Il delitto di cui all’art. 612 bis cp è un reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea a realizzarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

SENTENZA 30 agosto 2016, n.35778

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Palermo ha accolto l’appello del PM nei confronti di ordinanza reiettiva della misura cautelare emessa dal Gip ed ha disposto la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nei confronti dell’indagato, per il reato di cui all’art. 612 bis cp, compiuto nell’Ottobre 2015.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso la difesa dell’indagato, che con unico motivo ha lamentato l’errata applicazione della legge per la ritenuta esistenza dei gravi indizi e dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva.

Secondo il ricorrente i Giudici avevano fondato la propria decisione solo sulle notizie fornite dalla persona offesa, che al contrario, doveva essere confortata da altri dati, anche in considerazione delle cure psichiatriche cui nel periodo era sottoposto; il provvedimento inoltre, non dava sufficientemente conto di quali conseguenze fossero derivate al querelante dalle condotte dell’indagato ed in che misura queste avessero contribuito a mutare le sue abitudini di vita.

1.1 Per altro verso l’ordinanza non avrebbe adempiuto all’onere motivazionale sulle esigenze cautelari, che avrebbe dovuto essere stringente atteso che il Tribunale aveva emesso la misura cautelare per la prima volta.

All’odierna udienza il PG, dr Di Leo, ha concluso per l’inammissibilità.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Deve premettersi il consolidato indirizzo di questa Corte in tema di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa dal reato, che, sottoposte ad adeguato vaglio critico, possono essere sufficienti per l’affermazione di responsabilità. In proposito ex multis: Sez. 2, Sentenza n. 43278 del 24/09/2015 Ud. (dep. 27/10/2015) Rv. 265104: Le dichiarazioni della persona offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che all’erronea indicazione dell’età apparente dell’imputato, da parte della persona offesa, potesse attribuirsi – in via preventiva e presuntiva – una valenza invalidante della credibilità di quest’ultima, ritenendo immune da censure la decisione di merito che, all’esito di una approfondita valutazione, aveva ritenuto attendibili le sue dichiarazioni).

1.1 Applicando tali principi al caso concreto, deve osservarsi che il Tribunale ha verificato il narrato della persona offesa, C. , riguardante i ripetuti comportamenti minacciosi ed aggressivi tenuti dall’indagato nel periodo di tempo di riferimento – da Maggio ad Ottobre 2015 – trasfuso in più denunce sporte in occasione degli episodi, ricavandone un giudizio di linearità e coerenza, adeguatamente esplicitato.

1.2 La motivazione ha dato, altresì, atto dei riscontri al racconto, alcuni dei quali diretti, come il certificato medico circa le lesioni patite nell’aggressione del mese di Ottobre ed altri indiretti, come le informazioni rese dal compagno di viaggio abituale circa l’assillo cagionato alla persona offesa dall’indagato, per ragioni di denaro. Sulla base di tali elementi, resi significativi ai fini della gravità indiziaria con specifico riguardo allo stato d’ansia, dalla attestazione del Dipartimento di salute mentale della ASL riguardante le cure cui C. si sottoponeva, la motivazione ha coerentemente ritenuto l’esistenza dei gravi indizi.

1.3 La decisione risulta, in tal modo, coerente con la giurisprudenza di questa Corte, che ha chiarito, quanto agli eventi previsti alternativamente dalla norma incriminatrice in questione, che il delitto di cui all’art. 612 bis cp è un reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea a realizzarlo, Sez. 5 sent 34015 del 2010, nonché Sez. 5, sentenza n. 29872 del 19/05/2011 Cc. (dep. 26/07/2011) Rv. 250399, per la quale ‘il delitto di atti persecutori cosiddetto ‘stalking’ (art. 612 bis cod. pen.) è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità’. L’iter logico-giuridico seguito dai Giudici della cautela è stato convenientemente esplicitato, in armonia con i criteri elaborati da questa Corte anche sulla prova degli eventi, riguardo alla quale è stato più volte precisato che: ‘la prova dell’evento del delitto in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata’. Sez. 5, Sentenza n. 14391 del 28/02/2012 Cc.(dep. 16/04/2012) Rv. 252314.

Anche l’onere motivazionale sulle esigenze cautelari risulta ben adempiuto, tramite il richiamo ai gravi e ripetuti atteggiamenti intimidatori e violenti ed all’incapacità dell’indagato di contenere i propri impulsi aggressivi; la scelta della misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa è stata razionalmente spiegata con la concreta idoneità ad evitare il ripetersi di analoghi episodi.

A fronte di tale corretto ed esauriente impianto argomentativo il ricorso ha proposto censure in fatto, come quella inerente un nuovo apprezzamento delle versioni della parte offesa e dell’indagato, e generiche nel senso che non si sono confrontate con gli specifici passaggi dimostrativi delle ragioni della decisione.

Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille in favore della cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 52 dlgs 196/2003 va disposto l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro mille in favore della cassa delle ammende. Dispone l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi dell’art. 52 dlgs 196/2003

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