Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 12 giugno 2015, n. 24870

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIORDANO Umberto – Presidente

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere

Dott. BONITO Francesco Maria – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – rel. Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 691/2014 CORTE APPELLO di GENOVA, del 15/04/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Oscar Cedrangolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

IN FATTO E IN DIRITTO

1. In data 4 dicembre 2013 la 5 Sezione di questa Corte, nel decidere il ricorso proposto da (OMISSIS) – notaio ritenuto responsabile di due condotte di falsita’ ideologica – avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Genova il 3 dicembre 2012 annullava senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al falso ideologico relativo alla procura generale del 25 settembre 2000, per estinzione del reato dovuta ad intervenuta prescrizione.

Quanto all’ulteriore condotta – la procura speciale del 24 ottobre 2001 – annullava con rinvio la medesima sentenza in ordine al trattamento sanzionatorio, rigettando il ricorso nel resto.

In sentenza si afferma espressamente che il rigetto parziale comporta il passaggio in giudicato delle statuizioni civili e della pronuncia di condanna relativa alla procura speciale dell’anno 2001.

Giova riportare, inoltre, la parte della decisione relativa all’annullamento con rinvio sul trattamento sanzionatorio :.. i motivi relativi alla dosimetria della pena restano assorbiti dall’annullamento derivante dall’intervenuta prescrizione di uno dei due fatti di reato, posto che in sede di rinvio il giudice di appello dovra’ procedere ad una nuova quantificazione del trattamento sanzionatorio. Venendo meno uno dei due reati in continuazione, perderanno del tutto interesse le questioni relative alla dedotta violazione dell’articolo 81 c.p., mentre con riferimento alle attenuanti generiche, prospettandosi nuovamente la loro applicabilita’ anche in sede di rinvio e ribadita la liberta’ decisionale, sul punto, del giudice di merito (che potra’, pertanto, concederle ove lo ritenga) e’ opportuno osservare, sotto un profilo di diritto, che sebbene non sia applicabile ai fatti in questione la disposizione dell’articolo 62 bis c.p., nella sua attuale formulazione, cio’ non toglie che anche prima della modifica del 2008 le attenuanti generiche non potessero essere riconosciute esclusivamente sulla base della mancanza di precedenti penali (v. Sez. 4, n. 31440 del 25/06/2008, Olavarria Cruz, Rv. 241898). In ogni caso, la differenza di valutazione dell’operato del pubblico ufficiale, rispetto al privato cittadino, non e’ affatto ingiustificata, essendo comprensibile che al primo sia richiesto maggior rigore morale e maggiore attenzione nel rispetto delle leggi, in virtu’ dei benefici che egli riceve dallo Stato (nel caso di specie attraverso l’abilitazione all’esercizio di attivita’ notarile). Quanto alla asserita mancata idonea valutazione del comportamento processuale dell’imputato, trattasi di valutazione di merito che non puo’ essere rimessa in discussione in questa sede di legittimita’, avendo trovato compiuta motivazione, priva di evidenti vizi logici, alle pagine 40 e 41 della sentenza. La difesa afferma che il comportamento processuale non puo’ mai assumere valenza negativa, a meno che sia ambiguo e reticente. L’affermazione non prova nulla; la concessione delle attenuanti generiche non e’ un diritto automatico dell’imputato (che si puo’ escludere in caso di elementi negativi di valutazione), ma, al contrario, presuppone il riconoscimento, in positivo, di elementi di valutazione tali da giustificare la diminuzione della pena. Ne consegue che, anche a non ritenere sussistente un comportamento processuale negativo del (OMISSIS), il mancato apprezzamento in positivo della sua condotta processuale costituisce vantazione di merito che giustifica la mancata concessione delle predette attenuanti e che non e’ sindacabile in questa sede di legittimita’, essendo adeguatamente motivato. Le altre questioni relative alla quantificazione della pena restano assorbite dall’intervenuto annullamento con rinvio per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 15 aprile 2014, giudicando in sede di rinvio accoglieva l’appello proposto dal Procuratore Generale avverso la sentenza di primo grado e per l’effetto determinava la pena – per la sola violazione superstite – in anni tre e mesi due di reclusione.

Veniva pertanto esclusa l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e determinata la pena in misura lievemente superiore al minimo edittale di anni tre.

Su tali punti, la Corte di merito osserva che l’unico elemento che milita a favore dell’imputato e’ lo stato di incensuratezza, che per costante giurisprudenza di legittimita’ non e’ di per se’ sufficiente a fondare la concessione di dette attenuanti.

Nel caso in esame la gravita’ della condotta illecita, caratterizzata dal tradimento dei delicatissimi doveri propri della funzione notarile, rapportata alle modalita’ del fatto, non consente la concessione delle invocate attenuanti.

