SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 14 luglio 2015, n. 14664
Ritenuto in fatto
C.P. convenne innanzi al Tribunale di Messina M.A. esponendo che nel dicembre del 1982 aveva dato mandato al convenuto di acquistare per suo conto a (…), in conformità a quanto già fatto in precedenza, una Jeep, per la somma di lire 6.000.000, comprensiva del compenso del mandatario, quantificato in lire 500.000; che il M. aveva in effetti acquistato in suo nome e per suo conto un fuoristrada, modello Land Rover; che, ricevuta la consegna del veicolo, egli ne aveva dopo qualche tempo constatato la inefficienza.
Sulla base di tali premesse, chiese il C. che il convenuto rendesse conto del proprio operato, restituisse la somma pagata a titolo di prezzo, con interessi e rivalutazione, prendesse atto della sua disponibilità a ridare indietro la Jeep, gli pagasse un indennizzo per il mancato uso della stessa, vinte le spese. Resistette il convenuto.
Il giudice adito accolse la domanda, per l’effetto condannando il M. sia a restituire l’importo di lire 6.000.000, oltre accessori, nonché il mezzo per suo tramite acquistato dall’attore, sia a risarcire alla controparte i danni nella misura di lire 5.000.000.
Proposto gravame dal soccombente, la Corte d’appello di Messina, con la sentenza ora impugnata, depositata in data 29 marzo 2011, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, ha escluso l’obbligo del M. di restituire la Jeep; ha rigettato la domanda di condanna dello stesso al risarcimento dei danni, condannandolo alla rifusione della somma di lire 5.550.000; ha confermato nel resto l’impugnata sentenza.
Il ricorso di M.A. è articolato su sei motivi.
Non si è difeso l’intimato.
Motivi della decisione
1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia nullità della sentenza della Corte d’appello per vizio di costituzione del giudice, ex art. 158 cod. proc. civ., essendo stata la stessa redatta dalla dottoressa P.E. , la quale già aveva conosciuto della causa in prime cure, in quanto componente del collegio che in ben due occasioni si era pronunciato sulla domanda proposta, una volta ordinando al convenuto di rendere il conto del mandato, e altra volta disponendo un supplemento di consulenza tecnica.
2 Le critiche sono infondate.
La violazione dell’obbligo di astensione, previsto dall’art. 51 cod. proc. civ. per il magistrato che abbia conosciuto della causa in altro grado del processo, è deducibile solo con lo strumento della ricusazione ai sensi dell’art. 52 cod. proc. civ., e non in sede di impugnazione, come motivo di nullità della sentenza emessa dal giudice che avrebbe dovuto astenersi. E invero il potere di ricusazione costituisce un onere per la parte, la quale, se non lo
esercita entro il termine fissato dall’art. 52 cod. proc. civ., non ha mezzi processuali per far poi valere il difetto di capacità del giudice (cfr. Cass. civ. 12 dicembre 2014, n. 26223; Cass. civ. 28 ottobre 2014, n. 22854).
3 Con il secondo mezzo, denunciando falsa applicazione degli artt. 1703 e 1818 cod. civ., l’impugnante contesta la correttezza della qualificazione del rapporto dedotto in giudizio come mandato con rappresentanza, ex art. 1703 cod. civ. Sostiene che lo stesso doveva essere inquadrato nell’istituto della mediazione occasionale e non professionale, essendo insorto in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 39 del 1989 ed essendosi risolto, almeno nella prima fase, in un’attività volta all’unico fine di mettere in contatto acquirente e venditore con l’obiettivo di far loro concludere l’affare, mentre, a tutto voler concedere, la fattispecie del mandato era ravvisabile soltanto nella seconda fase, in cui erano state eseguite le obbligazioni di pagamento e di ritiro del mezzo.
Ne deriverebbe, secondo l’esponente, che egli, in quanto mediatore, poteva al più essere chiamato a rispondere dei danni, ma mai essere convenuto in un’azione volta alla pronuncia della risoluzione del contratto.
4 Le censure non superano il preventivo vaglio di ammissibilità.
Esse prospettano, a ben vedere, una questione nuova, perché in alcun modo trattata nella sentenza impugnata. Si ricorda allora che, secondo il costante insegnamento di questo giudice di legittimità, qualora una determinata questione giudica – che implichi un accertamento di fatto – sia stata del tutto ignorata dal giudice di merito, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440). E invero i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel ‘thema decidendum’ del giudizio di appello, di modo che, salvo che si prospettino profili rilevabili d’ufficio, è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali (cfr. Cass. civ. 26 marzo 2012, n. 4787).
