Corte di Cassazione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

S.U.P.

SENTENZA 25 marzo 2016, n.12603

Ritenuto in fatto

C.M. il (omissis) si costituì e venne sottoposto a fermo perché indiziato del delitto di omicidio volontario.

Il 19 settembre 2014 nominò difensore di fiducia l’avv. Salvatore Suriano.

Con ordinanza del 22 settembre 2014, il G.i.p. del Tribunale di Catania convalidò il fermo ed applicò al C. la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto contestatogli.

Il difensore di fiducia avv. Salvatore Suriano propose richiesta di riesame.

Fissata l’udienza di riesame per il 9 ottobre 2014, l’indagato, alle ore 8.57 di tale giorno, rilasciò all’Ufficio Matricola della Casa circondariale in cui era detenuto dichiarazione con la quale rinunciava alla presenza in udienza chiedendo che questa avesse ‘regolare corso essendo difeso e rappresentato dall’avvocato Salvatore Suriano del foro di Catania’.

Aperta l’udienza e datosi atto a verbale dell’assenza dell’indagato per rinuncia, il difensore di fiducia avv. Suriano dichiarò di rinunciare al riesame.

Il Tribunale del riesame, di conseguenza, con ordinanza adottata in udienza dichiarò inammissibile la richiesta di riesame.

Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per conto dell’indagato, il suo nuovo difensore di fiducia avv. Santa Monteforte, eccependone la nullità e chiedendone l’annullamento.

Deduce che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, sviluppatasi proprio in tema di riesame e di procedimento ex art. 309 cod. proc. pen., la rinuncia, anche parziale, all’impugnazione formulata dal solo difensore dell’interessato, non munito di procura speciale, non ha alcun effetto processuale, neppure nell’ipotesi in cui la richiesta di riesame sia stata proposta dal difensore.

Ne deriva, secondo la difesa, la nullità dell’ordinanza impugnata perché il primo difensore non era munito di procura speciale per procedere validamente alla rinuncia al giudizio di riesame e perché non può essere equiparata ad una rinuncia all’impugnazione la mera assenza dell’indagato per rinuncia a presenziare all’udienza. Consegue altresì – non essendo legittimamente intervenuta alcuna valida pronuncia nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, come prescritto dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. – l’inefficacia della misura cautelare adottata ai sensi del successivo comma 10 del medesimo art. 309.

La Prima Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza del 5 giugno 2015, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, evidenziando l’esistenza di un contrasto tra un orientamento interpretativo maggioritario, secondo il quale il difensore dell’indagato o imputato non munito di procura speciale non può validamente rinunciare all’impugnazione da lui autonomamente proposta, ed un orientamento minoritario, favorevole invece a riconoscere il potere di rinuncia al difensore che abbia promosso autonomamente l’impugnazione, anche se non munito di procura speciale.

L’ordinanza di rimessione ricorda come quest’ultimo indirizzo (espresso per la prima volta da Sez. 6, n. 2115 del 08/06/1992, Di Vito, Rv. 192850) si basa soprattutto sul diverso ruolo, partecipativo e non di mera difesa tecnica, attribuito al difensore dal vigente codice di procedura, così come desumibile, principalmente, dall’art. 99, comma 1, cod. proc. pen.. Questa interpretazione, rimasta per lungo tempo isolata, è stata di recente ripresa da Sez. 1, n. 48289 del 18/06/2014, Tiberia, Rv. 261151, la quale ha di nuovo affermato che il difensore di fiducia è legittimato a rinunciare validamente, ai sensi dell’art. 589, comma 2, cod. proc. pen., all’impugnazione da lui autonomamente proposta nell’interesse del condannato o dell’imputato, senza necessità di munirsi di apposita procura speciale. Secondo questa decisione, l’indirizzo maggioritario non terrebbe adeguatamente conto dell’autonomo potere di impugnazione riconosciuto espressamente al difensore dell’imputato dall’art. 571, comma 3, cod. proc. pen. nell’ambito del suo ruolo partecipativo; potere avente natura dispositiva sulle sorti del processo perché in grado di produrre effetti sostanziali anche pregiudizievoli per il rappresentato (come il sorgere del diritto del pubblico ministero di proporre appello incidentale). Di conseguenza, se il difensore, mediante il proprio autonomo potere di impugnazione, può determinare anche effetti negativi per l’assistito, deve essergli pure riconosciuto un parallelo autonomo potere di caducarne gli effetti con la rinuncia all’impugnazione da lui proposta.

Non sarebbe di ostacolo a questa conclusione l’art. 589, comma 2, cod. proc. pen., laddove prevede che ‘le parti private possono rinunciare all’impugnazione, anche per mezzo di procuratore speciale’, poiché tale disposizione potrebbe ragionevolmente leggersi come riferita all’iniziativa personale dell’imputato di rinunciare all’impugnazione proposta da lui stesso o dal suo difensore, senza che si sia voluto anche vietare a quest’ultimo la rinuncia all’impugnazione da lui autonomamente proposta. Non vi sarebbero poi particolari rischi per l’imputato, perché rimane, da una parte, il dovere deontologico del difensore di fare sempre gli interessi del proprio assistito e di informarlo e, dall’altra parte, la facoltà dell’imputato, ex art. 99, comma 2, di togliere effetto all’atto di rinuncia del difensore.

L’ordinanza di rimessione ricorda poi che il contrario orientamento maggioritario, già espresso dalle Sezioni Unite (ord. n. 6 del 31/05/1991, Catalano, Rv. 188163), è stato poi seguito da numerosissime decisioni sezionali.

Alcune di queste negano che il difensore possa essere ricompreso tra le parti private menzionate dall’art. 589, comma 2, cod. proc. pen.; altre riconoscono efficacia alla rinuncia fatta dal difensore in udienza ma alla presenza dell’imputato; altre ancora ribadiscono che non ha efficacia processuale la rinuncia, anche parziale, all’impugnazione formulata dal solo difensore non munito di procura speciale; altre che l’atto di rinuncia non costituisce espressione dell’esercizio del diritto di difesa e richiede quindi la manifestazione inequivoca della volontà dell’interessato, espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale.

L’ordinanza della Prima Sezione evidenzia infine come potrebbe essere rilevante per la soluzione della questione proposta la diversa questione relativa alla possibilità di duplice impugnazione della sentenza contumaciale intervenuta dopo la riforma dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen.

Ricorda che la sentenza delle Sezioni Unite n. 6026 del 31/01/2008, Huzuneanu, Rv. 238472, aveva affermato l’intangibilità del principio di unicità del diritto di impugnazione, da cui consegue che, anche se proposta dal difensore, l’impugnazione continua ad essere l’impugnazione ‘dell’imputato’. Questo principio, tuttavia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 317 del 2009, è stato in vario modo intaccato da diverse pronunce di legittimità. L’ordinanza si chiede pertanto se il superamento del principio di unicità dell’impugnazione non incida anche sulla questione oggetto del presente processo.

In data 17 settembre 2015 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone per la trattazione l’odierna udienza camerale.

Considerato in diritto

La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: ‘Se il difensore dell’indagato o imputato non munito di procura speciale possa validamente rinunciare all’impugnazione da lui autonomamente proposta’.

Come ricorda l’ordinanza di rimessione, l’assolutamente prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità ha sempre generalmente escluso che il difensore, non munito di procura speciale, sia legittimato a rinunciare all’impugnazione, anche se da lui autonomamente proposta.

Già nel vigore del previgente codice di rito, la giurisprudenza unanime di questa Corte (reiterando l’interpretazione seguita anche nel sistema del codice di procedura penale del 1913: v. Cass., 31/05/1929, Golfieri; Id., 21/05/1920, Pepe) era pressoché costante nell’affermare – sulla base del secondo periodo del primo comma dell’art. 206 (‘possono rinunciare all’impugnazione proposta le parti private anche a mezzo di procuratore speciale’) – che al difensore non munito di procura speciale non era consentito rinunciare all’impugnazione (o a qualche motivo di essa), anche quando egli stesso l’avesse proposta (cfr., da ultimo, Sez. U, n. 6 del 31/05/1991, Catalano, Rv. 188163; Sez. 6, n. 1802 del 25/11/1988, dep. 1990, Intravaia, Rv. 183269, per il caso di rinuncia ad uno dei motivi).

Si faceva eccezione esclusivamente per l’ipotesi che la rinuncia fatta in udienza dal difensore privo di procura speciale fosse stata accettata o almeno non ricusata dal suo assistito; richiedendosi però espressamente la presenza in udienza dell’interessato e la mancanza di opposizione da parte sua (v., tra le tante, anche per l’ipotesi di rinuncia a qualcuno dei motivi di impugnazione, Sez. 3, n. 1629 del 13/11/1979, dep. 1980, Cantaro, Rv. 144233; Sez. 2, n. 7603 del 27/02/1990, Leone, Rv. 184485; Sez. 6, n. 13911 del 14/10/1986, Barbieri, Rv. 174550; Sez. 5, n. 4202 del 26/02/1979, Stefanoni, Rv. 141923; Sez. 4, n. 4638 del 04/12/1975, dep. 1976, Zulli, Rv. 133232; Sez. 1, n. 10108 del 23/04/1974. Aravecchia, Rv. 128890), così da rendere inoperante la rinuncia nel caso di processo contumaciale (Sez. 3, n. 1021 del 07/05/1971, Tattini, Rv. 118888). L’eccezione era prevalentemente giustificata con la tesi che in tal caso il difensore agiva come mero nuncius e non quale soggetto titolare di un vero e proprio potere rappresentativo, sicché la provenienza della dichiarazione di rinuncia doveva comunque imputarsi alla parte, che col suo comportamento inequivoco esprimeva una implicita volontà di ratifica.

Subito dopo l’entrata in vigore del codice di rito del 1988, il consolidato orientamento negativo venne confermato dalle Sezioni Unite con la citata ord. n. 6 del 31/05/1991, Catalano, Rv. 188163, che riaffermò il principio secondo cui ‘al difensore che non agisce quale procuratore speciale non compete la facoltà di rinunciare all’impugnazione, anche quando egli stesso abbia proposto il gravame’; principio poco dopo ribadito, con specifico riferimento alle disposizioni del nuovo codice, tra le altre, da Sez. 4, n. 6117 del 05/02/1992, Cersosimo, Rv. 190399, per il caso di difensore munito di procura speciale ex art. 122, ma rilasciata in relazione ad altro procedimento pure pendente presso lo stesso ufficio e fissato per la stessa udienza; Sez. 6, n. 1034 del 27/03/1992, Patanè, Rv. 190176; Sez. 6, n. 4368 del 09/12/1992, dep. 1993, De Camillis, Rv. 192950, quest’ultima in tema di rinuncia al ricorso ex art. 311 cod. proc. pen..