Si ritiene inoltre significativa – in tale contesto – l’ostinazione con la quale l’imputato ha sostenuto di aver percepito e tradotto la volonta’ del cliente, clamorosamente smentita dall’istruttoria dibattimentale e l’esistenza di effetti pregiudizievoli correlati alla procura speciale sul patrimonio di (OMISSIS).

In sede di quantificazione della pena si precisa che l’atto compiuto fa fede fino a querela di falso per cui la pena, in assenza di attenuanti, non puo’ essere inferiore ad anni tre di reclusione.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – (OMISSIS), articolando distinti motivi.

Con il primo motivo si deduce erronea applicazione dell’articolo 62 bis c.p., nonche’ dell’articolo 627 c.p.p., e vizio di motivazione.

Si afferma, sul punto dell’accoglimento della impugnazione proposta dal P.G. territoriale e relativa al tema delle circostanze attenuanti generiche, che la Corte di merito nel valorizzare in senso negativo le modalita’ commissive del fatto (.. nel momento della scelta delle modalita’ per superare l’impedimento assoluto del dichiarante e nell’accettazione dei due sprovveduti coniugi testimoni senza rendere loro spiegazione del rilievo del loro ruolo e della solennita’ dell’atto pubblico..) ha in realta’ rivalutato un aspetto della vicenda coperto dal giudicato in modo dissonante con il giudicato medesimo.

Nella sentenza di questa Corte si era infatti chiarito che la modalita’ di realizzazione dell’atto – in presenza di testimoni – non fu frutto di una scelta dell’imputato ma di un obbligo di legge funzionale alla validita’ dell’atto pubblico (articolo 48 della legge notarile).

I testimoni, peraltro, non erano certo due sprovveduti ma persone amiche dello stesso (OMISSIS) e non vennero scelti dal ricorrente.

Anche la condotta processuale, valutata negativamente, non e’ stata fedelmente ricostruita.

In realta’ l’imputato ha ammesso che il (OMISSIS) non profferi’ parola, sostenendo tuttavia di aver tradotto fedelmente nell’atto scritto la volonta’ espressa con chiari gesti di assenso dal (OMISSIS) stesso.

Si tratta di linea difensiva convinta, legittima e non certo censurabile, in un contesto processuale che ha visto costantemente presente l’imputato, sottopostosi ad esame.

Si prospetta pertanto che il valore della incensuratezza era espressione del comportamento sempre corretto mantenuto dall’imputato nella propria vita professionale e di relazione, tale da rilevare ai sensi dell’articolo 133 c.p., con illogica svalutazione da parte della Corte di merito, peraltro assistita da eronee considerazioni.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 597 c.p.p..

La decisione della Corte genovese oggetto di annullamento aveva indicato come pena – base quella di anni due e mesi sei di reclusione.

Non poteva, pertanto, il giudice di rinvio – stante il principio del divieto della reformatio in peius per come costantemente interpretato in sede di legittimita’ – quantificare una pena superiore ai due anni e sei mesi, come invece realizzato.

Con il terzo motivo si deduce l’inosservanza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato (articolo 521 c.p.p., comma 2) e vizio di motivazione.

La contestazione – testualmente riprodotta nel ricorso – non fa menzione della circostanza aggravante di cui all’articolo 476 c.p.p., comma 2.

Tale dato risulta confermato dal contenuto della stessa decisione annullata, posto che pena di anni due e mesi sei e’ inferiore al minimo edittale che sarebbe stato necessario, in tale ipotesi, applicare.

Si ritiene pertanto operata una nuova e piu’ grave qualificazione giuridica “a sorpresa” e senza previo contraddittorio, con violazione di principi espressi nell’articolo 521 c.p.p., anche per come gli stessi sono stati interpretati nella giurisprudenza della CEDU in tema di giusto processo.

3. Il secondo motivo di ricorso e’ fondato, mentre i restanti motivi non possono trovare accoglimento, per le ragioni che seguono.

3.1 Quanto al tema coltivato nel primo motivo di ricorso, va osservato che gia’ i contenuti della decisione di annullamento con rinvio – illustrati in parte narrativa – esprimevano un chiaro favor per il mantenimento della opzione reiettiva, pur essendo stata rimessa la vantazione finale al giudice di rinvio in virtu’ della intervenuta prescrizione del reato posto a base della riconosciuta continuazione.

La decisione emessa dalla 5 Sezione ha infatti ribadito – sul punto – sia la impossibilita’ di valorizzare la mera condizione di incensuratezza (anche in rapporto a fatti antecedenti la novellazione del 2008) sia la ragionevolezza della considerazione espressa nella sentenza – allora impugnata – circa la valutazione dell’operato del pubblico ufficiale come soggetto gravato da un piu’ intenso obbligo di rispetto delle leggi, specie quelle regolanti la funzione esercitata.

