Cassazione 6

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 22 marzo 2016, n.5621

Ritenuto in fatto

M.M. agì in giudizio nei confronti della Provincia di Ascoli Piceno per ottenere il risarcimento dei danni (indicati in Euro 619.000,00) subiti in conseguenza del tardivo rilascio dell’autorizzazione a gestire un’autoscuola in (omissis) , richiesta nel 1983 e ottenuta, in via provvisoria, solo nel 1999, a seguito dell’annullamento da parte del giudice amministrativo di vari provvedimenti di diniego emessi dall’amministrazione provinciale. La domanda fu rigettata dal Tribunale di Ascoli Piceno.
La Corte di Appello di Ancona ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre il M. sulla base di cinque motivi (illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. depositata peraltro tardivamente, solo il 5 febbraio 2016).
Resiste con controricorso la Provincia di Ascoli Piceno.

Motivi della decisione

1.- Si premette che non può tenersi conto della memoria illustrativa del ricorrente, essendo il suo deposito avvenuto tardivamente, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

2.- Con il primo motivo del ricorso si denunzia ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 CC e delle altre norme di seguito richiamate – nullità della sentenza per mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 132 CPC – insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 CPC – omessa motivazione circa il punto controverso e decisivo della controversia specificamente indicato nell’illustrazione che segue in relazione all’art. 360 n. 5 CPC.

Con il secondo motivo si denunzia contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 CPC.

Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 CC e delle altre norme di seguito richiamate – nullità della sentenza per mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 132 CPC.

– insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 CPC – omesso esame di un punto controverso e decisivo della controversia specificamente indicato nell’illustrazione che segue in relazione all’art. 360 n. 5 CPC.

Con il quarto motivo si denunzia ‘nullità della sentenza per mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 132 CPC – omesso esame di un punto controverso e decisivo della controversia specificamente indicato nell’illustrazione che segue in relazione all’art. 360 n. 5 CPC’.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente, in quanto costituiscono frazionamento di una censura sostanzialmente unitaria, volta a contestare la pronunzia impugnata nella parte in cui ha ritenuto insussistente una condotta colposa dell’amministrazione nel tardivo rilascio dell’autorizzazione.

Essi sono fondati, nei limiti che si illustreranno.

Per meglio comprendere le questioni da risolvere è opportuno riepilogare i fatti, sostanzialmente incontestati:

– il M. presenta alla Provincia di Ascoli Piceno istanza di autorizzazione alla gestione di un’autoscuola il 6 gennaio 1983;

– l’istanza viene accolta solo ‘in linea di massima, con le riserve indicate in narrativa’, con delibera n. 11 in data 21 gennaio 1983 del Consiglio Provinciale (esaminata senza rilievi dal CORECO in data 7 marzo 1983), che delega alla ‘Giunta Provinciale ogni proprio parere in merito all’istruttoria e all’accoglimento definitivo o meno della domanda stessa’;

– il 24 ottobre 1984, con delibera n. 308, il Consiglio Provinciale approva un nuovo regolamento in materia di autorizzazione e vigilanza delle scuole guida operanti nella provincia;

– con delibera n. 352 del 23 dicembre 1984 lo stesso Consiglio Provinciale stabilisce che le istanze precedenti al regolamento n. 308/1984 siano assoggettate alla disciplina anteriore; la delibera n. 352/1984, però, viene annullata dal CORECO II 26 marzo 1986; in data 20 giugno 1986 il Consiglio ne adotta un’altra di contenuto identico (n. 163/1986) anch’essa annullata dal CORECO in data 24 luglio 1986; le delibere di annullamento del CORECO vengono a loro volta annullate dal TAR, su ricorso del M. , con sentenza in data 4 novembre 1987;

– con delibera n. 110 dell’8 febbraio 1988 la Giunta Provinciale accoglie la domanda del M. , subordinatamente alla presentazione e verifica della documentazione;