Il principio venne messo in discussione da Sez. 6, n. 2115 del 08/06/1992, Di Vito, Rv. 192850, la quale, innanzitutto, osservò che l’ammissione della validità di una rinuncia fatta dal difensore in udienza, alla presenza del rappresentato che non si opponga, era poco coerente con la premessa della titolarità esclusiva del potere di rinuncia in capo al diretto interessato. Ciò sia per la dubbia ipotizzabilità di un contegno concludente avente rilievo processuale, sia per la difficoltà di assegnare al silenzio un valore legale tipico rispetto ad un’attività di carattere strettamente tecnico. La sentenza ricordò che alcune decisioni avevano ammesso un potere del difensore di rinunciare solo ad uno o più motivi di impugnazione e, quindi, facendo leva sul potere autonomo del difensore di proporre impugnazione, affermò che il potere di rinuncia non poteva essere limitato quantitativamente, bensì esteso ad ogni motivo di doglianza che il difensore fosse legittimato a far valere. In altre parole, una volta riconosciuto al difensore il potere di rinunciare parzialmente all’impugnazione pur in assenza del contributo volitivo del suo assistito, era poi contraddittorio commisurare tale potere ad una approssimativa distinzione tra rinuncia totale e rinuncia parziale, ‘magari discriminando fra censure di rito e censure di merito, tra motivi attinenti alla responsabilità dell’imputato, per un verso, e motivi concernenti il quantum della pena o l’applicazione o il giudizio di prevalenza ovvero di equivalenza fra circostanze e così via, per un altro verso, tra doglianze riferite all’interesse penale dell’imputato e doglianze riferite alla sua responsabilità civile’.

La sentenza Di Vito ricordò quindi che la soluzione negativa adottata dalla prevalente giurisprudenza era condivisa dalla unanime dottrina, ora richiamando l’espressione lessicale ‘parte privata’ assunta dall’art. 206 del previgente cod. proc. pen. (attuale art. 589, comma 2), ora escludendo che il potere rappresentativo del difensore comprenda l’esercizio di una potestà abdicativa, ora distinguendo tra esercizio del diritto e rinuncia al diritto stesso. Contestò anche l’argomento fondato sull’art. 571, comma 4, che conferisce all’imputato il potere di togliere effetto all’impugnazione proposta dal difensore, così accordando una prevalenza alle ragioni dell’autodifesa rispetto a quelle della difesa tecnica, osservando che questa norma non implica l’esclusione del titolare del diritto di impugnazione dall’esercizio di un autonomo atto abdicativo, specie nell’ambito di un rapporto di natura fiduciaria.

La sentenza rimarcò poi che il favor imputati che opera nel momento della presentazione della impugnazione, ampliando l’area dei soggetti legittimati a proporla, deve poter operare inversamente anche nel momento della rinuncia, perché questa non sempre si risolve in un atto da cui derivano effetti in danno (come, anche senza considerare l’appello incidentale, nel caso di impugnazione manifestamente infondata per evitare la condanna alle spese, o di impugnazione avverso la concessione di un beneficio).

Non sarebbe poi decisivo l’argomento letterale costituito dall’uso (nell’a 589, comma 2) dell’espressione ‘parti private’ e dalla riserva contenuta nella correlativa espressione ‘procuratore speciale, perché il lessico parte privata può ricomprendere sia l’interessato sia il suo difensore, mentre il richiamo al procuratore speciale può alludere all’attribuzione di poteri abdicativi a soggetti diversi dal difensore. Assumerebbe invece rilievo il più incisivo ruolo di partecipazione, e non di mera assistenza tecnica, assegnato al difensore nel nuovo processo penale, come si desume essenzialmente dall’art. 99, comma 1, che gli attribuisce le facoltà e i diritti che la legge riconosce all’imputato. E se è vero che l’ultima parte della disposizione prevede che l’estensione dei diritti e delle facoltà opera solo se ‘essi non siano riservati personalmente’ all’imputato, è anche vero che dalla prima parte si ricava un criterio ermeneutico idoneo anche per verificare i limiti di operatività della riserva. In ogni caso, nel nuovo sistema il difensore è qualificato come titolare del potere di impugnazione, il che fa cadere l’ostacolo all’esercizio di un autonomo potere di rinuncia, mentre non avrebbe rilievo l’art. 589, comma 2, che sarebbe solo il frutto di una tralaticia riproduzione della previgente norma (come dimostrerebbe l’indistinto riferimento alle ‘parti private’ a fronte di una concreta operatività solo nei confronti dell’imputato, dato che le altri parti private stanno in giudizio a mezzo di difensore comunque munito di procura speciale ex art. 100, comma 1, cod. proc. pen.). La disposizione, quindi, non può precludere al difensore il potere di rinunciare all’impugnazione da lui proposta. Del resto, il difensore è legittimato a proporre autonomamente ricorso per saltum in cassazione, scelta che postula la rinuncia al gravame di merito.

L’orientamento espresso dalla sentenza Di Vito rimase peraltro per lungo tempo del tutto isolato.

Già la di poco successiva sentenza della Sez. F., n. 1865 del 09/09/1993, Palladino, Rv. 195346, dopo aver richiamato adesivamente il precedente consolidato orientamento, affermò che il diverso principio affermato dalla sentenza Di Vito è ‘difficilmente sostenibile a fronte del dato testuale’ dell’art. 589 cod. proc. pen. e, quindi, ribadì la regola che il difensore dell’imputato non può validamente rinunciare all’impugnazione, anche se da lui stesso proposta, senza mandato speciale da rilasciarsi nelle forme previste dall’art. 122 cod. proc. pen..

Questa posizione dominante è stata seguita da una lunghissima serie di pronunce conformi, sia delle singole sezioni sia delle Sezioni Unite, tra le quali possono ricordarsi: Sez. 1, n. 198 del 14/01/1994, Djordsevic, Rv. 196648, secondo cui la rinuncia del difensore non munito di mandato ad hoc non è valida, in quanto l’art. 589, comma 2, sancisce specificamente che le parti private – tra le quali non è da ricomprendere il difensore – possono rinunciare all’impugnazione o con dichiarazione rilasciata personalmente, o a mezzo di procuratore speciale (nello stesso senso: Sez. 6, n. 1084 del 12/03/1996, Cioffi, Rv. 205767; Sez. 1, n. 2779 del 30/04/1996,)ovine, Rv. 204893; Sez. 1, n. 1067 del 15/02/2000, Grillà, Rv. 216082; Sez. 6, n. 9303 del 31/05/1994, De Santi, Rv. 199435, la quale – contestando proprio una delle premesse da cui era partita la sentenza Di Vito – afferma che anche la rinuncia all’impugnazione limitata a taluno dei motivi dedotti è dall’art. 589 riservata all’imputato).

La sentenza Sez. U, n. 18 del 05/10/1994, dep. 1995, Battaggia, Rv. 199805 – occupandosi della legittimazione del difensore dell’imputato latitante o evaso a proporre la dichiarazione di ricusazione in nome e per conto del suo assistito, e raffrontando il potere di rappresentanza riconosciuto al difensore dall’art. 165, comma 3, cod. proc. pen. (secondo il quale l’imputato latitante o evaso è rappresentato ‘ad ogni effetto’ dal difensore) con quello, generale, di cui all’art. 99, comma 1 – osservò come quest’ultima disposizione esclude comunque i casi in cui facoltà e diritti siano dalla legge riservati personalmente all’imputato, con la conseguenza che la rappresentanza del difensore non può comunque estendersi all’esercizio di quei poteri processuali che, avendo natura dispositiva, non rientrano nell’ambito della vera e propria attività difensiva e possono pertanto essere ricondotti unicamente alla volontà dell’imputato, richiedendo di conseguenza una sua manifestazione di volontà personale o a mezzo di procuratore speciale. E come esempio di questi poteri processuali dispositivi, riconducibili esclusivamente alla volontà dell’imputato, le Sezioni Unite indicarono espressamente (oltre ai casi di richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena) proprio il caso di rinuncia all’impugnazione.

Diverse decisioni hanno in seguito precisato che la dichiarazione di rinuncia, parziale o totale, all’impugnazione può essere fatta soltanto personalmente dalla parte privata oppure a mezzo del difensore munito di procura speciale, che deve, ai sensi dell’art. 122 cod. proc. pen., contenere la specifica determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce (Sez. 6, n. 7381 del 09/07/1997, Manzo, Rv. 209748; Sez. 6, n. 29731 del 16/06/2003, Romano, Rv. 225495; Sez. 5, n. 6948 del 18/05/2000, Sclavini, Rv. 216368, che ritenne invalida una rinuncia ad alcuni motivi perché nella nomina – conferita al difensore per ogni atto di sua competenza compresa la facoltà di proporre ogni genere di istanza difensiva ed ogni utile impugnazione – nulla si precisava sulla facoltà di rinunciare ad uno o più motivi di impugnazione al fine di patteggiare la pena in appello). Si è altresì precisato che, anche in caso di procura speciale a rinunciare, il difensore non può delegare un sostituto ex art. 102, poiché la procura deve intendersi affidata intuitu personae proprio per la natura del particolarissimo atto dispositivo in vista del quale sono conferiti i poteri, che esulano da quelli tipici inerenti al mandato difensivo di cui all’art. 99 cod. pro pen. (Sez. 5, n. 4253 del 05/03/1999, Carioti, Rv. 213093).

Anche successivamente la giurisprudenza ha ripetutamente confermato il principio secondo cui, ai sensi dell’art. 589, comma 2, cod. proc. pen., non è valida la rinuncia all’impugnazione (anche se da lui proposta) formulata da difensore privo di procura speciale, in quanto si tratta di un atto abdicativo di un diritto già utilmente esercitato ‘per conto’ del soggetto rappresentato, alla cui sfera vanno ricondotti i relativi effetti processuali e dal cui consenso non può quindi prescindersi ai fini della caducazione degli stessi (Sez. 3, n. 24341 del 08/04/2003, Salleo, Rv. 224933; principio costantemente ribadito, tra le altre, da Sez. 1, n. 6636 del 01/12/1999, dep. 2000, De Cesare, Rv. 215330; Sez. 4, n. 23609 del 18/03/2004, Hamemi, Rv. 228784; Sez. 6, n. 42181 del 27/11/2006, Ferrieri Caputi, Rv. 235302; Sez. 1, n. 44612 del 16/10/2008, Frioni, Rv. 241569; Sez. 5, n. 4429 del 27/11/2009, dep. 2010, Mbaye, Rv. 246152; Sez. 1, n. 29202 del 23/05/2013, Maida, Rv. 256792; Sez. 1, n. 2952 del 23/10/2013, dep. 2014, Tripodi, Rv. 258268).

