In tema di evasione dagli arresti domiciliari, per abitazione deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non ne costituiscano parte integrante.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
SENTENZA 28 marzo 2017, n.15496
Ritenuto in fatto
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Asti in composizione monocratica ha assolto L.C. dall’accusa di evasione dagli arresti domiciliari (art. 385 cod. pen.), dichiarando insussistente il reato perché l’imputato certamente sorpreso fuori della propria abitazione ma all’interno di un piazzale antistante alla sua villetta e comune ad altre unità abitative.
Avverso la decisione ha proposto ricorso immediato per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti, che deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 385 cod. pen. ed illogicità della motivazione.
In particolare, il ricorrente sostiene che l’abitazione da cui la persona non può allontanarsi deve intendersi come quella in cui essa svolge la propria vita domestica e privata, con esclusione di appartenenze (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non siano strettamente attigue o pertinenti (cioè annesse) all’abitazione, dalla quale siano immediatamente raggiungibili senza alcuna soluzione di continuità, senza cioè attraversare spazi non riconducibili all’esercizio della vita domestica e privata.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Con l’impugnazione proposta il Procuratore della Repubblica di Asti pone il tema dell’estensione spaziale del luogo deputato a domicilio coatto, più volte affrontato dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione in termini in genere rigoristici, nel senso che “per abitazione deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non ne costituiscano parte integrante, Sez. 6, sent. n. 3212 del 18/12/2007, dep. 2008, PM in proc. Perrone, Rv. 238413; Sez. 6, sent. n. 15741 del 07/01/ 2003, Favero, Rv. 22680; Sez. 6, sent. n. 9988 del 09/07/1993, Iovanovic, Rv. 196177 in fattispecie riguardante roulotte ubicata all’interno di campo nomadi e non massimate Sez. 6 sent. del 25/01/2012, Di Liberto e Di Tullio; Sez. 6 sent. del 11/07/2012, Graziano; Sez. 6 sent. del 24/09/2012 Momodou; Sez. 6 sent. del 05/02/2013, Di Nino).
Limitate eccezioni sono state individuate nei casi in cui sussista continuità spaziale tra abitazione ed ambito accessorio, affermandosi “che non può essere escluso dal concetto di abitazione un’area condominiale, un giardino o un cortile che non presentino soluzioni di continuità con la medesima” (Sez. 6, sent. n. 4143 del 17/01/2007, Bompressi, Rv. 236570 e Sez. 6 del 10/07/2014, Sgura non massimata), con previsione di un’eccezione all’eccezione per cui “le aree in questione vanno escluse se di libero e accesso ed uso da parte di altri come i condomini o a fortiori i terzi” (Sez. 6 del 25/09/ 2014, Peritore non massimata).
Altre volte ancora sono state prese in considerazione le nozioni di stretta pertinenza (Sez. 6, sent. n. 5770 del 10/02/1995, Chimenti, Rv. 201670; Sez. 6, sent. n. 11000 del 04/10/1994, Bulgarini, Rv. 199932) e di pertinenza esclusiva (Sez. 1, sent. n. 17962 del 30/03/2004, Maritan, Rv. 228292), ma esse esulano dallo specifico tema delimitato dal ricorso e cioè se possa esservi soluzione di continuità tra spazio abitativo in senso stretto ed ambiti accessori di diversa natura.
A tale fine si ritiene che se “il fine primario e sostanziale della misura coercitiva (…) è quello di impedire i contatti con l’esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni” (Sez. 6, sent. n. 4830 del 21/10/2014, PM in proc. Capkevica, Rv. 262155), ne consegue che, come propugnato dal ricorrente, la delimitazione dell’ambito destinato allo svolgimento della misura coercitiva o alla detenzione domiciliare è incompatibile con l’attraversamento di spazi non riconducibili all’esercizio della vita domestica e privata del soggetto ristretto.
Ribadendosi, inoltre, quanto affermato in precedenti decisioni (Sez. 6, sent. n. 16098 del 18/03/2016, Trani e Sez. 6 n. 18542 del 28/10/2016, Di Carlo non massimate), la piena equiparazione stabilita dall’ordinamento tra arresti domiciliari e custodia cautelare in carcere (art. 284, comma 5 cod. proc. pen.) postula che la misura domiciliare si svolga, per quanto possibile, secondo modalità analoghe rispetto a quelle proprie della misura carceraria, dovendosi perciò dare esclusiva rilevanza allo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa indicata come domicilio dall’interessato ed autorizzata dal giudice, mimesi in senso giuridico dello spazio concluso tipico della detenzione in ambito penitenziario, utilizzata in funzione delle esigenze di vita ed affettive dell’indagato o del condannato e suscettibile come tale di consentire deroghe solo in relazione a quegli ambiti parzialmente aperti (balconi, terrazzi) o scoperti (cortili interni, chiostrine e simili) pur sempre costituenti parte integrante dell’unità immobiliare di riferimento.
S’impone, pertanto, in accoglimento dell’impugnazione del PM, l’annullamento della sentenza con rinvio alla corte d’appello competente per il giudizio di secondo grado (art. 569 comma 4 cod. proc. pen.).
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte di Appello di Torino
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