Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 27 luglio 2017, n. 37430

Esclusa la tenuità del fatto per il gestore del locale pubblico nel quale sono riscontrate carenze igienico sanitarie

Sentenza 27 luglio 2017, n. 37430
Data udienza 4 aprile 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – rel. Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/10/2015 del Tribunale di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Claudio Cerroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Romano Giulio, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 ottobre 2015 il Tribunale di Milano ha condannato (OMISSIS) alla pena, sospesa, di Euro 7000 di ammenda per i reati di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, articolo 5, lettera b) e articolo 6.

2. Avverso la predetta decisione l’imputata ha proposto appello con due motivi di impugnazione.

2.1. In particolare, col primo motivo l’odierna ricorrente ha dedotto il vizio di omessa motivazione, atteso che il Tribunale non aveva in alcun modo giustificato la mancata applicazione dell’istituto di cui all’articolo 131-bis c.p., nonostante che, su concorde istanza delle parti, fosse stata acquisita la documentazione al fine proprio di valutare l’applicabilita’ di tale istituto.

Nel merito, la richiesta doveva considerarsi ammissibile tanto per il limite edittale della pena, quanto per l’inesistenza di danno a terzi, nonche’ per la collaborazione prestata in sede di controllo operato dai militi dei Nas, quanto infine per l’incensuratezza dell’interessata. Doveva quindi essere accolta l’istanza assolutoria.

2.2. Col secondo motivo era censurata l’eccessivita’ della pena. In ogni caso avrebbero potuto essere concesse le attenuanti generiche nonche’, infine, poteva essere riconosciuta la non menzione della condanna.

Il fascicolo e’ stato in seguito trasmesso dalla Corte di Appello di Milano a questa Corte, stante l’inappellabilita’ della decisione.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso e’ inammissibile.

4.1. L’odierna ricorrente aveva richiesto al Tribunale di Milano l’applicazione dell’istituto di cui all’articolo 131-bis c.p..

In proposito, la norma invocata stabilisce che la punibilita’ e’ esclusa quando, per le modalita’ della condotta e per l’esiguita’ del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, comma 1, l’offesa e’ di particolare tenuita’ e il comportamento risulta non abituale. In particolare, l’offesa non puo’ essere ritenuta di particolare tenuita’ quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudelta’, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’eta’ della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Mentre il comportamento e’ abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso piu’ reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita’, nonche’ nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Atteso cio’, vero e’ che all’evidenza non si rientra nelle ipotesi di esclusione obbligatoria della valutazione di particolare tenuita’, ed e’ altrettanto vero che formalmente il primo Giudice non ha risposto espressamente all’istanza. Cio’ non toglie, peraltro, che l’esame del provvedimento impugnato sia del tutto univoco, nel senso che il Giudice milanese ha effettivamente disatteso la richiesta.

Al riguardo, infatti, e’ stato gia’ affermato che in tema di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, di cui all’articolo 131-bis c.p., quando la sentenza impugnata e’ anteriore all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, l’applicazione dell’istituto nel giudizio di legittimita’ presuppone che le condizioni di applicabilita’ dello stesso non siano state escluse dal giudice di merito, in termini espliciti o impliciti, nella ricostruzione della fattispecie e nelle valutazioni espresse in sentenza (Sez. 6, n. 51615 del 09/11/2016, Caboni, Rv. 268557).

D’altronde e’ stato ulteriormente precisato che la causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto e’ rilevabile d’ufficio in qualsiasi fase e stato del giudizio, salva la eventuale formazione del giudicato, anche implicito, idoneo ad escludere la qualificazione del fatto in termini di particolare tenuita’ (Sez. 3, n. 6870 del 28/04/2016, dep. 2017, Fontana, Rv. 269160).

Se quindi non vi e’ stata pronuncia esplicita di rigetto, non sussistono ostacoli al rilievo che il Tribunale ha rigettato la richiesta.