Dopo oltre venti anni dalla sentenza Di Vito del 1992, il contrasto è stato di recente riproposto da Sez. 1, n. 48289 del 18/06/2014, Tiberia, Rv. 261151, la quale ha invece ritenuto che ‘il difensore di fiducia è legittimato a rinunciare validamente, ai sensi dell’art. 589, comma 2, cod. proc. pen., all’impugnazione da lui autonomamente proposta nell’interesse del condannato o dell’imputato, senza necessità di munirsi di apposita procura speciale rilasciata dal suo assistito’. La sentenza sostiene di condividere la tesi all’epoca espressa dalla sentenza Di Vito e – richiamando uno dei principali argomenti di questa – ritiene che il prevalente orientamento contrario non si confronterebbe adeguatamente con la titolarità del diritto autonomo di impugnazione che, nell’ambito del ruolo partecipativo, e non di mera assistenza, attribuito alla difesa tecnica nel processo penale, è espressamente riconosciuto al difensore dell’imputato dall’art. 571, comma 3, cod. proc. pen. e che implica l’esercizio di un potere dispositivo sulle sorti del processo in grado di produrre effetti sostanziali anche pregiudizievoli per il rappresentato (come la possibilità di appello incidentale del pubblico ministero). Non sarebbe di ostacolo a questa conclusione l’art. 589, comma 2, cod. proc. pen., che potrebbe essere ragionevolmente interpretato nel senso che non si sia inteso escludere al difensore di rinunciare all’impugnazione da lui autonomamente proposta. Né vi sarebbero particolari rischi per l’imputato, atteso il dovere deontologico del difensore di fare sempre gli interessi del rappresentato e di informarlo, sicché non sarebbe immaginabile – specialmente in caso di mandato difensivo fiduciario – che una decisione così rilevante venga assunta senza essere stata previamente concordata con l’assistito, che peraltro ha la facoltà, ai sensi dell’art. 99, comma 2, cod. proc. pen., di togliere effe all’atto di rinuncia del difensore, fino a che non intervenga il provvedimento del giudice.

Non appare propriamente conforme a questa soluzione la sentenza Sez. 1, n. 49231 del 01/10/2014, Lushi, n. m., la quale ha anch’essa affermato l’efficacia della dichiarazione di rinuncia all’impugnazione formulata dal difensore di fiducia dell’imputato in relazione al gravame da lui proposto, ma ciò non perché il difensore avrebbe un autonomo potere di rinunciare all’impugnazione, bensì più semplicemente perché, in virtù del rapporto fiduciario che connota il mandato difensivo, dovrebbe presumersi, in assenza di elementi da cui desumere, anche implicitamente, l’esistenza di una contraria volontà della parte rappresentata, ‘che la scelta del difensore di rinunciare al ricorso per cassazione sia stata concordata dal difensore con l’imputato e corrisponda alla volontà di quest’ultimo’ (che tuttavia resta titolare della facoltà di togliere effetto all’atto del difensore).

Dopo la sentenza Tiberia, e prima dell’ordinanza di rimessione, la giurisprudenza è peraltro tornata a ribadire il consolidato orientamento maggioritario. Può qui ricordarsi la sentenza Sez. 2, n. 5378 del 05/12/2014, dep. 2015, Preiti, Rv. 262276, secondo cui è inefficace l’atto di rinuncia al ricorso per cassazione sottoscritto dal solo difensore non munito di procura speciale, in quanto la rinuncia non costituisce espressione dell’esercizio del diritto di difesa.

Soprattutto merita di essere richiamata la più recente e articolata sentenza Sez. 3, n. 33032 del 16/04/2015, dep. 28/07/2015, Chessa, (di cui l’ordinanza di rimessione del 5 giugno 2015 non ha potuto, ovviamente, tenere conto), che conferma l’orientamento consolidato, sulla base di una motivata e specifica contestazione dei principali assunti su cui si basa l’orientamento minoritario. Innanzitutto la sentenza osserva che contrasta con la lettera delle disposizioni l’assunto che gli artt. 99, comma 1, e 571, comma 3, cod. proc. pen. attribuirebbero al difensore autonomi poteri dispositivi del rapporto processuale, sicché il potere di rinuncia all’impugnazione andrebbe inteso come conseguenza del potere di proporre autonoma impugnazione. Infatti, mentre l’art. 99 nulla dice in proposito, la rinuncia è disciplinata dall’art. 589, comma 2, che fa letteralmente riferimento alla sola rinuncia proposta dalle parti private, anche a mezzo di procuratore speciale. L’art. 571, comma 3, poi si limita ad attribuire al difensore dell’imputato il potere di proporre impugnazione, senza nulla prevedere in punto di rinuncia, mentre il successivo comma 4 si riferisce espressamente alla rinuncia del solo imputato, prevedendo che quest’ultimo può togliere effetto all’impugnazione proposta dal difensore nei modi previsti per la rinuncia. La lettera delle disposizioni manifesta dunque che la volontà del legislatore è stata quella di attribuire espressamente al difensore soltanto il potere di impugnazione e non anche quello di rinunciare all’impugnazione proposta.

La sentenza Chessa contesta poi l’assunto che l’art. 589, comma 2, andrebbe interpretato nel senso che si riferirebbe soltanto all’impugnazione proposta dalle parti private e non anche a quella autonomamente proposta dal difensore dell’imputato; e ciò perché la presunta distinzione tra l’impugnazione dell’imputato e quella del difensore appare smentita dalla considerazione unitaria delle impugnazioni fatte nell’interesse dell’imputato, che si desume dal sistema e che fa perno sul concetto, parimenti unitario, di ‘parte processuale’.

La sentenza infine ritiene inconferente l’argomento che l’esistenza di un autonomo potere di rinuncia all’impugnazione in capo al difensore non potrebbe danneggiare l’imputato. Ciò perché il rilievo dell’esistenza di un obbligo per il difensore di concordare con l’imputato ogni scelta processuale rilevante, ivi compresa la rinuncia all’impugnazione, non è comunque probante in quanto non supera l’argomento che la rinuncia non è una semplice espressione della difesa tecnica, ma un atto dispositivo del rapporto processuale spettante unicamente all’imputato. Allo stesso modo non è probante il rilievo che l’imputato, in forza dell’art. 99, comma 2, avrebbe la facoltà di togliere effetto ad una eventuale rinuncia formulata dal difensore.

Per completare l’esame della giurisprudenza, deve anche ricordarsi che, nella vigenza del precedente codice di rito, si escludeva generalmente un autonomo potere del difensore di rinuncia all’impugnazione, non solo totale, ma anche parziale (v., fra le altre, per la invalidità di una rinuncia ad alcuni dei motivi, Sez. 6, n. 1802 del 25/11/1988, dep. 1990, Intravaia, Rv. 183269; Sez. 6, n. 13911 del 14/10/1986, Barbieri, Rv. 174550). Si rinvengono tuttavia due decisioni che, sia pure in un ambito molto ristretto, riconobbero un potere di rinuncia limitato ad alcuni specifici motivi di gravame. Con la prima (Sez. 3, n. 8503 del 21/06/1974, dep. 1975, De Mai, Rv. 130732) si ritenne valida la rinuncia del difensore all’eccezione di nullità per mancato interrogatorio dell’imputato, perché ciò rientrava esclusivamente nella discrezionalità tecnica del ministero difensivo. Con la seconda (Sez. 6, n. 2014 del 24/11/1983, dep. 1984, Guarino, Rv. 162964), si ritenne valida – sempre perché ritenuta rientrante nella discrezionalità del difensore – la rinuncia ad eccepire alcune nullità processuali di carattere relativo.

Anche dopo l’entrata in vigore del codice di procedura del 1988, la giurisprudenza ha prevalentemente ritenuto che il difensore non munito di procura speciale non è legittimato a rinunciare neppure parzialmente all’impugnazione. Parte delle decisioni che hanno affermato il principio riguardano l’ipotesi (ora non più attuale) di rinuncia in appello ai motivi sulla responsabilità al fine di poter patteggiare la pena (Sez. 4, n. 6117 05/02/1992, Cersosimo, Rv. 190399; Sez. 6, n. 7381 del 09/07/1997, Manzo, Rv. 209748; Sez. 5, n. 4253 del 05/03/1999, Carioti, Rv. 213093; Sez. 5, n. 6948 del 18/05/2000, Sclavini, Rv. 216368; Sez. 6, n. 29731 del 16/06/2003, Romano, Rv. 225495). Ma, anche al di là di questa ipotesi, altre decisioni hanno escluso in via generale l’efficacia di una rinuncia parziale, anche se l’impugnazione era stata proposta dallo stesso difensore (Sez. 1, n. 2952 del 23/10/2013, dep. 2014, Tripodi, Rv. 258268), o hanno ritenuto invalida una rinuncia parziale del solo motivo concernente il mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 6, n. 9303 del 31/05/1994, De Santi, Rv. 199435), o una rinuncia ai motivi del gravame cautelare con esclusione di quelli concernenti le esigenze cautelari (Sez. 1, n. 7764 del 27/01/2012, Santonastaso, Rv. 252080), o alla sola parte di impugnazione relativa alla responsabilità per alcuni dei delitti contestati (Sez. 2, n. 478 del 04/12/1998, dep. 1999, Danubio, Rv. 212250). Non manca peraltro qualche isolata decisione che, dopo l’abrogazione dell’istituto del patteggiamento in appello, ha ritenuto valida una rinuncia in appello ai motivi sulla responsabilità (Sez. 5, n. 3820 del 10/01/2013, Ignomeriello, Rv. 254567, la quale però si premura di evidenziare che la corte di appello aveva ugualmente motivato sull’infondatezza di detti motivi).