5 Con il terzo motivo, lamentando falsa ed errata applicazione degli artt. 1710 e 1715 cod. civ., il ricorrente contesta il fondamento della domanda attrice, considerato che l’azione contro di lui spiegata era volta a far valere l’inadempimento del venditore per vizi occulti della cosa venduta da un terzo, laddove il mandatario non garantisce lo stato e le condizioni della cosa acquistata per conto del rappresentato, né resta obbligato in solido con la parte con la quale ha contratto nell’interesse dello stesso. Sostiene che la regola dettata dall’art. 1715 cod. civ. in tema di mandato senza rappresentanza, deve, a maggior ragione, valere in caso di mandato con rappresentanza in cui, grazie alla contemplatio domini, il rapporto di mandato acquista rilevanza esterna. Il giudice di merito, accogliendo la domanda, aveva in sostanza affermato la responsabilità del mandatario per violazione di un’obbligazione gravante sul venditore, tanto da accogliere la richiesta di restituzione del prezzo pagato dal compratore.
6 Con il quarto mezzo l’impugnante denuncia vizi motivazionali con riferimento alla definizione e alla valutazione del grado di diligenza del debitore nonché violazione degli artt. 1175, 1176, 1710, 1218 e 1124 cod. civ. Assume che l’affermazione della sua responsabilità, in quanto mandatario, sarebbe frutto di malgoverno delle emergenze istruttorie, considerato che non rispondeva al vero che egli avesse una competenza specifica nel settore, essendo all’epoca un dipendente delle Ferrovie dello Stato e che la sua diligenza era stata ritenuta insufficiente alla stregua di un parametro di maggiore accortezza assolutamente generico. Evidenzia che il prezzo della Jeep era stato ritenuto congruo dal c.t.u.; che il venditore era una concessionaria, e quindi un professionista del settore; che egli a (…) aveva fatto visionare l’auto da un meccanico di fiducia e da un suo amico esperto di motori; che il veicolo aveva viaggiato fino a (…) in perfetto stato di funzionamento; che il difetto del cambio costituiva un vero e proprio vizio occulto, tanto da essere sfuggito anche al tecnico che aveva riparato il freno a mano.
7 Con il quinto motivo, dichiaratamente svolto in via subordinata rispetto agli altri, il ricorrente lamenta falsa applicazione degli artt. 1710, 1759, 1175, 1176, 1218 e 1224 cod. civ., nonché vizi motivazionali. Assume che l’attore aveva proposto nei suoi confronti un’azione che, per un verso, si prestava a essere qualificata come azione di risoluzione per vizi della cosa venduta, e, per altro verso, come azione risarcitoria da inadempimento del mandato. La Corte d’appello, pur avendo expressis verbis escluso la risoluzione del contratto di vendita, l’aveva poi contraddittoriamente condannato alla restituzione del prezzo.
8 Con il sesto motivo si denuncia violazione dell’art. 1224 cod. civ., nonché vizi motivazionali, per avere il giudice d’appello confermato la condanna del convenuto al pagamento, sulla somma liquidata in sentenza in favore dell’attore, di interessi e rivalutazione dalla data dell’evento al soddisfo, laddove, trattandosi, al più, di un debito di valuta e non di valore, era necessario che l’attore fornisse la prova richiesta dal secondo comma dell’art. 1224 cod. civ..
9 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono fondate nei sensi che qui di seguito si vanno a precisare. Ha evidenziato il giudice di merito che, nell’atto introduttivo del giudizio, il C. aveva allegato l’inadempimento del mandatario in ragione della consegna di un mezzo inidoneo all’uso o comunque mancante della qualità promesse, per tal via chiedendone la condanna alla restituzione della somma pagata a titolo di prezzo, con interessi e rivalutazione, nonché al pagamento di un indennizzo per il mancato uso della Jeep, della quale peraltro aveva contestualmente offerto la restituzione.