– con delibera n. 225 del 25 luglio 1989 il Consiglio Provinciale stabilisce di sospendere l’esame di tutte le domande pendenti, ma il TAR sospende tale delibera su ricorso del M. ; con delibera n. 718 del 25 maggio 1990 la Giunta respinge l’istanza del M. per mancanza del requisito della buona condotta, ma il TAR con sentenza del 31 gennaio 1992 annulla tale delibera, ordinando alla P.A. di eseguire la sentenza;

– su diffida del M. , la Provincia provvede nuovamente sull’istanza, ma la rigetta ancora con delibera n. 3 del 7 gennaio 1993 per carenza del requisito della buona condotta, delibera ancora annullata dal TAR con sentenza del 28 gennaio 1998;

– a questo punto la Provincia rilascia l’autorizzazione in via provvisoria, in attesa dell’esito del ricorso di M. contro la delibera n. 225/1989.

La corte di appello ha escluso la colpa dell’amministrazione:

1) con riguardo alla prima fase del procedimento (e cioè fino alla sospensione della deliberazione n. 225/1989), considerando che nel gennaio 1983 vi era stato un provvedimento di accoglimento con riserva dell’istanza del M. , con delega alla Giunta Provinciale all’istruzione e al definitivo accoglimento o rigetto di essa, ma successivamente il CORECO aveva annullato le deliberazioni del Consiglio Provinciale che regolamentavano la materia;

2) con riguardo alla fase successiva, considerando che l’esistenza di un precedente penale del M. per il reato di millantato credito in materia di rilascio di patenti di guida poteva indurre l’amministrazione, nell’esercizio della sua attività discrezionale, a negare l’autorizzazione alla gestione di autoscuole, e che i profili di illegittimità rilevati dal TAR, in mancanza di ulteriori specifici elementi, non erano sufficienti ad affermarne la colpa.

La motivazione del provvedimento impugnato è insufficiente e contraddittoria.

La corte di merito ha correttamente individuato i principi di diritto da applicare alla fattispecie, ai quali ha inteso dichiaratamente conformarsi, e cioè quelli indicati inizialmente da Cass., SSUU, Sentenza n. 500 del 22 luglio 1999, e sostanzialmente tenuti fermi dalla giurisprudenza successiva (si veda, per tutte, Sez. 3, Sentenza n. 12282 del 27 maggio 2009: ‘nel caso in cui venga introdotta, avanti al giudice ordinario, una domanda risarcitoria, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, il giudice deve procedere, in ordine successivo, alle seguenti indagini: a) in primo luogo, deve accertare la sussistenza di un evento dannoso – b) deve, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) deve, inoltre, accertare, sotto il profilo causale facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della P.A. ò d) infine, deve verificare se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A. considerando che tale imputazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità del provvedimento, richiedendosi, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana; in applicazione di tale principio, la S.C., ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva omesso, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria formulata sulla scorta di un interesse pretensivo al conseguimento di un’autorizzazione commerciale, nella specie negata, di procedere – sul piano oggettivo – causale – al giudizio prognostico circa la fondatezza o meno dell’istanza di parte, da condurre in relazione alla normativa applicabile, e di compiere, sul piano soggettivo, il doveroso controllo sull’imputazione almeno colposa della condotta del pubblico funzionario, non avendo ritenuto, invece, sufficiente, per l’affermazione della responsabilità risarcitoria dell’ente comunale, l’intervenuto annullamento del diniego del nulla-osta presupposto in sede di giurisdizione amministrativa)”.

