CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 23 giugno 2015, n. 12916

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2229/2012 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE (gia’ COMUNE ROMA) (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore On.le (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2527/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/06/2011 R.G.N. 1287/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Nel luglio 2004 (OMISSIS) conveniva in giudizio il Comune di Roma, chiedendo che venisse emanata sentenza ex articolo 2932 c.c., costitutiva del consenso mancante alla vendita a suo favore dell’appartamento di proprieta’ comunale gia’ condotto in locazione dalla madre (OMISSIS), e rientrante nel piano di dismissione agevolata del patrimonio immobiliare del Comune di cui alle delibere del Consiglio Comunale n. 139/01 e della Giunta Comunale n. 650/03. Assumeva, a tal fine, di possedere i requisiti soggettivi per esercitare l’opzione di acquisto dell’immobile, in quanto erede della (OMISSIS), e convivente con quest’ultima al momento del suo decesso (12.4.97).

Nella costituzione in giudizio del Comune di Roma, che opponeva il difetto dei requisiti per il trasferimento della proprieta’ (non essendo la (OMISSIS) ne’ residente da almeno cinque anni nell’appartamento in questione, come richiesto dalla citata delibera n.650/03, ne’ convivente con la conduttrice al momento della morte di quest’ultima), interveniva sentenza n. 1273/08 con la quale il tribunale di Roma rigettava la domanda dell’attrice, alla quale veniva ordinato – in accoglimento della domanda riconvenzionale del Comune – l’immediato rilascio dell’unita’ immobiliare.

Interposto appello dalla (OMISSIS), veniva emessa sentenza n. 2527/11 con la quale la corte di appello di Roma rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza viene dalla (OMISSIS) proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, ai quali resiste con controricorso il Comune di Roma – Roma Capitale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1.1 Con il primo motivo di ricorso la (OMISSIS) lamenta – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 6, e delle due delibere comunali di riferimento (nn. 139/01 e 650/03); cio’ per non avere il giudice di merito considerato che: – il requisito della residenza per almeno cinque anni antecedenti al trasferimento (previsto dalla delibera n. 650/03) concerneva i soggetti diversi dal conduttore, per il quale tale requisito temporale non era invece previsto; – essa attrice doveva essere appunto considerata conduttrice dell’immobile ex articolo 6, Legge cit., perche’ subentrata nel contratto in quanto erede della madre, e con questa abitualmente convivente al momento della morte.

p.1.2 La censura e’ infondata.

La corte di appello non ha infatti ritenuto nella specie necessario il requisito della convivenza nell’immobile nel quinquennio precedente la delibera comunale di dismissione, circoscrivendo il thema decidendum all’accertamento della sussistenza in concreto di un diverso requisito soggettivo in capo alla (OMISSIS); costituito dal suo legittimo subentro, in qualita’ di erede, nel contratto di locazione gia’ facente capo alla madre defunta. Ne consegue che la fattispecie e’ stata dalla corte di merito correttamente inquadrata nel disposto della Legge n. 392 del 1978, articolo 6, secondo cui (prescindendo, in quanto qui non rilevante, dalla modificazione derivante dall’intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 404/88): “in caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi”.

Ha infatti osservato la corte di appello (sent. pag. 3): “e’ ben vero che in tale ipotesi la (OMISSIS) avrebbe il diritto di esercitare l’opzione all’acquisto pur senza dover dimostrare l’ulteriore requisito della convivenza nell’immobile nel quinquennio precedente alle delibere, requisito quest’ultimo previsto unicamente per i soggetti residenti nell’immobile diversi dal conduttore ma, a ben vedere, cio’ che macroscopicamente difetta nella specie (…) e’ proprio la legittimita’ del subentro alla propria madre nel contratto di locazione, e dunque la qualita’ di conduttrice dell’odierna appellante”.

Ed in effetti, tale “macroscopico difetto” e’ stato del giudice di merito desunto dalla mancata prova del requisito, non gia’ della residenza nel quinquennio antecedente alla delibera di assegnazione, bensi’ dell’abituale convivenza della (OMISSIS) con la madre al momento del decesso di quest’ultima; il che appunto corrisponde alla fattispecie di subentro nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore, ex articolo 6 cit..

