La unicità del disegno criminoso, per configurare il reato continuato, non può identificarsi con la tendenza a porre in essere determinati reati, atteso che le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine
Suprema Corte di Cassazione
sezione V penale
sentenza 15 settembre 2016, n. 38276
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VECCHIO Massimo – Presidente
Dott. SABEONE Gerardo – Consigliere
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 10132/2014 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 27 gennaio 2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19 febbraio 2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GUARDIANO ALFREDO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SPINACI Sante, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Bologna definiva il giudizio di revisione ex articolo 629 c.p.p. e ss., avente ad oggetto la sentenza irrevocabile della corte di assise di Udine del 3.10.1994, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni 14 di reclusione e 4.000.000 di multa, per i reati di associazione a delinquere con finalita’ di terrorismo; banda armata, attentato per finalita’ terroristiche, aggravato dal numero di persone, nonche’ per una pluralita’ di reati contro il patrimonio ed in materia di armi, aggravati dalla finalita’ di terrorismo.
1.2. La richiesta di revisione formulata nell’interesse del (OMISSIS) veniva dichiarata ammissibile dalla corte di appello di Bologna, con ordinanza del 26.4.2012, all’esito di una complessa vicenda processuale, in cui assumono particolare rilievo, da un lato, l’adozione del rapporto datato 9.9.1998 della allora Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, cui aveva fatto ricorso l’imputato, recepito dal Comitato dei Ministri con decisione del 15.4.1999, vincolante per gli Stati contraenti, allo stesso modo delle sentenze definitive della Corte Europea, con cui si sanciva la violazione dell’articolo 6, par. 1, in combinazione con l’articolo 6 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, par. 3, lettera d) e la non equita’ del processo celebrato contro il (OMISSIS), perche’ quest’ultimo non aveva potuto interrogare o far interrogare tre testimoni a carico, dall’altro, la pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 4-7.4.2011, con cui veniva dichiarata la illegittimita’ costituzionale dell’articolo 630 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva un diverso caso di revisione al fine di conseguire la riapertura del processo, quando cio’ sia necessario ai sensi dell’articolo 46 C.E.D.U., par. 1, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La corte di appello bolognese, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, nel corso della quale, oltre ai testi le cui dichiarazioni erano state utilizzate per fondare la precedente sentenza di condanna, venivano escussi anche tre testimoni indicati dalla difesa, procedendosi anche all’esame del (OMISSIS), riteneva l’imputato colpevole di tutti i reati allo stesso ascritti, riqualificando la condotta del reo in relazione ai reati di cui agli articoli 270 bis e 306, c.p., in termini di semplice partecipazione, con conseguente condanna dello stesso, previo riconoscimento della disciplina della continuazione, alla pena complessiva di anni 12 mesi 4 di reclusione ed Euro 2.065, 83 di multa, nonche’ alla pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), del Foro di Bologna, lamentando, con riferimento ai delitti di cui agli articoli 270 bis e 306, c.p.: 1) violazione di legge e mancanza di motivazione ovvero motivazione apparente, in quanto la corte territoriale, al fine di ritenere la sussistenza dei reati di banda armata e di associazione terroristica non poteva rimandare, con motivazione per relationem, al contenuto delle sentenze del precedente giudizio, fondate essenzialmente sulle dichiarazioni di quei soggetti il cui mancato interrogatorio da parte del ricorrente aveva determinato la condanna dello Stato italiano per violazione dell’articolo 6 della Convenzione ed, in ultima analisi, la revisione della sentenza della corte territoriale triestina;
2) mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’articolo 270 bis c.p., con particolare riferimento alle modalita’ di deliberazione del programma politico eversivo comune ed alla idoneita’ degli atti in ordine all’ipotesi di sovvertimento dell’ordine democratico, non apparendo sufficiente al riguardo le dichiarazioni del (OMISSIS), secondo cui la linea generale delle Brigate Rosse fosse colpire il cuore dello Stato, la Nato, gli Americani, rilevando, inoltre, come tutte le dichiarazioni al riguardo del (OMISSIS) siano, da un lato prive di riscontri esterni, dall’altro inidonee a dimostrare l’appartenenza del (OMISSIS) all’associazione o alla banda armata di cui si discute ovvero il suo concorso nelle attivita’ di queste ultime, senza trascurare che, con riferimento alla fattispecie di cui all’articolo 270 bis c.p., la presenza di due ex brigatisti all’interno del nucleo di persone ritenute responsabili dell’attentato ad (OMISSIS) non appare di per se’ idonea a configurare la suddetta fattispecie delittuosa, al pari della successiva rivendicazione dell’attentato attraverso la presentazione di documenti comuni agli imputati, che va intesa come la semplice condivisione di una linea di prigionia comune, volta a distinguere i reclusi politici dai criminali ordinari;
3) violazione di legge e vizio di motivazione sulla idoneita’ dell’associazione a raggiungere i propri fini e sul ruolo di concorrente esterno attribuito al (OMISSIS);
4) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento ai delitti di ricettazione, detenzione e porto abusivo di armi, anche clandestine, e munizioni di cui ai capi B) e C), in relazione ai quali, da un lato il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) hanno affermato che armi utilizzate per l’attentato alla base di (OMISSIS) erano state acquistate diverso tempo prima da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dall’altro, il (OMISSIS), il cui ruolo nell’attentato era quello di recuperare ed occultare le armi, ha dichiarato di non avere mai visto il (OMISSIS), nemmeno il giorno dell’attentato, quando ricevette dal (OMISSIS) le armi, nascondendole nel luogo convenuto, senza tacere che la corte territoriale ha omesso di motivare in ordine alla consapevolezza della provenienza illecita dell’autovettura da parte del (OMISSIS); 5) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al delitto di cui al capo B bis), la cui sussistenza non risulta dimostrata, non potendosi desumere, ne’ dall’affermazione resa al giudice per le indagini preliminari dal (OMISSIS) in sede di interrogatorio di garanzia (Dati per scontati gli elementi di accusa a mio carico), che non contiene alcuna affermazione di responsabilita’, ma solo la consapevolezza delle accuse mossegli, ne’ dalle dichiarazioni del (OMISSIS), dello (OMISSIS) e del (OMISSIS), la cui attendibilita’ il ricorrente contesta, anche alla luce del loro coinvolgimento in un’attivita’ di spaccio di sostanze stupefacenti per cui erano stati detenuti; 6) violazione di legge e vizio di motivazione anche in ordine al delitto di cui al capo D), in relazione al quale la sentenza di condanna si giustifica solo sulla base delle dichiarazioni del (OMISSIS), prive di riscontri e provenienti da un soggetto inattendibile; 7) violazione di legge in ordine alla ritenuta compatibilita’ tra l’aggravante di cui alla L. n. 15 del 1980, articolo 1 ed il reato di cui all’articolo 270 bis, posto che il fine eversivo terroristico di cui alla menzionata aggravante e’ elemento costitutivo di tale reato; 8) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento ai reati di cui ai capi E); F) e G), in quanto, da un lato nessuna certezza sussiste in ordine all’attendibilita’ delle dichiarazioni rese al riguardo dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), dall’altro, con riferimento alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 15 del 1980, articolo 1, la corte territoriale non precisa quale fosse l’autonoma condotta posta in essere e finalizzata all’eversione dell’ordine democratico, che consentirebbe di rendere le suddette condotte autonome, rispetto al delitto di cui all’articolo 270 bis c.p., senza tacere che va riconosciuta la continuazione di tali reati con quelli di cui ai capi precedenti, trattandosi di una rapina commessa da soggetti gravitanti nell’orbita di una medesima compagine associativa con finalita’ di eversione dell’ordine democratico, per raccogliere fondi destinati a soggetti della medesima associazione.
3. Il ricorso non puo’ essere accolto per le seguenti ragioni.
4. Ed invero va, innanzitutto rilevato come la maggior parte dei motivi di ricorso (ed, in particolare quelli sintetizzati nelle pagine precedenti sub n. 2; n. 3; n. 4; n. 5; n. 6 e n. 8), si prestano ad una duplice censura di inammissibilita’.