L’unica eccezione che, già nella giurisprudenza relativa al previgente codice di rito, si faceva alla regola dell’irrinunciabilità, da parte del difensore senza procura speciale, all’impugnazione ancorché da lui proposta, riguardava l’ipotesi di dichiarazione di rinuncia fatta in udienza alla presenza dell’imputato e in mancanza di opposizione da parte sua. Eccezione questa sempre confermata anche nella vigenza del codice di procedura del 1988 ed in tempi più recenti. Si è così ribadito che è valida ed efficace la rinuncia all’impugnazione effettuata da difensore privo di specifico mandato, qualora essa avvenga mediante dichiarazione fatta dal difensore in udienza alla presenza dell’imputato, il quale non si sia opposto, valendo tale presenza senza opposizione come implicita ratifica della volontà espressa dal difensore (Sez. 2, n. 478 del 04/12/1998, dep. 1999, Danubio, Rv. 212250; conf. Sez. 5, n. 4429 del 27/11/2009, dep. 2010, Mbaye, Rv. 246152; Sez. 6, n. 7381 del 09/07/1997, Manzo, Rv. 209748; Sez. 6, n. 7960 del 28/04/1993, Marchetti, Rv. 194899).

Ritengono la Sezioni Unite che le argomentazioni addotte dalle (poche) decisioni contrarie non sono idonee a far modificare il costante indirizzo seguito dalla assolutamente prevalente giurisprudenza di questa Corte nell’affermare il principio – fondato su ragioni dogmatiche oltre che su una interpretazione normativa sia letterale sia sistematica – secondo cui il difensore, non munito di procura speciale, non è legittimato ad operare una valida rinuncia, totale o parziale, all’impugnazione, quand’anche da lui proposta.

Questa conclusione – come meglio più avanti si vedrà – si fonda essenzialmente sulla considerazione che la rinuncia (secondo alcuni: la revoca), totale o parziale, all’impugnazione non è solo espressione di una attività concernente l’aspetto strettamente tecnico del diritto di difesa, e come tale rientrante nella discrezionalità professionale del difensore, ma costituisce un atto abdicativo di un diritto ormai già automaticamente sorto in capo al soggetto (imputato, indagato o altra parte privata) che ne è l’unico titolare, anche se l’impugnazione venne proposta non da lui personalmente ma, sempre però per suo conto e nel suo esclusivo interesse, dal difensore. Vale quindi il generale principio che la rinuncia, in quanto dichiarazione estintiva dell’efficacia dell’atto di impugnazione già proposto, implica una legittimazione attuale a disporre dei diritti e facoltà che con esso sono venuti in essere, sicché, ordinariamente, il legittimato all’esercizio del potere abdicativo non può identificarsi in una persona diversa dal soggetto attivo del diritto stesso.

La conclusione si fonda, inoltre, anche su un argomento letterale, costituito dal testo dell’art. 589, comma 2, cod. proc. pen., il quale attribuisce il potere di rinunciare all’impugnazione già proposta alle ‘parti private’, espressione questa che, secondo una diffusa interpretazione, non ricomprende il difensore. L’uso di questa locuzione va perciò interpretato come espressione della volontà del legislatore di escludere che il difensore, privo di procura speciale, possa validamente rinunciare all’impugnazione sia se da lui stesso proposta, sia se proposta dalla parte personalmente o a mezzo di altro procuratore speciale.

Concorre nello stesso senso la ratio sottesa sia all’art. 589, comma 2, sia all’art. 571, comma 4 (che si limita a disciplinare il modo e la forma con cui l’imputato può togliere effetto all’impugnazione proposta dal suo difensore): ratio che è proprio quella di ricondurre comunque all’imputato – nel cui interesse è in ogni caso proposta l’impugnazione – la scelta se avvalersi o meno degli effetti già derivati dall’atto di impugnazione formulata per suo conto dal difensore. Il sistema normativo, dunque, assegna valore prioritario alla volontà dell’imputato, cui unicamente spetta in definitiva di valutare i propri reali interessi e la convenienza di compiere l’atto abdicativo.

Venendo ora ad esaminare i diversi argomenti su cui è stata fondata la tesi minoritaria, può innanzitutto rilevarsi come non siano idonei a superare l’interpretazione qui seguita i due assunti preliminari della sentenza Di Vito del 1992, ossia: a) il fatto che la conclusione sarebbe contraddittoria rispetto alla ritenuta validità della rinuncia all’impugnazione proveniente da difensore privo di procura speciale quando non venga ricusata dall’assistito presente in udienza, e ciò perché sarebbe dubbia l’ipotizzabilità di un contegno concludente di rilevanza processuale specialmente rispetto ad una attività di ordine strettamente tecnico; b) il fatto che alcune decisioni avevano ritenuto valida una rinuncia del difensore limitata ad uno o più motivi di impugnazione, in tal modo attribuendogli un potere di rinuncia, di cui sarebbe poi contraddittorio e problematico contenere la misura commisurandola ad una approssimativa distinzione tra rinuncia totale e rinuncia parziale, con inevitabili incertezze interpretative e rischio di coinvolgere la stessa qualità delle doglianze.

Ora, quanto all’assunto indicato nel precedente paragrafo sub a), può ricordarsi che parte della dottrina aveva effettivamente rilevato che il silenzio dell’imputato, ancorché presente alla dichiarazione fatta in udienza, è di per sé equivoco, potendo essere determinato da ignoranza, da disattenzione e, quindi, inidoneo a far presumere il consenso, ed aveva conseguentemente ritenuto che la circostanza che l’imputato si limiti a mantenere il silenzio non sarebbe sufficiente a ricondurre la dichiarazione di rinuncia ad una sua volontà implicita di ratifica, occorrendo invece a tal fine che la volontà di rinuncia dichiarata dal difensore sia confermata espressamente dal rappresentato, con dichiarazione inserita nel processo verbale. Questa dottrina, quindi, aveva coerentemente sostenuto che in mancanza di una dichiarazione espressa della parte raccolta a verbale fosse invalida ed inefficace la rinuncia dichiarata dal difensore in udienza pur alla presenza della parte e senza opposizione di questa. Pertanto, se fosse esatta la tesi della sentenza Di Vito – secondo cui il silenzio dell’imputato presente non potrebbe assumere un valore di ratifica, e ciò per la non ipotizzabilità di un contegno concludente avente rilievo processuale, specialmente rispetto ad attività di ordine strettamente tecnico – la conseguenza dovrebbe essere semmai la invalidità e l’inefficacia della rinuncia dichiarata dal difensore senza contemporanea dichiarazione espressa dell’imputato raccolta a verbale e non già la configurabilità di un autonomo potere di rinuncia del difensore privo di procura speciale.

Va tuttavia precisato che la giurisprudenza, in realtà, non ha disatteso il principio secondo cui il silenzio della parte è di per sé equivoco e non significante, e quindi costituisce un fattore neutro al quale non può riconoscersi il valore di dichiarazione implicita di rinuncia all’impugnazione o di ratifica della rinuncia proposta dal difensore. Ha soltanto esattamente ritenuto che l’art. 589, comma 3, cod. proc. pen., laddove prevede che la rinuncia sia contenuta in una ‘dichiarazione… presentata’ nei modi e forme ivi indicate, non ha escluso che essa possa anche presumersi o desumersi da fatti manifestanti inequivocamente per implicito l’intenzione di rinunciare, in applicazione del principio generale che la rinuncia non va considerata un atto formale. Possono ritenersi pertanto valide, accanto alle ipotesi di rinuncia effettuata con dichiarazione (scritta o orale inserita nel processo verbale) anche quelle di rinuncia c.d. tacita o implicita, purché il complessivo comportamento del soggetto legittimato dimostri in modo certo una sua inequivoca volontà di concordare con la dichiarazione del difensore. Proprio sulla base di questa regola la giurisprudenza ha ritenuto che il silenzio, se accompagnato da altre circostanze, possa assumere un determinato significato e che, in particolare, ciò avvenga qualora si tratti di imputato presente che nulla obietti alla dichiarazione di rinuncia all’impugnazione fatta in udienza dal suo difensore. È vero che il silenzio potrebbe pure essere determinato da ignoranza o distrazione; tuttavia, il fatto che la dichiarazione provenga da un soggetto deputato ad agire nell’interesse della parte assistita e soprattutto la circostanza decisiva che la dichiarazione avvenga alla presenza non solo dell’imputato ma anche del giudice (che ben potrebbe accertarsi della reale volontà dell’imputato presente) fa sì che possa ragionevolmente presumersi che il comportamento passivo del titolare del diritto di rinuncia assuma il valore dimostrativo di una sua implicita volontà attuale di condividere la dichiarazione del difensore e di ratificarla. Il che però non comporta che debba riconoscersi un autonomo potere di rinuncia in capo al difensore, dal momento che la validità e l’efficacia della rinuncia stessa vanno pur sempre ricondotte ad una implicita ma inequivoca volontà della parte,, manifestata con questo comportamento concludente.

Questa soluzione, del resto, costituisce applicazione di un più generale principio7 in base al quale se il silenzio di per sé (ad eccezione del caso in cui sia la legge a stabilirne gli effetti) costituisce un fattore neutro, non v’è però dubbio che esso, unitamente ad altre circostanze, sia suscettibile di assumere una determinata significatività. Ne consegue che l’imputato può esternare di persona il suo consenso anche con un comportamento concludente, sicché le circostanze indicate costituiscono concreti elementi idonei a conferire all’atteggiamento silente dell’assistito portata dimostrativa di una volontà dello stesso nel senso enunciato dal difensore: il che consente appunto di ricondurre la domanda di quest’ultimo direttamente all’imputato. Proprio in virtù di questo principio generale la sentenza Sez. U, n. 9977 del 31/01/2008, Morini, Rv. 238680, riconobbe la validità di richieste di instaurazione di procedimenti speciali – atti altrettanto ‘personalissimi’ quanto la rinuncia alla impugnazione – allorquando la relativa istanza sia formulata dal difensore (specialmente se di fiducia), pur privo di procura speciale, e l’imputato sia presente e nulla eccepisca.

Analogamente, peraltro, sempre sulla base dello stesso principio generale, la giurisprudenza ha riconosciuto una valida rinuncia implicita all’impugnazione nel comportamento univoco dell’imputato che abbia chiesto il passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 1, n. 1416 del 23/03/1994, Polifroni, Rv. 197784) ovvero una valida rinuncia implicita alla impugnazione della parte civile nel comportamento di questa che abbia provveduto (anche per mezzo del suo procuratore speciale) alla remissione della querela, ritualmente accettata dal querelato (Sez. 5, n. 11795 del 05/02/2014, Smurra, Rv. 260564; Sez. 5, n. 28482 del 05/03/2013, Costantino, Rv. 256332), sottolineando che in questi casi non vi sono dubbi sulla effettiva volontà della parte di rinunciare a perseguire le finalità cui è destinato il mezzo di impugnazione prescelto, volontà la cui tutela rappresenta la ratio delle formalità imposte dall’art. 589, e che va quindi rispettata, anche se non è stato seguito il percorso prefissato da tale disposizione.