Una volta appurata, in esito alla valutazione del quadro istruttorio, l’insussistenza di un legittimo subentro e, dunque, la mancata assunzione da parte della (OMISSIS) della veste di conduttrice, il giudice di merito ha correttamente rigettato la domanda ex articolo 2932 c.c., accogliendo quella di rilascio proposta dal Comune di Roma, posto che: “l’erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata, e poiche’ il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto – analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione – quegli e’ un detentore precario della res locata al de cuiusr, si che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilita’ extracontrattuale” (Cass. n. 6965 del 22/05/2001).

p.2.1 Con il secondo motivo di ricorso la (OMISSIS) deduce violazione o falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., per avere il giudice di merito posto a suo carico la prova di fatti (la stabile convivenza al momento della morte) che non erano stati contestati dal Comune, il quale si era limitato ad eccepire l’insussistenza nella specie di un requisito in realta’ non necessario (la residenza nel quinquennio).

Con il terzo motivo di ricorso la (OMISSIS) deduce violazione o falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., per avere il giudice di merito escluso il requisito della convivenza al momento della morte sulla base di elementi “altamente controvertibili e senza che sia stata data la possibilita’ alla parte onerata di fornire prova contraria”, stante la mancata ammissione delle prove da essa attrice dedotte.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, insito nell’accertamento dello stato di convivenza; escluso dal giudice di merito sulla base di elementi probatoriamente non significativi, e senza possibilita’ di prova contraria.

p.2.2 Si tratta di motivi suscettibili di considerazione unitaria in quanto tutti basati – nella prospettiva della violazione delle norme di ammissione e valutazione probatoria, nonche’ della carenza motivazionale – sull’erroneo convincimento del giudice di merito circa la mancata dimostrazione del requisito della convivenza abituale.

Le censure sono infondate.

Il giudice di merito ha esattamente posto a carico della (OMISSIS), ex articolo 2697 c.c., l’onere di fornire la prova del subentro nel contratto di locazione (id est: dell’abituale convivenza con la madre al momento del decesso di questa). Cio’ infatti concretava un fatto costitutivo della domanda ex articolo 2932 c.c., atteso che soltanto in esito al suo positivo accertamento era giuridicamente configurabile l’inadempimento da parte del Comune all’obbligo di trasferire la proprieta’ dell’immobile a seguito dell’esercizio dell’opzione da parte del conduttore. Ne’ da tale onere la (OMISSIS) poteva ritenersi sollevata in base al disposto dell’articolo 115 c.p.c.. Non solo perche’ tale norma e’ entrata in vigore (Legge n. 69 del 2009) – nella riformulazione relativa alla espansione del principio di non contestazione – successivamente all’introduzione del presente giudizio; ma anche perche’ l’amministrazione comunale, lungi dall’aver ammesso il requisito della convivenza abituale, l’aveva contestato ab initio, in una con la contestazione della residenza nei locali nei cinque anni antecedenti la delibera di dismissione.

Cio’ premesso, la sentenza qui impugnata da conto, anche con richiamo all’accertamento compiuto dal primo giudice, della formazione del proprio convincimento in ordine al mancato raggiungimento della prova in questione (sent. pag.3-4); atteso che plurime emergenze processuali (il certificato storico anagrafico della (OMISSIS); gli accertamenti svolti dalla polizia municipale; le dichiarazioni rese dalla madre e dal nipote con la stessa convivente; il significato riconducibile ex articolo 116 c.p.c., alla circostanza che soltanto dopo la morte della madre la (OMISSIS) avesse trasferito la residenza anagrafica) convergevano nel dimostrare come, all’opposto, al momento della morte della propria madre, la (OMISSIS) non fosse convivente con la medesima, e non potesse pertanto succederle nel contratto al fine del legittimo esercizio dell’opzione di acquisto.

Tale ragionamento deve ritenersi del tutto congruo sul piano logico e giuridico.

Si osserva in primo luogo che – se e’ vero che non mancano precedenti di legittimita’ (Cass. n. 8652 del 03/10/1996) attestanti il fatto che, in materia di subentro nel contratto di locazione per abituale convivenza Legge n. 392 del 1978, ex articolo 6, le risultanze anagrafiche hanno un valore meramente presuntivo altrettanto indubbio e’ che tale orientamento e’ stato affermato con riguardo ad un’ipotesi opposta alla presente; nella quale la parte aveva effettivamente trasferito, anche anagraficamente, la propria residenza presso il conduttore poi defunto. Nel caso di specie, la (OMISSIS) ha trasferito la residenza presso i locali gia’ condotti in locazione dalla madre, soltanto dopo il decesso di questa (anche se prima delle delibere di dismissione del patrimonio comunale); con cio’ ponendo in essere un comportamento che il giudice di merito ha sostanzialmente valutato ininfluente al fine della prova di un requisito legale che doveva sussistere, concernendo l’abituale comunanza di vita con il conduttore, al momento stesso della morte. E cio’ e’ conforme al principio di diritto per cui l’abituale convivenza con il conduttore defunto va accertata alla data del decesso, essendo la successione “mortis causa” nel contratto di locazione un fatto giuridico istantaneo che si “realizza (o non si realizza) all’atto stesso della morte del conduttore, restando insensibile agli accadimenti successivi: Cass. n. 10034 del 01/08/2000.