Con essi, infatti, il ricorrente espone, peraltro in maniera oltremodo generica (difetto che, di per se’, comporta la sanzione di inammissibilita’ del ricorso, nella parte in cui risulta fondato sui suddetti motivi: cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, Rv. 242129), doglianze che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicita’ tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., Sez. 5, 22.1.2013, n. 23005, Rv. 255502; Cass., Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, Rv. 235507; Cass., Sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Rv. 235510; Cass., Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Rv. 235508).
Ed invero non puo’ non rilevarsi come il controllo del giudice di legittimita’, anche dopo la novella dell’articolo 606 c.p.p., ad opera della L. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralita’ di deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralita’ di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
Sicche’ il sindacato della Cassazione resta quello di sola legittimita’, esulando dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente, come nel caso in esame, una diversa e piu’ adeguata valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. 2, 23.5.2007, n. 23419, Rv. 236893). In aggiunta al precedente argomento, va, altresi’, rilevata, in relazione al contenuto delle dichiarazioni acquisite nel corso del giudizio, rese da una pluralita’ di soggetti ( (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS)), la violazione, da parte del ricorrente, del principio della cd. autosufficienza del ricorso, secondo cui anche in sede penale, allorche’ venga lamentata l’omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, e’ onere del ricorrente suffragare la validita’ del proprio assunto mediante la completa allegazione ovvero la trascrizione dell’integrale contenuto di tali atti, dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita’ il loro esame diretto, salvo che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr. Cass., Sez. 1, 17 gennaio 2011, n. 5833, G.; Cass., Sez. 4, 10.11.2015, n. 46979, Rv. 265053), circostanza non sussistente, in tutta evidenza, nel caso in esame.
5. Infondato appare il motivo di ricorso sub. n. 1).
Al riguardo va notato come la sentenza oggetto di ricorso si caratterizzi per assoluta completezza dell’apparato motivazionale, che risulta, non solo particolarmente approfondito nella ricostruzione della vicenda storica, che ha per protagonista il (OMISSIS), ma anche del tutto immune da vizi, logici o giuridici.
La corte territoriale ha, innanzitutto, sanato il vulnus processuale determinato dalla impossibilita’ per il (OMISSIS) di interrogare i soggetti che avevano introdotto elementi a suo carico nel corso delle indagini, procedendo all’escussione, nel contraddittorio tra le parti, di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), d’altro canto ha proceduto all’esame dello stesso (OMISSIS), nonche’ all’escussione dei testi introdotti dalla difesa ( (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS)).
Il giudice di secondo grado ha, inoltre, operato una valutazione delle risultanze processuali acquisite nel corso del giudizio di revisione, anche alla luce delle emergenze relative al processo definito in primo grado (ad esclusione, ovviamente, delle dichiarazioni predibattimentali in esso acquisite, rese dai soggetti poi escussi nel giudizio di revisione), giungendo ad una conferma della responsabilita’ del (OMISSIS) per tutti i reati in contestazione, salvo escludere, con riferimento ai delitti di matrice associativa, che egli abbia svolto un ruolo di organizzatore, ritenendolo un semplice partecipe.
Lungo il percorso motivazionale, costante e’ stato il richiamo alle motivazioni espresse dai giudici del precedente processo, alle quali, per i profili non specificamente presi in considerazione, la corte territoriale ha fatto espresso riferimento, condividendole, per la descrizione dei reati stessi e la puntualizzazione dei ruoli concretamente assunti dai singoli, in relazione ai delitti di attentato e di rapina, nonche’ ai reati in rapporto di strumentalita’ con i suddetti delitti; lo stesso iter e’ stato seguito dalla corte territoriale nella ricostruzione dei reati associativi, attraverso la valorizzazione dei risultati raggiunti dai precedenti giudici di merito, attraverso un richiamo alle loro sentenze (cfr. pp. 49 e ss della sentenza oggetto di ricorso).
Orbene un siffatto modo di procedere risulta immune dai vizi denunciati.
Ad avviso del Collegio, infatti, l’instaurazione del giudizio di revisione non comporta necessariamente il verificarsi di una sorta di azzeramento delle risultanze processuali emerse nel giudizio di merito svoltosi precedentemente.