È bene precisare che il riconoscimento di una volontà implicita dell’interessato di rinunciare all’impugnazione già proposta può essere desunta da un suo comportamento passivo soltanto se ricorrano le condizioni evidenziate dalla giurisprudenza maggioritaria e dianzi ricordate, ossia esclusivamente quando tale comportamento silente sia certamente inequivoco e concludente (come, appunto, nel caso di presenza dalla parte alla dichiarazione resa dal difensore in udienza). Non può pertanto concordarsi con una recente ed isolata decisione (Sez. 1, n. 49231 del 01/10/2014, Lushi, n. m.) secondo cui, in mancanza di elementi da cui desumere, anche implicitamente, una volontà contraria della parte rappresentata, potrebbe sempre presumersi che la dichiarazione del difensore di fiducia di rinunciare alla impugnazione sia stata concordata con l’imputato e corrisponda quindi alla volontà di questi. Si tratta di una interpretazione sostanzialmente abrogatrice delle norme che escludono che il difensore non munito di procura speciale abbia un potere autonomo di rinuncia all’impugnazione, ancorché da lui proposta e che comunque configura una presunzione che non si basa su alcun elemento certo ma soltanto su una mera supposizione non confortata da dati desunti dalla comune esperienza. Il che appare dimostrato proprio dalla vicenda oggetto del presente giudizio, in cui il difensore di fiducia dichiarò nella udienza in camera di consiglio di rinunciare alla richiesta di riesame, mentre in precedenza, quella stessa mattina, l’indagato detenuto aveva rilasciato al direttore del carcere dichiarazione con la quale rinunciava solo alla sua presenza in udienza chiedendo però che la stessa avesse ‘regolare corso’, così manifestando una chiara volontà di insistere nella richiesta di riesame. Ciò appunto mostra come non corrisponda con certezza alla realtà la presunta regola di esperienza secondo cui dovrebbe sempre presumersi che la scelta del difensore di fiducia di rinunciare sia stata in precedenza concordata con l’imputato. E comunque, senza il conferimento di una procura speciale o la presenza in udienza, non si potrebbe presumere con certezza che la dichiarazione del difensore corrisponda anche alla volontà attuale dell’assistito.

Né potrebbe ritenersi rimedio sufficiente la facoltà della parte, ex art. 99, comma 2, cod. proc. pen., di togliere effetto alla rinuncia del difensore, perché, se questa è avvenuta in udienza, è anche assai probabile che sia già intervenuto il provvedimento del giudice.

Quanto all’altro assunto preliminare della sentenza Di Vito – su cui v. par. 10, sub b) -, può osservarsi che esso si fonda su una interpretazione minoritaria ed è comunque inconferente. Come in seguito meglio si dirà, non è infatti condivisibile la recisa affermazione secondo cui il difensore privo di procura speciale, mentre non potrebbe effettuare una rinuncia totale, potrebbe invece validamente operare una rinuncia parziale all’impugnazione, tanto da lui stesso, tanto da altri proposta. In ogni caso, è qui sufficiente osservare che la sentenza Di Vito appare condivisibile laddove sostiene che, se si ammette un potere di rinuncia da parte del difensore, sarebbe poi contraddittorio e problematico commisurarne l’ambito ad una approssimativa distinzione tra rinuncia totale e rinuncia parziale, con inevitabili incertezze interpretative delle stesse doglianze, magari discriminando tra censure di rito e censure di merito, tra motivi attinenti alla responsabilità e motivi riguardanti la determinazione della pena e la valenza delle circostanze, tra doglianze relative alla responsabilità civile e quelle relative agli interessi penali. Se così è, però, la conseguenza non dovrebbe essere quella di ammettere un potere autonomo del difensore di rinunciare anche in toto all’impugnazione proposta, quanto piuttosto quella di escludere appunto la possibilità di una autonoma rinuncia anche parziale.

L’orientamento prevalente, come già ricordato, si basa anche – ma non soltanto – sull’argomento letterale rappresentato dal fatto che la disposizione codicistica che disciplina la rinuncia all’impugnazione (art. 589), nel disporre, al comma 2, che ‘Le parti private possono rinunciare all’impugnazione anche per mezzo di procuratore speciale’, assegna testualmente la titolarità del potere di rinuncia alle ‘parti private’, espressione questa che, secondo una diffusa interpretazione (Sez. 1, n. 198 del 14/01/1994, Djordsevic, Rv. 196648; Sez. 1, n. 7764 del 27/01/2012, Santonastaso, Rv. 252080) non comprende anche il difensore e, quindi, va intesa come manifestazione della volontà del legislatore di escluderlo dal potere di rinuncia.

L’orientamento minoritario svaluta questo argomento letterale, sostenendo che l’espressione ‘parte privata’ potrebbe essere letta come comprensiva sia dell’interessato sia del suo difensore (Sez. 6, n. 2115 del 08/06/1992, Di Vito, cit.). Analogamente, la riserva contenuta nella correlativa espressione ‘procuratore speciale’ andrebbe intesa nel senso di alludere all’attribuzione di poteri abdicativi a soggetti diversi dal difensore, sicché l’intera disposizione potrebbe leggersi come riferita alla sola iniziativa personale dell’imputato di rinunciare all’impugnazione da lui stesso formulata ovvero, in forza dell’art. 571, comma 4, a quella proposta dal difensore, senza con ciò inibire a quest’ultimo la rinuncia all’impugnazione da lui proposta (Sez. 1, 18/06/2014, n. 48289, Tiberia, cit.).

Queste osservazioni non sono però condivisibili.

Può in primo luogo osservarsi che è vero che in alcuni casi il codice usa il termine ‘parte’ per riferirsi anche al difensore, come, ad esempio, nell’art. 182, comma 2, disposizione nella quale, anzi, le Sezioni Unite (Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263024) hanno recentemente chiarito che per ‘parte’ deve intendersi il solo difensore (e non anche l’indagato, o l’imputato o altra parte privata). Tuttavia è anche vero che, come già rilevato dalla dottrina in relazione alla sentenza Di Vito, proprio nella specifica materia delle impugnazioni il legislatore ha avuto cura di distinguere le ‘parti private’ dai difensori, sia con riguardo alla ‘presentazione dell’impugnazione’ (art. 582, comma 2) sia con riguardo alla ‘spedizione dell’atto di impugnazione’ (art. 583, comma 3), il che costituisce un rilevante elemento esegetico per ritenere che quando, nello specifico caso dell’art. 589, comma 2, ha indicato le sole ‘parti private’ e non anche il difensore, abbia voluto riferirsi unicamente all’imputato, all’indagato e alle altre parti private,e non anche ai loro difensori.

È stato inoltre condivisibilmente osservato (Sez. 3, n. 33032 del 16/04/2015, Chessa, cit.) che la tesi minoritaria si basa su una distinzione tra impugnazione proposta dall’imputato e impugnazione autonomamente proposta dal difensore che non appare conforme al dato letterale e sistematico emergente da diverse disposizioni del Libro IX del codice, le quali mostrano una considerazione unitaria delle impugnazioni proposte nell’interesse dell’imputato, che fa perno sul concetto unitario di ‘parte processuale’. Oltre all’art. 568, che si riferisce alla parte sia nel limitare il diritto di impugnazione ai soli soggetti ai quali la legge espressamente lo conferisce, sia nel prevedere la necessità di un interesse ad impugnare, vengono richiamati anche gli artt. 569, commi 1 e 2, 571 e 587, che si riferiscono tutti all’impugnazione della parte, e più specificamente dell’imputato, in essa ricomprendendo anche quella del difensore. È poi particolarmente significativo, anche al fine di interpretare la disposizione di cui all’art. 589, comma 2, il fatto che la stessa rubrica dell’art. 571 si riferisce alla ‘Impugnazione dell’imputato’, comprendendo evidentemente in tale definizione sia l’impugnazione proposta dall’imputato personalmente o a mezzo di procuratore speciale (comma 1) sia quella proposta autonomamente dal difensore dell’imputato (comma 3). Vi sono quindi diversi elementi esegetici per ritenere che il termine ‘parti private’ usato dall’art. 589, comma 2, vada interpretato nel senso che la regola dettata da tale disposizione per la rinuncia all’impugnazione si applichi – per quanto concerne l’imputato o l’indagato – sia alla impugnazione personale da lui proposta sia a quella proposta personalmente del difensore.

Analogamente accade per le altre parti private, che devono stare in giudizio solo a mezzo di difensore munito di procura speciale, ed alle quali, diversamente che all’imputato, non è attribuito il potere di proporre personalmente impugnazione. A sua volta, il difensore delle altre parti private munito di procura speciale (mandato alle liti) è legittimato a proporre impugnazione solo se il mandato ricevuto contiene specificamente il riferimento al potere di impugnazione o comunque se dall’interpretazione del contenuto della procura sia desumibile la volontà della parte di attribuire anche un siffatto potere (Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, Mazzarella, Rv. 229179; Sez. 5, n. 33453 del 08/07/2008, Boschi Benedetti, Rv. 241394; Sez. 5, n. 42660 del 28/09/2010, Moretti, Rv. 249337; Sez. 3, n. 37220 del 16/05/2013, Abiati, Rv. 256973; Sez. 5, n. 35535 del 16/05/2013, Pinto, Rv. 256368). Se il difensore delle altre parti private deve avere apposita procura speciale per proporre impugnazione, allo stesso modo deve avere una specifica procura speciale per rinunciare all’impugnazione proposta da lui o da altro procuratore speciale, come si ricava anche sia dalla specifica norma sulla rinuncia di cui all’art. 589, comma 2, sia dalla più generale norma dell’art. 100, comma 4, che esclude che il difensore delle altre parti private possa compiere atti espressamente riservati dalla legge alla parte rappresentata (come appunto fa l’art. 589, comma 2, per la rinuncia all’impugnazione) ed inoltre prescrive in particolare che il difensore ‘in ogni caso non può compiere atti che importino disposizione del diritto in contesa se non ne ha ricevuto espressamente il potere’. Dall’esame delle due disposizioni, anzi, appare ricavarsi la regola (che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza Di Vito, attribuirebbe uno specifico significato alla locuzione ‘parti private’ usata dall’art. 589, comma 2) che le parti private diverse dall’imputato, mentre a differenza di questo non possono proporre personalmente impugnazione, possono invece, in forza della suddetta disposizione, rinunciare all’impugnazione proposta dal loro procuratore speciale anche personalmente, oltre che per mezzo del medesimo o di diverso procuratore speciale. Questa interpretazione, del resto, appare implicitamente seguita dalla giurisprudenza dianzi ricordata quando ha attribuito valore di implicita rinuncia all’impugnazione della parte civile al comportamento di questa consistente nella remissione della querela, seguita dall’accettazione del querelato.