Per contro, la valutazione del giudice di merito e’ stata nel senso che il dato anagrafico antecedente al decesso della madre (attestante la residenza in luogo diverso) ingenerasse una presunzione sfavorevole alla tesi della (OMISSIS), non superabile – perche’ anzi confermata – dagli altri elementi istruttori; tutti comprovanti il fatto che, al momento della morte, la (OMISSIS) non conviveva con la madre.

In secondo luogo, la valutazione probatoria del giudice di merito si e’ doverosamente focalizzata sul sostrato sostanziale del requisito di legge, atteso che, come affermato da Cass. n. 3251 del 11/02/2008, “la convivenza con il conduttore defunto, cui, ai sensi della Legge n. 392 del 1978, articolo 6, e’ subordinata la successione nel contratto di locazione di immobile adibito ad uso di abitazione, costituisce una situazione complessa caratterizzata da una convivenza stabile ed abituale; da una comunanza di vita, preesistente al decesso, non riscontrabile qualora il pretendente successore si sia trasferito nell’abitazione locata soltanto per ragioni transitorie. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che potesse riscontrarsi una pregressa, abituale convivenza tra l’anziana nonna ed il nipote trasferitosi nell’abitazione da questa condotta in locazione per assisterla)”.

Ora – assunta la complessita’ ed effettivita’ di tale fattispecie, nel senso di una stabile ed abituale comunanza di vita (che in cio’ si concreta la ratio normativa, volta a tutelare, solo in tal caso, la continuita’ di un rapporto locativo altrimenti destinato a cessare con la morte del conduttore) – la valutazione probatoria del giudice di merito e’ stata indirizzata tanto agli elementi istruttori acquisiti in causa (di per se’ attestanti l’insussistenza del requisito in oggetto), quanto alla inefficacia dimostrativa (proprio in ragione, ed a fronte, degli esiti probatori gia’ inconfutabilmente acquisiti) delle prove dedotte dall’attrice; non ammesse in quanto non in grado di sovvertire l’oggettivita’ di una situazione gia’ conclamata.

Orbene, in tale situazione, deve farsi qui applicazione del consolidato principio per cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensi’ la sola facolta’ di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorieta’ della medesima, puo’ dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (ex multis, Cass. n. 8718 del 27/04/2005). Si e’ inoltre stabilito (Sez. U., n. 24148 del 25/10/2013; Cass. n. 12799 del 6/6/2014) che la motivazione omessa o insufficiente e’ configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento; non gia’ quando vi sia difformita’ rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati; risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.

Nel ragionamento logico-giuridico seguito dalla corte di appello non sono individuabili i vizi qui rilevanti; trattandosi di ragionamento coerente e sufficientemente chiaro nel ricostruire la fattispecie concreta e nel ricondurla ad una determinata disciplina normativa.

Ne’ le doglianze qui in esame potrebbero trovare accoglimento sotto il profilo della mancata ammissione delle prove, atteso che – a tacere del fatto che il ricorso non riporta le prove di cui si lamenta la pretermissione – ricorre nella specie il principio (Cass. n. 15502 del 02/07/2009; Cass. n. 14611 del 12/07/2005) per cui il giudice di merito non ha l’obbligo di respinger espressamente e motivatamente tutte le richieste di prova avanzate dalla parte qualora i fatti risultino gia’ accertati a sufficienza, ed i mezzi istruttori formulati appaiano, alla luce della stessa prospettazione della parte, inidonei a vanificare, anche solo parzialmente, detto accertamento. Allorquando il giudice di merito reputi sufficientemente istruito il processo, egli non e’ tenuto – in particolare – a specificamente motivare sulla superfluita’ dei mezzi dedotti e non ammessi; potendo tale giudizio di ultroneita’ desumersi dalle argomentazioni in fatto e diritto della sentenza. Sicche’ l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova puo’ integrare il vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora essa si’ concreti nell’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e, dunque, allorquando “la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento” (Cass. n. 11457 del 17/05/2007; in termini, Cass. n. 4369 del 23.2.09; Cass. n.5377 del 7.3.11). Ipotesi che, nel caso di specie, non si verifica.

Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio cassazione che si liquidano, come in dispositivo, ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

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