Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 16 dicembre 2015, n. 49571
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZAPENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRANCO Amedeo – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO in data 27/06/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – (OMISSIS) ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO del 27/06/2014, depositata in data 8/09/2014, che ha parzialmente riformato la sentenza del GIP del medesimo tribunale del 4/02/2014 e, ritenuta l’ipotesi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, ha rideterminato la pena in 2 anni di reclusione e euro 5000,00 di multa, revocando le pene accessorie inflitte in primo grado nonche’ la misura custodiale applicata, confermando nel resto la sentenza che lo aveva ritenuto colpevole del reato di vendita e cessione continuata di stupefacenti del tipo cocaina che consegnava ai figli minori dell’assuntore che provvedevano materialmente al pagamento ed al ritiro della sostanza su sue disposizioni, fatto aggravato ai sensi del cit. Decreto del Presidente della Repubblica, articolo 80, comma 1, lettera a), e commesso in data antecedente e prossima al (OMISSIS).
2. Con il ricorso per cassazione, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, viene dedotto un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce con tale unico motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza poiche’, sostiene il ricorrente, la posizione dei minori sarebbe stata quella di intermediari, avendo gli stessi curato la consegna del denaro e dello stupefacente; l’aggravante contestata si applicherebbe invece solo se la consegna dello stupefacente avvenga a minore per il consumo; sul punto, la Corte d’appello avrebbe dilatato l’ambito applicativo della fattispecie penale, e sarebbe quindi illegittima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ infondato.
4. Ed invero, gia’ il primo giudice (la cui motivazione, trattandosi di doppia conforme, si salda con quella d’appello: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), aveva affermato che l’aggravante in questione rinviene la propria ratio nella maggiore pericolosita’ della consegna per qualunque scopo operata di sostanza stupefacente ad un minorenne, avendo il legislatore inteso, oltre che reprimere il traffico di sostanza stupefacente, tutelare i minori ed evitare che i medesimi possano venire in contatto con le sostanze nocive per la loro salute; l’aggravante della consegna delle sostanze stupefacenti a persona di eta’ minore, concludeva il primo giudice, e’ pertanto configurabile anche nel caso di semplice dazione al minorenne, indipendentemente dalla diversa destinazione che la droga possa eventualmente avere, in quanto ragione dell’aggravamento della pena risiede proprio nel fatto che un minore sia entrato in possesso dello stupefacente e possa comunque assumerne.
La Corte d’appello aggiunge poi, in merito alla configurabilita’ dell’aggravante contestata, che la condotta prevista dalla norma, concernente il caso in cui le sostanze stupefacenti sono consegnate o comunque destinate a persona di eta’ minore, e’ la stessa che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 indica come quella di chi “consegna per qualunque scopo” le sostanze; precisano i giudici di appello che l’ambito indefinito, ma non per questo incerto o generico, dei termini “comunque” e “qualunque” sta a significare che e’ punito in maniera piu’ grave il rapporto instaurato dallo spacciatore ed avente ad oggetto sostanze stupefacenti, con persona di eta’ minore; in fatto, osserva la Corte territoriale, che il ricorrente conoscesse bene l’eta’ minore dei fratelli (OMISSIS) e’ cosa che nemmeno l’imputato aveva mai negato, affermando anzi di conoscere bene l’intera famiglia e di aver ceduto gia’ gli stupefacenti al (OMISSIS) in passato, e di aver avuto molte discussioni con la (OMISSIS), madre dei minori, anche in loro presenza.
5. Trattasi di soluzione ad avviso del Collegio giuridicamente corretta. Ritiene infatti questa Corte che non possa essere seguita l’esegesi offerta dal ricorrente. L’aggravante della consegna delle sostanze stupefacenti a persona di eta’ minore (prevista in precedenza dall’abrogato Legge 22 dicembre 1975, n. 685, articolo 74), e’ infatti configurabile anche nel caso di semplice dazione al minorenne, indipendentemente dalla diversa destinazione che la droga possa eventualmente avere, in quanto la ragione dell’aggravante risiede proprio nel fatto che un minore entri in possesso dello stupefacente e possa dunque assumerne. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 1, lettera a), infatti, nel prevedere che “le pene previste per i delitti di cui all’articolo 73 sono aumentate da un terzo alla meta’: a) nei casi in cui le sostanze stupefacenti e psicotrope sono consegnate o comunque destinate a persona di eta’ minore; (omissis)”, ricalcando sostanzialmente la precedente previsione dell’abrogato articolo 74, comma primo, n. 1 della citata Legge n. 685 del 1975 (“1) nei casi in cui le sostanze stupefacenti o psicotrope sono consegnate a persona di eta’ minore o comunque destinate a persona di eta’ minore per uso non terapeutico;”), chiarisce in modo inequivoco che l’applicazione della circostanza aggravante in esame e’ collegata alla “consegna” o “comunque” alla destinazione delle sostanze stupefacenti ai minori. E’ quindi, chiaro dalla stessa formulazione letterale della fattispecie in esame che cio’ che rileva e’ il semplice fatto che lo stupefacente sia “consegnato” a minore per poter integrare compiutamente la condotta aggravatoria.
Il disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 1, n. 1, infatti, – come gia’ l’abrogato articolo 74, comma 1, n. 1, Legge 22 dicembre 1975, n. 685 – prevede due distinte forme di aggravamento.
La prima consiste nella consegna diretta delle sostanze nelle mani del minorenne e introduce una condotta criminosa cosiddetta “anticipata”, cioe’ intesa a prevenire qualsiasi pericolo di utilizzazione propria o altrui, terapeutica o meno da parte del minore. La seconda forma aggrava la pena quando lo stupefacente sia comunque destinato al minore (e, nella nuova formulazione, e’ stato opportunamente soppresso l’inciso relativo “all’uso non terapeutico”) e tuttavia non via sia consegna diretta nelle mani del minore (v., per un’applicazione sotto la vigenza dell’abrogata legge n. 685 del 1975: Sez. 6, n. 5585 del 08/03/1991 – dep. 27/05/1991, Romano, Rv. 187609; v., inoltre, nel senso che l’aggravante de qua si fonda sulla materiale consegna della droga al minore: Sez. 6, n. 8519 del 16/01/1987 – dep. 27/07/1987, Menzera, Rv. 176439).
6. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: “L’aggravante della consegna delle sostanze stupefacenti a persona di eta’ minore, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 1, n. 1, e’ configurabile anche nel caso di semplice dazione al minorenne, indipendentemente dalla diversa destinazione che lo stupefacente possa eventualmente avere, in quanto la ragione dell’aggravante risiede proprio nel fatto che un minore entri in possesso dello stupefacente e possa dunque assumerne. (Fattispecie nella quale lo stupefacente veniva consegnato ai figli minori dell’assuntore che provvedevano al pagamento ed al ritiro della sostanza su disposizione di quest’ultimo)”.
7. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, rigettato. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, che – a tutela dei diritti o della dignita’ degli interessati – sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalita’ e di altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.
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