Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 12 maggio 2015, n. 9649
Fatto e diritto
La Corte di appello di Genova ha respinto il gravame proposto da C.C. e, confermando la sentenza del Tribunale della Spezia, ha ritenuto che fosse infondata la sua domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità in qualità di superstite del coniuge A.E.V., dal quale era separato con addebito sul rilievo che non era già titolare di un assegno di mantenimento ai sensi dell’art. 156 co. 3 c.c..
Per la cassazione della sentenza ricorre il C. sulla base di un unico motivo, ulteriormente illustrato con memoria, con il quale denuncia la violazione dell’art. 1 d. lgs. n. 39 del 1955, dell’art. 7 della l. n. 1338 del 1962 e dell’art. 24 della 1. n. 153 del 1969. Il ricorso appare fondato.
Come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 22.4.2011 n. 9314, 7.12.2010 n. 24802, Cass. 19 marzo 2009 n. 6684 e 16 ottobre 2003 n. 15516) “a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 dei 1987 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 e della L. 18 agosto 1962, n. 1357, art. 23, comma 4 nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato – tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte”. Nonostante la Corte costituzionale, nell’occasione indicata e in altre successive (cfr. Corte Cost. n. 1009 del 1988, n. 450 del 1989, n. 346 del 1993 e n. 284 del 1997) abbia giustificato le proprie pronunce anche con considerazioni legate alla necessità di assicurare la continuità dei mezzi di sostentamento che in caso di bisogno il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornire all’altro coniuge separato per colpa o con addebito, il dispositivo della decisione dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma esaminata non indica condizioni ulteriori, rispetto a quelle valevoli per il coniuge non separato per colpa, ai fini della fruizione della pensione.
Ad ambedue le situazioni è quindi applicabile la L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, il quale non richiede (a differenza che per i figli di età superiore ai diciotto anni, per i genitori superstiti e per i fratelli e sorelle del defunto, etc), quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità, la vivenza a carico al momento del decesso del coniuge e lo stato di bisogno ma unicamente l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato. In definitiva, nella legge citata la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga (anche per il coniuge separato per colpa o con addebito) concreto presupposto e condizione della tutela medesima. Poiché la Corte territoriale non si è attenuta alla regola indicata desumibile dalla L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, quale risultante dalla dichiarazione di incostituzionale della L. 30 aprile 19659, n. 153, art. 24, la sentenza impugnata va cassata. Per tutto quanto sopra considerato, il ricorso, manifestamente fondato, deve essere accolto. La sentenza deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può essere deciso nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c..
Per l’effetto va dichiarato il diritto di C.C. a percepire la pensione di reversibilità con la decorrenza di legge e l’INPS deve essere condannato al pagamento dei ratei maturati della prestazione con gli accessori dovuti per legge.
Le spese dell’intero processo, liquidate nella misura indicata in dispositivo e maggiorate degli accessori dovuti per legge, vanno poste a carico dell’INPS.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara il diritto di C.C. alla pensione di reversibilità con la decorrenza di legge e condanna l’INPS al pagamento dei ratei maturati della prestazione con gli accessori dovuti per legge.
Condanna 1’Inps al pagamento delle spese dell’intero processo che liquida, quanto al primo grado, in € 1800,00 di cui € 900,00 per onorari; per l’appello in € 2000,00 di cui € 1100,00 per onorari; quanto al giudizio di legittimità sono liquidate in € 3000,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie. Accessori come per legge.
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