Si deve peraltro precisare, in proposito:

a) sotto il profilo oggettivo-causale, che laddove si deduca la lesione di un interesse legittimo pretensivo per il ritardo nel rilascio di un provvedimento abilitativo, e l’autorizzazione richiesta, dopo l’annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di un illegittimo diniego, sia poi effettivamente rilasciata sulla base della situazione originaria senza che siano intervenuti mutamenti nelle circostanze rilevanti, il giudizio prognostico circa la fondatezza dell’istanza della parte non può che ritenersi, ovviamente, positivo;

b) sotto il profilo dell’elemento soggettivo, che pur essendo sempre necessaria l’imputabilità del fatto alla pubblica amministrazione a titolo di dolo o di colpa (non desumibile dalla sola illegittimità del provvedimento), tuttavia, ‘allorché la illegittimità del provvedimento derivi dal vizio di violazione di legge per mancata osservanza di prescrizioni dettate da norme giuridiche e non risultino fatti positivi escludenti la colpa nel caso concreto il giudice deve ritenere provato l’elemento psichico della condotta’, in quanto allorché a cagionare l’illegittimità di un provvedimento (illegittimità che è elemento essenziale della fattispecie risarcitoria) sia il vizio di violazione di legge, in senso stretto, la colpa specifica è comprovata, salvo che non resti positivamente esclusa da elementi acquisiti alla causa che non consentano di muovere all’amministrazione alcun rimprovero, neppure sotto il profilo della colpa generica, per non avere fatto applicazione della normativa, ovvero siano comprovate cause di giustificazione (Cass., Sez. L, Sentenza n. 7733 del 23 aprile 2004).

Nell’applicazione dei principi illustrati la corte di merito è incorsa in una serie di omissioni e di evidenti vizi logici.

Per il periodo che va dal momento in cui il ricorrente presentò la propria istanza fino al momento in cui venne sospeso in sede giurisdizionale il provvedimento con cui era stato deciso di differire l’esame di tutte le istanze ancora pendenti (e cioè per il periodo dal 1983 al 1990 circa), sarebbe stato infatti necessario valutare se – a prescindere dalle varie pronunzie di annullamento di atti illegittimi, i cui effetti dilatori sulla definizione del procedimento sarebbero comunque da imputarsi alla stessa amministrazione che li ha adottati, in mancanza di specifici elementi idonei ad escludere ogni colpa nel caso concreto – vi era stato il tempo necessario per istruire e definire la pratica, o se il ritardo fosse addebitabile all’amministrazione.

Tale accertamento non risulta effettuato, ed in ogni caso la motivazione della pronunzia impugnata sul punto appare gravemente lacunosa, in quanto:

– non viene chiarita la specifica incidenza che avrebbero avuto sulla possibilità di provvedere tempestivamente sull’istanza del M. gli annullamenti di taluni atti da parte del CO-RECO (annullamenti che sembrano riguardare i provvedimenti di regolamentazione generale della materia);

– non viene chiarito per quale motivo tali annullamenti sarebbero motivo sufficiente, sul piano logico, ad escludere la responsabilità dell’amministrazione per non avere tempestivamente provveduto sull’istanza, specie se si consideri: che è pacifico che il CORECO non ha mai annullato direttamente un provvedimento di rilascio dell’autorizzazione; che, anche laddove l’annullamento dei provvedimenti generali di regolamentazione del settore avesse impedito il rilascio dell’autorizzazione al M. , ciò non escluderebbe la responsabilità dell’amministrazione (in mancanza di specifici elementi idonei ad escludere ogni colpa nel caso concreto), atteso che essa ha il dovere di provvedere anche a darsi una adeguata regolamentazione e non può certo andare esente da responsabilità solo per avere adottato uno o più atti regolamentari che vengano poi annullati per la loro illegittimità;

– non vi è alcuna motivazione sulla circostanza – che non risulta contestata – per cui ad altri soggetti (che avevano presentato analoghe istanze successivamente al M. ) furono tempestivamente rilasciate nel periodo in questione le relative autorizzazioni.

Per quanto poi riguarda il periodo successivo (che va approssimativamente dal 1990 al 1999), caratterizzato dall’annullamento in sede giurisdizionale dei provvedimenti di diniego dell’autorizzazione, la motivazione è ancor più lacunosa, sul piano logico.

