato il giudicato interno sulla circostanza che le operazioni contestate si siano realmente svolte.
La doglianza e’ fondata. Dalla lettura dell’appello incidentale (pag. 4, punto 4, richiamato nel ricorso per cassazione), emerge che l’amministrazione finanziaria aveva contestato non solo il dato giuridico della ritenuta deducibilita’ dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini IRPEG e IRAP, ma anche la circostanza fattuale dell’effettiva esistenza dei costi per dette operazioni. Non e’ dunque corretta l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la circostanza che le operazioni contestate si siano effettivamente svolte risulterebbe coperta dal giudicato interno.
6.2. – I primi due motivi di ricorso – che devono essere trattati congiuntamente, perche’ attengono entrambi alla valutazione della natura di “cartiera” della cedente (OMISSIS) s.r.l. e alla conseguente insussistenza del diritto del contribuente cessionario a portare in detrazione l’IVA pagata sulle fatture emesse da detta societa’ – sono anche essi fondati.
6.2.1. – Deve preliminarmente ribadirsi che spetta all’amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, provare, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquisto’ il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioe’ che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; ove l’amministrazione abbia assolto a tale onere probatorio, passa poi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (ex multis, Cass., Sez. 5, n. 23560 del 20/12/2012, Rv. 624737 – 01). Deve, al riguardo, precisarsi che, quanto meno nella ipotesi – piu’ semplice e comune – di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare, caratterizzata dalla interposizione di un soggetto italiano – fittizio – nell’acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente), il detto onere probatorio dell’amministrazione ben puo’ esaurirsi nella prova che il soggetto interposto e’ privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (e’, cioe’, una cartiera), costituendo cio’, di per se’, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiche’ l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa ne’ assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con la conseguenza che, in tal caso, sara’ poi il contribuente a dover provare – ipotesi poco verosimile, ma in assoluto da non potersi escludere – di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri (ex plurimis, Sez. 5, n. 24426 del 30/10/2013, Rv. 629420 – 01; Sez. 5, n. 6229 del 13/03/2013, Rv. 625538 – 01). E non e’ in ogni caso sufficiente la mera regolarita’ della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti (ex plurimis, Sez. 5, n. 17818 del 09/09/2016, Rv. 640767 – 01).
6.2.2. – Come evidenziato dall’amministrazione finanziaria ricorrente, con puntuali richiami agli atti di causa ritenuti rilevanti, tali principi non sono stati correttamente applicati nei caso in esame, che rappresenta una tipica fattispecie di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare. Infatti la CTR, pur avendo preso in considerazione tutti gli elementi di fatto a sua disposizione, non ha compiutamente valutato il dato della non operativita’ della (OMISSIS) s.r.l., che si evince con chiarezza dalla stessa ricostruzione del quadro probatorio operata nella sentenza impugnata. Dagli atti emerge, infatti, che: il legale rappresentante di tale societa’ non e’ stato in grado di dare contezza dell’attivita’ svolta dalla stessa; la societa’ non aveva effettuato alcun versamento Iva; la societa’ non aveva alcuna organizzazione commerciale a supporto della movimentazione di merci effettuata; la societa’ aveva una contabilita’ pesantemente irregolare; la societa’ svolgeva la sua attivita’ commerciale, producendo assegni a firma del legale rappresentante, anche nel periodo in cui quest’ultimo era detenuto; vi e’ la prova dell’esistenza di merce consegnata direttamente da terzi alla societa’ cessionaria e fatturata dalla (OMISSIS) s.r.l., che si era dunque interposta fittiziamente nell’acquisto; vi e’ prova di rapporti tra tale (OMISSIS), che operava per conto della (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.p.a., essendo un soggetto dipendente e procuratore speciale di tale ultima societa’.
A fronte di questi elementi di prova, che evidenziano sia l’inesistenza della societa’ supposta cedente, sia un rilevantissimo grado di commistione tra tale societa’ e la societa’ pretesa cessionaria, la CTR avrebbe potuto ritenere sussistente la buona fede in capo al legale rappresentante della societa’ cessionaria solo in presenza di rilevanti elementi di segno contrario. E tali non possono essere – secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte – la mera regolarita’ della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, ne’, tantomeno, la formale esistenza del soggetto cedente. Ne’ emergono dal quadro istruttorio, come delineato nella sentenza impugnata e negli atti di parte, ulteriori elementi che avrebbero consentito di giungere alle conclusioni cui e’ giunta la CTR. E la chiarezza dei dati emersi rende addirittura superfluo il richiamo, operato dalla ricorrente alla sentenza della CTP di Avellino 422/5/07, ormai definitiva, con la quale si e’ affermato che la (OMISSIS) s.r.l. ha natura di societa’ di comodo.
6.3. – L’accoglimento dei primi due e del quarto motivo di ricorso comporta l’assorbimento del terzo, in quanto riferito alla statuizione della CTR sulle “riprese sul “regime del margine”, che viene meno in conseguenza dell’integrale cassazione della sentenza di secondo grado. Comporta altresi’ l’assorbimento del quinto motivo riferito al “condono tombale” di cui alla L. n. 289 del 2002, articolo 9, la cui inapplicabilita’ nel caso di specie, oltre a essere pacifica, e’ gia’ stata affermata nella sentenza di primo grado.
7. – La sentenza impugnata deve essere dunque cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale di Napoli, in diversa composizione, perche’ proceda a nuovo giudizio, anche ai fini delle spese, tenendo conto dei principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
Cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale di Napoli, in diversa composizione.
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