In proposito, infatti, il provvedimento impugnato ha dato atto delle “gravi carenze di natura igienico-sanitaria e strutturale”, esistenti nel locale pubblico dell’odierna ricorrente, nonche’ del fatto che, all’esito del rinvenimento di alcuni prodotti alimentari ovvero destinati alla preparazione di dolci, “tutti tali prodotti venivano trovati in cattivo stato di conservazione perche’ vi era sporco diffuso in tutti e due i locali”. A cio’ ha fatto seguito accurata descrizione, neppure specificamente contestata, delle deplorevoli condizioni dei locali sotto il profilo igienico.

Anche a prescindere quindi dal tenore formale della contestazione, le modalita’ della condotta ascrivibili all’imputata apparivano del tutto negative, ed il rigetto quantomeno implicito dell’applicazione dell’istituto di cui all’articolo 131-bis cit. appare non revocabile in dubbio.

4.2. In relazione poi al secondo motivo di impugnazione, vero e’ che la pena, tra l’altro pecuniaria laddove era prevista anche la sanzione detentiva in via alternativa, si e’ mantenuta in realta’ molto piu’ vicina al minimo (Euro 309) che al massimo edittale (Euro 30.987). Atteso cio’, in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283). Ed il primo Giudice si e’ pienamente attenuto al riguardo (“valutati i criteri di cui all’articolo 133 c.p. pena equa deve ritenersi quella di Euro 7000 di multa”, rectius ammenda, come correttamente riportato in dispositivo).

Per quanto poi concerne la mancata concessione delle attenuanti generiche, siffatta concessione deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliero, Rv. 266460). Del pari, le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioe’ tra le circostanze da valutare ai sensi dell’articolo 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piu’ incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, Vernucci, Rv. 260054). Nulla, in specie, e’ stato invece allegato in proposito.

In ordine infine, all’invocato beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, detta richiesta non risulta formulata in primo grado, come si evince dalle non contestate conclusioni siccome riassunte nell’intestazione del provvedimento impugnato. Ne’ in sede di appello e’ stato dedotto motivo alcuno in forza del quale detto beneficio avrebbe dovuto essere concesso.

Alla stregua di tali rilievi, non vi e’ dubbio che, nel caso in cui l’imputato abbia invocato la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e il giudice non abbia preso in considerazione tale richiesta, omettendo qualsiasi motivazione sul punto, la sentenza impugnata con ricorso per cassazione, deve essere annullata con rinvio, non potendo il predetto beneficio essere direttamente applicato dalla Corte di legittimita’, poiche’ la questione involge valutazioni di merito anche laddove il giudicante abbia gia’ concesso la sospensione condizionale della pena, avendo i due istituti scopi e fondamenti giuridici diversi (Sez. 3, n. 20264 del 03/04/2014, Cangemi e altro, Rv. 259667). Ma in specie, da un lato, il richiesto beneficio non risulta essere stato invocato avanti al Giudice del merito e, dall’altro, neppure in questa sede sono state allegate le ragioni per le quali avrebbe dovuto darsi corso a siffatta tutela rafforzata dell’imputata.

Infatti, il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e’ diverso da quello della sospensione condizionale della pena perche’, mentre quest’ultima ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilita’ di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilita’ di revoca, un’efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo persegue lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicita’ quale particolare conseguenza negativa del reato, sicche’ non e’ contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione dell’altro (Sez. 6, n. 34489 del 14/06/2012, Del Gatto, Rv. 253484).

Al contrario, la ricorrente si e’ invece limitata a richiedere, come mero automatismo, “oltre al beneficio della sospensione condizionale della pena anche quello della non menzione della condanna sul casellario giudiziale” (cfr. pag. 6 ricorso).

5. I motivi di ricorso, quindi, appaiono manifestamente infondati, e ne va quindi rilevata l’inammissibilita’.

Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella

determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria

dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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