SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza  31 gennaio 2012, n. 4064

 

In fatto e in diritto

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di L.A. avverso l’ordinanza del Tribunale di Lecce in funzione ex art. 310 c.p.p., che, in accoglimento dell’appello del P.M. avverso l’ordinanza di rigetto di aggravamento emessa dal GIP del Tribunale di Brindisi in data 21.4.2011, disponeva la sostituzione nei confronti di L.A. della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia in carcere, a seguito dell’accertata violazione della divieto di comunicare con persone diverse da quelle con lui coabitanti o che lo assistono, essendo stato colto in collegamento telematico via Web con il coimputato (del delitto di cui all’art. 73 dPR 309/90) T. Deduce il vizio motivazionale con riferimento alla valutazione della gravità della condotta di cui all’art. 276 c.p.p.

Assume che nella prescrizione del divieto di comunicare si sarebbe dovuto specificare che in esso era compreso anche quello della comunicazione “a distanza” e che comunque sul punto il L. aveva fornito una spiegazione della trasgressione compiuta, tramite una missiva prodotta nel corso dell’udienza camerale, sulla quale il Tribunale non aveva inteso spendere nemmeno una parola. Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate. Invero, è lo stesso ricorrente a richiamare la pronuncia di questa Corte (Sez. II, n. 37151 del 29.9.2010, non massi ma ta nel CED), secondo la quale “Il divieto di comunicare con terze persone, estranee ai familiari conviventi vale anche per le comunicazioni tramite internet sul sito Facebook, ma l’uso di internet non è illecito quando assume una mera funzione conoscitiva”.

Il Tribunale ha correttamente valutato il tenore illecito della conversazione telematica svoltasi tra il T. ed il L. vertendo sul programma criminoso da attuare in occasione della liberazione di altro complice ristretto in carcere, traendone elementi per apprezzamento della gravità della condotta.

Né il giudice a quo aveva bisogno di dare una risposta anche al contenuto della missiva del ricorrente prodotta nel corso dell’udienza, in quanto, (Cass. pen. Sez. IV, 24 ottobre 2005, n. 1149, Rv. 233187) “nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette”.

Del resto, riguardo ai limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti “de libertate”, secondo giurisprudenza consolidata, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, tra cui la rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. pen. Sez. VI n. 2146 del 25.5.1995, Rv. 201839).

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00. Si deve disporre, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Tribunale Distrettuale del riesame perché provveda a quanto stabilito dall’art. 92 Disp. att. c.p.p. e mandare alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Tribunale Distrettuale del riesame perché provveda a quanto stabilito dall’art. 92 Disp. att. c.p.p.
Manda alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.

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