Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 1 luglio 2015, n. 13514
Svolgimento del processo
1 – Con decreto in data 10 gennaio 2013 il Tribuna le di Santa Maria Capua Vetere rigettava la domanda con la quale, ai sensi dell’art. 9 della l. n. n. 898 del 1.970, il signor M.B. aveva chiesto la revoca dell’assegno di divorzio già disposto in favore dell’ex coniuge G.S.
1.1 – Avverso tale decisione veniva proposto reclamo, con il quale si deduceva che la predetta svolgeva attività lavorativa; che il B. doveva assolvere agli obblighi inerenti alla costituzione di un nuovo nucleo familiare, con prole, e che, infine, era intervenuta la delibazione della sentenza
ecclesiastica di nullità del matrimonio, tale da travolgere ogni effetto della pronuncia di divorzio, comprese le implicazioni di natura economica.
1.2 – La Corte di appello di Napoli, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha rigettato il reclamo, ponendo in rilievo, da un lato, l’inammissibilità della questione fondata sulla sopravvenienza della decisione ecclesiastica, in quanto non dedotta davanti al Tribunale e dall’altro, la sua infondatezza, stante l’intangibilità del giudicato formatosi in merito alle statuizioni di natura economica contenute nella pronuncia di divorzio.
1.3 – E’ stato poi posto in rilievo il provvedimento con il quale il Tribunale di Santa Maria Vetere, in data 18 novembre 2008, aveva già rigettato la medesima domanda, osservandosi che le deduzioni del B. non venivano prospettate come sopravvenienze in merito a tale provvedimento, in relazione al quale, sia pure “rebus sic stantibus” si era formato il giudicato. E’ stata infine rilevata l’inammissibilità della domanda intesa ad ottenere l’interpretazione, quanto alla decorrenza della revoca dell’assegno per i figli, già disposta con il provvedimento del 2008.
1.4 – Per la cassazione di tale decisione il B. propone ricorso, deducendo cinque motivi. La parte intimata non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione
2 – Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, si sostiene che la delibazione della sentenza ecclesiastica, travolgendo ex tunc il legame tra i coniugi, comporterebbe anche l’abolizione dell’assegno di mantenimento.
2.1 – Con il secondo mezzo le violazioni sopra denunciate vengono prospettate in relazione all’applicazione delle regole in tema di cosa giudicato alle disposizioni di natura economica, che, al contrario, sono suscettibili di revisione ai sensi dell’art. 9 della l. n.898 del 1970.
2.2 – Con la terza censura si deduce la violazione degli artt. 187 – 188 e 89 cod. proc. civ., in relazione all’omessa assunzione dei mezzi di prova concernenti la dedizione della G.S. ad attività lavorativa.
2.3 – Il quarto motivo concerne la violazione delle norme e dei principi che tutelano la famiglia di fatto, con riferimento agli obblighi del B. nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio.
2.4 – L’ultimo motivo attiene al regolamento delle spese processuali della decisione di primo grado, che, come disposto in relazione al giudizio davanti alla Corte di appello, avrebbero dovuto essere compensate.
3 – Gli esposti motivi, per distinte, ma analoghe ragioni, presentano ineludibili profili di inammissibilità
4 – La questione proposta con il primo motivo, oltre ad essere intrinsecamente infondata (cfr. Cass., 18 settembre 2003, n. 21331, proprio in tema di revisione delle condizioni di divorzio fondata sulla sopravvenienza delle delibazione di sentenza ecclesiastica di nullità dei matrimonio), non coglie la fondamentale ed autonoma ratio decidendi del provvedimento impugnato, che, in parte qua, ha rilevato che la questione era stata tardivamente (e, quindi, inammissibilmente) proposta per la prima volta in sede di reclamo. Tale statuizione non risulta in alcun modo censurata.
5 – Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in relazione al secondo mezzo, laddove riferito, come sembra, al rapporto fra sentenza di divorzio e decisione ecclesiastica. Ove poi si sia inteso affermare che non è configurabile un vero e proprio giudicato in presenza della possibilità di un giudizio di revisione, tale affermazione di principio non è riferibile neppure alle altre statuizioni del provvedimento impugnato, per lo più fondate sulla carenza del presupposto della sopravvenienza di giustificati motivi rispetto al precedente provvedimento in materia di mutamento delle condizioni del divorzio già intervenuto, fra le stesse parti, nell’anno 2008.
6 – Premesso che il giudicato “rebus sic stantibus”, che connota le pronunce relative a rapporti soggetti a mutamenti determinati da eventi successivi, è pur sempre dotato, fin quando non vengano accertate sopravvenienze tali da imporre delle modifiche o revoche, di autorità, intangibilità e stabilità, ancorché limitate nel tempo (Cass., 22 maggio 2009, n. 11913), deve osservarsi che il ricorso non attinge – limitandosi a riproporre le questioni già sottoposte alla Corte di appello – le ragioni per le quali tanto le istanze istruttorie, quanto le dedotte obbligazioni nei confronti dei figli non sono state considerate meritevoli di accoglimento. Ed invero la corte territoriale in entrambi i casi ha rilevato come non fosse specificato, né allegato, che le cc.dd. “sopravvenienze” fossero successive al provvedimento del 18 novembre 2008: tale affermazione, a prescindere dalla sua erroneità o meno, non risulta censurata. 7 – Il riferimento, infine, al regolamento delle spese processuali del giudizio di primo grado non contiene alcuna critica al principio della soccombenza, che costituisce il dato fondante della relativa motivazione resa in proposito dalla corte territoriale.
8 – Non si provvede in merito alle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
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