Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 2 marzo 2016, n. 8614

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza 14.02.2014 la Corte di Appello di Napoli riconosceva ad U.A.C. la circostanza attenuante di cui all’art. 385 co. 4 cod. pen., con conseguente riduzione a mesi due di reclusione della pena inflitta dal Tribunale monocratico della stessa città al prevenuto, di cui pertanto confermava la declaratoria di colpevolezza in ordine al reato di evasione, contestato all’imputato per essersi allontanato arbitrariamente dall’abitazione della sorella Lucia, ove trovavasi ristretto in regime di arresti domiciliari.
2. Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il C. personalmente, deducendo violazione della legge penale, in relazione all’art. 385 cod. pen., per avere la Corte napoletana omesso di considerare che, essendosi egli recato direttamente presso la stazione dei Carabinieri di Sant’Antimo, cui chiedeva di essere tradotto nel carcere di Poggioreale in ragione della situazione di conflitto determinatasi con la sorella ed il di lei marito, a causa della incompatibilità caratteriale con quest’ultimo, tale sviluppo della vicenda era significativo del fatto che non vi fosse stata “una rilevante soluzione di continuità dello stato di restrizione”, né alcuna connotazione dolosa nel proprio comportamento, che non aveva comportato “la sottrazione alla sfera di controllo degli organi di vigilanza e dunque la lesione dell’interesse giuridico protetto dall’art. 385 c.p.”.

Considerato in diritto

1. II ricorso non è fondato, per le ragioni di seguito esposte.
2. Anche di recente, questa stessa sezione ha avuto modo di affermare che “Integra il reato di evasione la condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare e di presentazione presso la stazione dei Carabinieri ancorché per chiedere di essere ricondotto in carcere. (Nel caso di specie l’imputato aveva giustificato il proprio comportamento in ragione di una lite con il direttore della Comunità terapeutica presso la quale era ristretto)” (così Cass. Sez. 6, sent. n. 22109 del 13.05.2014, Rv. 262537), significando, con il conforto di ulteriori precedenti di legittimità, che qualsiasi condotta di volontario allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, in difetto di previa autorizzazione da parte della competente A.G., vale ad integrare il reato previsto e punito dall’art. 385 cod. pen., comportando la lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice al rispetto dell’autorità delle decisioni giudiziarie, a tale riguardo non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, né la durata o la distanza dello spostamento, né i motivi alla base della determinazione dei soggetto agente, ove pure riconducibili al deterioramento del rapporto con i familiari conviventi, trattandosi di situazione ad esempio ovviabile mediante la richiesta di mutamento del domicilio della restrizione (cfr., in particolare, Cass. Sez. 6, sent. n. 29679 del 13.03.2008, Rv. 240642).
Non ignora la Corte l’esistenza di precedenti di segno difforme, che tuttavia non sono indicativi di alcuna reale diversità di orientamento, in ragione della peculiarità delle fattispecie di volta in volta sottoposte all’attenzione del giudice di legittimità.
Così, nella vicenda di cui alla sentenza n. 32668 del 02.03.2010 (Sez. 6, Rv. 247997) era accaduto che il soggetto agente, anche in quel caso costituitosi presso la stazione dei Carabinieri per essere ricondotto in un istituto di pena, con comportamento motivato dalla volontà di evitare che una lite poco prima insorta in ambito familiare potesse degenerare, aveva tuttavia fatto precedere la propria condotta da una telefonata ai militari per essere urgentemente ricondotto in carcere, salvo poi, non avendo avuto la tempestiva presenza degli stessi, raggiungere personalmente la vicina caserma, “colto da un irrefrenabile stato d’ansia”: onde la ritenuta assenza di una “effettiva e concreta violazione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, che mira a garantire la corretta attuazione della pretesa punitiva dello Stato o le esigenze caute/ari”, esclusa dalla descritta dinamica del fatto.
E, analogamente, nel caso oggetto della sentenza n. 16673 del 13.04.2010 (Sez. 6, Rv. 247051), l’imputato, sempre in ragione dell’addotta impossibilità di protrarre la convivenza con i familiari, aveva richiesto telefonicamente l’intervento del personale di p.g. preposto ai controlli, che aveva successivamente atteso stazionando sull’uscio di casa dopo aver preannunciato che l’avrebbe varcata al precipuo scopo di essere tratto in arresto, in tal caso essendosi esclusa la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.
Infine, nell’ipotesi cui si riferisce la pronuncia richiamata dallo stesso ricorrente (Cass. Sez. 6, sent. n. 25583 del 05.02.2013, Rv. 256806), la sentenza è chiara nel significare essere emerso con certezza in punto di fatto, alla stregua di quanto accertato dai giudici di merito, che l’imputato “usci dalla sua abitazione per l’impossibilità di protrarre la convivenza con i familiari e giunse, immediatamente dopo, per la via più diretta, alla stazione dei Carabinieri, dove gli arresti domiciliari tramutarono in consegna al/a forza pubblica”, evidenziando dunque, anche in tal caso, come non vi fu alcuna reale sottrazione alla sfera di vigilanza degli organi di controllo e, dunque, alcuna sostanziale soluzione di continuità dello stato di restrizione del prevenuto.
Per contro, nel caso di specie, pur non essendo stata messa in dubbio l’effettività della motivazione alla base dell’agire del C., nondimeno è del tutto ignoto il momento in cui egli ebbe ad allontanarsi dall’abitazione in cui era sottoposto al regime degli arresti domiciliari e, correlativamente, se lo stesso si recò direttamente e per la via più breve presso la più vicina stazione dell’Arma, ovvero se maturò solo in seguito il convincimento posto in essere, che ben si era guardato dal rappresentare preliminarmente alle Forze dell’Ordine.
Alla stregua di tale quadro, l’unico dato certo è costituito dall’indebito allontanamento dal luogo della restrizione domiciliare, sul quale i giudici del merito hanno correttamente fondato la propria concorde statuizione, che appare quindi immune da censure di sorta.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 25.02.2016

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