Ciò conferma che le due disposizioni codicistiche che disciplinano specificamente la rinuncia dell’imputato all’impugnazione (art. 571, comma 4, e art. 589, comma 2) devono essere interpretate nel senso che esauriscono le ipotesi di rinuncia aventi ad oggetto le impugnazioni della ‘parte imputato’ e, dunque, sia quelle proposte dall’imputato personalmente sia quelle proposte autonomamente dal difensore, senza che vi sia spazio per riconoscere poteri ‘atipici’ di rinunzia del difensore.

Il principale argomento utilizzato dall’orientamento minoritario fa leva sul ruolo partecipativo e non di mera assistenza attribuito alla difesa tecnica dal vigente codice di procedura, come si ricava, in particolare, dal disposto dell’art. 99, comma 1, secondo cui ‘al difensore competono le facoltà e i diritti che la legge riconosce all’imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest’ultimo’. Si sostiene che se è vero che quest’ultimo inciso esclude le facoltà e i diritti riservati dalla legge personalmente all’imputato, è anche vero che la prima parte della disposizione (‘Al difensore competono le facoltà e i diritti che la legge riconosce all’imputato’) fornirebbe anche un criterio ermeneutico idoneo ad interpretare restrittivamente la seconda parte (‘a meno che essi siano riservati personalmente a quest’ultimo’) nel senso che questa non escluderebbe l’attribuzione al difensore di un autonomo potere di rinunciare all’impugnazione da lui proposta.

Più specificamente si osserva che l’art. 571, comma 3, cod. proc. pen. riconosce espressamente al difensore dell’imputato la titolarità di un diritto autonomo di impugnazione, il che implica l’esercizio di un potere dispositivo sulle sorti del processo in grado di produrre effetti sostanziali di natura anche pregiudizievole per il rappresentato (come la possibilità di un appello incidentale del pubblico ministero). Ne deriverebbe che, una volta riconosciuta la possibilità di estrinsecarsi in tal modo al libero esercizio dell’autonomo diritto di impugnazione del difensore, non vi sarebbe poi ragione di disconoscere un parallelo autonomo diritto di farne cessare gli effetti mediante la dichiarazione di rinuncia al gravame proposto (che in alcuni casi potrebbe portare alla cessazione degli effetti pregiudizievoli eventualmente derivati dall’impugnazione).

Anche queste osservazioni appaiono non risolutive.

Innanzitutto, quanto al significato da attribuire alla disposizione dell’art. 99, comma 1, deve ricordarsi che le Sezioni Unite hanno già avuto occasione di affermare il principio che il dettato generale di cui alla prima parte dell’art. 99, comma 1, non può ‘refluire sull’interpretazione delle regole speciali che ne costituiscono (per previsione espressa) limitazione’ (sent. n. 18 del 05/10/1994, dep. 1995, Battaggia, Rv. 199805).

Ora, per quanto riguarda l’istituto in esame, mentre la norma generale dell’art. 99, comma 1, nulla precisa sulla rinuncia all’impugnazione, la regola speciale che disciplina la rinuncia all’impugnazione da interpretare (senza che a tal fine rilevi il disposto dell’art. 99, comma 1) è quella dell’art. 589, comma 2, il quale fa letteralmente riferimento esclusivamente alla rinuncia proposta dalle parti private, anche a mezzo di procuratore speciale. La norma dunque attribuisce espressamente il potere di rinunciare alla parte privata, senza prevedere deroghe al carattere personale dell’atto abdicativo di diritti già acquisiti in cui consiste la rinuncia all’impugnazione pendente, ma solo consente che esso possa essere esercitato personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Per parte sua, l’art. 571, comma 3, assegna al difensore dell’imputato unicamente il potere di proporre impugnazione, ma non prevede alcunché in ordine alla rinuncia all’impugnazione già proposta. Anche il successivo comma 4 dell’art. 571 si riferisce espressamente alla sola rinuncia dell’imputato, prevedendo che questi possa togliere effetto dall’impugnazione proposta dal difensore nei modi previsti per la rinuncia. Dunque, oltre a ragioni dogmatiche e di principio, anche l’interpretazione sia letterale sia sistematica delle disposizioni in rilievo porta a concludere che la scelta fatta dal legislatore sia stata appunto quella di attribuire al difensore soltanto il potere di impugnazione e non anche un autonomo potere di rinunciare all’impugnazione già presentata, potere invece riservato esclusivamente all’imputato.

D’altra parte, anche a prescindere dalla lettera dell’art. 589, comma 2, l’inclusione della rinuncia all’impugnazione nell’ambito degli atti riservati personalmente all’imputato indicati dalla seconda parte del comma 1 dell’art. 99, discende dalla sua stessa natura di atto abdicativo e dal principio generale che richiede l’esercizio personale da parte dell’imputato di determinati diritti o facoltà. La già ricordata sentenza delle Sezioni Unite n. 18 del 05/10/1994, dep. 1995, Battaggia, Rv. 199805, affermò di fondarsi appunto sul più generale principio che l’eccezione alle norme che richiedono l’esercizio personale da parte dell’imputato di determinati diritti o facoltà deve essere contenuta negli stretti limiti della finalità di tutela della difesa dell’imputato, precisando che da ciò consegue ‘che la rappresentanza del difensore non può estendersi all’esercizio di poteri processuali dispositivi, i quali propriamente non costituiscano esplicazione di tutela difensiva e come tali possano ricondursi solo alla volontà dell’imputato, richiedendo perciò una manifestazione personale o per mezzo di,procuratore speciale’. E come esempio di atto personalissimo che non rientra nel normale esercizio della attività difensiva, la sentenza Battaggia indicò espressamente (oltre alla richiesta di giudizio abbreviato ed a quella di applicazione della pena) proprio il caso di rinuncia all’impugnazione di cui all’art. 589, comma 2.

Questo principio generale è stato poi confermato dalle Sezioni Unite, anche più recentemente, con la sentenza n. 47923 del 29/10/2009, D’Agostino, Rv. 244819, la quale – dopo aver rilevato che l’art. 99, comma 1, evocando ipotesi di atti ‘riservati personalmente’ all’imputato, non implica necessariamente l’esigenza di una previsione derogatoria formalmente espressa, potendo gli atti ‘personalissimi’ essere individuati anche per la loro intrinseca natura o per la loro funzione a prescindere da un loro puntuale riconoscimento normativo e dopo aver chiarito che nella categoria degli atti riservati vanno generalmente annoverati, tra gli altri, quelli che sono idonei a determinare il contenuto della pronuncia – ha comunque specificato che fra ‘i casi di atti espressamente riservati all’imputato, ferma la facoltà di conferire procura speciale ad actum’ vi è appunto anche ‘la rinuncia all’impugnazione (art. 589, comma 2)’.

Appare pertanto inconferente la circostanza – richiamata dall’orientamento minoritario – che il vigente codice di rito riconosca al difensore un ruolo partecipativo e gli attribuisca specificamente un autonomo potere di impugnazione, così ampliando, in applicazione del principio del favor imputati, l’area dei soggetti legittimati ad impugnare. Con ciò, infatti, non viene intaccato il principio che l’impugnazione autonoma del difensore resta formulata pur sempre per conto e nell’esclusivo interesse dell’imputato, nella cui sfera giuridica vengono a prodursi automaticamente ed immediatamente gli effetti di essa, ed in particolare la nascita dei relativi diritti e facoltà. E poiché quest’ultimi con la presentazione dell’impugnazione sono ormai già acquisiti in capo al rappresentato, spetta soltanto a costui la decisione di rinunciarvi, con una sua contraria manifestazione di volontà. Appare quindi logico che il sistema adottato dal codice, correlativamente all’attribuzione al difensore di un autonomo potere di impugnazione, non gli abbia anche esplicitamente attribuito un autonomo potere di rinunciarvi, mentre abbia espressamente previsto, in due distinte disposizioni, che la parte privata può rinunciare all’impugnazione (art. 589, comma 2) e che l’imputato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all’impugnazione proposta dal suo difensore (art. 571, comma 4), riconoscendo la prevalenza della volontà del titolare dell’interesse coinvolto. Dunque, in applicazione del favor impugnationis, il difensore dell’imputato può autonomamente impugnare, ma unicamente il titolare dei diritti che ne derivano ha la possibilità di rinunciarvi tempestivamente. Dall’attribuzione al difensore dell’imputato di un autonomo potere di impugnazione non può quindi farsi derivare – in contrasto con il sistema delineato dal codice – la implicita posizione di una norma che attribuisca a tale difensore anche il potere autonomo di rinunciare all’impugnazione da lui formulata.

È vero che, qualora il difensore avesse anche questo autonomo potere, l’imputato, in forza dell’art. 99, comma 2, potrebbe togliere effetto all’atto di rinuncia con una dichiarazione contraria. Ma, a parte altre eventuali difficoltà nei casi concreti, la dichiarazione contraria potrebbe togliere effetto all’atto di rinuncia del difensore solo se effettuata prima che, in relazione alla rinuncia stessa, sia intervenuto un provvedimento del giudice. E ciò potrebbe rendere in pratica inoperante il rimedio proprio nei casi più problematici, quelli cioè nei quali – come è avvenuto nel caso in esame – il difensore, privo di mandato speciale e in assenza dell’imputato, faccia in udienza la dichiarazione di rinuncia totale o parziale, all’impugnazione, ed il giudice provveda senza che l’imputato abbia avuto la possibilità di effettuare la dichiarazione contraria.