La corte di appello ha ritenuto infatti, nell’escludere il requisito della colpa, che il precedente penale del M. avrebbe potuto giustificare il suddetto diniego anche a prescindere dagli annullamenti del giudice amministrativo.

Ma risulta che tale diniego era fondato proprio sull’assenza del requisito della buona condotta per la sussistenza del precedente penale, che esso è stato annullato per due volte dal giudice amministrativo e che l’autorizzazione è stata infine rilasciata.

Ciò vuol dire, da una parte, che quel precedente non era affatto sufficiente a giustificare il diniego, e dall’altra parte che la buona condotta è stata infine ritenuta sussistente dalla stessa amministrazione, che altrimenti avrebbe dovuto nuovamente negare l’autorizzazione.

Dunque l’esclusione della colpa dell’amministrazione per l’esistenza di quel precedente penale è logicamente contraddittoria.

La pronunzia impugnata va conseguentemente cassata, con rinvio alla medesima Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, la quale dovrà valutare nuovamente la fattispecie (e provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio).

Nel fare ciò dovrà tenere fermo il principio per cui, in ipotesi di domanda di risarcimento dei danni che si assumono prodotti dall’esercizio, ovvero dal mancato o ritardato esercizio di poteri amministrativi, occorre che il danneggiato provi l’imputabilità del fatto dell’amministrazione a titolo di dolo o di colpa, e non è consentito desumere la responsabilità di questa dalla sola illegittimità del provvedimento, positivo o negativo.

Dovrà peraltro considerare che, allorché sia dedotta la responsabilità dell’amministrazione per il tardivo rilascio di una autorizzazione amministrativa, avvenuto dopo l’annullamento per violazione di legge di uno o più provvedimenti di diniego, intervenuti a distanza di anni dall’istanza originaria, la sussistenza, ab initio, dei presupposti per l’ottenimento del provvedimento può risultare dal fatto oggettivo del suo stesso rilascio, infine avvenuto sulla base della situazione originariamente sussistente.

Dovrà inoltre tener presente che non possono essere considerati elementi sufficienti ad escludere l’elemento soggettivo della responsabilità quanto meno colposa dell’amministrazione per il ritardo, né l’avvenuto annullamento, in sede di controllo amministrativo, di atti regolamentari generali dello stesso ente disciplinanti la materia oggetto dell’autorizzazione, gravando comunque sull’amministrazione l’obbligo di organizzare la propria attività in modo da garantire la sussistenza dei presupposti per il tempestivo esame delle legittime istanze dei privati, né la sussistenza di un potenziale e controverso elemento impeditivo al rilascio dell’autorizzazione, laddove il relativo diniego, fondato esclusivamente su tale elemento impeditivo, sia stato giudicato illegittimo in sede di giurisdizione amministrativa.

Dovrà quindi verificare, sulla base di tali presupposti, se nel caso di specie risulti davvero giustificato da specifiche circostanze concretamente impeditive il ritardo di circa diciassette anni nell’adozione del provvedimento di autorizzazione, considerando l’amministrazione stessa responsabile della dilatazione dei tempi dell’istruttoria dovuta all’adozione di provvedimenti illegittimi, successivamente annullati, a meno che risultino fatti positivamente accertati tali da escludere ogni possibile rimprovero ad essa, anche sotto il profilo della colpa generica, ovvero siano dedotte e provate cause di giustificazione.

3.- Con il quinto motivo si denunzia ‘omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per la mancata ammissione dei mezzi di prova’.

Il motivo deve ritenersi assorbito per l’accoglimento dei primi quattro.

4.- In conclusione, il primo, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso sono accolti, nei sensi di cui in motivazione, mentre resta assorbito il quinto.

La pronunzia impugnata è cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte: accoglie il primo, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principale, assorbito il quinto, e cassa in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

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