Ed invero, come evidenziato da un condivisibile arresto della Suprema Corte, quando nel giudizio di revisione si deve procedere, ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., lettera c), alla valutazione di nuove prove, rispetto a quelle gia’ acquisite e consacrate nel giudicato penale, il giudice della revisione puo’ e deve saggiare, mediante comparazione, la resistenza di queste ultime rispetto alle prime altrimenti, il giudizio di revisione si trasformerebbe indebitamente in un semplice e automatico azzeramento, per effetto delle nuove prove, di quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna (cfr. Cass., Sez. 4, 7 aprile 2005, n. 24291).
Da tale principio, che presuppone necessariamente l’impossibilita’, per il giudice della revisione, di prescindere dal complesso degli elementi accertati nel giudizio precedente alla revisione stessa (sulla base, ovviamente, di atti processualmente utilizzabili), applicabile al caso in esame, perche’ la decisione favorevole sull’ammissibilita’ della richiesta di revisione e’ stata motivata proprio dalla necessita’ di procedere all’assunzione, per la prima volta con le forme del contraddittorio, delle dichiarazioni dei soggetti in precedenza indicati (la cui escussione, dunque, puo’ legittimamente essere qualificata come prova nuova), discende il corollario della piena ammissibilita’ della motivazione per relationem ove, come evidenziato nella sentenza oggetto di ricorso, l’acquisizione delle nuove prove in sede di revisione non abbia disarticolato il ragionamento seguito dai primi giudici, ma anzi, lo abbia confermato, ricevendone, al tempo stesso, ulteriore conferma.
Infondato, del resto, appare il timore, manifestato dall’imputato, che, attraverso la motivazione per relationem, la condanna del (OMISSIS), in particolare per i reati di natura associativa, sia fondata essenzialmente sulle dichiarazioni di quei soggetti il cui mancato interrogatorio da parte del ricorrente aveva determinato la condanna dello Stato italiano per violazione dell’articolo 6 C.E.D.U., in quanto, come si e’ detto, la decisione del giudice della revisione risulta fondata prevalentemente (anche se non esclusivamente) sulle dichiarazioni dei correi del ricorrente, che, nel giudizio di revisione, hanno assunto la veste formale di testi assistiti, ai sensi dell’articolo 197 bis, c.p., essendo stati definitivamente processati per i medesimi fatti.
Nel valutare tali dichiarazioni la corte territoriale si e’, poi, puntualmente attenuta alle prescrizioni imposte dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, soffermandosi specificamente sui profili della credibilita’ personale dei singoli chiamanti in correita’, nonche’ della attendibilita’ intrinseca ed estrinseca delle loro dichiarazioni (cfr. pp. 42 e ss., della sentenza oggetto di ricorso), conformemente ai principi ormai da tempo consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte in tema di valore probatorio della chiamata di reita’ o di correita’ (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. un., 29 novembre 2012, n. 20804).
Allo stesso tempo la corte territoriale si e’ soffermata sulle dichiarazioni dei testi della difesa e su quelle rese dal (OMISSIS) in sede di esame, procedendo ad una confutazione specifica e logicamente coerente degli argomenti difensivi, rispetto alla quale, come si e’ detto, le censure del ricorrente risultano di tipo meramente fattuale e generiche.
6. Condivisibili sono anche le conclusioni cui e’ giunto il giudice della revisione in punto di riconducibilita’ delle condotte contestate al (OMISSIS) al paradigma normativo di cui agli articoli 270 bis e 306 c.p., essendo del tutto conformi ai condivisibili approdi cui e’ giunta la giurisprudenza di legittimita’ in sede di interpretazione di tali fattispecie normative.