Si è anche osservato (dalla sentenza Tiberia e dall’ordinanza di rimessione) che l’impugnazione autonomamente proposta dal difensore potrebbe avere effetti sostanziali di natura anche pregiudizievole per l’imputato (come il sorgere del potere del pubblico ministero di proporre appello incidentale) per cui dovrebbe riconoscersi al difensore stesso un autonomo corrispondente potere di caducarne gli effetti mediante dichiarazione di rinuncia (con conseguente perdita di efficacia dell’appello incidentale). In queste ipotesi, la rinuncia del difensore non si risolverebbe in un atto abdicativo di diritti e facoltà ma in un atto di esercizio dell’attività professionale con effetti favorevoli per l’imputato. L’osservazione appare però non decisiva. Difatti – a parte il rilievo che si tratta di una ipotesi del tutto marginale ed a parte il fatto che la presenza di questo presunto inconveniente non potrebbe comunque far sorgere una norma che attribuisca al difensore un potere autonomo di rinuncia – può osservarsi che nel codice è già previsto un rimedio per una situazione del genere, senza la necessità di sconvolgere il sistema. L’imputato, infatti, in forza dell’art. 571, comma 4, può sempre, nei modi previsti per la rinuncia, togliere effetto all’impugnazione proposta dal suo difensore, qualora dovesse verificarsi uno di quei casi ipotizzati dall’orientamento minoritario (appello incidentale, impugnazione manifestamente infondata o avverso la concessione di un beneficio) in cui l’esercizio in concreto delle facoltà e diritti da lui già acquisiti con l’impugnazione dovesse comportargli effetti pregiudizievoli. E questo rimedio – stanti le diverse scansioni temporali non dovrebbe avere, normalmente, le limitazioni pratiche che, come prima osservato, potrebbe avere una dichiarazione dell’imputato, ex art. 99, comma 2, contraria ad una eventuale rinuncia all’impugnazione formulata dal difensore. Del resto, anche la rinuncia ad una impugnazione in concreto pregiudizievole per l’imputato non si trasforma solo per questo in un mero atto difensivo rientrante nella discrezionalità tecnica del difensore, ma resta pur sempre un atto dispositivo del rapporto processuale, e in particolare un atto abdicativo dei diritti e facoltà sorti con l’impugnazione, sicché non si vede perché non debba essere riservato solo al loro titolare il rischio della scelta.

Non appare infine certamente probante l’argomento (utilizzato dalla sentenza Di Vito) basato sulla circostanza che il difensore è legittimato a proporre autonomamente ricorso per saltum in cassazione, il che postula necessariamente la rinuncia al gravame di merito. È difatti evidente che, essendo stato specificamente attribuito al difensore dell’imputato un autonomo potere di impugnazione, rientri nella sua discrezionalità tecnica anche la scelta tra le diverse impugnazioni proponibili, il che però non implica anche il riconoscimento del potere di compiere un atto abdicativo di diritti già sorti in capo al rappresentato. Del resto, non può confondersi tra la scelta tecnica del tipo di impugnazione da formulare, o anche, più in generale, tra l’opzione di non proporre alcuna impugnazione, e il compimento di un atto dispositivo di diritti e facoltà altrui già venuti in essere.

Non vi sono dunque valide ragioni per ritenere esatto l’assunto secondo cui l’attribuzione al difensore dell’imputato di un autonomo potere di impugnazione debba comportare, come necessaria conseguenza, anche il riconoscimento di un autonomo parallelo potere di caducarne gli effetti mediante una dichiarazione di rinuncia al gravame. L’assunto appare contrastante non solo con il tenore letterale delle disposizioni che regolano l’istituto, ma anche con una loro interpretazione sistematica e con il più generale principio che solo il titolare dei diritti e facoltà già automaticamente venuti in essere con l’impugnazione, da chiunque proposta, vi può rinunciare.

È infine certamente non decisivo l’argomento che l’attribuzione al difensore di un autonomo potere di rinuncia all’impugnazione già proposta non potrebbe comunque danneggiare l’imputato. In particolare, la sentenza Tiberia sottolinea l’obbligo deontologico del difensore di fare sempre gli interessi del proprio assistito e di informarlo sulle attività difensive più rilevanti, sicché specialmente quando si tratti di mandato difensivo fiduciario – non sarebbe immaginabile una rinuncia all’impugnazione che non sia stata previamente concordata con l’assistito, il quale peraltro conserva la facoltà di toglierle effetto ai sensi dell’art. 99, comma 2.

Si è già osservato che si tratta di mere supposizioni non basate su dati certi o sicure regole d’esperienza, e che pertanto ben possono non corrispondere alla realtà, come del resto è dimostrato proprio dalla vicenda oggetto del presente giudizio. In ogni modo, il rilievo non è probante perché non consente di superare l’argomento secondo cui la rinuncia ad una impugnazione già proposta è un atto dispositivo del rapporto processuale e, dunque, non semplicemente riconducibile all’esercizio della difesa tecnica; con la conseguenza che, non avendo il codice di rito attribuito espressamente tale potere al difensore, lo stesso deve ritenersi spettante al solo imputato, che lo può esercitare personalmente o a mezzo di procuratore speciale. Né vale osservare che anche l’impugnazione costituisce atto dispositivo del rapporto processuale, dal momento che il relativo potere è espressamente attribuito al difensore dall’art. 571, comma 3, il quale apporta appunto una deroga al principio generale che solo la parte personalmente può disporre del rapporto processuale. Il generale principio che il difensore deve concordare con l’imputato le scelte processuali rilevanti può trovare applicazione nei casi in cui l’ordinamento attribuisca al difensore poteri dispositivi, ma non può essere posto a fondamento della configurabilità di poteri dispositivi atipi capo al difensore (così Sez. 3, n. 33032 del 16/04/2015, Chessa, cit.).

Come si è dianzi anche rilevato, non è poi conferente il rilievo – anch’esso utilizzato dalla sentenza Tiberia – che l’imputato, in forza dell’art. 99, comma 2, potrebbe comunque togliere efficacia alla rinuncia proposta autonomamente dal difensore prima che sia intervenuto un provvedimento del giudice; e ciò se non altro per la ragione che questo rimedio non potrebbe in pratica operare nei casi più problematici, in cui la rinuncia venga dichiarata dal difensore in udienza senza la presenza dell’imputato ed, in relazione ad essa, il giudice provveda subito, prima che l’imputato abbia avuto la possibilità di ovviarvi. In ogni modo, l’esistenza di strumenti processuali diretti ad evitare che la rinuncia del difensore all’impugnazione da lui proposta possa provocare pregiudizio all’imputato non è di per sé sufficiente a costituire in capo al difensore un autonomo potere di rinuncia (Sez. 3, n. 33032 del 16/04/2015, Chessa, cit.).

L’ordinanza di rimessione prospetta il dubbio che sulla soluzione della questione sollevata possa influire lo sviluppo dell’ulteriore questione relativa alla possibilità di duplice impugnazione della sentenza contumaciale, prospettatasi dopo la riforma dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. ad opera del d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 aprile 2005, n. 60. L’ordinanza ricorda che la sentenza delle Sezioni Unite n. 6026 del 31/01/2008, Huzuneanu, Rv. 238472, aveva affermato il principio dell’unicità del diritto di impugnazione, rilevando che l’impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse dell’imputato contumace, preclude a quest’ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione. Secondo tale sentenza, dalla intangibilità del principio di unicità del diritto di impugnazione consegue che, anche se proposta dal difensore, l’impugnazione continua ad essere l’impugnazione ‘dell’imputato’, il che giustifica che questo resti l’unico soggetto a poter togliere effetto all’impugnazione proposta dal difensore, nei modi previsti per la rinuncia, e non viceversa. L’ordinanza osserva poi che però la sentenza della Corte costituzionale n. 317 del 2009 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui non consente la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dell’imputato. Sarebbe stato così intaccato, in qualche misura, il principio dell’unicità dell’impugnazione, come ritenuto da diverse pronunce di legittimità. Il superamento di tale principio potrebbe poi incidere sulla questione oggetto del presente processo.

Ora, sull’effettivo superamento del principio di unicità dell’impugnazione per effetto della sentenza n. 317 del 2009 della Corte costituzionale la giurisprudenza di questa Corte non appare avere ancora raggiunto un orientamento definitivo. Diverse pronunce – sia pure giungendo poi a soluzioni non uniformi nei casi esaminati – hanno decisamente affermato che il principio di unicità dell’impugnazione è stato superato (Sez. 5, n. 11911 del 22/01/2010, Zonca, Rv. 246553; Sez. 6, n. 36684 del 28/09/2010, Dubenskyy, Rv. 248521), o che è stato definitivamente messo in crisi e demolito (Sez. 2, n. 49408 del 14/12/2012, Porcino, Rv. 253917), o che è ormai tramontato per essere sostituito dal principio dell’autonomia delle impugnazioni dell’imputato e del difensore, sia esso di fiducia o di ufficio (Sez. 2, n. 25778 del 05/06/2012, Menna, Rv. 253083). In senso diverso, però, si è anche osservato (Sez. F, n. 3144 del 04/09/2014, dep. 2015, Tripodo, Rv. 262040) che ‘appare quanto meno dubbio che la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 317/2009, abbia effettivamente inteso scardinare totalmente… il principio della unicità del diritto di impugnazione spettante all’imputato ed al suo difensore’ e quindi tenendo anche conto della recente normativa sul processo in assenza in riforma del processo di contumacia, introdotta dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 – si è prospettata la tesi che il dictum della sentenza n. 317 del 2009 della Corte costituzionale – circa la possibilità di restitutio in integrum del contumace nel termine per proporre impugnazione anche quando quest’ultima sia stata già proposta dal difensore – si applicherebbe nella sola ipotesi in cui tale impugnazione sia stata presentata dal difensore di ufficio (e non da quello di fiducia) e che pertanto il principio della unicità del diritto di impugnazione, più che essere stato superato, subirebbe in sostanza un mero temperamento nella particolare situazione in cui sussiste la necessità di far prevalere il diritto del contumace (oggi, dell’assente) di essere posto concretamente in grado di proporre impugnazione, allorquando non abbia avuto incolpevolmente conoscenza del processo.

