Ai fini del reato ex art. 727 c.p., la detenzione penalmente rilevante è quella attuata in condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttiva di gravi sofferenze, sicché il parametro normativo della natura degli animali, in base al quale la condotta di detenzione assume valenza illecita, richiede, per le specie più note (come ad esempio ai cani, gatti, cavalli), che ci si riferisca al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
SENTENZA 3 novembre 2016, n.46144
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 2 aprile 2015, il Tribunale di Chieti, sez. distaccata di Ortona condannava V. C. per il reato di cui all’art. 727 comma 2° c. p.
Al prevenuto era contestato, quale titolare della ditta ‘Circo Victor’, di aver detenuto una pluralità di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze.
Affermava il giudice di primo grado che, sulla scorta di una serie di incontestate carenze (mancanza di luce naturale, mancanza di acqua per alcune specie di animali, uniformità della temperatura all’interno della struttura, dimensioni obiettivamente insufficienti delle gabbie), dovesse reputarsi raggiunta la prova delle sofferenze patite dagli animali ristretti in cattività. D’altronde, la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura avrebbe reso rilevante anche la mera negligenza, ricondotta al sovraffollamento degli ambienti.
Ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il C., sulla scorta di due motivi [violazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p. riguardo all’elemento oggettivo del reato; violazione dell’art. 606 lett. b) con riguardo alla disposta confisca].
Considerato in diritto
Mediante il primo motivo, il ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe desunto la prova della condotta del C. dalla violazione delle ‘linee guida per il mantenimento degli animali nei circhi’ (D.M. 27/4/93), senza considerare che, in esito all’istruttoria, era emersa una netta divergenza tra i contenuti delle deposizioni dei testi e che all’imputato non avrebbe potuto essere mosso un addebito di colpa, giacché il regolare conseguimento di tutte le licenze del caso avrebbe dovuto escludere l’elemento psicologico. Sotto diverso profilo, la norma contestata (nella versione introdotta a seguito della legge n. 189 del 2004) avrebbe limitato la tutela penale alle ipotesi in cui, oltre alla detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali, fossero anche state inferte agli stessi gravi sofferenze. Da ciò, l’illogicità del ragionamento della sentenza impugnata, la quale avrebbe inammissibilmente equiparato la detenzione degli animali e le sofferenze, solo presunte, degli stessi.
Attraverso il secondo rilievo, il C. denuncia l’erronea interpretazione dell’art. 240 c.p., giacché il Tribunale avrebbe disposto la confisca, ritenendo gli animali oggetto materiale del reato, laddove la norma evocata richiama ‘le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto ed il profitto’. Gli animali del circo non apparterrebbero ad alcuna di tali categorie, né la confisca sarebbe prevista da alcuna legge speciale.
II ricorso è infondato.
La fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 727 c.p., con particolare riferimento all’ipotesi della detenzione ‘vietata’ di animali, ossia della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, è stata interpretata da questa Corte nel senso che ‘le condizioni in cui vengono custoditi gli animali non sono dettate da particolari esigenze e risultino tali da provocare negli stessi uno stato di grave sofferenza, indipendentemente dal fatto che in conseguenza di tali condizioni di custodia l’animale possa subire vere e proprie lesioni dell’integrità fisica’ [Sez. 3^, n. 37859 dei 04/06/2014 (dep. 16/09/2014), Rainoldi, Rv. 260184].
Ne consegue che la detenzione penalmente rilevante è quella attuata in condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttiva di gravi sofferenze, sicché il parametro normativo della natura degli animali, in base al quale la condotta di detenzione assume valenza illecita, richiede, per le specie più note (come ad esempio ai cani, gatti, cavalli), che ci si riferisca al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali.
Come ha affermato il Tribunale, le condizioni degli animali tenuti in cattività dal C. in alloggiamenti con dimensioni e caratteristiche tecniche non conformi alle minime esigenze naturali e fisiologiche degli stessi integrano un comportamento incompatibile con il benessere degli esemplari e con le loro caratteristiche etologiche. Il ragionamento all’uopo seguito è logico e sfugge a qualunque censura di legittimità.
In punto di diritto, la disciplina richiamata prevede la concorrenza di due elementi, la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e la produzione di gravi sofferenze, conseguenti a tali condizioni.
Con riguardo al primo elemento, la sentenza impugnata da conto delle risultanze dibattimentali, richiamandosi a precise mancanze (di luce naturale, di acqua, di una temperatura adeguata, di arricchimenti ambientali), accompagnate a comportamenti stereotipi ed ansiosi degli esemplari. Da ciò viene dedotta la sussistenza anche del secondo elemento, lo stato di sofferenza degli animali, reputato probabile e ‘razionalmente credibile’. In questo senso il Tribunale ha correttamente utilizzato una regola di esperienza che trae il suo fondamento dalla considerazione che lo stato di sofferenza indicato dalla norma va contestualizzato e riferito ad esseri viventi diversi dall’uomo, per i quali uno stato di sofferenza può prescindere dal dolore, fisico o morale, e riguardare la frustrazione di esigenze primarie, come il cibo e l’acqua o la possibilità di muoversi più o meno liberamente in un ambiente tollerabile. E’ dunque vano pretendere, come vorrebbe il ricorrente, la prova della sofferenza fisica degli animali, che invece può essere integrata e ritenuta sussistente sulla scorta dalle particolari condizioni ambientali del luogo e dalle reazioni degli stessi esemplari, volta per volta considerati.
La sussistenza dell’elemento soggettivo non può essere esclusa dalla regolarità dei permessi e delle autorizzazioni, che sicuramente non valgono a scriminare una custodia imperita o negligente.
II secondo motivo è parimenti infondato.
L’applicabilità dell’art. 240 c.p. agli animali appare in realtà consentita dall’art. 19 quater delle disposizioni di attuazione al codice penale, laddove è previsto che ‘gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro o di confisca sono affidati ad associazioni o enti che ne facciano richiesta, individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto col Ministro della salute’. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’imputato anche alla rifusione delle spese di lite del grado a favore delle parti civili, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili LAV – Lega Antivivisezione ONLUS – e WWF Ong, che liquida in complessivi € 3.500, oltre accessori di legge
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