Premesso che la fattispecie di associazione eversiva di cui all’articolo 270 bis c.p. e’ speciale rispetto a quella di associazione sovversiva di cui all’articolo 270 c.p., in quanto la natura della violenza che il sodalizio si propone di esercitare assume connotazione terroristica, per poter configurare il reato di associazione con finalita’ di terrorismo, occorre accertare se l’associazione aveva non tanto e non solo l’intenzione e la capacita’ di esercitare la violenza, anche con l’uso delle armi (cio’ che di per se’ solo integrerebbe la generica violenza eversiva ex articolo 270 c.p.), ma anche l’intenzione e la possibilita’ di utilizzare metodi terroristici (nel senso indicato dall’articolo 270 sexies c.p.) per conseguire il suo programma di eversione dell’ordine costituzionale: vale a dire, occorre verificare se nei programmi e negli effettivi progetti dell’associazione, rientrava il proposito di intimidire indiscriminatamente la popolazione, l’intenzione di esercitare costrizione sui pubblici poteri, la volonta’ di distruggere o, quantomeno, di destabilizzare gli assetti istituzionali del Paese (cfr. Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2012, n. 12252, Rv. 251919).
E’ opportuno precisare, al riguardo, che l’ordine democratico e costituzionale, la cui destabilizzazione rappresenta lo scopo delle associazioni vietate dall’articolo 270 bis c.p., attiene a quei principi fondamentali che formano il nucleo intangibile destinato a contrassegnare la specie di organizzazione statale, cui si e’ voluto dare vita: tali principi sono contenuti, prevalentemente, nei primi articoli 5 Costituzione, la cui norma chiave e’ quella prevista dall’articolo 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili sia del singolo sia delle formazioni sociali e prevede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta’ politica, economica e sociale. Insorgere anche contro uno solo di questi principi sui quali si regge la concezione fondamentale della vita associata con azioni violente, integra indubbiamente un comportamento finalizzato all’eversione dell’ordine democratico. Conseguentemente ogni condotta diretta contro lo stato, i suoi poteri ed organi e, piu’ precisamente, tutti gli atti criminosi tendenti ad impedire in qualche modo che tale ordine democratico e ordine costituzionale si realizzi, contengono le finalita’ di terrorismo e di eversione.
La nozione di eversione dell’ordine democratico, in conclusione, deve intendersi riferita all’ordinamento costituzionale, cioe’ a quei principi fondamentali che formano il nucleo intangibile destinato a contrassegnare la specie di organizzazione statale, secondo la Costituzione; di conseguenza, essa non puo’ essere limitata al solo concetto di azione politica violenta, ma deve necessariamente identificarsi nel sovvertimento dell’assetto costituzionale esistente ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta politica che tenda a rovesciare il sistema democratico previsto dalla Costituzione, nella disarticolazione delle strutture dello Stato o, ancora, nella deviazione dai principi fondamentali che lo governano. (cfr. Cass., Sez. 1, 22.5.1984, n. 8552, Rv. 166120; Cass., Sez. 6, 2.11.2005, n. 2310, Rv. 233113; Cass., Sez. 2, 17.9.2008, n. 39504, Rv. 241859).
Rispetto alla previsione di cui all’articolo 270 c.p., dunque, la piu’ recente fattispecie dell’articolo 270 bis c.p., come e’ stato opportunamente rilevato, opera una piu’ accentuata regressione della punibilita’ del vincolo associativo fino allo stato della presunzione del pericolo per l’ordinamento democratico – tipica struttura del reato a pericolo presunto (cfr. Cass., Sez. 5, 4 luglio 2013, n. 46340).
Va, altresi’, ribadito che, ai fini della configurabilita’ del delitto di associazione con finalita’ di terrorismo anche intenzionale o di eversione dell’ordine democratico, non e’ necessaria la realizzazione dei reati oggetto del programma criminoso, ma occorre l’esistenza sia di un programma, attuale e concreto, di atti di violenza a fini di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, sia di una struttura organizzativa stabile e permanente che, per quanto rudimentale, presenti un grado di effettivita’ tale da rendere possibile l’attuazione di quel programma (cfr. Cass., Sez. 6, 8 maggio 2009, n. 25863, Rv. 244367; Cass., Sez. 2, 31 marzo 2009, n. 18581, Rv. 244544; Cass., Sez. 6, 12 luglio 2012, n. 46308, Rv. 253943).
Per converso la partecipazione integrante gli estremi del reato di associazione terroristico-eversiva costituita in banda armata presuppone un l’organico inserimento nella compagine criminosa, che non postula, di necessita’, il positivo esperimento e, dunque, l’individuazione di una specifica condotta spiegata a sostegno del sodalizio, in chiave di attuale e specifico contributo causale al suo mantenimento o rafforzamento, essendo il contributo causale e’ immanente al mero inserimento organico nella struttura associativa, in quanto l’affidamento sulla persistente disponibilita’ di adepti, e’ tale da rafforzare e consolidare il vincolo associativo, concorrendo a costituire l’elemento di coesione del gruppo, al pari della consapevolezza della comune militanza e della condivisione dell’idea rivoluzionaria (cfr, in questo senso, Cass., Sez. 5, 12 novembre 2010, n. 4105, Rv. 249242).
Quanto al delitto di cui all’articolo 306 c.p., va osservato che tra esso ed il delitto di cui all’articolo 270 bis c.p. esiste un rapporto di mezzo a fine e non di specie a genere, essendo la prima caratterizzata dalla finalita’ di commettere uno dei delitti contro la personalita’ internazionale o interna dello Stato, tra i quali rientra quello di cui al citato articolo 270 bis, indipendentemente dal raggiungimento di tale finalita’; ne consegue che, qualora la finalita’ di commettere il delitto di cui all’articolo 270 bis c.p., sia stata raggiunta, come nel caso in esame, esso concorre con quello di cui all’articolo 306 c.p., (cfr. Cass. Sez. 1, 9 dicembre 2009, n. 4086, Rv. 245985; Cass., Sez. 1, 27/6/2007, n. 37119, Rv. 237768)), dovendosi distinguere, all’interno della previsione normativa, l’ipotesi della partecipazione a banda armata da quella della formazione.
La partecipazione a banda armata, infatti, costituisce un’ipotesi delittuosa del tutto distinta rispetto alla formazione della banda, intesa come stabile collegamento fra piu’ persone che, mediante un’idonea struttura organizzativa e grazie alla stabile disponibilita’ di armi destinate agli scopi della banda si propongono la commissione di uno o piu’ delitti contro la personalita’ dello Stato. E invero, la prima si concretizza nella manifestazione individuale di volonta’ diretta ad aderire alla banda gia’ formata e si caratterizza per il fatto che l’adesione non e’ essenziale all’esistenza dell’associazione; la seconda, invece, e’ un reato plurisoggettivo, nel quale la necessaria cooperazione di piu’ persone concorre al comune risultato rappresentato dalla nuova entita’ di fatto, distinta dai singoli componenti e autori, cioe’ l’associazione criminosa (cfr. Cass., Sez. I, 4 marzo 2010, n. 16549, Rv. 246936).
Orbene la sentenza della corte territoriale si muove esattamente nel solco dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ ora sintetizzati e, ad integrarne il contenuto sul punto, provvede l’ampia ed articolata motivazione dedicata alla ricostruzione dei fatti, in rapporto alla previsione normativa di cui agli articoli 270 bis e 306 c.p., della sentenza di primo grado, che va considerata un prodotto unico con quella del giudice della revisione, non solo in virtu’ dell’espresso richiamo che ne fa quest’ultimo (cfr., in particolare, p. 51), ma anche perche’ si tratta di sentenze che hanno utilizzato criteri omogenei di valutazione e seguito un apparato logico argomentativo uniforme (cfr. Cass., Sez. 3, 1.2.2002-12.3.2002, n. 10163, Lombardozzi D., Rv. 221116).