Tale questione, peraltro, non deve essere affrontata e risolta in questa sede in quanto essa appare non avere incidenza risolutiva sulla diversa questione ora sottoposta alle Sezioni Unite. Ed invero, quand’anche si ritenesse che il principio di unicità del diritto di impugnazione sia stato totalmente travolto e scardinato per essere sostituito dal diverso principio dell’autonomia delle impugnazioni dell’imputato e del difensore (di ufficio o anche di fiducia), non è stata indicata la ragione per cui l’introduzione di questo diverso principio dovrebbe necessariamente comportare anche la sostanziale modifica o abrogazione tacita delle specifiche norme (dianzi indicate) che attribuiscono al solo interessato o a un suo procuratore speciale il potere di rinunciare ad una impugnazione già proposta dal difensore (di fiducia o d’ufficio) per suo conto e nel suo interesse (non ravvisandosi invero la presenza di un puntuale contrasto con impossibilità di applicazione di queste ultime) e correlativamente la nascita di nuove norme che attribuirebbero al difensore di fiducia di compiere atti abdicativi di diritti personalissimi già sorti in capo all’assistito. Il potere di impugnazione ed il potere di rinunciare ad una impugnazione già presentata sono cose diverse e l’attribuzione (espressamente già prevista dalla legge) al difensore di un autonomo potere di impugnazione non comporta anche l’attribuzione di un potere (non previsto) di successiva rinuncia. Né sembra che il superamento o temperamento del principio di unicità del diritto di impugnazione (specialmente se riferito al solo caso di contumace, o assente, difeso d’ufficio) possa incidere sulla interpretazione della disposizione di cui all’art. 589, comma 2, nel senso di ritenere che ora, per effetto delle suddette modifiche normative, la locuzione ‘parte privata’ dovrebbe intendersi in ogni caso come comprensiva anche del difensore. Del resto, l’argomento strettamente letterale non è l’unico, né quello decisivo, in favore della consolidata interpretazione di detta disposizione, che qui si è confermata. E deve inoltre considerarsi che la più recente giurisprudenza ha messo in evidenza che il superamento del principio di unicità del diritto di impugnazione riguarderebbe esclusivamente l’ipotesi del difensore d’ufficio dell’imputato assente, mentre, sulla questione qui esaminata, le opinioni che hanno seguito la tesi minoritaria hanno generalmente ammesso un potere di rinuncia all’impugnazione proposta soltanto per il difensore di fiducia.

Deve infine esaminarsi l’ulteriore aspetto della questione, ossia se il principio dell’inesistenza di un autonomo potere del difensore non munito di procura speciale di rinunciare all’impugnazione, anche se da lui proposta, valga solo per la rinuncia all’intera impugnazione ovvero si applichi anche alla rinunzia parziale, o, come spesso si usa dire, alla c.d. rinuncia ad uno o più motivi di impugnazione.

Sul punto sembra che occorra preliminarmente tentare di fare chiarezza, perché, a volte, dall’esame della non numerosa giurisprudenza in argomento, non appare chiaro che cosa si intenda quando si parla di rinuncia ad alcuni motivi di impugnazione. L’ipotesi più evidente, e che è anche quella che più frequentemente ricorre nella giurisprudenza, è rappresentata – anche dopo l’intervenuta modifica dell’art. 599 cod. proc. pen. e l’abrogazione del c.d. patteggiamento in appello ad opera dell’art. 2 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125 – dal caso in cui il difensore (per le ragioni più varie, non esclusa la speranza di ottenere così un migliore trattamento sanzionatorio) rinunci ai motivi relativi alla responsabilità dell’imputato insistendo in quelli relativi alla determinazione della pena, o al giudizio di comparazione fra circostanze, o alla applicazione di benefici, o da casi similari.

In queste ipotesi, però, si dovrebbe in realtà parlare non tanto di rinuncia ad uno o più motivi, bensì, più propriamente, di rinuncia parziale all’impugnazione, perché la rinuncia ha ad oggetto una parte della impugnazione proposta, relativa ad uno o più capi o punti del provvedimento impugnato.

Ora, per le ragioni già in parte precedentemente accennate, deve ritenersi che il difensore non munito di procura speciale non abbia un autonomo potere di effettuare una rinuncia parziale. Già la sentenza Di Vito aveva rilevato – anche se per un diverso fine – che una distinzione tra rinunzia parziale e rinunzia totale comporterebbe inevitabili incertezze interpretative sul contenuto delle doglianze, anche per la difficoltà di distinguere tra le censure proposte (di rito o di merito, attinenti alla responsabilità o alle sanzioni, relative agli interessi penali o civili) sicché commisurare un autonomo potere di rinuncia del difensore a tale distinzione sarebbe comunque contraddittorio e problematico.

In ogni modo, sono le medesime più generali ragioni dogmatiche e di ordine sistematico e letterale le quali portano ad escludere la configurabilità in capo al difensore di un autonomo potere di rinuncia all’impugnazione, che, allo stesso modo, inducono ad escludere altresì un suo autonomo potere di rinuncia parziale. Se la rinuncia è un atto dispositivo del rapporto processuale e non riconducibile al semplice esercizio della difesa tecnica, la medesima natura di atto dispositivo ha la rinuncia parziale, con la quale si abdica alla possibilità, già esercitata per conto dell’imputato, di ottenere la riforma o la caducazione di un capo o punto del provvedimento impugnato. Se così è, allora anche la rinuncia parziale non costituisce esclusivamente mero esercizio della difesa tecnica bensì atto abdicativo di diritti e facoltà processuali già acquisiti, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella totale, sicché anche tale atto non può ritenersi ricompreso tra quelli autonomamente attribuiti alla discrezionalità tecnica difensore. D’altra parte, anche la dottrina che più specificamente si è occupata del tema, ha osservato che, al pari di quella totale, anche la rinuncia parziale all’impugnazione non può ridursi ad una semplice modalità di esplicazione dell’aspetto tecnico dell’attività di difesa, come è reso evidente dalle conseguenze di una eventuale reductio ad absurdum del principio, che porterebbe, addirittura, a riconoscere al difensore il potere di rinunciare in toto all’impugnazione se ritenesse ciò conferente al migliore espletamento del proprio compito.

In questo stesso senso, del resto, come si è in precedenza ricordato, si è espressa anche la giurisprudenza maggioritaria, mentre le poche eccezioni sembrano riguardare per lo più casi che non costituiscono vere e proprie rinunce parziali.

Va peraltro precisato che quanto osservato concerne propriamente la rinuncia parziale, ossia una rinuncia che riguardi quelle parti della impugnazione con cui si contesti e si chieda la riforma o l’annullamento di uno o più capi o punti del provvedimento impugnato. Diversa sembra essere invece l’ipotesi della rinuncia ad una o più argomentazioni o motivazioni su cui si fondano le diverse parti della impugnazione relative ai diversi capi impugnati: ipotesi questa a cui potrebbe forse riservarsi la denominazione di rinuncia a uno o più motivi.

Quest’ultima ipotesi appare effettivamente concernere l’aspetto esclusivamente tecnico dell’attività difensiva e rientrare nella discrezionalità professionale di impostazione e svolgimento del sistema difensivo, e dunque appartenere all’autonoma valutazione del difensore (come potrebbe avvenire, ad esempio, in caso di mutamenti normativi o giurisprudenziali). In casi del genere, pertanto, il difensore può ritenersi legittimato a rinunciare ad uno o più motivi (motivazioni o argomentazioni) dell’impugnazione, da chiunque proposta, senza necessità di ottenere dal suo assistito il rilascio di una procura speciale, sempre però che non si tratti in realtà di una rinuncia parziale all’impugnazione, e cioè di una rinuncia che comporti il venir meno della richiesta di caducazione di un capo o punto del provvedimento impugnato.

Allo stesso modo, non costituisce vera e propria rinunzia, nemmeno parziale, ed è quindi rimessa alla autonoma valutazione del difensore, l’ipotesi del mancato svolgimento orale delle ragioni che sono già esposte nei motivi di impugnazione (Sez. 3, n. 1629 del 13/11/1979, dep. 1980, Cantaro, Rv. 144234), ipotesi che non esonera il giudice dall’obbligo di giudicare e motivare su tutti i motivi di gravame.

Nemmeno costituisce ipotesi di rinuncia all’impugnazione che richiede la procura speciale il caso in cui il difensore si limiti a prospettare – adeguatamente argomentandole e dandone prova – ragioni oggettive di sopravvenuta carenza di interesse della parte a coltivare l’impugnazione. In tal caso vale infatti il principio che il giudice deve rilevare d’ufficio l’inammissibilità dell’impugnazione per carenza di interesse, che, qualora sia sopravvenuta, comporta che non possa pronunciarsi condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208166; Sez. U, ord. n. 20 del 09/10/1996, Vitale, Rv. 206168).

In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto:

‘Il difensore, di fiducia o d’ufficio, dell’indagato o imputato, non munito di procura speciale non può effettuare una valida rinuncia, totale o parziale, all’impugnazione, anche se da lui proposta, a meno che il rappresentato sia presente alla dichiarazione di rinuncia fatta in udienza e non vi si opponga’.

Nel presente giudizio, pertanto, il Tribunale del riesame di Catania ha errato nel ritenere invece valida ed efficace la dichiarazione di rinuncia alla richiesta di riesame fatta in udienza dal difensore di fiducia privo di procura speciale e senza la presenza dell’indagato e, conseguentemente, nel dichiarare inammissibile l’impugnazione, invece di esaminarla nel merito. È difatti evidente, per le ragioni dianzi indicate, che il comportamento dell’interessato detenuto che dichiari di rinunciare solo alla sua presenza in udienza non può essere inteso come una certa ed inequivoca manifestazione implicita di volontà di rinuncia all’impugnazione o di ratifica della dichiarazione del difensore.

L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio al Tribunale di Catania per il giudizio sulla richiesta di riesame, essendo chiaramente infondata la domanda del ricorrente di dichiarare la sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per non essere intervenuta legittimamente una pronuncia nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, come prescritto dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen..

Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la cessazione dell’efficacia della misura coercitiva prevista dal comma 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. si verifica soltanto qualora nel termine indicato dal precedente comma 9 non sia stata materialmente adottata alcuna decisione, e non, invece, allorché il tribunale abbia in qualsiasi modo pronunziato nei termini sulla richiesta di riesame, sia dichiarandone l’inammissibilità, sia decidendo sulla sua fondatezza, e ciò anche nel caso in cui tale pronunzia sia affetta da nullità assoluta ed insanabile per errore in procedendo, non essendo tale nullità equiparabile all’inesistenza del provvedimento (Sez. U, n. 2 del 12/02/1993, Piccioni, Rv. 193414; Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195356; Sez. U, n. 6 del 17/04/1996, Pagnozzi, Rv. 205254; Sez. U, n. 33540 del 27/06/2001, Di Sarno, Rv. 219230).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Catania – Sezione per il riesame delle misure cautelari.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *