Peculato per appropriazione a carico del soggetto autorizzato alla riscossione delle tasse che non versa il denaro ricevuto: le somme entrano infatti nella disponibilità della Pa nel momento stesso della consegna all’incaricato.

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 3 novembre 2016, n. 46235

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CONTI Giovanni – Presidente
Dott. MOGINI Stefano – rel. Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1984/2015 pronunciata dalla Corte di appello di Salerno il 13/11/2015;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MOGINI Stefano;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Di Leo Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. (OMISSIS) ricorre per mezzo del suo difensore di fiducia avverso la sentenza in epigrafe, che ha confermato quella di primo grado con la quale era stato ritenuto responsabile del delitto di peculato continuato per essersi appropriato, in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) S.p.a., concessionaria del servizio di riscossione tributi del Comune di Montecorvino Rovella, della somma di 48.683 Euro appartenente a detto Comune, di cui disponeva in ragione del servizio, in particolare omettendo di riversare all’ente locale il denaro riscosso dai contribuenti a titolo di imposta comunale sulla pubblicita’ e di diritti sulle pubbliche affissioni.

2. Il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando:

a) carenza, apparenza e illogicita’ della motivazione in relazione alla sussistenza della fattispecie di cui all’articolo 314 c.p., in quanto, conformemente a quanto dedotto con specifici motivi di appello, l’omesso versamento all’ente locale dei tributi comunali riscossi dalla societa’ per azioni concessionaria rappresenta un mero inadempimento alle obbligazioni contrattuali da questa assunte, non potendo i tributi locali essere equiparati a quelli di competenza dell’amministrazione finanziaria centrale e i rapporti tra ente pubblico e concessionario essere qualificati univocamente come rapporto di servizio. L’obbligo giuridico di riversamento delle somme riscosse e le sue modalita’ di attuazione discenderebbero dal contratto e non assumerebbe natura pubblicistica, sicche’ quelle somme non apparterrebbero all’ente pubblico fin dal momento della riscossione.

b) motivazione mancante e apodittica in ordine alla ritenuta sussistenza del dolo del delitto di peculato, invero da escludersi avendo il ricorrente sottoscritto i prospetti riepilogativi delle somme da versare all’ente, con cio’ dimostrando di essere consapevole della natura pubblica delle somme riscosse, destinate a rientrare nella disponibilita’ dell’ente locale sulla base di un rapporto gestorio di natura privatistica, e di avere la volonta’ non gia’ di “convertire” il denaro pubblico in denaro proprio, bensi’ di utilizzarlo unicamente per far fronte alla crisi aziendale cui si trovava soggetta la societa’ di cui era amministratore e rappresentante legale.

3. Entrambi i motivi di ricorso sono inammissibili poiche’ rappresentano la mera riproposizione di doglianze di merito alle quali la sentenza impugnata, contrariamente agli assunti del ricorrente, ha fornito risposta puntuale ed esauriente, del tutto immune da vizi logici e giuridici (cfr. in particolare pp. 4-5, ove congrua giustificazione dell’attribuzione al ricorrente della qualifica di incaricato di pubblico servizio in base alla natura pubblica delle somme riscosse dall’operatore privato a titolo di imposta comunale sulla pubblicita’ e di diritti sulle pubbliche affissioni, non avendo al proposito rilievo la natura – pubblica o privata – del rapporto giuridico intercorrente tra l’ente impositore e il concessionario; nonche’ pp. 5-6 in ordine alla ritenuta sussistenza in capo al ricorrente della consapevolezza circa la natura pubblica del denaro riscosso consapevolezza invero ammessa dallo stesso ricorrente – e della sua volonta’ di appropriarsene, utilizzandolo uti dominus come denaro proprio della societa’ da lui amministrata per far fronte ai debiti da questa contratti).

Il Collegio sottolinea al riguardo che l’articolo 358 c.p.p., definisce l’incaricato di un pubblico servizio come colui che, a qualunque titolo, presta un servizio pubblico, a prescindere da qualsiasi rapporto d’impiego con un determinato ente pubblico.

Il legislatore del 1990 (L. 26 agosto 1990, n. 86, articolo 18), nel delineare la nozione di incaricato di pubblico servizio, ha privilegiato il criterio oggettivo – funzionale, utilizzando la locuzione “a qualunque titolo” ed eliminando ogni riferimento, contenuto invece nel vecchio testo dell’articolo 358 c.p.p., al rapporto d’impiego con lo Stato o altro ente pubblico. Non si richiede, quindi, che l’attivita’ svolta sia direttamente imputabile a un soggetto pubblico, essendo sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalita’ pubbliche.

Il capoverso dell’articolo 358 c.p.p., esplicita il concetto di servizio pubblico, ritenendolo formalmente omologo alla funzione pubblica di cui al precedente articolo 357, ma caratterizzato dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima (poteri deliberativi, autoritativi o certificativi). Il parametro di delimitazione esterna del pubblico servizio e’ dunque identico a quello della pubblica funzione ed e’ costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l’operativita’ dell’agente o ne disciplina la discrezionalita’ in coerenza con il principio di legalita’, con esclusione in ogni caso dall’area pubblicistica delle mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale (tra tante, Sez. 6, n. 39359 del 7.3.2012, Ferrazzoli, Rv. 254337).

Alla luce dei principi esposti, deve ritenersi, avallando sostanzialmente il discorso giustificativo della sentenza in verifica, che l’amministratore e legale rappresentante di una societa’ per azioni che gestisce il servizio di riscossione di tributi comunali rivesta la qualita’ di incaricato di pubblico servizio, a prescindere dalla natura privata di tale societa’, in considerazione della indubbia connotazione pubblicistica di quel servizio.

Tale attivita’ si caratterizza, infatti, per la diretta inerenza al preminente interesse generale alla corretta riscossione delle entrate tributarie dell’ente locale, che ne e’ titolare in virtu’ del potere impositivo a lui riconosciuto dalla legge.

Sicche’ l’attivita’ in concreto svolta al riguardo dal ricorrente, di carattere intellettivo e non meramente esecutivo o d’ordine, pur senza i poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, attiene a bisogni di pubblico interesse non aventi carattere industriale o commerciale, il cui soddisfacimento e’ perseguito istituzionalmente secondo modalita’ e forme determinate, a monte del contratto stipulato con il concessionario, da regolamentazione di natura pubblicistica, rientrando cosi’ nell’alveo della prestazione di pubblico servizio, quale definita all’articolo 358 c.p..

Pertanto, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto integrare il delitto di peculato per appropriazione la condotta del soggetto autorizzato alla riscossione delle tasse che omette di versare le somme di denaro ricevute nell’adempimento della funzione pubblica di riscossione, atteso che quel denaro entra nella disponibilita’ della P.A. nel momento stesso della consegna all’incaricato dell’esazione e l’imputazione delle somme incassate dai contribuenti alla copertura di carichi di altra natura, diversi da quelli per i quali erano state ricevute, realizza la condotta appropriativa di cui all’articolo 314 c.p., (Sez. 6, n. 45082 del 01/10/2015, Marrocco, Rv. 265342; Sez. 6, n. 17616 del 27/03/2008, Pizza e altri, Rv. 240068).

All’inammissibilita’ del ricorso conseguono le pronunce di cui all’articolo 616 c.p.p.. In considerazione della natura delle questioni proposte il Collegio stima equo quantificare in Euro 1.500,00 la somma che il ricorrente dovra’ versare alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende

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