Ed infatti la corte di assise di Udine, sulla base delle risultanze processuali, confermate in sede di revisione, ha, tra l’altro, evidenziato come: 1) il gruppo di cui faceva parte il (OMISSIS), fosse coordinato con i piu’ qualificati personaggi dell’organizzazione, la cui matrice terroristica e’ stata accertata in diversi procedimenti penali, Brigate Rosse Partito Comunista Combattente, del cui riconoscimento esso godeva; 2) gli incontri nel Veneto tra gli imputati hanno prodotto la concreta realizzazione delle idee antimperialiste, che costituivano oggetto specifico di discussione e che si trovano espresse nei vari documenti prodotti e diffusi con la sigla BR PCC; 3) ideando e ponendo in essere l’attentato alla base militare di (OMISSIS), gli imputati hanno dimostrato nei fatti che il programma di violenza era attuale; 4) il gruppo avesse una pur schematica struttura, posto che le riunioni avevano una cadenza periodica e non occasionale; i partecipanti si convocavano avendo ciascuno un proprio riferimento e non con modalita’ comuni e rispondeva alla logica della suddivisione territoriale in cellule propria della organizzazione BR PCC, coprendo le regioni ad Est del paese. Correttamente, dunque, il giudice di primo grado ha ritenuto che, sulla base di un’attenta valutazione degli elementi emersi all’esito del giudizio, l’azione del gruppo veneto potesse essere collegata con certezza con chi ancora si riconosce ed opera sotto la sigla dell’organizzazione terroristica innanzi indicata e di potere, quindi, affermare che vi fosse ancora una capacita’, seppur ridotta ed affidata a pochi militanti, di azione e di reclutamento, pur rilevando, con valutazione immune da vizi, condivisa dal giudice della revisione, che le evidenziate caratteristiche organizzative del gruppo di cui si discute; la sua disponibilita’ di armi; lo scopo politico perseguito attraverso l’attentato alla base militare di (OMISSIS) e le altre operazioni programmate (attentato contro un dirigente della (OMISSIS)), lo rendevano, di per se’, un’associazione finalizzata all’eversione dell’ordine democratico, a prescindere dal suo inserimento (comunque dimostrato) nella piu’ vasta organizzazione nota come BR PCC.
Quanto attuale e concreto fosse il programma di atti di violenza a fini di eversione dell’ordine democratico, e quanto effettivamente possibile l’attuazione di tale programma da parte di una adeguata struttura organizzativa, quale era quella cui partecipavano il (OMISSIS) ed i suoi correi, lo prova, in tutta evidenza, l’attentato alla base militare della NATO di (OMISSIS), che dimostra come le finalita’ dell’associazione criminosa di cui si discute fossero proprio quella di destabilizzare le istituzioni democratiche, colpendo lo Stato nel nucleo essenziale delle sue scelte di politica internazionale, come momento qualificante della lotta antimperialistica, che ha storicamente rappresentato la cifra ideologica delle BR PCC.
Con l’attentato alla base militare di (OMISSIS), infatti, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, si volle compromettere la capacita’ dello Stato di autodeterminarsi, attraverso gli organi rappresentativi, nel settore della politica estera, attaccando la base militare di un alleato internazionale, che aveva sede nel territorio dello Stato, in virtu’ ed in esecuzione di accordi riconducibili ad un patto internazionale cui l’Italia ha aderito.
Estremamente dettagliata risulta la motivazione del giudice di primo grado anche con riferimento alla qualificazione del gruppo formato dal (OMISSIS) e dai suoi complici in termini di banda armata, attraverso un puntuale richiamo dei precedenti della giurisprudenza di legittimita’ in subiecta materia ed una esaustiva ricostruzione di come il gruppo fosse dotato di armi (pistole; fucili mitragliatori; bomba a mano), di diversa natura e potenzialita’ offensiva, da destinare permanentemente alle proprie azioni, gia’ prima della consumazione dell’attentato alla base di (OMISSIS).
Una volta dimostrata l’esistenza dell’associazione finalizzata all’eversione dell’ordine democratico e, quindi, inevitabilmente, anche l’esistenza tra gli stessi soggetti di un vincolo di permanente collegamento volto alla commissione del delitto di cui all’articolo 270 bis c.p., proprio la prova della disponibilita’ di armi permanentemente destinate agli scopi della banda, costituisce l’elemento specializzante del delitto de quo, che ne consente di affermarne il concorso con la fattispecie di cui al citato articolo 270 bis c.p..
7. La motivazione della corte territoriale appare approfondita ed immune da vizi, logici e giuridici, anche con riferimento alla posizione del (OMISSIS) di mero partecipe (piuttosto che di organizzatore) dell’associazione con finalita’ eversive dell’ordine democratico e della banda, di cui si e’ parlato in precedenza, come in ordine alla sua responsabilita’ per gli altri reati.
Come si e’ detto, sul punto, le doglianze difensive sono del tutto generiche e tali da investire profili meramente fattuali, non scrutinabili in sede di legittimita’.