Esclusa la rilevanza della modestia della somma messa a disposizione per l’acquisto, in ragione della inesperienza del mandante, il decidente ha quindi ritenuto, all’esito della valutazione delle prove raccolte, che il M. non avesse agito con la diligenza richiesta, essendosi limitato a far visionare il mezzo presso la concessionaria da un tecnico e da un amico che egli sapeva essere esperto, laddove avrebbe dovuto esigere un esame più approfondito; lo ha quindi condannato alla restituzione del prezzo, detratti gli importi corrispondenti alla somma pagata per il passaggio di proprietà e al compenso spettante al mandatario, mentre ha escluso sia la spettanza dei danni per il mancato uso del veicolo, sia la condanna alla riconsegna dello stesso, considerato che la Jeep era rimasta nella disponibilità del mandante, il quale, ritenendo che il contratto potesse risolversi, si era dichiarato pronto a renderla alla controparte.
10 A giudizio del collegio l’esposto iter motivazionale non resiste alle critiche dell’esponente sotto più di un profilo.
Non par dubbio, alla stregua del non contestato tenore della domanda introduttiva del giudizio, che l’attore aveva di fatto puntato su una sentenza di risoluzione, singolarmente indirizzando, tuttavia, la sua richiesta non già nei confronti del venditore, ma del mandatario.
L’anomalia, evidentemente non colta dal giudice di prime cure, è stata intercettata dalla Corte d’appello, la cui decisione appare tuttavia pur sempre condizionata dall’errore prospettico delle richieste attoree e dello stesso Tribunale, se è vero, come è vero, che il decidente ha ritenuto di dover mantenere ferma la condanna del mandatario alla restituzione del prezzo versato dal mandante, ancorché nell’ambito di un percorso esegetico incontrovertibilmente implicante la qualificazione di quell’esborso in termini di risarcimento del danno. Ne è derivata una decisione che, senza poter neppure ordinare all’attore la riconsegna del mezzo, in ragione proprio della non azionabilità di una domanda di risoluzione nei confronti del mandatario, ha finito per condannare il convenuto al pagamento di un importo sicuramente sperequato, tenuto conto dell’incidenza sullo stesso di interessi e rivalutazione dalla data del fatto.
11 Tali rilievi vengono formulati al solo fine di evidenziare l’insufficienza dell’approccio del giudice di merito con le questioni poste dalla presente controversia, considerato che essi sono in realtà assorbiti dalla fondatezza delle critiche svolte nel quarto mezzo.
Il collegio ritiene invero condivisibile la denunciata violazione della disciplina dettata dal comb. disp. degli artt. 1710 e 1176 cod. civ..
Tali norme – è bene ricordarlo – sanciscono, da un lato, che il mandatario, come qualsiasi obbligato, è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia (artt. 1710 e 1176, primo comma, cod. civ.) e, dall’altro, che, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, secondo comma, cod. civ.).
Nella fattispecie il decidente, dopo essersi occupato dell’inesperienza del mandante, assolutamente ininfluente ai fini del decidere, si è posto il problema del tasso di diligenza esigibile dal mandatario, risolvendolo in chiave dubitativa – e cioè in sostanza non risolvendolo – posto che ha ipotizzato l’esigibilità di una diligenza qualificata a causa di una competenza specifica del settore in capo al M. , senza specificare né cosa, segnatamente, dovesse intendersi per diligenza qualifica, né da quali elementi istruttori avesse desunto la particolare perizia che, in concreto, era ragionevole attendersi dal convenuto.
È il caso di evidenziare che la diligenza richiesta dal secondo comma dell’art. 1176 cod. civ. concerne l’adempimento di obbligazioni relative all’esercizio di un’attività professionale, e cioè, di un’attività caratterizzata, in via di principio, da quei connotati di abitualità, sistematicità e continuità assunti dall’art. 2082 cod. civ. quali indici della professionalità necessaria all’acquisto della qualità di imprenditore.
Ne deriva sia l’assoluta improprietà del riferimento a una non meglio identificata diligenza qualificata, sia il carattere del tutto assertivo della ritenuta insufficienza delle cautele adottate dal M. prima di decidersi all’acquisto in nome e per conto del mandante, e ciò tanto più che esso avvenne da un concessionario, e quindi nell’ambito di un circuito nel quale è ragionevole l’aspettativa di una certa serietà.
Per le ragioni esposte la sentenza impugnata non resiste alle critiche dell’esponente.
Essa deve conseguentemente essere cassata con rinvio per un nuovo esame, in relazione ai profili innanzi evidenziati, alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione;
cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione.
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