La decisione oggi impugnata si e’ pertanto mossa all’interno del “solco” tracciato dalla decisione di annullamento, confermando – in sostanza – l’inesistenza di profili in fatto (diversi dalla condizione di incensuratezza) idonei a determinare la riduzione del trattamento sanzionatorie.

Si tratta di valutazione in fatto in ordine alla quale non si ravvisano illogicita’ ne’ travisamenti, posto che le indicazioni contenute nel ricorso non concernono aspetti decisivi di tale ricostruzione o idonei – in tesi – a ribaltarne i contenuti.

Pur escludendo, infatti, la connotazione negativa correlata alla modalita’ di scelta dei testimoni (ed ammettendone la neutralita’) resta il fatto che il contrasto ai contenuti reali della decisione andava impostato in termini diversi, ossia sulla esistenza di “dati positivi” in realta’ trascurati ed idonei a porsi come fattori produttivi della attenuazione. Lo stesso ricorrente, sul tema della condotta processuale ammette che la sua linea difensiva – di certo legittima e convinta, ma smentita dal contenuto della decisione di rigetto del ricorso in punto di responsabilita’ (sentenza 5 Sezione del 4.12.2013) – non poteva dirsi realmente confessoria, il che esclude che vi sia un profilo di “particolare meritevolezza” trascurato. La condotta processuale, infatti, per rientrare nel modello legale di cui all’articolo 133, comma 2, n. 3, (condotta susseguente al reato) in senso favorevole deve essere tale da evidenziare “concreta resipiscenza” (tra le molte Sez. 6 n. 3018 del 11.10.1990, rv 186592; Sez. 6 n. 11732 del 27.1.2012 rv 252229) e pertanto deve contenere – inevitabilmente – profili di riconoscimento pieno dell’illecito commesso (si vedano anche le considerazioni in punto di necessario “ravvedimento” contenute in parte motiva di C.Cost. n. 183 del 2011, con portata generale e non limitata alla questione ivi trattata e decisa). Non possono pertanto riconoscersi fondate le critiche ai profili motivazionali, in tal modo rettificati.

3.2 il secondo motivo di ricorso e’ invece, fondato. Per costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte di legittimita’ il divieto di reformatio in peius copre anche le “decisioni intermedie” e si applica in caso di annullamento con rinvio su ricorso per cassazione proposto dal solo imputato (si veda tra le altre Sez. U. n. 16208 del 27.3.2014) e pertanto, essendo stata determinata – nella decisione di secondo grado emessa in data 3.12.2012 la pena base (per il reato poi dichiarato estinto) in anni due e mesi sei di reclusione (peraltro in modo erroneo ma senza che tale aspetto abbia determinato ricorso della parte pubblica) il giudice di rinvio non poteva superare, nella rideterminazione della pena per l’originario reato satellite tale limite massimo. Sul punto va pertanto disposto annullamento senza rinvio della decisione impugnata con diretta determinazione della pena – visto il potere riconosciuto dall’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera L – in quella di anni due e mesi sei di reclusione.

3.3 il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.

Vengono infatti riproposte le censure gia’ esaminate da questa Corte ai sensi dell’articolo 625 bis c.p.p. (ricorso proposto avverso la decisione emessa dalla Sezione 5 in data 4.12.2013 nella parte reiettiva dei motivi di ricorso in tema di responsabilita’ penale) con sentenza numero 48291 del 2014, ai cui contenuti il Collegio si richiama, condividendoli espressamente. Va ricordato, in particolare che l’articolo 479 c.p., incrimina la falsita’ ideologica in atto pubblico descrivendo la fattispecie astratta e realizzando rinvio alle pene stabilite dall’articolo 476. Non puo’ dirsi pertanto indispensabile la contestazione espressa della aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2, li’ dove la falsita’ ideologica riguardi un tipo di atto – indicato nella contestazione – che abbia la particolare attitudine probatoria richiesta da tale norma. Nel caso in esame il riferimento alla “procura speciale” rilasciata da (OMISSIS) in favore dell’avv. (OMISSIS) realizza tale condizione gia’ in sede di contestazione. Del resto, l’argomento indicato – ossia la quantificazione della pena in secondo grado in misura inferiore al limite edittale di anni tre – risulta capzioso, posto che in primo grado (ove erano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche) la pena base era stata indicata in quella di anni quattro di reclusione, in tutta evidenza considerandosi la natura fidefacente dell’atto. Non puo’ parlarsi pertanto di mutazione del fatto contestato, derivando la quantificazione della pena per il reato posto a base della continuazione nel primo giudizio di appello da un evidente errore, non rimediabile in virtu’ della omessa impugnazione di tale statuizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena che ridetermina in anni due e mesi sei di reclusione; rigetta nel resto il ricorso.

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