8. In relazione, poi, al motivo di ricorso sub n. 7), sicuramente va condiviso il principio di diritto cui si appella il ricorrente. L’aggravante di terrorismo di cui alla L. n. 15 del 1980, articolo 1, infatti, e’ incompatibile con il delitto di cui all’articolo 270 bis c.p., in quanto la finalita’ terroristica e’ divenuta a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 438 del 2001 elemento costitutivo della fattispecie (cfr. Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2012, n. 12252, Rv. 251921).
Cio’ non consente, tuttavia, di accogliere il suddetto motivo di ricorso, che, anzi, va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto la suddetta aggravante non risulta avere formato oggetto di contestazione, con riferimento al delitto ex articolo 270 bis, di cui al capo A).
9. Quanto ai motivi di ricorso sintetizzati sub n. 8), essi sono senza dubbio inammissibili, per le ragioni gia’ esposte, nella parte in cui consistono in rilievi di tipo fattuale, per di piu’ genericamente rappresentati, in violazione del principio della autosufficienza del ricorso.
Nel resto le censure appaiono infondate.
Giova, infatti, rammentare che l’aggravante della finalita’ di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico puo’ inerire a qualunque condotta illecita e sussiste ogni qualvolta il reato sia strumentalmente rivolto a perseguire la conservazione dei fini di terrorismo o di eversione (cfr. Cass., Sez. 1, 2 marzo 2006, n. 10283, Rv. 233721).
Per cui correttamente la rapina di cui al capo G) ed i reati di ricettazione ad essa strumentali (aventi ad oggetto l’automobile e le armi utilizzati per compierla), essendo destinata ad incrementare il patrimonio dell’associazione-banda armata, attraverso il cd. autofinanziamento, sono stati ritenuti dai giudici di merito (cfr., in particolare, pp. 101 e ss., della sentenza di primo grado), in quanto in grado di garantire la continuazione della operativita’ del sodalizio, utili al raggiungimento finale dello scopo di sovversione democratica (cfr., in questo senso, Cass., Sez. 2, 3 novembre 1988, A.).
Non coglie nel segno, infine, nemmeno la doglianza sul mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui ai capi E); l’) e G) e quelli di cui ai capi precedenti, in quanto il ricorrente cade in un evidente equivoco in punto di diritto.
La circostanza che i delitti di cui si discute fossero sorretti da una finalita’ di eversione dell’ordine democratico, perche’ finalizzati all’autofinanziamento dell’associazione-banda armata alla quale ha partecipato il (OMISSIS), non significa che essi possono, per cio’ solo, essere ricondotti al medesimo programma criminoso, che unifica gli altri reati.
Come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita’, infatti, la unicita’ del disegno criminoso, necessaria per la configurabilita’ del reato continuato, non puo’ identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, atteso che le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine, richiedendosi, in proposito, la progettazione ab origine di una serie ben individuata di illeciti, gia’ concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali.
Deve, dunque, escludersi che una tale progettazione possa essere presunta sulla sola base del medesimo rapporto di contrasto esistente tra i soggetti passivi e l’autore degli illeciti, come pure sulla base dell’identita’ o dell’analogia dei singoli reati o di un generico contesto delittuoso, ovvero ancora della unicita’ della motivazione o del fine ultimo perseguito, occorrendo invece che il requisito in questione trovi dimostrazione in specifici elementi atti a far fondatamente ritenere che tutti gli episodi siano frutto realmente di una originaria ideazione e determinazione volitiva (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, 7.4.2004, n. 18037, Rv. 229052). Del tutto conforme a tali principi, dunque, risulta la decisione dei giudici di merito di rigettare l’invocata applicazione della disciplina della continuazione, sul rilievo che la rapina di cui al capo G), unitamente ai delitti ad essa connessi, non ha mai costituito oggetto di preventiva progettazione da parte degli imputati, ma e’ stata il frutto di una decisione maturata in conseguenza di una necessita’ contingente (la mancanza di denaro), verificatasi nella fase di esecuzione del programma criminoso eversivo gia’ deliberato (cfr. p. 108 della sentenza di primo grado).
10. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
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